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Giancarlo Sestrieri si è occupato della pratica disegnativa dei protagonisti della cultura figurativa romana del (primo) Settecento. Basandosi sugli studi di Heisenger238, che avevano mostrato la

decisiva incidenza assunta nel Settecento a Roma dal disegno, sia dal punto di vista teorico che pratico, si sofferma su alcuni specifici artisti 236) Bordini 1991, p. 178.

237) Bordini 1991, pp.177-180.

per via del peso particolare che, con le loro opere, avevano assunto. In questo quadro emerse sicuramente la figura di Carlo Maratti, definito da Giancarlo Sestrieri "un estensore pratico delle teorie del Bellori e dominatore della scena artistica romana grazie proprio alla sua attività grafica"239. Nondimeno per la diffusione del disegno come pratica

artistica autonoma fu di grande importanza anche l'istituzione nel 1702 del Concorso Clementino (inizialmente annuale e poi ogni tre- quattro anni), promosso dall'Accademia di San Luca con l'obiettivo di affermare la superiorità di un indirizzo classico e della basilare funzione dell'esercizio disegnativo. Questa norma si adattava alle scuole aperte da vari pittori, provenienti da diverse città, come Trevisani, Luti, Conca, Batoni e Corvi. In queste scuole, prima dell'apertura della scuola ufficiale di nudo, avvenuta nel 1754 e gestita dall'Accademia di San Luca, ovviamente si praticava lo studio dal vero. Questo tipo di esercizio, usato come base per l'apprendimento del mestiere, venne ufficializzato ed insegnato come strumento propedeutico nelle principali Accademie. Il nome stesso "accademie" deriva dal luogo dove ora venivano impartite le lezioni di osservazione e copia di nudi maschili, senza dimenticare le esercitazioni sui grandi maestri del passato, in primis Raffaello240.

Sestrieri si focalizza proprio sul primato che le teorie classicistiche affidarono al disegno, inteso anche come norma didattica per "elevare la semplice imitazione ed evitare personali manierismi". Come sottolinea l'autore queste norme trovarono poi un ideale e concreto ausilio nella pratica, sempre più diffusa, di copiare dalla statuaria antica. Un esercizio così fatto si può considerare fondamentalmente inerente allo sviluppo del Neoclassicismo, come può testimoniare il successo di queste "copie" presso il collezionismo italiano e straniero241. Infatti nella Roma del Settecento il collezionismo di

disegni ebbe una particolare diffusione, anche con la partecipazione e l'interesse di vari artisti, da Maratti a Luti al Cavaceppi; nei quali gli interessi commerciali si univano all'istinto del conoisseur e agli intenti 239) Sestrieri 1997, p.14.

240) Sestrieri 1997, p.15. 241) Sestrieri 1997, p. 16

didattici, per se stessi e per gli allievi. Carlo Maratti fu tra i principali maestri che si occuparono della pratica del disegno e ne fecero una loro nota distintiva. L'autorità del Maratti rimase molto solida anche dopo la sua morte nel 1713. Un simile risultato fu reso possibile proprio grazie alla sua vastissima produzione grafica, il cui messaggio fu poi amplificato dai suoi allievi e collaboratori. Un disegno emblematico dell'indirizzo da lui assunto, ed imposto con duratura efficacia, è il foglio del Louvre, raffigurante Annibale Carracci che rileva la Pittura dalle tenebre del Manierismo, un disegno compiuto per farne un'incisione ed usato come frontespizio per un album di stampe da affreschi di Annibale. Sestrieri sottolinea come questo disegno possa assumere il valore di un manifesto degli ideali classicistici, da lui ripercorsi fino a Raffaello, tramite le concezioni di Annibale Carracci. Il pittore si impose così come capostipite della tradizione del disegno Romano del Settecento. Da lui poi si dipana un filo unitario che conduce al Batoni e al Mengs e che si ricongiunge al movimento di portata europea del Neoclassicismo. Non tutti gli artisti presero ad esempio l'ideale del Maratta, che quindi non va identificato tout court come l'unica via seguita dai suoi contemporanei o successori. A questo gruppo appartiene Michelangelo Ricciolini la cui attività grafica e la fervida produzione pittorica è stata indagata nel 1992 dalla Guerrieri Borsoi. Un altro artista di formazione prettamente romana ma che riuscì ad affermarsi opponendosi ad una linea accademica conservatrice fu Marco Benefial. Dagli studi effettuati in particolar modo da Kees Van Doren emerge la moderna attualità del pittore, espressa già in sede grafica, basata essenzialmente su un rinnovato confronto con la realtà. Nelle accademie neo-carraccesche la volontà anti barocca è raggiunta con sincera vitalità, mentre nei rapidi studi di scene complete raggiunge a volte risultati di inusitato verismo. La sua impostazione rigida, basata su un recupero classicistico gli consentì di esercitare, proprio con l'attività disegnativa, una notevole influenza sulle generazioni più giovani. Il suo esempio lo rese un punto di riferimento essenziale dell'evoluzione

da Maratti a Batoni a Mengs, che fu un suo allievo242.

Nei decenni centrali del Settecento non si può non sottolineare la più decisa affermazione di alcuni maestri, in particolare Batoni e Mengs, i quali acquisirono una caratura europea pari a quella del Maratti. Batoni in particolare ereditò il lascito del Maratti e si insediò autorevolemente nel filone classicistico romano assumendone il ruolo di caposcuola. Pure i due maestri non sono, secondo il Sestrieri, paragonabili. Infatti mentre il Maratti, "con le sue numerosissime opere grafiche, riflette la sua progressiva evoluzione classicistico- barocca, tanto sulle carte che sulle tele, il Batoni, che pur seppe filtrare in pittura i risultati di un'approfondita analisi spaziante dal Cinquecento ai suoi contemporanei, mantiene uno stile disegnativo decisamente più rettilineo e circoscritto, sia nei mezzi che nei modi impiegati che nei risultati perseguiti"243. Come sappiamo il Batoni

ebbe una prima precoce formazione nella bottega del padre orafo, e questo gli diede i principi base dell'attività disegnativa. In seguito fu di fondamentale importanza l'assidua frequentazione di Raffaello e della statuaria romana antica244 (nei primi anni romani Pompeo Batoni

vendeva copie, o esercitazioni su queste opere, a collezionisti e visitatori). Naturalmente anche per Batoni, come lo fu per Maratta, la preparazione grafica ai fini pittorici ebbe un'importanza prioritaria nel processo creativo, come dimostrano i numerosi studi per singole figure o particolari di esse, spesso ripetuti sullo stesso foglio. Così proprio allo stadio grafico la sua arte assunse un aspetto più pacatamente incisivo e più spiccatamente classico, rispetto alla finale resa pittorica. Un altro pittore di grande caratura fu Domenico Corvi (1721-1803) che a partire dal 1757, quando esordì quale direttore dell'Accademia del Nudo, fino al 1802 fu il maggiore protagonista di una concezione didattica del disegno. Nella sua interpretazione la 242) Sestrieri 1997, p. 22.

243) Sestrieri 1997, pp. 26-27.

244) Scriveva Pompeo Batoni in una lettera del 4 novembre 1740 "Deve una pittura buona avere similitudine al bello del vero, che vale a dire il vero purgato con le forme greche, che queste sono quelle che ci danno norme a conoscere il bello et il difettoso della natura essendo impossible il trovare la natura perfetta". Liliana Barroero, Fernando Mazzocca, Pompeo Batoni, 1708-1787, l'Europa delle corti e

dimestichezza con il disegno era intesa come una pratica indispensabile per raggiungere un alto grado di capacità artistica, secondo la linea già impostata a fine Seicento dal Maratti. Quindi egli si può considerare il principale estensore, nella seconda metà del Settecento, del tradizionale indirizzo classico-accademico romano. I suoi disegni di nudi rivelano una attenzione elevatissima alla qualità, al rigore fisico e alla perfezione delle anatomie. Il Corvi potrebbe essere definito l'ultimo vero caposcuola della pittura romana settecentesca e il particolare credito da lui riscosso proprio nell'attività grafica ne è una conferma. Tra gli artisti "stranieri" formatisi a Roma e noti nella pratica del disegno, troviamo anche i pittori lucchesi Bernardino Nocchi e Stefano Tofanelli. I due artisti si interessarono progressivamente allo studio del disegno. Bernardino Nocchi, ad esempio, proveniva dall'esperienza dell'Accademia lucchese in cui si dava una chiara preminenza al valore della pittura rispetto al disegno grafico. Difficile dire quindi con quanto impegno si fosse dedicato il Nocchi all'esercizio grafico dato che anche l'Accademia ne dava un valore relativo245.

Il Nocchi, una volta giunto a Roma nella primavera del 1769, si dedicò con un impegno costante all'esercizio del disegno e si accostò maggiormente ai modi disegnativi di Pompeo Batoni. Anche Bernardino usava studiare sullo stesso foglio la composizione dei dipinti più complessi isolando le singole figure e, in queste, gli elementi più significativi: volti, teste, braccia. Per realizzare una corretta composizione impiegava modelletti in creta, manichini, stucchi, che poi arricchiva con gli studi dal vero di mani e nudi. Nonostante tutto sembra che la pratica disegnativa non fosse per il Nocchi un valore assorbente ed esclusivo. Sembra fosse molto renitente ad eseguire disegni da opere famose a meno che non fosse proprio necessario o la richiesta provenisse da personaggi troppo illustri per rifiutare. Anzi preferiva riprodurre gli esemplari celebri attraverso la pittura piuttosto che in disegno246. La matita, la penna, la

245) Tosi 1989, p. 15. 246) Tosi 1989, pp. 16-17.

biacca, erano usate quindi negli studi preparatori per le opere di grande impegno o negli appunti e schizzi di carattere privato. Dal 1768 Stefano Tofanelli, inviato a Roma da Girolamo Orsucci, aveva deciso di sottoporsi ad un secondo apprendistato. Inizialmente indirizzatosi presso il Batoni, vista l'indifferenza del maestro nei confronti degli allievi, optò per lo studio di Niccolò Lapiccola. L'atelier del pittore calabrese divenne il luogo dove fu affinata la sua seconda formazione, attraverso una costante applicazione alla statuaria antica e alla pittura cinque-seicentesca di impronta classicista. Secondo i biografi furono la conoscenza delle opere di scultura antica a dargli quel sentimento di bello classico che unì allo studio della natura e di Raffaello. Tutti gli artisti che frequentò erano profondi conoscitori dell'antichità, a cominciare da Volpato e dall'Hamilton. Di quest'ultimo, archeologo e antiquario oltre che pittore, il Tofanelli ereditò lo studio. Il maestro lucchese divenne uno dei più importanti pittori dell'epoca, tanto che nel 1781 si sentì in grado di fondare una delle scuole di disegno che fiorivano a Roma. Lo studio era in Campitelli, al piano terreno del palazzo che aveva affittato da un lucchese, monsignor Lorenzo Bottini, e dai reseconti delle fonti possiamo immaginarlo come un ambiente pieno di gessi da statue antiche finalizzate all'insegnamento e allo studio247. Roma era la

capitale dell'antichità e della cultura antica, sede delle più importanti accademie d'arte. Chi intraprendeva la carriera di pittore doveva passare dalle sue strade per poter permettersi di definirsi tale. Gli artisti vi accorrevano da tutte le province d'Italia per affinare il loro bagaglio formativo. In un clima di grande fermento, politico, economico e sociale, Roma rimaneva un punto di riferimento per committenti, collezionisti e mecenati che desideravano essere aggiornati sulle principali correnti del gusto. Allo stesso modo i pittori iniziarono a formarsi attraverso un percorso didattico ben definito, in cui l'importanza del disegno era preminente così come la copia dal vero e lo studio approfondito delle statue dell'antichità.

Capitolo IV

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