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VI. ANALISI NARRATOLOGICA

VI. 4. LA VOCE NARRATIVA

La voce narrativa, o narratore, è uno dei punti cardine dell'analisi testuale secondo Genette. Quando si legge un testo di Houellebecq, osservare il narratore da vicino è particolarmente interessante perché l'autore gli fa ricoprire una funzione primaria, quasi da protagonista. Ne La carte et le territoire il narratore è eterodiegetico e onnisciente, vale a dire che non è un personaggio del romanzo, non prende parte all'intreccio, narra gli eventi in III persona e osserva lo svolgersi dei fatti dall'esterno; tuttavia, conosce tutto dei personaggi, anche la loro interiorità.

Nei precedenti romanzi di Houellebecq il narratore era spesso omodiegetico o intradiegetico, ovvero, prendeva parte egli stesso alla narrazione, come personaggio o protagonista. In Extension du domaine de la lutte, ad esempio, è autodiegetico ma sembra essere, in più di una situazione, eterodiegetico, cioè sembra che assista agli eventi narrati dall'esterno, da una posizione di testimone invisibile.

Sebbene nei cinque romanzi di Houellebecq la focalizzazione cambi, il narratore sembra possedere dei tratti caratteristici.

Houellebecq è stato spesso definito come un "auteur dépressif" e nei suoi romanzi è sempre descritta la situazione di un uomo, appunto, depresso, frustrato, gettato sul

fondo della sua gabbia, incapace di risalire: il narratore houellebecquiano è esattamente questo tipo di uomo. La depressione è come una tela di fondo, non è neanche più un vero tema dei suoi romanzi. Il narratore-depresso sembra essere l'unico in grado di gettare uno sguardo lucido e umoristico sul mondo circostante, che è ciò che cerca Houellebecq. La lucidità e l'ironia del tono distaccato derivano dalla sua capacità di sentirsi estraneo rispetto a se stesso e agli altri, eppur appartenente a questo mondo. Ne La carte et le territoire il narratore non prende parte agli eventi eppure ci sembra uno dei personaggi del testo, sembra dar voce ai pensieri di Jed Martin, sembra appartenere al testo, cioè al mondo, quando in realtà non vi appartiene. Il tono del narratore houellebecquiano è sempre distaccato e glaciale. Esso esprime un atteggiamento di distanza, di estraneità, di volontà di oggettività nei confronti dell'oggetto della sua narrazione. Egli è sempre in posizione di osservatore e questo gli permette quel sentimento di étrangeté nei confronti di se stesso e degli altri: è l'arte della distanza, della percezione di sé e dell'altro da sé come separati da un muro invalicabile ma trasparente; l'altro si può osservare, si può conoscere ma è impossibile stabilire con esso una relazione empatica. La concezione houellebecquiana dell'alterità è segnata dalla separazione e quindi dalla tragicità della distanza.

Dice il narratore a proposito dell'annuncio della partenza di Olga, unico vero amore di Jed, che segnerà la fine del loro rapporto:

«C'est là, le lundi de Pentecôte, au petit déjeuner, qu'Olga annonça à Jed qu'elle retournait en Russie à la fin du mois. Elle dégustait à cet instant une confiture de fraises des bois, et des oiseaux indifférents à tout drame humain gazouillaient dans le parc originalement dessiné par Le Nôtre. […] Jed conservait un silence buté en tournant sa cuillère dans son œuf coque, jetait à Olga des regards par en dessous, comme un enfant puni» (C&T, 99/101).

O ancora, nel momento della partenza della stessa:

Jed n'eut aucune réaction quand Olga, après un dernier baiser, se dirigea vers la zone de contrôle des passeports, et ce n'est qu'en rentrant chez lui, boulevard de l'Hôpital, qu'il comprit à son insu de franchir une nouvelle étape dans le déroulement de sa vie (C&T, 103).

righe, senza sbilanciarsi in commenti sentimentali o, appunto, in lunghi addii. La stessa cosa avviene in occasione della morte del padre, unico parente rimasto a Jed, che era andato a farsi praticare l'eutanasia in Svizzera. Jed dopo aver capito la situazione ed essere andato a cercarlo a Zurigo, si rende conto di essere arrivato tardi e di non aver neanche fatto in tempo a salutare suo padre. Houellebecq riassume tutto il dolore di Jed in poche parole e il suo narratore ci dice:

«Son excitation retomba rapidement, laissant place à une vague tristesse profonde, qu'il savait définitive. Trois jours après son arrivée, pour la première fois dans sa vie, il passa seul la soirée de Noël. Il en fut de même le soir du Nouvel An. Et les jours qui suivirent, il fut également seul» (C&T, 365).

N e La carte et le territoire il narratore houellebecquiano entra un po' in contraddizione con quello dei suoi romanzi precedenti: è vero che sente l'evidenza della separazione, ma al contempo, sente la nostalgia della fraternità. Egli mantiene un atteggiamento ambivalente, oscillante rispetto a sé, al mondo e agli uomini che racconta. Vi è, insomma, una duplice tendenza: l'empatia e la distanza analitica, l'attendrissement e le dégoût. Un esempio significativo è quello della descrizione dell'addetta stampa Marylin Prigent:

La première vraie surprise de Jed fut l'attachée de presse: fort des idées reçues, il s'était toujours imaginé les attachées de presse comme des canons, et fut surpris de se trouver en présence d'une petite chose souffreteuse, maigre et presque bossue, malencontreusement prénommée Marylin, vraisemblablement névrosée de surcroît – tout le temps de leur premier entretien elle tordit ses longs cheveux noirs et plats d'angoisse, composant peu à peu des nœuds indéfaisables avant d'arracher la mèche d'un coup sec. Son nez coulait constamment, et dans son sac à main aux dimensions énormes, plutôt un cabas, elle transportait une quinzaine de boîtes de mouchoirs jetables – à peu près sa consommation quotidienne. Ils se rencontrèrent dans le bureau d'Olga et c'en était gênant, de voir côte à côte de cette créature somptueuse, aux formes indéfiniment désirables, et ce pauvre petit bout de femme, au vagin inexploré (C&T, 76).

Questa breve descrizione non manifesta alcun segno di empatia verso quell'essere che rispetto alla bellissima Olga sembrava una creatura miserabile, salvo un solo sprezzante ma fraterno "pauvre" in chiusura: in Houellebecq l'empatia non si manifesta mai sotto forma di compassione; il tono freddo della descrizione clinica è

sufficiente per rivelare la profondità del dramma, l'evidenza del dolore. Non si troveranno in Houellebecq commenti compassionevoli; il narratore non esprimerà il suo punto di vista. Egli si limiterà a mostrare al lettore la realtà dei fatti che è, però, talmente limpida da parlare da sola. Il narratore houellebecquiano sembra lasciar libero il lettore di pensare ciò che più giusto risulti; saranno l'evidenza della crudeltà o di una situazione miserabile a orientarlo verso la compassione.

In realtà tra autore e lettore sembra svilupparsi una sorta di complicità che fa leva su una cultura comune. Essendo il narratore stesso un personaggio depresso con le caratteristiche dell'uomo contemporaneo medio, si stabilisce tra questi e il lettore un dialogo su temi condivisi, una comunicazione libera, scevra da ogni possibile forma di giudizio. Se l'arte oratoria prevede che uno degli artifici per assicurarsi il favore degli ascoltatori sia la captatio benevolentiae, ovvero un atteggiamento dell'oratore che con belle parole, raggiri, commenti adulatori cerca di guadagnarsi un atteggiamento benevolo da parte del suo uditorio, il narratore houellebecquiano sembra fare una captatio di altro tipo. Questi trascina direttamente nel testo il lettore, gli chiede uno sforzo di partecipazione, e lo fa attraverso una serie di deittici, vale a dire attraverso un insieme eterogeneo di forme linguistiche, in particolare avverbi e pronomi, che per essere interpretate hanno bisogno di un riferimento ad alcune componenti della situazione in cui sono prodotte. I deittici coinvolgono due realtà diverse: una realtà linguistica, interna alle frasi, e una extralinguistica, esterna alle frasi. Gli esempi reperibili nel testo non sono moltissimi ma sono ben rappresentativi di questo meccanismo. Per quanto riguarda la deissi avverbiale, troviamo avverbi come "en ce moment" (C&T, 145) o "aujourd'hui" (C&T, 183) che ci ricollegano inesorabilmente al presente storico del lettore, al suo hic et nunc. Per quanto riguarda la deissi pronominale, troviamo un esempio interessante che coinvolge totalmente il contesto esterno: il narratore condivide col lettore la concezione del processo creativo di Houellebecq-personaggio e per farlo lo chiama in causa direttamente attraverso il pronome "on":

On peut toujours [...] prendre des notes, essayer d'aligner des phrases; mais pour se lancer dans l'écriture d'un roman il faut attendre que tout cela devienne compact, irréfutable, il faut attendre l'apparition d'un authentique noyau de nécessité. On ne décide jamais soi-même de l'écriture d'un livre

(C&T, 245).

Il narratore si permette però di andare oltre, interpellando il lettore anche in maniera diretta, quasi a volerlo consultare. Nel testo troviamo, infatti, delle domande che concorrono a rafforzare quella complicità a cui accennavo. Mentre il narratore racconta la storia familiare di Jed, ad un certo punto, parlando del nonno, ci chiede: «Qu'est-ce qui avait bien pu amener cet homme issu d'un milieu misérable à se trouver confronté aux techniques naissantes de la photographie?» (C&T, 37); o ancora, esplicitando un pensiero di Jed, ci domanda: «Était-il en train d'être gagné par un sentiment d'amitié pour Houellebecq?». Ma lo sforzo richiesto è ulteriore: il lettore non è solo chiamato ad interpretare la forma del testo legandola al contesto, ma ha l'esigenza di conoscere il contesto nella sua interezza per capire il testo. Il riferimento al mondo esterno non è fatto, cioè, solo di deissi. Il riferimento al mondo esterno è assoluto. Il fatto che il narratore si permetta di parlare di personaggi realmente esistenti del milieu culturale francese, che citi filosofi del passato e artisti contemporanei senza alcun preambolo, obbliga il lettore a crearsi una conoscenza precedente al testo. Il lettore che non vive in quell'enclave descritta dal narratore, a cui anche l'autore appartiene pur distaccandosene, avrà difficoltà a capire gran parte del testo.

Quindi, per tornare all'empatia, come il narratore manca di empatia verso i personaggi del testo, così è manchevole anche nei confronti del lettore nel momento in cui lo getta in un testo che per essere capito ha bisogno di un palinsesto culturale che non è ovvio avere; ma, una volta superato l'ostacolo iniziale, quel senso di disagio derivante dalla non comprensione del contesto di riferimento, tra narratore e lettore inizia un dialogo che costituisce l'essenza stessa del processo empatico: non si tratta più di andare verso l'altro, ma di trascinare l'altro nel proprio mondo, di essere con l'altro.