PARTE SECONDA
I. I GENERI LETTERAR
II. 1. Il Postmodernismo nelle discipline dell'arte e del sapere
In architettura le esperienze postmoderne iniziano negli anni Cinquanta ma diventano un vero movimento soltanto a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Nonostante il termine postmoderno non venga sempre accolto con favore da alcuni dei suoi stessi protagonisti (per esempio, da Venturi) la categoria viene progressivamente ad assumere nel campo dell'architettura una centralità, nonché una chiarezza di significato, almeno dal punto di vista stilistico, difficilmente riscontrabili negli altri ambiti estetici in cui la stessa ha trovato utilizzazione. Si viene a delineare un fronte postmodernista relativamente preciso, per quanto assai differenziato al suo interno, che per entità, visibilità e vis polemica anti-moderna non ha eguali in altri terreni artistici. I postmodernisti vogliono innanzitutto ritornare a un'architettura di significato, comunicativa, esplicitamente simbolica, di contro al purismo astratto e funzionalista dei loro predecessori. Fare questo significa ricucire il dialogo con gli archetipi storici, laddove la rivoluzione moderna si voleva anti- storicista, e riconsiderare le potenzialità dei linguaggi dei contesti particolari, e laddove Le Corbusier intendeva invece far calare dall'alto una progettazione razionale e universale. L'architettura postmoderna si caratterizzerà, dunque, per il ritorno dell'ornamento, per il citazionismo, per una commistione di stile classico e vernacolare, per la ricomparsa di un'estetica antropomorfa. Il riferimento al classico (o al neoclassico) attuato grazie all'utilizzo di elementi greco-romani non comporta un reale ritorno al classico dopo la modernità. Il riferimento al modello storico è
estremamente semplificato e serve a sottolineare l'opposizione tra il moderno e ciò che c'era prima. Il postmodernismo ricorre all'antico per costruire il proprio linguaggio. In definitiva, nasce una poetica eclettica, che oltre al simbolico riabilita il superfluo e il decorativo, che ama mescolare stili, principi formali e dimensioni differenti, perché le complessità e le contraddizioni creano appunto una tensione significativa e vogliono rispecchiare le tortuosità del mondo reale, di contro alle schematizzazioni astratte dei modernisti.
Le sue figure più influenti, secondo prospettive peraltro ben distinte, sono probabilmente l'architetto e teorico Robert Venturi, pioniere e discusso celebratore dell'iconografia commerciale di massa, fautore di una generale estetica eclettica, giocosa e neobarocca, e lo storico dell'architettura Charles Jencks, il quale incarna la figura del teorico militante che cerca di fare confluire le diverse tendenze in un vero e proprio movimento, sotto l'etichetta del postmodernismo. Sono figure importanti anche Charles Willard Moore, Micheal Graves, Riccardo Bofill, Paolo Portoghesi, Aldo Rossi.
In pittura si abbandonano l'astrattismo, il concettualismo, il minimalismo per un ritorno al colore, all'emotività, alla tradizione, al racconto, alla spontaneità, alla manualità.
Nel 1977 Mimmo Paladino dipinge Silenzioso mi ritiro a dipingere quadro, che la critica considera una sorta di spartiacque, l'opera simbolica del nuovo corso. In Italia, Achille Bonito Oliva fonda Transavanguardie, un collettivo di cinque artisti postmoderni che oltre a Mimmo Paladino, appunto, includeva Sandro Chia, Enzo Cucchi, Nicola de Maria e Francesco Clemente. Il loro collante è forte: tutti basano la propria ricerca sul recupero della pittura, sull'idea di contaminazione, sul riassemblaggio, sul riciclaggio, sull'attenzione ai codici e ai simboli delle tradizioni popolari, sull'amore per il colore, sulla ricerca del lato sensibile dell'arte.
In Germania accade qualcosa di analogo: la pittura trionfa e il mercato rifiorisce grazie ad artisti come Markus Lüpertz, Anselm Kiefer, Georg Baselitz.
In America la situazione è più complessa. Convivono l'arte figurativa di David Salle e di Julien Schnabel e la pittura aniconica di Peter Halley, il neoconcettuale di Jeff
Koons con l'inedito mix di surrealismo e minimalismo di Haim Steinbach. Nel frattempo esplode anche il graffitismo, un fenomeno sociale prima che artistico, legato a gruppi coesi in cerca di spazi di libertà creativa. Sarà un successo che esplode per strada ma che presto si afferma nelle gallerie d'America e non solo. Tra tutti i nomi risaltano sicuramente quelli di Jean-Michel Basquiat e quello di Keith Haring.
Il postmodernismo approda all'arte cinematografica con un po' di ritardo rispetto alle altre discipline. Se nel Novecento il cinema inteso come espressione degli immaginari di massa ha costituito un compendio delle estetiche del moderno nel loro proporsi come rispecchiamento di un’epoca caratterizzata dai processi di riproducibilità tecnica, gli interrogativi che nascono sul finire del secolo giocano su un orizzonte più ampio, quello della medialità, in cui le immagini acquisiscono una pluralità di sensi, le culture visuali si traducono in una polivalenza di pratiche, la relazione spettacolo-spettatore si sviluppa in una dinamica interattiva. Postmodernismo in ambito cinematografico significa consapevolezza dell’artificio, messa in evidenza dei meccanismi di finzione, gusto dell’intreccio complesso e della molteplicità di livelli di senso, coniugati alla ripresa e alla rivisitazione di stilemi e codici popolari, al ricorso alla citazione ironica, alla costruzione di percorsi intertestuali, alla contaminazione di generi, al gioco combinatorio.
Il primo vero segnale di un cambiamento, di una rottura forte e decisiva, in ambito cinematografico avviene nel 1984, con l'uscita del capolavoro di Sergio Leone, Once upon a time in America. Questo film, pur muovendosi all’interno di una struttura epica fortemente legata ai canoni classici e modernisti, mette per la prima volta in mostra i caratteri tipici del postmodernismo, facendo scuola ad un gran numero di autori contemporanei. Once upon a time in America trasla su pellicola alcune coordinate proprie della società postmoderna, optando per una narrazione labirintica, enigmatica, frammentata nel tempo e confusa nello spazio, tanto che nel finale il cineasta romano preferisce lasciare aperti tutti gli interrogativi, senza risolverli. Un'operazione, questa, che si lega in modo assolutamente evidente all'impossibilità odierna di comprendere la complessità del reale attraverso un unico discorso
conoscitivo, cioè ciò che Lyotard aveva definito come incredulità nei confronti delle grandi narrazioni, dei grands récits. Da allora, il cinema attiva numerose dinamiche testuali e narrative per riflettere sull'avvenuta dispersione di un senso univoco nel reale. Di fronte a un mondo fatto di attimi disgiunti, slegati, sempre appartenenti a diversi ordini di realtà (umana, artificiale, virtuale) la narrazione cinematografica postmoderna assume come principio basilare il tracollo della causalità che viene sostituita da forme di organizzazione che riflettono invece le modalità di orientamento delle nostre società contemporanee, fondate ormai sui sistemi informatici e sulla forma che principalmente li caratterizza: il database, un deposito virtuale in cui vengono accatastati elementi sempre diversi non secondo legami logico-causali bensì attraverso il metodo a-logico dell'accumulo indifferenziato. Questo sistema accoglie i concetti postmoderni di mescolanza, frammentazione, rifiuto della gerarchia, della linearità. Nel cinema postmoderno il tempo narrativo risulta spesso spezzato in frammenti, non segue sempre un ordine logico o cronologico e obbliga lo spettatore a risvegliare la propria capacità interpretativa. In quest'universo filmico frammentato possono scomparire anche gli scopi della narrazione: il classico finale catartico viene spesso sostituito da un finale aperto o addirittura dall'assenza di un finale. La scomparsa di linearità fa muovere le opere nella direzione dell'assurdo, e spesso nei film postmoderni si può notare una tensione carnevalesca volta alla rappresentazione ironica, alla volontà di negare che sconvolge dall'interno, qualsiasi tipo di ordine prestabilito. Altro carattere dominante nel cinema postmoderno è quello della mescolanza: il mélange barocco tra forme, linguaggi, immagini. Essendo fondato su tale pastiche, inoltre, il cinema postmoderno non può non annoverare tra i suoi elementi peculiari quello della citazione. Essa agisce a tutti i livelli della narrazione e chiama in causa elementi e testi della cultura passata senza gerarchie di provenienza. Il citazionismo postmoderno riprende elementi dal cinema stesso come dalla letteratura, dalla pittura e dal videoclip, dalle pubblicità e dalla televisione, fino ad affondare nei sottoprodotti della società capitalistica. Questa tendenza alla citazione ibrida e frammentaria, sciolta da ogni gesto critico, trasforma inoltre l'opera d'arte postmoderna in una sorta d'inventario dove tutto il passato si rifà presente,
omogeneizzandosi e trasformandosi in qualcosa di completamente nuovo.
Nel campo musicale, il postmoderno significa eclettismo sotto ogni punto di vista. Spesso combina le caratteristiche di diversi generi. La musica postmoderna è autoreferenziale ed ironica. Il suo stile è quello del bricolage, del multistilismo, della casualità. È un linguaggio per mezzo del quale le persone possono mettere in evidenza la propria identità in quanto appartenenti ad una sottocultura coesa, ad esempio. Grazie alla musica postmoderna si perdono le connotazioni rigide di arte alta e di arte pop. Sarà questo superamento, questo infrangersi di barriere, ciò che di più importante lascerà in eredità la musica postmoderna. La lista dei nomi di artisti considerati postmoderni potrebbe essere infinita: nel jazz Keith Jarret, nel pop-rock Frank Zappa, i Pink Floyd, i Velvet Underground, nell'hip-hop e nel rap Kurtis Blow, Public Enemy, ecc.
In filosofia il concetto di postmoderno entra nel dibattito culturale a partire dal 1979, anno in cui J.-F. Lyotard pubblica La condition postmoderne, vero manifesto del postmodernismo. In quest'opera, l'epoca contemporanea è descritta come quella in cui la modernità ha raggiunto il suo termine con la delegittimazione dei grands récits, ovvero delle prospettive filosofiche ed ideologiche che, a partire dall'illuminismo, hanno ispirato e condizionato le credenze ed i valori della cultura occidentale. L'età postmoderna si caratterizza per una pluralità di discorsi pragmatici con validità contingente.
In Italia al concetto di postmoderno ha dedicato attenzione Gianni Vattimo, elaborando la nozione di "pensiero debole" per definire l'atteggiamento filosofico che ha preso atto della dissoluzione delle certezze e dei valori, dissoluzione che non porta, però, a negare il passato ma a rivalutarlo con un sentimento di pietas.