• Non ci sono risultati.

Francesco Cecchi nacque probabilmente alla fine degli anni Cinquanta del Settecento visto che nel 1773 venne annoverato fra gli allievi dell'Accademia Lucchese di Belle Arti249. A Lucca iniziò la sua

preparazione artistica, acquisendo i principi del disegno e della composizione. È probabile che la sua prima formazione avvenisse presso la scuola fondata dal Luchi, una scuola in cui si erano già intraviste le prime avvisaglie di un'estetica neoclassica. È incerto ma plausibile un legame di parentela con Francesco Antonio Cecchi, nato nel 1717, relazione che avrebbe potuto influire sui primordi della carriera artistica del pittore più giovane. Il più anziano aveva appreso i rudimenti della pittura alla scuola di Domenico Brugieri, presso il quale avevano studiato anche Giuseppe Antonio Luchi e il Batoni, per poi spostarsi a Napoli frequentando la scuola di Francesco Solimena. Per un periodo soggiornò anche a Venezia, completando così la sua formazione. Molti nobili e aristocratici lucchesi sfruttarono il suo talento artistico per la decorazione delle loro ville, come i Mansi, i 248) Frosini 1979, pp. 262-263; Betti 2007, pp. 301-331

Conti e i Buonvisi. Proprio in Villa Buonvisi il Cecchi allestì una decorazione ricca di suggestioni mitologiche e classiche. L'indirizzo classicheggiante emergente in queste scene, va almeno in parte ricondotto alla frequentazione e al pieno coinvolgimento dell'artista nell'attività didattica svolta dall'Accademia lucchese di Belle Arti istituita nel 1738, di cui il Cecchi fu direttore ripetutamente insieme a Castellotti, Brugieri e Luchi250. Il pittore, inoltre, ricorse con insistenza

ai maestri della grande tradizione classica di matrice bolognese e romana, dai quali attinse un ricco campionario di tipi e moduli compositivi intrepretati poi in un suo linguaggio personale più morbido e compatto. Non è da escludere quindi che il Cecchi più giovane fosse in qualche modo legato a Francesco Antonio Cecchi e che questo abbia influito sul suo percorso di apprendistato. Nel 1778 Francesco Cecchi si spostò a Roma, entrando nello studio di Raphael Mengs. La notizia avrebbe fatto certamente una buona impressione sul Sardini, dimostrando la buona volontà del pittore di imparare attraverso l'esempio dei maestri più ricercati e apprezzati. Il pittore gli scrisse quindi il 20 maggio di quello stesso anno:

Al presente io sono nello studio del celebre pittore Mengs come credo che avrà inteso dall'illustrissimo abate Orsucci251.

Il Cecchi era giunto nello studio del maestro quando questi era già gravemente malato ed ebbe poche opportunità di apprendere direttamente da lui. Si formò comunque copiandone i disegni. Durante il periodo di apprendistato si impegnò nello studio dei più importanti artisti e nel disegno dal nudo. Tra i suoi modelli spicca Raffaello, come si ricava da questa nota indirizzata al marchese il 22 novembre del 1779

Fra non molto manderò costà due copie fatte da Raffaello nel Vaticano, con qualche Accademia disegnata fatta da debole studente e 250) Belli Barsali 2007, p. 327-328.

degl'infimi come son io252.

Le Stanze vaticane erano una meta obbligata dei giovani pittori che venivano a formarsi a Roma. Gli affreschi di Raffaello furono di ispirazione a tutti quegli artisti che miravano ad una pittura di orientamento classicizzante. Raffaello infatti era il punto di riferimento per gli artisti "classicisti". Lo stesso Mengs nel 1761 dipinse il Parnaso di Villa Albani, che riprendeva idealmente il Parnaso dipinto da Raffaello situato nella stanza della Segnatura. Nell'affresco di Mengs, ordinato dal Cardinale Alessandro Albani, il prelato era rappresentato come Apollo, ad indicare la sua funzione di protettore delle arti. L'affresco realizzato da Raffaello fu elaborato in modo tale che si sviluppasse intorno alla finestra e il maestro, collocando il Parnaso proprio al di sopra di essa, conquistò con naturalezza due piccole zone in primo piano. Questa scena costituisce un esempio della grande disinvoltura con la quale l'artista padroneggiò la difficoltà di dipingere in un contesto così difficile. Come sottolineato da Antal, "nella scena rappresentata c'è una simmetria libera e priva di costrizioni; Apollo, seduto sotto un albero, è posto al centro della composizione. A destra e a sinistra le figure conducono in una linea lenta e ondulata ai fianchi della montagna, per finire con le due grandi figure sedute in basso"253. Mengs, prendendo ispirazione da

questo soggetto, creò una struttura perfettamente composta e semplificata quasi priva di profondità e movimento, con citazioni tratte dalla statuaria antica e dagli affreschi di Ercolano. L'elemento dinamico è costituito da due danzatrici, motivo derivante dalle coeve scoperte archeologiche, tra cui gli affreschi rinvenuti nella cosiddetta villa di Cicerone a Pompei. L'opera del Mengs decretò la fama del pittore presso i contemporanei. L'affresco, vera esemplificazione pittorica delle teorie del Winckelmann, denunciava chiaramente i suoi intenti imitativi della statuaria classica, assumendo l'aspetto di una "sfilata di statue vestite"254. In questa complessa allegoria il Mengs

252) ASL, Sardini, 141, lettera 192, Roma 22 novembre 1779. 253) Antal 1977, p. 71.

aveva voluto tradurre in immagini le teorie del Winckelmann, facendone un manifesto in cui venivano affermate la supremazia dell'antico e dell'espressione in Raffaello. Ma al di là della conclamata superiorità di Raffaello, della maestria del Correggio nell'uso del chiaroscuro, dell'irraggiungibile colorito di Tiziano, egli non fece altro che cristallizzare in formule rigide ed astratte il processo creativo del Batoni255. Anche il Batoni era stato influenzato dall'opera di Raffaello

e come diceva Onofrio Boni la formazione del maestro lucchese era improntata proprio al “naturale, Raffaello e l'antico”256. L'erudito

aveva individuato, in queste tre componenti, le principali caratteristiche dell'arte del pittore lucchese. Appare in tutto coerente che il Cecchi alla morte di Mengs cercasse e ottenesse di entrare nello studio del celebre concittadino, proseguendo nel migliore dei modi il suo apprendistato. Diede la notizia al Sardini il 22 dicembre del 1779: Il Sig.re Batoni da qui in avanti sarà il mio celebre Maestro257.

Le prime frequentazioni del Cecchi furono quindi con i due maggiori esponenti della corrente classicista romana. Il Batoni, strettamente connesso all'ambiente aristocratico del Settecento, costituiva peraltro un legame importante per un giovane pittore da poco arrivato a Roma. Nella sua bottega avrebbe avuto l'opportunità di conoscere altri artisti, committenti e mecenati.

Come si può dedurre dalla corrispondenza tra i due, l'interesse del Sardini si diresse fin da subito verso l'acquisizione di opere d'arte, anche e forse soprattutto i disegni. Come avevamo già appurato, l'acquisto di disegni era una pratica piuttosto comune e anzi, andava ad incrementare il prestigio di una collezione. Il Cecchi si impegnò nella ricerca di tali opere, sia presso i maestri più conosciuti che negli studi di pittori più giovani in cui avesse intravisto del talento. Uno di questi, di cui purtroppo non possiamo conoscere l'identità, aveva catturato la sua attenzione e il 15 luglio 1780 scrisse al suo mecenate: 255) Sestrieri 1988, p. 63.

256) Barroero 2009, pp 185-199.

Come avendo ricercato da diversi Pittori alcuni di questi disegni, secondo come m'accennava V.E. n'ò ritrovati tra questi uno che m'a accordato di favorirmi e di più che in riguardo al prezzo non sarà in contrasto, ma questi altro non dimostrano che accademie. L'abilità di questo tale è somma e ponno i suoi disegni comparire ovunque258.

Secondo il giudizio del Cecchi questo pittore, per quanto giovane, aveva una notevole capacità di esecuzione, ma le sue opere si limitavano alle accademie, cioè disegni dal vero. Se il marchese avesse voluto acquistarne non ci sarebbero stati problemi, anzi, il fatto che il pittore non fosse ancora troppo conosciuto favoriva l'acquisto dei suoi lavori ad un prezzo ragionevole. L'obiettivo del Cecchi era, da una parte, quello di soddisfare l'interesse del suo committente scovando pittori che potessero offrire delle opere di qualità, dall'altra quello di rispettare i preventivi di spesa che questi gli aveva evidentemente comunicato. Il costo esercitava un peso notevole nell'acquisto o meno di opere. In una lettera successiva risalente al 26 luglio 1780, il Cecchi riferiva al Sardini come procedevano le operazioni di acquisto delle "accademie", cioè i disegni di ripresa dal nudo:

Sonomi portato oggi dal noto pittore onde esigere alcuna di quelle accademie di cui avrà sentito nell'ultima da me inviatali, ma le circostanze della sua professione l'anno fatto ritornare in campagna da dove ritrovarsi da qualche giorno259.

Per compiere le commissioni di compravendita il pittore si doveva recare più volte negli studi degli artisti, ma nonostante l'impegno profuso, non era detto che le trattative si risolvessero in tempi brevi o 258) ASL, Sardini, 141, lettera 193, 15 luglio 1780.

che giungessero a buon fine. Anzi, spesso il pittore prescelto per realizzare un disegno si rifiutava di accettare il compenso proposto dal Sardini. Capitava che la cifra pattuita non venisse considerata abbastanza alta. Il 12 agosto del 1780 Cecchi si trovò quindi costretto a scrivere una lettera giustificandosi del mancato acquisto:

Letta che ebbi la sua ultima mi portai il giorno medesimo a ritrovare il noto giovane narrandogli il nuovo progetto; sopra di cui risposemi chiaro che non era in caso di far niente per mancanza di tempo e di volontà, dicendo che in quanto alle accademie siccome d'inverno attualmente si fanno la sera, per studio ben volentieri l'avrebbe soddisfatto, ma in questo caso per più motivi non può farlo, primo perchè il giorno sta dipingendo e d'invenzione e in copia, ove come egli disse opera con piacere e trasporto, secondo perchè stima tempo perduto il copiar disegni d'altri, sebbene valentuomini, essendo cose più da ragazzi che da giovani ch'anno superato questi principii, dicendo di più richieder d'essi un'esatta imitazione, ed una libera franchezza, acciò in qualche maniera sembri più originale che copia, ciò che sarà molto raro di ritrovar fra giovani, che sieno da intraprendere una simile impresa; tra questi mi fu proposto un piemontese mio condiscepolo che ò veduto poche volte perchè poco frequenta lo studio del signor Pompeo, volli vedere qualche cosa del suo e in verità non ebbi il coraggio di addossarle simile incarico260. Il "noto giovane", avrebbe volentieri soddisfatto il marchese qualora avesse voluto delle accademie, poichè probabilmente ne possedeva diverse avendone realizzate molte per studio. La situazione era ben diversa per quanto riguardava le copie da disegni. Il pittore infatti non voleva copiare disegni d'altri perchè, pur essendo giovane, aveva superato quella fase in cui si facevano copie da disegni di altri "sebbene valentuomini", essendo questi degli esercizi più da "ragazzi" che altro. Oltretutto un simile impegno presentava un grosso problema. Era necessario riprodurre l'originale, copiandolo con una 260) ASL, Sardini, 141, lettera 195, 12 agosto 1780.

fedeltà assoluta. Nello stesso tempo si dovevano eliminare le caratteristiche negative di secchezza o rigidezza del tratto, che avrebbero tradito la copia e fare in modo che il disegno apparisse come fosse sgorgato, con freschezza e libertà, dall'animo del pittore. In questo modo doveva apparire un originale. Questa era una difficoltà che ben pochi potevano superare con successo. Il Cecchi non si fidava neppure di un suo compagno di studi e una volta visto "qualche cosa del suo", non volle rischiare di affidargli un lavoro evidentemente troppo oneroso. Qualora si trovasse nell'impossibilità di soddisfare le richieste, come nel caso precedente, non era raro che il pittore si sentisse in dovere di rispondere lui stesso alle esigenze del marchese, assumendo l'incombenza di copiare e di inviare a Lucca delle opere. Scriveva infatti in una lettera del 27 novembre 1780:

Avendo al presente le mani in un quadro che farò d'invenzione per mandarlo costà allor ch'io l'abbia compiuto, dal quale interrottamente mi porterò o in casa Borghese o in casa Salviati o Ghigi se per altro da questo principe potrà ottenermi la difficil licenza. Basta da alcuni di questi purchè siano degli autori i più celebri261.

La capitale forniva l'opportunità di vedere dal vero i migliori esempi di scultura classica, inoltre le collezioni private abbondavano dei più prestigiosi capolavori dell'arte e di disegni, il Cecchi non mancò di visitarne alcune cercando i soggetti più adatti da copiare. Le scelte del pittore su quali opere riprodurre o a cui ispirarsi, si diressero verso i maestri più celebrati. Il gusto del Sardini, rivolto verso il classicismo, doveva in qualche modo indirizzare il suo protetto. Infatti in una lettera del 23 marzo 1782, il Cecchi annunciò al marchese che era deciso a copiare un disegno:

Originale di Raffaello da accompagnarsi nella serie del suo già copioso gabinetto; alla fine con mio sommo contento emmi riuscito di 261) ASL, Sardini, 141, lettera 196, 27 novembre 1780.

ritrovarlo in galleria Borghese rappresentate la deposizione e il sepolcro di N.S. Non molto grande anzi proporzionato di misura e di non molta fatica. Sicchè procurerò la licenza al più presto spero di inviarlo all'eccellenza Vostra copiato, con ogni attenzione262.

L'appoggio di un nobile mecenate era vantaggioso perchè permetteva, almeno agli inizi, di poter contare su una piccola rendita. Costituiva anche un legame molto forte e stringente che obbligava il pittore a rendere sempre conto del suo operato al committente e a rispondere, per quanto possibile, alle sue richieste. Il marchese insisteva perchè il suo protetto gli mandasse un disegno di un autore celebre. La risposta del Cecchi non tardò ad arrivare. Il pittore scrisse al marchese nell'agosto del 1782:

Ora come tempo fa all'Eccellenza Vostra significai ò ritrovato in galleria Borghese un disegno acquarellato originale di Raffaello rappresentate la deposizione di N.S. Quale ò determinato di risolutamente copiarlo prima o nello stesso tempo ch'io sto facendo un quadro per vedersi dall' Eccellenza nella funzione insigne delle Tasche venture, vergognandomi grandemente di essermi, ingratamente, portato verso d'un Benignissimo Mecenate che da gran tempo generosamente soccorremi263".

Il Cecchi si divedeva tra il copiare un'opera di Raffaello e la composizione di un soggetto da inviare a Lucca. Il pittore manteneva dei rapporti stretti con la città di origine, nella lettera annunciava al mecenate che avrebbe avuto l'opportunità di vedere un suo lavoro in occasione della cerimonia delle Tasche264. Durante questo evento, che 262) ASL, Sardini, 141, lettera 199, 23 marzo 1782.

263) ASL, Sardini, 141, lettera 200, 10 agosto 1782.

264) Con il termine "Tasche", si indicava volgarmente la cerimonia per l'elezione dei magistrati della Repubblica lucchese, così chiamata dalle borse o tasche che servivano a ricevere i voti. L'evento dava luogo a spettacoli musicali composti per l'occasione, quasi sempre da poeti e musicisti lucchesi. Il cerimoniale era molto solenne. "Quando tutto era pronto si formava il corteo e andavano avanti i Trombetti i musici, Donzelli e Banditori con la veste, doppo di essi i Ssri Cancellieri, appresso la loro EE, vestite in quella forma come quando intervenivano nell'Ecc.mo Consiglio, in ultimo la Rota. Giunto il corteo alla porta del Salone, questa veniva

avveniva ogni due anni, si dava luogo a spettacoli e manifestazioni musicali. Inoltre si forniva l'opportunità agli artisti di esporre le loro opere, in modo che i committenti potessero giudicare in merito alle loro capacità. Non a caso le esposizioni si svolgevano dunque durante questa ricorrenza, una delle più sentite e grandiose della città. Fu l'Accademia di Belle Arti lucchese, quale istituto riconosciuto, ad introdurre la regola di fare esposizioni ogni due anni delle opere degli allievi. Questa iniziativa andava ad allinearsi con la condotta educativa delle maggiori istituzioni accademiche europee, oltretutto attraverso tale mezzo si raggiungeva lo scopo principale dell'istituzione in sè, ovvero l'incoraggiamento degli studenti a superare di continuo se stessi e i propri limiti, anche attraverso un sano spirito di emulazione dei risultati ottenuti da coloro che ogni volta venivano riconosciuti come i più meritevoli. Nella lettera il Cecchi scriveva che avrebbe inviato "un quadro". Il concorso indetto dall'Accademia lucchese si divideva in tre ambiti disciplinari: primo ambito, per i più esperti, opera di pittura di determinate misure con almeno tre figure; secondo ambito opera in pittura e disegno, dove per entrambi venivano fornite misure precise, terzo ambito265 per gli

esordienti, una copia in disegno di qualche opera celebre. Ma solo chi partecipava con un'opera di pittura poteva concorrere per il primo premio, evidenziando una parzialità in favore della pittura piuttosto che del disegno che non era riscontrabile in nessun altra accademia aperta e, fra il profondo ossequio degli astanti, gli Ecc.mi signori passavano al seggio innalzantesi sopra un tavolato ricoperto di tappeti, sormontato dal baldacchino adorno di ricchi damaschi. Si faceva quindi cenno di incominciare ai musici collocati in fondo al salone e dopo la prima parte il Maggiordomo andava a prendere il Dottore che doveva fare l'oratione, ossia uno dei due giovani nobili, vestiti con Rabbone di damasco nero, ai quali nei primi due giorni delle Tasche era riservato discorrere sopra il modo di governare e conservare la libertà. Si hanno notizie fin dal 1604 della cerimonia delle Tasche. Il 16 gennaio 1685 il Senato decretò che la spesa per le Tasche non dovesse eccedere la somma di scudi 500. La funzione si faceva ogni 2 anni, poi ogni tre anni, nel 1750 si tornò al termine dei due anni. Gli spettacoli cessarono con la fine della Serenissima Repubblica nel 1799, dopo tre secoli e mezzo di vita. La fine della Repubblica fece tramontare queste solennissime feste. In questi spettacoli i compositori lucchesi consideravano in sommo grado l'eroe, la massa, il virtuosismo, la celebrazione dell'eroe e della libertà, il valore della moltitudine con l'espressione corale e il virtuosismo canoro dei solisti". Bonaccorsi 1935, p. 84.

265) Francesco Cecchi aveva già partecipato come concorrente della terza classe nel 1773.

toscana266. Il livello di Francesco Cecchi doveva essere piuttosto alto

dato che, in questa occasione, aveva deciso di inviare un "quadro", un'opera di pittura quindi, al fine di vincere il primo premio. Il Cecchi rassicurava il Sardini che questo impegno non lo avrebbe distratto dal copiare il disegno di Raffaello come gli aveva promesso. Il soggetto scelto dal Cecchi era presumibilmente il famosissimo dipinto realizzato da Raffaello nel 1507, rappresentante appunto la Deposizione di Cristo e conservato nella Galleria Borghese. Non stupisce che il Cecchi scegliesse un'opera come questa, dato che Raffaello era il campione dei classicisti. La pala della Deposizione, presente nella galleria Borghese, aveva avuto una lunga elaborazione, testimoniata da una straordinaria serie di disegni e di studi. I disegni della Deposizione di Cristo sembrano evidenziare un inizio tardo del lavoro e una rapida esecuzione, negli anni 1506-1507. Molti di questi disegni furono fatti nel periodo in cui l'urbinate soggiornò a Firenze. Da quanto apprendiamo da Quatremere de Quincy, nella sua opera dedicata a Raffaello e pubblicata nel 1829, due sono i disegni presenti a Roma raffiguranti la Deposizione "di questa maravigliosa opera della Deposizione esistono due studii, pe' quali si riconosce quanta diligenza proceda Raffaello prima di recarsi alla esecuzione de'suoi lavori267. Tuttavia gran parte degli studi sono andati perduti e forse tra

questi anche il disegno che aveva colpito il Cecchi. 266) Moreschini 2006, p.117-118.

267) Ambedue questi studi cadono sul Cristo morto: uno è nelle mani del cav. Vicar, e rappresenta lo scheletro di Cristo, tanto per dare a lui il giusto movimento delle ossa, l'altro è posseduto dal cav. Camuccini e contiene tutto il disegno di esso Cristo colle figure che lo sostengono; lavoro condotto con molto amore e diligenza". Oggi alcuni dei disegni preparatori sono conservati a Londra, Oxford e Firenze. Nel 1801 con il passaggio della proprietà della Villa Borghese al principe Camillo, marito di Paolina Bonaparte, gran parte delle opere conservate nella collezione Borghese furono trasferite in Francia o vendute basti ricordare che al solo museo del Louvre furono trasportate più di 200 opere. In Inghilterra, dove si trova ora la maggior parte

Documenti correlati