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Collezionismo e mecenatismo in una corrispondenza inedita tra il marchese Giacomo Sardini e Francesco Cecchi

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di laurea magistrale in Storia dell'Arte

TESI DI LAUREA

Collezionismo e mecenatismo in una corrispondenza inedita tra il

marchese Giacomo Sardini e il pittore Francesco Cecchi

Relatore: Prof.Alberto Ambrosini

Candidata: Laura Boscaglia

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Indice

Introduzione ...4

Capitolo I ...6

I.I Giacomo Sardini, ritratto di un nobile lucchese alla fine dell'Ancien Regime...6

I.II Gli anni giovanili: istruzione e formazione...7

I.III Il viaggio a Bologna: il coronamento di una buona educazione...9

I.IV Giacomo Sardini tra politica e famiglia...12

I.V L'Eredità critica di Giacomo Sardini...34

Capitolo II...41

II.I L'evoluzione della società lucchese: da mercanti viaggiatori a proprietari terrieri...41

II.II "Dilettanti" e "intendenti" tra collezionismo e mecenatismo...49

II.III Dal locale all'universale: la formazione del pittore "originale"..54

Capitolo III...71

III.I Roma grande Accademia d' Europa...71

III.II Il disegno secondo ragione...74

III.III I maestri del disegno...77

Capitolo IV...83

IV.I Un pittore lucchese a Roma: Francesco Cecchi...83

IV.II Il primo soggiorno romano e l'apprendistato...84

IV.III Il rientro in Toscana e la committenza lucchese...110

IV. IV 1795 Il rientro nella Capitale...115

IV.V Il distacco dai mecenati lucchesi...158

Illustrazioni...164

Appendice...202

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Bibliografia Manoscritti...284 Sitografia...285

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Introduzione

Nel contesto dell'analisi del consistente carteggio intercorso fra Giacomo Sardini e Francesco Cecchi, nel periodo tra il 1788 e il 1806, una fase di grande transizione storico-politica, nell'intenzione di inquadrare il contenuto delle lettere, ho provveduto a fornire un quadro più generale della situazione lucchese e dell'attività di Giacomo Sardini. A tale proposito, ho cercato di ricomporre una biografia del marchese, basandomi sia sulle notizie dai suoi antichi biografi, Tommaso Trenta in primis (Prose e versi alla memoria del senatore Giacomo Sardini Accademico Napoleonico, Memorie intorno alla vita e alle opere del senatore Giacomo Sardini patrizio lucchese), sia sulla documentazione autografa nel fondo Sardini ( Le memorie della Famiglia Sardini, e il manoscritto dedicato alla moglie Memorie in onore della signora Teresa Sardini). Ho poi allargato il quadro offrendo il resoconto sintetico dell'evoluzione della società aristocratica lucchese del Settecento, valorizzando il rapporto strettissimo che si andò creando tra committenti e artisti, in particolar modo i pittori. Ho mostrato come tutti gli artisti compissero la loro formazione in altre città e che spesso abbiamo notizie certe delle sovvenzioni ricevute dai membri dell'aristocrazia lucchese. Il caso di Francesco Cecchi e Giacomo Sardini, quindi, si inserisce in una situazione più ampia.

Nel terzo capitolo ho fornito alcuni cenni del rapporto privilegiato, dal Seicento e per tutto il Settecento, tra i giovani artisti lucchesi e altre città capitali del gusto e dell'arte: Bologna, Venezia, ma soprattutto Roma. Nel quarto capitolo ho analizzato partitamente il contenuto delle lettere, il rapporto instaurato tra committente e artista, il ruolo che aveva avuto il Sardini nella dettatura del gusto e delle preferenze stilistiche e culturali del Cecchi. La funzione attiva che il primo aveva nel favorire la carriera del suo protetto, procacciandogli commissioni o fornendogliene di proprie, in un quadro che richiama in controluce le vicende più ampie della cultura figurativa lucchese sul finire del

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Settecento e il gioco che si veniva a creare tra il Cecchi e gli altri pittori lucchesi e i mecenati settativi. Nel contempo, ho cercato di descrivere le molteplici funzioni che Cecchi svolse per il Sardini, in particolare, come mediatore per gli acquisti del marchese, al fine di ampliare la sua collezione. Da questo quadro ho ricostuito i termini del percorso formativo del Cecchi che si volse in direzione neoclassica già dai primi anni, con la frequentazione degli studi degli artisti più importanti del periodo (Anton Raphael Mengs e Pompeo Batoni) e la costituzione di una rete significativa di relazioni come quella che creò con i pittori più influenti dell'epoca (Angelica Kaufmann, Bernardino Nocchi, Stefano Tofanelli). Da questo emerge una situazione complessa e, in particolar modo, caratterizzata dal fatto che un pittore di medio livello si trovasse ad affrontare una situazione ricca di stimoli come quella romana e il costante riferimento alla figura del Sardini.

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Capitolo I

I.I Giacomo Sardini, ritratto di un nobile lucchese alla fine

dell'Ancien Regime.

L'immagine che Giacomo Sardini ha lasciato ai posteri è quella di un uomo colto, curioso, appassionato e più che dilettante di architettura, studioso della storia dell'arte lucchese, bibliofilo, raccoglitore di memorie familiari, rappresentante ideale di quella nobiltà italiana che vedeva cadere, inesorabilmente, i propri privilegi sotto l'avanzata napoleonica, conservatore e attaccato ai suoi privilegi quanto bastava per scrivere dei dialoghi, oggi perduti, contro le idee dell'illuminismo e per reagire all'arrivo dei rivoluzionari francesi in Italia. Come ha indicato Paolo Bertoncini Sabatini, “tra i tanti protagonisti e personaggi che animavano la scena politica e sociale dell'epoca in maniera futile e aleatoria, Sardini si inserisce come una figura ingiustamente dimenticata, una sorte dovuta forse al fatto che Sardini non è inscrivibile in una precisa categoria: la sua infatti era una personalità poliedrica. Sardini seppe distinguersi in molti campi divenendo, nel volgere di pochi decenni, un punto di riferimento indiscusso nella cultura lucchese a cavallo tra Sette e Ottocento1”. Un

suo piccolo ritratto conservato all'Archivio di Stato di Lucca, (figg.2

1-2), ci presenta un uomo dagli occhi miti e schivi, con uno sguardo quasi rassegnato a dover vivere nel ricordo di un glorioso passato, discendente da una nobile famiglia patrizia presente negli annali di Lucca fin dal tredicesimo secolo3, ma impotente di fronte alla forza

distruttrice di una nuova epoca in cui il mondo imbellettato e immoto di una classe nobiliare adagiata sulle proprie sicurezze avrebbe ceduto sotto l'urto delle riforme politiche e sociali provenienti d'Oltralpe. Di 1) Bertoncini Sabatini 2007, pp 57-70.

2) ASL, Sardini 129.

3) Tommaso Trenta fa risalire la famiglia Sardini o Serdini all'antichissima casata Lombardi. Si tratta di una convinzione errata poichè la famiglia Sardini non ha nulla in comune con i Longobardi o Lambardi, signori di Montecatini della Val di Nievole, mentre provengono dalla vicina Pieve San Paolo. Archivi Gentilizi, VI , 1961 pp. 509-511.

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certo non fu un cuor di leone se durante l'occupazione francese del territorio lucchese più volte si nascose da amici o nella sua villa di campagna "in preda a sgomento assai poco virile, che gli procurava alte febbri"4. Semmai la sua rimase, come scrisse il suo biografo

nonchè amico Tommaso Trenta, una "mente pensatrice" rivolta alla "molteplice erudizione"5.

I.II Gli anni giovanili: istruzione e formazione.

Giacomo Sardini nacque il 6 maggio 1750 da Giovan Battista Domenico Sardini6 (1689-1761), ricordato tra i componenti più

importanti della famiglia in virtù delle sue qualità politiche e dei suoi interessi culturali e da Isabella di Domenico Sardini, appartenente ad un ramo collaterale del casato7 (1730-1753). L'infanzia del marchese

fu segnata dagli obblighi istituzionali del padre che, in veste di ambasciatore della Repubblica di Lucca, fu costretto a lunghi periodi di permanenza all'estero. In particolare una laboriosa ambasceria lo trattenne fuori dalla Patria nei primi anni di crescita del figlio. Il padre affidò al fratello Lodovico la custodia dei due figli, come poi il Sardini, ebbe a ricordare: “mio padre aveami lasciato assieme con la sorella in custodia di questo mio zio nel partire il 1751 per la sua legazione alla corte di Vienna, dove erasi dovuto trattenere per otto anni, ove io non lo conobbi che in età di anni nove e convissi seco interrottamente per circa due anni”8.

Conclusa la sua missione a Vienna, Domenico fece rientro a Lucca nel 1759. A questo punto venne nuovamente incaricato di portare un'ambasceria a Parma. In qualità di portavoce degli Anziani di Lucca aveva il compito di recapitare al Duca Filippo di Borbone le 4) Moneti 1956, p. 59.

5) Mahon 2005 p. 16.

6) Giovan Battista Domenico Sardini fu per più volte nominato per la carica di Anziano della Repubblica, grazie a questi incarichi divenne uno dei più rinomati diplomatici di Lucca. Per le sue ambascerie in Spagna ricevette la nomina a Grande di Castiglia per decreto reale del 21 dicembre 1737, il che comportava anche le prerogative di principe, marchese e duca.

7) Mansi 1996, p. 443 8) ASL, Sardini, 128, VII, c.3.

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condoglianze per la scomparsa della moglie, la duchessa Luisa Elisabetta. Questa fu la sua ultima missione all'estero. Morirà difatti il 3 novembre del 1761, prima di poter raggiungere la patria e i figli. Giacomo Sardini ebbe ancor minor fortuna nei rapporti con la madre che sfortunatamente morì giovanissima, a soli 23 anni, durante il soggiorno di Vienna.

Lo zio provvide dunque a crescerlo come scrive il Trenta: “Nelle lunghe assenze di Gio.Battista si prese amorevole pensiero di Giacomo e di Chiara sua maggiore sorella lo zio Lodovico affezionatissimo alla famiglia. Primaria cura di lui fu l'insinuare ne' due nipoti le massime e i doveri della religione e nel farli iniziare nei rudimenti delle lettere"9.

Il ruolo di Lodovico10, che aveva nel nipote il suo unico erede, fu

determinante per l'educazione del giovane marchese. "Lo affidò al Sacerdote Jacopo Menchini affinchè lo introducesse all'arte della dialettica, poi passò alle scuole del seminario arcivescovile fiorente di egregi maestri, dove raddoppiò l'amore per lo studio"11.

Appena compiuti sedici anni il Sardini espose allo zio Lodovico il desiderio di essere iscritto in qualche collegio, dove affinare la sua passione per gli studi scientifici. Fu scelto il Clementino di Roma, retto dai Padri Somaschi, dove il marchese proseguì i propri studi sia in campo scientifico che letterario. In questo periodo emerse la sua particolare predisposizione per le "tre arti sorelle". Queste, come scrisse il Trenta, "per ogni dove con le maravigliose opere loro presentono un magico incanto allo sguardo degli osservatori di quella augusta metropoli, incitando a poco a poco nel Sardini il suo natural genio, che lo portava ad amarle e carezzarle, lo infiammarono in guisa, che divenne in progresso di tempo chiamato intenditore di siffatto triplice ministero"12. Il periodo degli studi romani fu interrotto

nel 1769 quando il Sardini cominciò a soffrire di frequenti mal di testa 9) Trenta 1824, pp 9-11.

10) Lodovico Sardini fu investito Gonfaloniere della Repubblica dal 1765 al 1769 e fu Anziano a più riprese dal 1721 al 1768. Morì il 5 luglio 1770 senza lasciare discendenti.

11) Trenta 1824 p. 9 12) Trenta 1812 p.5.

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e di vari disturbi di origine nervosa, dovuti forse ad un'eccessiva applicazione allo studio o ad una naturale debolezza di "temperamento". Questi malori non gli consentivano di dedicarsi agli studi quanto avrebbe voluto e, su consiglio dei medici, risolse di tornare in patria.

Abbandonò Roma nel mese di giugno, forse sollecitato più che da un'afflizione reale, dalla nostalgia per la sua terra natia, la tanto amata Lucca. Si sperava che l'aria di casa potesse liberarlo dal malessere, che contrastava col suo desiderio di dedicarsi agli studi. Questo andò a poco a poco diminuendo, senza però dissiparsi del tutto. Le sue condizioni di salute non gli impedirono di compiere alcuni viaggi di istruzione, anche su consiglio del medico che gli suggerì di cambiare aria. All'età di 20 anni intraprese un viaggio per la Lombardia e lo stato Veneto di fondamentale importanza per la costruzione del suo bagaglio storico-culturale.

I.III Il viaggio a Bologna: il coronamento di una buona

educazione

La formazione di un giovane aristocratico non poteva dirsi completa senza un viaggio d'istruzione alla scoperta delle regioni e delle città d'Italia più ricche di arte e cultura.

La moda del viaggio in Italia era diffusa un po' in tutta Europa già nel Cinquecento ma è nel XVIII secolo che il fenomeno del Grand Tour acquisì i connotati di una vera e propria consuetudine didattica, rappresentando il "coronamento di una buona educazione"13.

Si tratta di un fenomeno di vastissime proporzioni che interessa austriaci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, russi e polacchi. Non stupisce che gli aristocratici stranieri trovassero in questa esperienza un'occasione irripetibile per visitare un paese che era stato la matrice delle più importanti rivoluzioni artistiche ed un variegato ed eccentrico museo di forme politiche. Per i giovani rampolli delle 13) De Seta 2001 p. 20.

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famiglie nobili italiane era ugualmente interessante poichè di questo paese, politicamente diviso in tanti stati e statarelli, rinserrati nelle loro gelose autonomie e geograficamente diversissimo, conoscevano assai poco14.

Giacomo Sardini quindi partì per il suo piccolo tour nel Nord Italia nel 1770. Si diresse a Bologna attraversando la Lombardia e il Veneto. Il viaggio gli fu utile poichè gli procurò una conoscenza maggiore sulle opere artistiche e sui vari indirizzi di gusto alternando la visione monocentrica romana che lo aveva fino a quel momento caratterizzato. Nello stesso tempo gli consentì di ampliare la rete di relazioni umane e professionali indispensabili ad ogni giovane homme de lettre. Da quella prima spedizione Sardini rientrò a Lucca con un tale bagaglio di incontri e suggestioni da convincersi a ripetere nuovamente l'esperienza nel 179415.

A Bologna ebbe occasione di conoscere molti illustri letterati ed artisti. Un episodio sembra tra gli altri particolarmente significativo:“Fin dalla mia gioventù il trasporto per le opere d'incisione mi fece condescendere alle istanze dell'onoratissimo e bravo paesista Lorenzo Moni"16, pittore di origine lucchese trasferitosi

in quella città. Grazie ad esso acquistò una raccolta di circa ventimila stampe per un prezzo di 500 zecchini, "vil" a detta dello stesso Sardini, rispetto al valore effettivo delle opere. La raccolta fu alla base della sua educazione artistica "poichè, come avverte il Chiarissimo Abate Lanzi, chi diviene gran conoscitore di stampe può dirsi che abbia fatto la metà del cammino per conoscer ancor le pitture. Quindi amò di raccogliere quanto più gli riuscì di rintracciare originali disegni (formando) una collezione molto pregevole, di cui parla il prelodato Lanzi nella sua Storia pittorica dell'Italia"17.

Le stampe erano state esaminate dallo stesso Moni, che provvide a valutarle. Quelle che apparvero meno importanti furono vendute procurando a Sardini un piccolo guadagno.

14) De Seta 2001, p.15.

15) Bertoncini Sabatini 2007, pp. 57-70. 16) ASL, Sardini, 128, VII, p. 35. 17) ASL, Sardini, 124, IV c. 40.

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Da questo viaggio il marchese trasse spunto per numerosi scritti, appunti, note storiche e schizzi, (in particolare lo colpirono le opere e i monumenti di epoca medievale) che poi riutilizzò per ristrutturare il suo palazzo di città. In questo edificio il nostro, con sorprendente spirito eclettico, scelse di misurarsi con una materia particolarmente infida come quella del revival, soprattutto se affrontata, come in questo caso, mediante l'esplorazione delle forme e dei moduli compositivi del Medioevo18. Alcune carte e disegni, appartenenti al

marchese Sardini e ora conservati a Milano, (figg. 319- 420), possono

fornirci l'idea di quali fossero i suoi gusti e a quali risultati portarono le sue ristrutturazioni nel palazzo di città (fig. 5).

Il palazzo era sorto sulle case-torri della potente famiglia degli Onesti. Ricostruito una prima volta tra il Trecento e il Quattrocento fu poi comprato da Dino Sardini nel Cinquecento che ne fece la dimora di questo ramo della famiglia. Il Sardini ristrutturò completamente il palazzo nel 1785, sia all'interno che all'esterno includendovi una torre medievale "fra i vari compensi adunque che gli si affacciarono alla fantasia, scelse quello di risarcire e porre in veduta una torre gotica di grossi macigni, decorandola del suo finimento di archetti con un poggiuolo[...]. Venne così ad interrompere la linea della facciata, che non è retta, e lo sporto degli archetti gli occultò l'angolo odioso del cornicione. Con che procurossi al tempo stesso un verone di delizie nel quale spicca superiormente una godibile fabbrichetta ottagonale 18) Bertoncini Sabatini 2007, pp 57-70.

19) Licia Anna Caspani, ne ha formulato la descrizione osservando che: "il disegno frammentario eseguito con inchiostro bruno, a mano libera è tracciato su carta imbrunita. Lo schizzo non è rapportabile ad alcun edificio progettato da Giacomo Sardini, anche se il tratto riconduce a una sua esecuzione. Esso rappresenta un elemento architettonico strutturale costituito da due archi: uno esterno, ribassato, impostato su una colonna con capitello stilizzato, che sorregge una copertura a falde, l'altro interno, a tutto sesto, impostato su una semicolonna più bassa addossata alla precedente. Colonna e semicolonna hanno un unico basamento.Nella parte alta del foglio sulla sinistra si trovano note di calcolo, mentre sul verso è tracciato a inchiostro bruno lo schizzo di un basamento di colonna".

20) Licia Anna Caspani ha curato la compilazione e la catalogazione dei disegni, sulla base dei quali ha formulato la seguente descrizione: "il disegno eseguito con inchiostro bruno su tracce della preliminare costruzione a grafite, con tiralinee e compasso è tracciato su carta chiara. Il disegno è un dettaglio del cornicione di Palazzo Sardini a Lucca, ripreso nello spigolo della facciata. L'intento è di rappresentare le modanature del cornicione, la distribuzione dei triglifi sottostanti e delle incorniciature che affiancano la finestra dell'ultimo piano sottotetto".

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senza che rechi disgusto all'occhio il capriccioso innesto di un pezzo di antichissima architettura tra la simmetria gotica della moderna"21. I

suoi studi, (fig. 622), portarono ad una compenetrazione tra l'elemento

della torre medievale e il resto della facciata, (figg. 7-8). L'utilizzazione degli spazi era calcolatissima, anche ove si trattasse di una maggiore copertura d'area rispetto alla casa medievale, ed era assente nella presentazione dell'edificio ogni intento scenografico23.

Oltre ad un'inclinazione verso il revival, in questo modo il marchese restituì quelle configurazioni che dovevano essere dell'insediamento primitivo, tra cui le torri24. Il marchese si impegnò personalmente

anche negli schizzi degli oggetti di arredo e delle rifiniture del palazzo, dal portone (fig. 925), alle finestre e ai cornicioni, (fig. 10).

I.IV Giacomo Sardini tra politica e famiglia

Donde avviene da più giorni, caro mio Signor Giacomo, ascolto dirmi 21) ASL, Trenta 1822, Vol. III, fasc.9, cc. 72-73. Questo è oggi palazzo Minutoli, in via Cesare Battisti angolo via S.Giorgio.

22) Secondo Lucia Anna Caspani, che ne ha curato la catalogazione: "il disegno, riprodotto in scala, conserva tracce della preliminare costruzione a grafite; è eseguito coninchiostro nero a penna, con alcune parti a grafite, principalmente a tiralinee e compasso e con alcuni tratti a mano libera; la muratura è acquerellata colore giallo paglierino con ombreggiature giallo ocra, i pilastri angolari e gli sfondati superiori sono acquerellati colore grigio chiaro, le aperture centrali sono di colore grigio scuro, il bugnato alla base dei pilastri è abbozzato con puntinatura ad acquerello grigio scuro; il supporto sul quale è tracciato è carta avorio leggermente imbrunita". www.lombardiabeniculturali.it

23) Belli Barsali 1970, p.38. 24) Mansi 1996, p.338.

25) Secondo Lucia Anna Caspani, che ne ha curato la catalogazione: "Il disegno eseguito con inchiostro bruno, su tracce della preliminare costruzione a grafite, parte con tiralinee e compasso, parte a mano libera; è tracciato su carta chiara; variante su foglio applicato. Il disegno rappresenta il portone della residenza di Giacomo Sardini in Lucca, ancora in fase di definizione, ma delineato nella composizione complessiva, raggiunta dopo una fase di studi (Milano, Collezione Sardini Martinelli inv. 9,62 e 9,64) e schizzi (Milano, Collezione Sardini Martinelli inv. 9,94r e 9,94v). In particolare sono mostrate, sullo stesso foglio, due diverse ipotesi di battenti affiancati, mentre una terza variante (che si avvicina maggiormente alla soluzione definitiva) è rappresentata su un foglio applicato, dove compare anche un cancello, forse mai realizzato, che doveva impedire l'accesso quando i battenti erano aperti. Il portale è appena abbozzato con le lesene dei fianchi e un accenno alla chiave dell'archivolto. Sopra il portone la "rosta", ossia l'inferriata a forma di ventaglio, è analoga a quella ancora esistente, con un decoro di nastri intrecciati a formare un festone. La stessa era stata studiata in altre forme, oltre che negli schizzi sopra citati, in un disegno di dettaglio conservato nella Collezione".

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alle orecchie, che voi siete sposo. E il credereste? Considerate voi se io me la rido. Cerco però di difendermi, e disbrigarmi da siffatti discorsi; manifestando al tempo stesso il vivissimo genio mio, che non disserriate più oltre la lodevole determinazione di produrre voi stesso un buon numero di figli, che somigliandovi, siano di sostegno e di decoro alla patria. La signora Teresa Talenti, di cui ragionano, e che io conosco e stimo da lungo tempo, è rivestita per vero di tante sì belle e sì rare qualità, che meriterebbe d'esser unita con voi. Quanto a me dovrei essere ben contento di questa damina.... Dee ora rendervi ingrate e inopportune queste mie lettere26.

Con queste parole l'amico e compagno di svaghi letterari Tommaso Trenta sfoderando un tono ironico e quasi spinto da una punta di gelosia, si rivolge al Sardini essendo stato informato del suo recente matrimonio.

Il marchese era infatti convolato a giuste nozze nel 1784, sposando la giovane cugina Teresa di Bartolomeo Talenti. Un disegno, eseguito dal marchese stesso, rappresenta la giovane consorte (fig. 1127), e anche

nell'Archivio di Stato di Lucca è conservato un suo ritratto (figg. 12 e 13). Che fosse preoccupato che l'impegno coniugale potesse distogliere l'amico dagli studi e dalle serate letterarie? Oppure che la villa di campagna in Santo Stefano potesse diventare luogo di diporto degli sposi e tetto coniugale dal quale gli amici restassero esclusi? L'incremento del numero delle famiglie aristocratiche era sentito come un problema a cui bisognava porre rimedio al più presto, anche a discapito dei piaceri della vita da scapolo, soprattutto per il bene della Patria. Sardini lo sapeva "perchè erano molti gli affezionati a questa patria che gradivano la conservazione delle famiglie aristocratiche, poiché un giorno la mancanza delle medesime avrebbe portato allo sconvolgimento politico tenuto fino a quel momento"28.

26) Mahon 2005, p.25.

27) La descrizione curata da Anna Lucia Caspani sottolinea che: "Disegno di presentazione; tracciato con inchiostro nero utilizzando il tiralinee per la costruzione geometrica delle aiole, a mano libera nelle parti di paesaggio; campiture di acquerello grigio; il disegno è tracciato su carta avorio".

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Secondo una stima fatta dal marchese dal 1695 ai suoi tempi si erano spente circa 89 famiglie e casate nobili. Dei cinque rami in cui era divisa la famiglia Sardini ne era rimasto soltanto uno, cioè quello del marchese. Colto dal desiderio di costruirsi una famiglia (aveva ormai trentaquattro anni e viveva da solo da più di tredici) scelse come moglie la cugina Teresa e, dopo aver risolto un problema economico del futuro suocero, la sposò il 21 marzo del 1784. Da questo matrimonio nacquero cinque figli e lo sposo non fu distolto dalle sue letture. Più volte anzi la moglie ebbe a lamentare l'eccessivo impegno che egli dedicava allo studio, rinchiudendosi per ore tra vecchi libri e antichi carteggi, piuttosto che fare vita sociale e intrattenere gli ospiti che frequentavano la villa di campagna alla Pieve di Santo Stefano. La villa, visibile in una stampa realizzata intorno al 1800 (fig. 14), fu lasciata in eredità al Sardini alla morte dello zio Lodovico nel 1770. Poichè con l'edificio aveva ereditato anche tutti i suoi problemi costruttivi, decise di dedicarsi con impegno alla sua ristrutturazione. Lo zio aveva già apportato alla villa, nel corso degli anni, varie modifiche. Questi cambiamenti però, invece che migliorarla, avevano minato la solidità della struttura. Per esempio, l'ala verso mezzogiorno fu costruita sopra un vecchio fondamento ormai in procinto di cedere e il Sardini aveva dovuto trovare il modo di assicurare meglio questa parte con una lunga fossa profonda circa 12 braccia29.

La ricostruzione della Pieve di Santo Stefano fu in parte diretta dall'architetto Carlo Bianconi30, con cui il Sardini condivideva il gusto

per l'architettura classica e la passione per le ville vicentine. La sua restò difatti l'unico esempio di stile palladiano nel panorama delle ville lucchesi del tempo, (fig. 15), e richiese molti studi preparatori (fig.16)31 e l'intervento di più architetti. "Lo Scamozzi non è per me

29) ASL, Sardini 128, VII p5.

30) Carlo Bianconi fu segretario dell'Accademia delle Belle Arti di Milano e autore di una Nuova Guida di Milano (Milano 1787), criticata dal Cicognara per i troppi sbagli.

31) Lucia Anna Caspani, curatrice della raccolta di disegni di Giacomo Sardini conservati a Milano, ha attribuito la paternità del disegno a Giacomo Sardini, sottolinenando che: "il marchese, una volta subentrato nella gestione del patrimonio di famiglia, manifestò una certa preoccupazione per le spese che le idee dello zio avrebbero comportato in un momento carico di vincoli finanziari. Dopo aver interpellato Lippi per marginali interventi, pensò di imprimere una svolta radicale

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così saporito come il Palladio32", ammetteva il Bianconi in una delle

numerose lettere inviate al marchese. Il committente condivideva con l'architetto il gusto per la purezza dell'architettura classica in confronto alle "frascherie" moderne. Il Bianconi quindi, vedendo apprezzate le sue idee si spinse un po' oltre nel progetto inserendo fasce, cornici, finestre e balaustre, un portico di colonne che avrebbe dovuto circondare tutto il perimetro del fabbricato. In un'altra lettera risalente al 15 maggio 1775, scriveva: "vorrei ogni luogo spirar la finezza ed eleganza del secolo d'Augusto e l'antica vetustà"33. Dai disegni

elaborati sia dal marchese che dal Bianconi, (figg. 17-18), si notano le influenze neoclassiche nell'allestimento dell'intera costruzione.

alla costruzione. I primi pensieri erano orientati verso un casino di caccia su due livelli, dotato di salone e stanze per gli ospiti. L'idea di Lippi si focalizza sul salone ottagono centrale circondato da quattro vani rettangolari disposti a croce di sant'Andrea in modo da permettere dall'interno visuali in ogni direzione sul paesaggio circostante; sugli accessi alla villa con portici e scaloni; sugli affacci laterali nei quali erano disposti da una parte un piccolo ambiente ottagono con nicchie e dall'altra, verso il giardino terrazzato, una risalita secondaria. Dell'edificio preesistente, rappresentato nel vecchio progetto, si sarebbero sfruttati diversi elementi: sui lati lunghi costruiti avrebbero dovuto insistere da una parte un lato dell'ottagono e dall'altra una delle due sequenze di pilastri; l'altra serie di pilastri combacia invece con i setti murari brevi dello scalone del vecchio progetto. Le linee centrali tratteggiate all'interno dell'ottagono corrispondono verosimilmente a muri dei quali si sarebbe dovuta prevedere la demolizione, muri che in parte corrispondono allo stato in pianta del fabbricato originario; la parte più consistente delle demolizioni avrebbe interessato l'area che sul vecchio progetto si trovava al di qua di una delimitazione tracciata a sanguigna, segno che il progetto stesso era stato già posto in discussione o aveva subito modifiche in corso d'opera. Il senso di lettura del disegno di Lippi privilegia appunto questo lato. La definitiva ristrutturazione non tenne conto del progetto in esame".

32) ASL, Sardini 141, 44.

33) ASL, Sardini 141, 44. Bianconi [1775]. Per una bibliografia su Carlo Bianconi, M.Margutti, I disegni secenteschi della Raccolta Bianconi per il complesso di Sant'Ambrogio tra discussioni di fabbrica e riflessioni accademiche, 2010; F.M. Pozzi, Arte neoclassica tra Modena, Bologna e Lucca : Storia di una villa scomparsa a Lucca, 2005; T.Garst, Il monumento Algarotti nel Camposanto di Pisa alla luce di nuovi documenti, 2005; N. Roio, In margine alla mostra fiorentina sulla "Giovinezza di Michelangelo" : il S. Antonio tentato dai demoni di Carlo Bianconi, 1999; C. Crovara Pescia, Villa Bianconi a Calcara : un'opera architettonica "in famiglia", 1998; C.Crovara Pescia, Carlo Bianconi, architetto - decoratore : le opere bolognesi ; gallerie, ville, palazzi, 1997; I. Balestri, Note sui tomi I, IV e VIII della Raccolta Bianconi, 1996; A. Fabretti, La decorazione a stucco in età neoclassica a Bologna, 1996; G.Morolli, Carlo Bianconi e il De Architectura di Vitruvio : una traduzione fantasma?, 1996; I.Balestri, La raccolta Bianconi : disegni per Milano dal Manierismo al Barocco, 1995; G.Perini, Un breve trattato inedito per il conoscitore di stampe compilato da Carlo Bianconi, 1995; F.Lui, L'allegoria della virtù : il programma iconografico di una galleria bolognese nelle lettere inedite di Carlo Bianconi a Giambattista Biffi (1770-1779), 1995; A.Scotti, Carlo Bianconi e l'architettura attraverso la "Nuova Guida di Milano", 1995; I. Balestri, Il V e VI tomo della Raccolta Bianconi di Milano, 1994; I. Balestri, Il III e X tomo della Raccolta Bianconi di Milano, 1994.

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L'architetto non aveva però considerato le risorse economiche del suo committente. Infatti il Sardini, trovandosi ingannato dai costi e dai preventivi, giunse a questa conclusione: "determinai, ma tardi troppo, di voler in avvenire essere l'architetto di casa mia"34. Così eliminò

l'idea della realizzazione di un cornicione simile a quello che ricorre dentro il portico del Pantheon mentre le porte che mettono negli appartamenti furono realizzate sul modello del tempietto della Sibilla Tiburtina. Realizzò lui stesso il disegno in prospettiva del giardino, di cui è conservato un disegno preparatorio a Milano. L'immagine mostra come, nella mente del marchese, avrebbe dovuto apparire il giardino, prospetto che rimase solo su carta per un problema relativo ai costi di costruzione35 (fig.19). Il marchese presentò il disegno all'architetto

Giusti, che lo giudicò "mirabilissimo", e lo incitò ad eseguirlo al più presto seguendo le sue ispirazioni. Tuttavia i costi dell'opera si rivelarono più esosi del previsto ed anche in questo caso il Sardini dovette ripiegare su di un progetto più economico. (fig.20) viene delineata la soluzione alternativa al primo progetto che era risultato troppo oneroso36. Affidò la decorazione delle stanze al pittore

34) ASL, Sardini 129 cc. 58-61; Belli Barsali 1980, pp. 635-638.

35) Il disegno, conservato a Milano nella collezione Sardini-Martinelli e corredato di una scheda tecnica redatta da Monica Resmini, rivela che il disegno "è tracciato con

inchiostro nero utilizzando il tiralinee per la costruzione geometrica delle aiole, a mano libera nelle parti di paesaggio; campiture di acquerello grigio; il disegno è tracciato su carta avorio."Noi eravano soliti di trasferirci alla Villa della Pieve a S. Stefano in unluogo elevato. Situazione dove scoprivasi il porto e la città di Livorno con un buon tratto di mare...". Questa descrizione contenuta nelle "Memorie" di M. Teresa Sardini, moglie del conte Giacomo, si ritrova esattamente riprodotta nella veduta prospettica che mostra il giardino di Pieve S. Stefano inserito nel paesaggio circostante che culmina all'orizzonte con il profilo del mare e del porto di Livorno. L'organizzazione del giardino qui raffigurata, con aiole cruciformi separate da un viale centrale arricchito da fontane, si avvicina maggiormente alla prima soluzione ideata dal Sardini, che non ha quanto effettivamente realizzato, e in parte sopravvissuto alle demolizioni del 1930, con vasche ottagonali e mistilinea. Si può di conseguenza ipotizzare che la veduta prospettica sia stata eseguita prima dell'abbandono, per motivi economici, della scelta iniziale".

36) La scheda tecnica redatta da Monica Resmini riporta: "del giardino oggi rimangono solo la scalinata di collegamento palazzo-terrazzamenti, le vasche ottagonali e mistilinea poste sull'asse di simmetria, alcune fontane con mascheroni in marmo e il paramento rustico lungo i muri perimetrali. Il complesso residenziale si affacciava sulla pianura sottostante la collina di Pieve S. Stefano, prospiciente i Monti Pisani e il litorale livornese. L'idea di base, denunciata fin dai primi disegni, era improntata sulla volontà di unificare illusionisticamente lo spazio articolato su tre piani digradanti verso la valle. Questa proposta prevede due giardini separati: quello più piccolo, a nord, articolato con grandi aiuole tagliate da una rete di vialetti ortogonali facenti capo alla centrale vasca ottagonale, al quale viene accostato un settore rettangolare destinato ad agrumeto. Quello maggiore, invece, è organizzato

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Muzzarelli bolognese, che adattò le sue pitture sul modello delle grottesche.

Dobbiamo affidarci agli scritti del Sardini per immaginare come dovesse apparire la villa, nel 1783 circa, alla conclusione dei lavori: "con un portico di quattro grandi colonne doriche le quali sostengono un frontespizio e i sopra ornati che coronano l'estremità superiore del palazzo"37. I movimenti franosi che a partire dall'Ottocento hanno

interessato la sponda collinare di Pieve Santo Stefano hanno eroso le balze sulle quali si adagiavano la villa e il giardino realizzati da Sardini. Così inesorabilmente l'intero complesso è stato inghiottito dopo appena un secolo e mezzo di vita38.

Oltre ad essere un esempio di architettura classica, la villa era luogo di svago e riflessione, nonchè di rifugio quando la situazione politica a Lucca diventava troppo pesante. Solo tra queste mura Sardini ritrovava la tranquillità necessaria per la composizione di opere letterarie. Al suo interno trovava poi incontro la piccola corte di virtuosi di cui il marchese si circondava. I frequentatori più assidui erano i fratelli Riccardo e Tommaso Trenta, Carlo Ambrogio Vecchi, bibliotecario di San Frediano, e l'abate Jacopo Chelini. Il Sardini ricorda il Chelini come un "uomo faceto, bene in giorno delle nuove del mondo, erudito delle Patrie antichità e fertile di sempre nuovi oggetti da ravvivare il brio delle conversazioni"39. Tempo permettendo

i frequentatori del salotto letterario di Villa Sardini conversavano passeggiando all'aperto osservando il bellissimo paesaggio collinare tutt'intorno su cui erano sparse, tra vigne e oliveti, "le amene ville delle famiglie patrizie"40. Dal giardino della villa si poteva scorgere,

guardando verso il basso, il lago e la Val di Nievole, in lontananza si profilava la città di San Miniato, andando verso ponente scorreva la foce di Ripafratta. Insomma, a perdita d'occhio si stendeva un secondo un andamento degradante, ed arricchito di grandi aiuole con vasche e fontane. Entrambi i giardini comunicavano con il piano della villa mediante scale e rampe contrapposte".

37) ASL, Sardini, 128, VII.p.25. 38) Bertoncini Sabatini 2007, pp 57-70. 39) ASL, Sardini, 129, c.108.

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incantevole panorama.

Se i lucchesi traevano piacere dalle escursioni in luoghi ai quali erano abituati, tanto più grande era lo stupore e l'ammirazione dei viaggiatori stranieri che, giunti in città attratti dalle bellezze storiche e naturali del luogo, vi trovavano un ambiente ricco di cultura e ospitalità. "Non potrò mai dire abbastanza bene dei miei contatti con i nobili lucchesi" annotava intorno al 1727 Gheorg Christoph Martini41,

pittore e antiquario tedesco nella sua guida di viaggio in Toscana, "essi per la maggior parte hanno studiato e sono molto istruiti, conducono la conversazione con argomenti solidi e razionali e sanno mescolarvi gradevoli motti di spirito. Si trattengono volentieri con gli stranieri e li trattano cortesemente"42. Le cortesie tra vicini, la tranquilla vita

domestica e i divertimenti piacevoli colpirono favorevolemente l'animo del viaggiatore, anche se non mancano nei suoi appunti note di stupore per alcune abitudini locali43.

Quando il tempo era inclemente il Sardini e i suoi amici avevano trovato un passatempo ingegnoso per tenersi occupati. La villa aveva difatti al pian terreno una grande sala che occupava due piani. Al livello del secondo si trovava un piccolo terrazzo, "un poggiuolo a ringhiera di ferro", come ancora si può riconoscere nel progetto grafico relativo conservato in una collezione privata milanese44

(fig.21), frutto della creatività del Sardini. Questi difatti "ebbe molto 41) Georg Christof Martini, pittore, storico e antiquario tedesco, giunse a Lucca nel 1727 e vi rimase fino alla morte nel 1745.

42) Martini 1969, p.237.

43) "Tra i cavalieri non regna la gelosia; ogni dama ha un cavaliere servente che la conduce in chiesa oppure ai trattenimenti e che, sia pure con tutto il rispetto, le fa la corte. Lo chiamano alla toscana il "cicisbeo", il marito non gli fa la faccia scura ma io ritengo che con qualcuna questi cicisbei oltrepassino in pieno la misura". Martini 1969, p.237.

44) Il disegno è corredato da una scheda tecnica curata da Arnalda Dallaj e Aurora Scotti. "Giacomo Sardini, dopo aver ricevuto disegni e suggerimenti da Bianconi per l'ornato della sala della propria villa a Pieve Santo Stefano, continuò ad apportare modifiche, soprattutto nelle specchiature. Uno dei suoi obiettivi era quello di collocare in bella mostra alcuni dipinti già in suo possesso e pertanto anche le partizioni decorative delle pareti dovevano adattarsi a questa preesistenza. Si tratta da una parte della decorazione della parete che corre tra le due finestre lungo la ringhiera, variante poi rimossa dal committente, non conservata ma documentata dai residui di ceralacca; dall'altra della modifica dell'ornato dei sopraporta, dapprima pensati in ovato verticale dallo stesso Bianconi e poi proposti in forma ottagonale orizzontale affinché "la fascia che corre sotto la mensola sia continuata" (ASLu, Sardini 141, n. 106).Sardini seguirà solo nelle linee generali il progetto di Bianconi e preparerà personalmente il disegnodefinitivo per la sala".

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da studiare per la decorazione della ringhiera e della scala perchè potesse produrre qualcosa che avesse un minimo aria di nobiltà"45.

Avendo osservato che cinquanta giri di questo corridoio sopraelevato erano equivalenti ad un miglio, ciascuno degli amici a turno compiva la sua passeggiata, seguitando a conversare con gli altri che sedevano in basso. Nel 1785 la lieta brigata, che non amava i giochi a carte, escogitò di dedicarsi alla composizione di poesie estemporanee46. Uno

a scelta si chiudeva in una stanza per determinare le rime di un'ottava o di un sonetto, mentre gli altri ne fissavano l'argomento. All'arrivo delle rime ognuno le copiava e si ritirava a scrivere e chi prima poteva leggere i suoi versi risultava vincitore47.

La vita dei coniugi Sardini continuò nella tranquillità delle faccende domestiche: la signora Teresa era occupata nel mantenere la casa, nel far lavorare i servitori e nel sostenere tutti gli incomodi che erano provocati dall'assenza del marito in occasione di viaggi diplomatici. Il marchese invece cercava di ritagliarsi sempre dei momenti liberi nella giornata per dedicarsi allo scrivere di prosa e di poesia, pur essendo sempre molto occupato negli impegni pubblici dettati dal suo status di aristocratico. Aveva esordito nella vita pubblica fin dal 1775, sostituendo nel bimestre settembre-ottobre Pompeo Micheli nella carica di Anziano, ruolo che ricoprì più volte fino al 179848

.

La cosa

pubblica lo impegnava gran parte del tempo se oltre i giorni stabiliti, dovevano essere contati gli altri nei quali erano convocati Consigli straordinari. Sembra però che l'attività pubblica non gli procurasse le stesse soddisfazioni che traeva dal dedicarsi a pratiche più semplici all'interno delle mura domestiche. Curiosamente disegnava gli abiti per sé e la sua famiglia, su suggerimento della moglie che conosceva le sue doti artistiche. "Ella con una leggiera spesa acconciava di molte 45) ASL, Sardini, 128, VII, c.10 p.18.

46) "Per dire una parola d'alcuno dei nostri argomenti conviene premettere che avevamo una sera incontrato nel passeggiar una pianta, oltre il canneto, bellissima, di quel arboscello chiamato dai latini Arbutus, che da noi vien detto Albatro e dai fiorentini Corbezzolo. Il giorno appresso chiedendogli un tema, vien suggerita e determinata appunto la lode di quell'Albatro, nel mentre che eccoci dall'altra parte un' ottava queste rime: chionne-arburo-assalonne-tamburo-eleisonne-futuro-busca-offusca..." ASLu, Sardini 129, cc. 140-141.

47) Bocconi 1939, p.166.

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cose pel suo vestiario che sembravan ricche [...]. Quando accadeva che in queste cose vi abbisognasse l'opera del disegnatore io era chiamato, e mi impegnava con tutta alacrità per renderla contenta, come per la soddifazione di far comparire lavori che avessero l'aria di nobiltà"49. Il compito del Sardini quindi era quello di disegnare o

abbozzare dei modelli, che poi con poca spesa la moglie ricamava e confezionava. Gli abiti risultavano così, oltre che belli, nuovi e originali. Ricchi al punto di essere in grado di farsi segnali di status, garantivano infatti un' "aria di nobiltà".

Per il completamento di questo idilliaco quadretto familiare mancava solo l'arrivo di un erede. Nel 1784 nacque la prima figlia, tre anni più tardi la secondogenita. Finalmente nel 1789 nacque il primogenito maschio a cui fu messo il nome di Giovan Battista Domenico. Questo avvenimento procurò grande gioia al Marchese, che poteva sperare nella continuazione della dinastia evitando che il suo patrimonio venisse disperso come stava accadendo per molte altre nobili casate del tempo. Il ceto nobiliare era ormai vicino all'estinzione fisica, per la progressiva riduzione delle famiglie di cittadinanza originaria, e questo si ripercuoteva in maniera radicale sul governo. Eppure tutto questo non doveva trasparire agli occhi degli stranieri in visita che descrivevano la città delle mura come un luogo governato con saggezza e ispirato dall'intenzione di garantire la prosperità di tutti i cittadini, benchè si trattasse di un governo oligarchico50.

Il cavaliere de Jaucourt autore della maggior parte delle voci geografiche dell'Encyclopèdie di Diderot e D'Alembert, parlava di un piccolo stato sovrano "egalment econome ed industrieux", il cui governo aristocratico, sotto la protezione dell'Imperatore, "paroit très sage et tres-bien entendu"51. Ma del dibattito sulla necessità di frenare

il depauperamento demografico dell'aristocrazia lucchese e del problema, ancor meno confessabile, dell'impoverimento di alcune casate, che non riuscivano a mantenersi con il dovuto decoro e che dipendevano per il proprio sostentamento dagli Offizi di utile riservati 49) ASL, Sardini, 128, XII, pp.34-35.

50) Migliorini 2001,p.120. 51) Migliorini 2001, p.126

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alla nobiltà, nulla trapelava al di fuori dei libri delle riformagioni segrete. Sarà ancora de La Lande a tessere le lodi del governo aristocratico, che produceva nel piccolo stato "une prosperité, une abondance, une population digne d'envie"52.

Dal punto di vista politico Lucca era retta da un Senato composto da cento nobili, nel quale risiedeva il potere legislativo. Era rinnovato ogni anno in modo che coloro che avevano appena governato fossero esclusi dalla carica per l'anno seguente. Il potere esecutivo era affidato agli Anziani alla cui testa era il Gonfaloniere, che restava in carica per due mesi. Due mesi sono pochi per fare qualcosa di importante. Ma la Repubblica preferiva rinunciare a qualche vantaggio, piuttosto che rischiare la propria libertà53. In base all'antica legge Martiniana54 solo

le famiglie di "cittadinanza originaria" potevano accedere al governo. Il Sardini nelle sue Memorie, un corpus di documenti elegantemente manoscritto (fig. 22), ricorda come, a causa della diminuzione delle famiglie aristocratiche, nel Senato si era giunti ad accettare persone che non erano assolutamente all'altezza della nobiltà e del decoro che fino ad allora si era cercato di mantenere. La situazione era giunta a un punto tale che era stata presa seriamente in considerazione l'idea di fare un senato più ristretto o di trasformalo in un'assemblea mista. Il tempo aveva fatto scorgere un vizio grande nel governo aristocratico, ed era quasi un tarlo che a poco a poco si rodeva la midolla dello Stato. I ceppi delle famiglie nobili, dette con termine modesto famiglie di cittadinanza originaria, si erano ridotti. Dovette temersi sopra ogni cosa che il governo, ristretto in mano a pochi, potesse una volta o l'altra degenerare in oligarchico55.

La diminuzione del numero delle famiglie nobili fece sì che confluissero in poche mani molte eredità. La questione era aggravata 52) De la Lande 1786, p.438.

53) Migliorini, p.125.

54) La legge Martiniana, dal nome del gonfaloniere Martino Bernardini, fu proposta nel 1556 e stabiliva che chiunque fosse nato in Lucca da padre forestiero non potesse prendere parte al governo.

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dal fatto che i matrimoni tra nobili e non nobili erano vietati e venivano impediti, per quanto possibile con mezzi leciti, perchè non potessero contaminare il prestigio dell'oligarchia al potere. Ovviamente vi erano delle eccezioni, nel caso in cui queste unioni "per ragione di grosse doti, o per speranza ben fondata di eredità considerabili" potessero essere approvate dal Consiglio56.

I membri dell'aristocrazia verranno spesso accusati di dilapidare il patrimonio in nome dell'apparenza e per far fronte a spese eccessive e superflue derivate dalle esigenze della loro sociabilità di ceto57. Inoltre

alcune casate imponevano un tenore di vita lussuoso e dispendioso, dettato dalla moda del tempo. Ben pochi si potevano permettere simili lussi, mentre spesso i nobili tentavano di mascherare l'esiguità o quanto meno la non floridezza del patrimonio. Come annotava criticamente il Sardini, la moda introduceva “un lusso che diveniva di pessimo esempio all'ambizione di tutti e molte volte dannoso allo stato”58. Il Trenta esprimeva il punto di vista dei patrizi in questo

passaggio di drammatica eloquenza:

Ed ecco, che mentre noi animati dal vero amore della Patria, mesti e dolenti rivolgiamo l'occhio a mirare la funesta, precipitosa estinzione delle famiglie nobili, ci si affaccia alla mente la grandiosa bonificazione, la quale unicamente mitiga il nostro cordoglio, e ci reca conforto, trovando in essa un efficace mezzo per allontanare la disgustosa, orribile vista del non remoto disfacimento, e la lacrimevole distruzione della Repubblica.59

La bonificazione a cui si riferisce il Trenta fu quella della foce di Viareggio, ed ebbe una storia lunga e controversa. La Burlamacca, (fig. 23), fossa principale della zona, non era più sufficiente a dare scolo alle campagne per via del "ritiramento del mare". La zona 56) Migliorini 1995, pp.261-270.

57) Mazzei 1977, pp. 45-48; Migliorini pp.18-19;Niccoli 1995, pp. 39, 64. Sulla “sociabilità” aristocratica, soprattutto di epoca settecentesca, si vedano: Bizzocchi 2008, pp. 21-103, 147-159; Addobbati, 2002, pp. 121-158, 197-219, 255-307. 58) ASL, Sardini, 128, VII c.5.

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divenne malarica o come si pensò all'epoca, piena di quel "lento veleno i cui miasmi alcalici e sulfurei delle paludi, introdottisi in larga copia colla respirazione nel sangue, portano in breve spazio di tempo al sepolcro"60. Il Senato chiamò in soccorso i più illustri "idraulici".

Questi consigliarono, oltre ai lavori di escavazione e ripulitura dei fossi, il taglio delle macchie di Viareggio. Così oltre a migliorare lo scolo delle acque, si sarebbero formati nuovi terreni coltivabili chiamati "chiuse". Fu la distribuzione delle chiuse ai Cittadini che servirono il governo ossia i patrizi la principale causa dello scontento che si creò intorno a questo progetto. Queste bonifiche non erano state intraprese solo allo scopo di prosciugare le acque: dovevano servire ad evitare la diminuzione del numero di famiglie lucchesi adatte a far parte del governo secondo i paramentri stabiliti dalla antica legge Martiniana. Le "chiuse" dovevano offrire nuove entrate a queste famiglie, permettendo loro di prosperare evitando che il governo di Lucca, da democrazia qual'era, diventasse un'oligarchia.61

La Repubblica di Lucca, non avendo il controllo su nessuna fossa che sfociasse direttamente in mare, era in balìa del pisani e dei toscani. Bastava chiudere una cateratta su una fossa che sfociasse direttamente sul mare e tutta la piana delle sei miglia, cioè la città e la campagna circostante, rischiava di tornare a far parte del lago di Sesto, chiamato anche di Bientina. Fu creata una "Deputazione straordinaria di Nove cittadini incaricata di esaminare qual migliore direzione immaginar si potesse per rendere più felici gli scoli della campagna delle sei miglia"62. Di questa deputazione fecero parte Giovanni Attilio

Arnolfini63, Tommaso Trenta e il giovane Giacomo Sardini. La

soluzione proposta se non condusse a grandi miglioramenti per la stabilizzazione economica delle famiglie aristocratiche, aumentò lo scontento popolare che ormai si palesava "senza certa circospezione e 60) ASL, Trenta 1822, Carte di Tommaso Trenta, 6. c.476.

61) Mahon 2005 p.16.

62) ASL, Trenta 1822, vol 1, c. 226.

63) Nato a Lucca nel 1733 da Paolo Rodolfo e Luisa di Paolo Santini, fu matematico fisico ed economista; scrisse e si interessò di nuove teorie economiche e sul progresso industriale. Si applicò con grande ingegno per il progetto, che prese il nome di Nuovo Ozzeri, della bonifica della piana lucchese e dello scolo delle acque. Morì a Lucca nel 1791.

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riserva". Infatti il comportamento dell'aristocrazia era diventato oggetto di continue lamentele poichè appariva evidentemente dettato dal desiderio di "tirare a se tutti i vantaggi". Dalla distribuzione delle chiuse di Viareggio, cioè delle terre bonificate a spese dello Stato che erano state assegnate con il pagamento di un modesto canone annuo alle famiglie di cittadinanza originaria, alle privative del gioco del Lotto, della Cuoieria, del Tabacco, al fatto che il Senato non si radunasse mai, soprattutto quando si trattava di ammettere nuove famiglie alla nobiltà64, tutto ciò andava a sommarsi alla precaria

situazione politica esterna. Si può a ben ragione capire quanta fosse la felicità del Sardini quando, nel 1793, nacque il secondogenito Bartolomeo. La gravidanza era del tutto inaspettata a causa delle condizioni di salute molto cagionevoli della moglie. Con la nascita del secondogenito si andava assicurando la prosecuzione della sua progenie, tanto più che questo figlio appariva sano e di robusta costituzione.

Ora il Sardini aveva famiglia, una moglie, quattro figli e un patrimonio giuntogli in eredità da amministrare. Questo era stato tuttavia seriamente dissestato a causa delle vicende politiche di quegli anni e del suo intuito decisamente scarso negli affari. In questo periodo il Sardini veniva spesso consultato per le questioni di ordine pubblico. Nel 1794 aveva fatto parte, insieme a Tommaso Trenta, della deputazione segreta nominata per trattare con l'imperatore Francesco II i sussidi richiesti anche a Lucca per la coalizione contro la Francia. Lucca era un feudo imperiale e come tale si era impegnata con Francesco II a contribuire con novemila scudi alle spese militari per quattro anni. Ma i cittadini lucchesi non avevano calcolato che da lì allo scadere dei quattro anni Napoleone avrebbe conquistato Milano e creato, nel 1797, la repubblica Cisalpina65.

Oltre alle preoccupazioni di ordine politico il Sardini pensava spesso a come sistemare al meglio i figli, sia assicurando loro un'adeguata istruzione, sia stabilendo futuri accordi per meglio sostenere la 64) Migliorini 2001, p.132.

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famiglia ed assicurare una successione.

Inaspettatamente il figlio primogenito si ammalò gravemente, nonostante tutte le amorevoli cure profuse dalla moglie e dalle balie. Quando sembrò riaversi, si ammalò anche il secondogenito che, dopo molte sofferenze, morì senza aver compiuto ancora un anno di età. A questa triste vicenda si aggiunse anche la morte del suocero, che colpì profondamente l'animo già turbato della moglie; infine anche il primogenito "in cui unicamente avevamo radicato la nostra speranza per la successione della famiglia"66, morì nel luglio del 1794. La

dolorosa morte di Battista e la dipartita del suocero avevano gettato sia il marchese che la moglie in uno stato di profondo malessere. I medici consigliarono ai coniugi di prendere un periodo di svago lontano da Lucca e da queste vicende angosciose. Così, dopo un'attenta organizzazione, poichè "più cose mancano sempre alle Donne che intraprendono di allontanarsi dal proprio paese e niuna partirebbe senza molti giorni di preparativi"67 i Sardini, al "dì 16 di

giugno" del 1794, intrapresero un viaggio per le città di Firenze, Bologna, Modena e Parma.

Nel ricco insieme dei manoscritti Sardini è presente un piccolo taccuino di sedici carte che racconta minuziosamente le varie tappe di questo viaggio. Ormai il Marchese aveva raggiunto un'età matura ed aveva un bagaglio di conoscenze tali da fargli scegliere a colpo sicuro solo quei palazzi e quelle opere che già conosceva e apprezzava. Inoltre, grazie alle amicizie con i più illustri eruditi del tempo, ebbe l'opportunità di visitare collezioni e biblioteche che gli sarebbero state altrimenti precluse. Francesco Fontani ad esempio, in quegli anni bibliotecario della Riccardiana di Firenze, gli schiuse le scansie di quella istituzione. Lo stesso accadde a Bologna, a Modena, con Pompilio Pozzetti bibliotecario dell'Estense.

Il taccuino non è costituito di sole parole. Esso include una serie di piccoli schizzi ad inchiostro, autografi del nobile luccese, di cui è sufficientemente nota la pratica grafica. Essi riproducono, come 66) ASL, Sardini, 128, VII, c. 17, p.40.

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fossero piccoli inserti o richiami figurati, i particolari di molti degli edifici visitati68. Il viaggio durò circa un mese e consentì al Sardini di

ripercorrere e verificare le impressioni e informazioni sulla pittura, l'architettura e le collezioni più importanti già annotate da altri viaggiatori nelle loro guide. Seguì in particolare i consigli del De la Lande69 non trascurando, ove ritenne necessario, di correggere i pareri

e le impressioni del viaggiatore francese. Non manca di accennare ad alcune pratiche sociali che caratterizzavano la vita mondana della nobiltà del tempo. Ci mostra così in rapida successione gli incontri nei salotti, le uscite in carrozza al passeggio, le serate nei palchi dei teatri: le forme di sociabilità, insomma, che costituivano il codice di relazione dei ceti nobiliari. Non manca neppure di sfuggita un cicisbeo che, facendo da cavaliere alla contessa Boschetti, accompagnava a spasso per la città di Modena, una donna già sposata. Nel 1794, alla vigilia dell'esportazione in Italia della rivoluzione francese, Sardini testimoniava della persistenza di uno stile di vita destinato di lì a poco a modificarsi profondamente70.

Il viaggio aveva distratto solo momentaneamente il Sardini dai suoi problemi. Ormai tutti i suoi piani per la successione erano svaniti. La moglie, caduta in uno stato di grave debolezza, sembrava non potesse portare a termine un'altra gravidanza.

In un periodo di "perpetuo disturbo delle cose politiche" a cui si aggiunsero queste tristi vicende familiari, il Sardini ebbe invece la consolazione di una nuova ed inaspettata nascita nel 1795. Il bambino, a cui fu dato il nome di Giovan Battista Lodovico Francesco, rivelò fin da subito una salute molto cagionevole e soffrì di vari disturbi ed alte febbri, ma riuscì ugualmente a sopravvivere e restò l'unico continuatore della stirpe. Intanto la situazione politica stava velocemente precipitando. Nell'estate del 1797 giungevano a Lucca notizie allarmanti: mentre ci si aspettava di vedere "assicurata stabilmente la sorte dei governi, che nelle passate vicende non 68) Bertoncini Sabatini 2007, pp. 57-70.

69) Il Voyage en Italie del 1765-1766 pubblicato da Joseph Jerome de La Lande era diventato una guida tanto famosa quanto discussa da molti viaggiatori successivi. 70) Bertoncini Sabatini 2007, p.70.

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avevano sofferto il cambiamento", si era sentito "inaspettatamente rovesciato il governo veneziano, che era durato inalterabile per molti secoli, ed è l'annichilamento di questo succeduta la più grande variazione in quello della repubblica genovese"71. I senatori si

chiedevano quali espedienti potessero servire alla salvezza dello Stato dal momento che i governi democratizzati avrebbero fatto ogni sforzo "per trascinare nella stessa sorte tutti gli altri". Soltanto l'11 agosto 1797 si decretarono le nuove ammissioni. Il magistrato dei segretari propose una soluzione accettabile per il Consiglio e cioè l'ammissione di dieci famiglie di nobili alla cittadinanza originaria e l'aggregazione di trenta famiglie alla nobiltà personale. Si tentò di creare una nobiltà "di toga", ma più probabilmente di far entrare nel Senato persone fidate, appartenenti a quindici famiglie di funzionari, cancellieri o coadiutori72.

Il magistrato incalzava i senatori: quasi un miracolo della provvidenza "nella universale perturbazione dell'Italia, nella distruzione delle aristocrazie di Venezia e di Genova", Lucca era rimasta illesa. Era il momento di correre ai ripari, sacrificando anche qualche interesse personale, per la salvaguardia della Patria. Ma ormai era troppo tardi. L'oligarchia si trovò circondata da nemici interni ed esterni e, pur avendo approvato il decreto per l'ammissione di circa trentasei famiglie, ben nove rifiutarono di "godere della pubblica munificenza". Con l'incalzare degli eventi si arrivò, il 15 gennaio del 1799, con 112 voti favorevoli e 14 contrari all'abrogazione delle leggi del 9 dicembre 1556 e il 21 gennaio 1628 e all'abolizione di tutti i titoli e prerogative della nobiltà: una giunta di 12 cittadini eletti tra gli ex nobili doveva "formare un piano di governo democratico"73.

Dopo la breve parentesi del governo democratico imposto dai francesi, che emanò una serie di provvedimenti fortemente innovativi soprattutto in materia di fedecommessi e legislazione criminale74,

71) Migliorini 2001, p.134. 72) Migliorini 2001, p.136 73) Caimiani, 1983, p.37.

74) Il governo democratico durò circa dal 4 febbraio al 18 luglio 1799 quando, per le vittorie riportate dall'esercito austro-russo, i francesi dovettero abbandonare Lucca occupata da una guarnigione imperiale. Il generale francese De Launay rientrò in

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l'aristocrazia lucchese tornò al governo il 18 luglio 1799 con l'aiuto delle truppe austro-russe. Anche il marchese Sardini fu chiamato a far parte del nuovo governo instaurato dall'Austria, ricoprendo la carica di senatore dal 17 al 27 agosto 1799 e dal 29 giugno al 9 luglio 1800. Il suo intervento nella questione pubblica non si limitò ai suoi doveri di senatore. Come aristocratico si sentì in obbligo di difendere l'operato della nobiltà e pubblicò un pamphlet anonimo, uscito nel 1799, dal titolo Dell'Aristocrazia lucchese, Opuscoli III. In questo testo rivendicava i meriti della nobiltà che aveva saputo guadagnarsi l'ammirazione ed il plauso di quegli stranieri che avevano descritto le istituzioni e la società della Repubblica75.

"Io dico allora- proseguiva l'anonimo sostenitore dell'aristocrazia- che non per casuale combinazione avvenisse che qui si scorgeva tanta tranquillità nelle famiglie, tanta fede nella mercatura, tanta quiete in tutta la nostra società di ammirazione agli stranieri, ma che queste cose derivassero più tosto dalla pietà magnanima del Governo"76.

Dopo aver ricordato, nel primo saggio, la buona opinione della quale l'ordine aristocratico aveva sempre goduto presso le maggiori corti straniere77, erano citati i personaggi illustri che avevano esaltato le

qualità di Lucca, tra cui De La Lande. Nei suoi testi erano lodate la schiettezza dei costumi e la semplicità dei nobili, qualità che avevano salvaguardato "la reciproca unione, ed il principio del nostro placido governo". Erano riportate anche gli apprezzamenti del geografo Bruzen de la Martinière e l'elogio dell'enciclopedista cavalier de Jaucourt78.

Il nuovo governo emise subito alcuni provvedimenti affinché si potesse punire e scordare la breve esperienza giacobina, ma qualcosa era inevitabilmente cambiato. Per rinnovare il governo e le istituzioni Lucca il 9 luglio 1800, dopo la vittoria di Marengo.

75) Il pamphlet, già segnalato da Giorgio Tori, al cui lavoro si rinvia per l'attribuzione al Sardini e l'ipotesi che fosse stato stampato a Lucca, dovette avere un certo successo; nello stesso anno infatti ebbe un'altra edizione, pressocchè identica alla prima, con un titolo leggermente diverso, L'Aristocrazia lucchese. Opuscoli III, Seconda Edizione Pisa, MDCCXCIX.

76) Sardini 1799, p.20. 77) Sardini 1799, p.18. 78) Sardini 1799, pp.14-15-31.

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sarebbe stato necessario avere un sufficiente lasso di tempo, ma il ritorno di Napoleone diede vita ad una seconda repubblica francese a partire dal 1800, assicurandole una nuova esistenza fino al 1806. Quell'anno Napoleone, in accordo con la sua politica nepotista, pose sua sorella Elisa e il suo sposo Felice Baciocchi alla reggenza di Lucca, inaugurando un nuovo principato. Sotto il governo di Felice ed Elisa Baciocchi l'intervento dell'aristocrazia non si dissipò del tutto; Sardini fu nominato

s

enatore del Principato il 27 giugno 1805 per decreto di Napoleone. Con il principato di Elisa e Felice Baciocchi Lucca, se perse i suoi privilegi di Repubblica e con essi tutte le libertà politiche, (in compenso) inaugurò un periodo di rinnovamento nell'ambito culturale e artistico. Elisa Baciocchi volle farsi immortalare circondata da poeti ed artisti, (fig. 24), quale musa ispiratrice di questo ritrovato gusto per le belle arti. Lo stile francese si impose in tutto, dalle strutture dell'amministrazione pubblica, alla moda, all'ambiente culturale e sociale. Elisa Baciocchi tentò di "francesizzare" la società lucchese, rigenerando a modo suo una delle istituzioni culturali storiche della città, l'Accademia degli Oscuri, fondata nel 1584 inattiva da anni.

Giacomo Sardini e il suo amico Tommaso Trenta facevano entrambi parte di questa istituzione dal 1769. Nel 1793 il marchese assunse la carica di reggente79. Nella sua Storia dell'Accademia degli Oscuri,

Trenta racconta che "uno dei primi oggetti delle cure sovrane fu il dare all'Accademia novello splendore assegnandole il titolo di Napoleone, rendendone con diversi statuti più utili le occupazioni e gli eccitamenti più forti".

Potrebbe sembrare curioso o quantomeno anomalo il comportamento della principessa Elisa che, riattivando l'Accademia, si rivolgeva a persone che, almeno in parte, le erano avverse. Forse sentiva il bisogno di ingraziarseli, forse non aveva molta scelta essendo i nobili "la miglior parte dei cittadini quanto alle fortune ed anche ai lumi"80.

Forse pensava che tenendoli occupati, avrebbe impedito di tramarle 79) Moneti 1956, p.139.

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contro. Da allora l'Accademia subì un notevole mutamento, cambiò di nome e di statuto e dal 1805 venne chiamata Accademia Napoleonica. Riformando l'Accademia, Elisa voleva portarla al passo coi tempi. Fu divisa in due sezioni, una di Belle Arti e l'altra di Scienze. Le adunanze non sarebbero più consistite nella lettura di sonetti e carmi composti a piacere, ma avrebbero seguito un corso specifico, scandito da concorsi a premi.

Il Sardini, assieme con altri ventiquattro membri ordinari, faceva parte della classe di Belle Arti e Lettere. Questa aveva "per oggetto l'esame critico delle opere importanti di letteratura, le Antichità, i monumenti, l'Istoria, le scienze morali e politiche, la Poesia, la Scultura, la Pittura, l'Incisione e la Musica". Per rendere meno provinciale l'istituzione erano previsti per ogni classe, oltre ai soci ordinari, trenta membri associati o corrispondenti che potevano essere "stranieri", vale a dire non lucchesi. Fra questi figuravano persone di primissimo spicco quali Canova, Appiani, David, Morghen e l'Abate Lanzi, ma anche figure locali come Bernardino Nocchi e Stefano Tofanelli che, lasciata Lucca, avevano raggiunto a Roma una grande fama e notorietà. A questa si aggiungevano altri studiosi minori come Sebastiano Ciampi e Giorgio Viani.

Nonostante queste riforme l'Accademia soffriva della noncuranza della maggior parte dei propri membri, che si interessavano poco sia dei premi, sia di arrichire con le loro opere la sua reputazione. Sardini e il Trenta invece si buttarono con impeto nel loro impegno letterario e, forse anche a causa della loro prolificità, gli altri membri si adagiarono sul loro lavoro81.

Sardini andò consolidando la sua fama di massimo conoscitore dell'arte scrivendo una serie di quattro memorie sull'architettura82.

Grande ammiratore del "gotico artifizio", era un precursore del gusto eclettico che prese piede nell'Ottocento. Egli passava giornate intere camminando, osservando antichi edifici, disegnando finestre e torri83,

81) Mahon 2005, p.62 82) ASL, Sardini 101, cc. I-IV. 83) ASL, Sardini 101, 7, c. 3.

Figura

Fig 4) Giacomo Sardini, Cornicione di Palazzo Sardini, Collezione Sardini- Sardini-Martinelli, Milano.
Fig 6) Michelangelo Lippi, Prospetto della Torre di Palazzo Sardini,  Collezione Sardini-Martinelli, Milano.
Fig. 9) Giacomo Sardini, Studio per il portone di Palazzo Sardini,  Collezione Sardini-Martinelli, Milano.
Fig. 12) Francesco Cecchi (?), Ritratto di Teresa Sardini, Archivio di Stato di  Lucca.
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