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Il problema della nozione di terrorismo vincolante

1.5. La fattispecie del 270 bis c.p

1.5.1.1. Il problema della nozione di terrorismo vincolante

2001 e l’introduzione dell’art. 270 sexies ‘Condotte

con finalità di terrorismo’.

Quel che manca nella riforma del 2001 è una definizione di ‘terrorismo’, mentre invece, stante la portata della riforma, non poteva prospettarsi per il legislatore occasione migliore:

53 infatti la l. 431 finalmente inseriva nel testo quel che già dal 1979 compariva in rubrica, facendo dell’art. 270 bis titolo di incriminazione tanto per i fatti associativi di eversione quanto per quelli di terrorismo, interno ed internazionale. Nel 2001 sono trascorsi più di vent’anni da quando la finalità terroristica ha fatto la sua prima comparsa nell’impianto del codice: la primissima fattispecie è stata quella dell’art. 289 bis ‘Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di

eversione’ introdotta ad opera della l. 191/1978 di

conversione del d.l. 59/1978. Successivamente la l. 15/1980 di conversione del d.l. 625/1979 ha introdotto l’art. 270 bis. Come si vedrà più approfonditamente affrontando, nel paragrafo che segue, la questione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie, dottrina51 e giurisprudenza52 prevalenti

erano concordi nel ritenere che vi fosse una sostanziale distinzione tra la finalità terroristica e quella eversiva e che la fattispecie delittuosa di nuovo conio fosse precipuamente pensata per ‘colpire con un titolo di incriminazione specifico il

perseguimento della finalità eversiva attraverso uno strumento particolarmente idoneo allo scopo, e cioè l’associazione’53. Vediamo più nel dettaglio le posizioni di dottrina e

giurisprudenza in merito al significato da attribuire all’uno e all’altro elemento.

La Cassazione 54 affermava già allora che finalità di

terrorismo e finalità di eversione dell’ordinamento

costituzionale fossero concettualmente distinte e offriva la seguente definizione dell’una e dell’altra: costituisce finalità di terrorismo quella di incutere timore nella collettività con azioni indiscriminate, mentre la finalità di eversione consiste

51

Cfr. tra gli altri G. De Francesco, Commento all’art. 3 all’art. 3, l. 6 febbraio 1980, n. 15, cit..; M. Mazzanti, La l. 6 febbraio 1980, n. 15, contro il terrorismo, cit. 52

Cass. Pen. 30 ottobre 1986, in Cass. Pen., 1988, 624; Cass. Pen. 11 luglio 1987, in Cass. Pen. 1989, 41 ss.

53

G. De Francesco, Commento all’art. 3, l. 6 febbraio 1980, n. 15, cit.

54

54 nel fine più ristretto di sovvertire l’ordinamento

costituzionale e di travolgere l’assetto pluralistico e democratico dello Stato.

Rispetto al concetto di eversione non erano sorti particolari problemi in dottrina: secondo l’opinione più accreditata il termine ‘eversione’ non differisce tanto da quello di ‘sovversione’ usata dall’art. 270 c.p., essendo difficile ipotizzare un fine eversivo che non sia anche sovversivo55.

Posta la equiparazione tra la nozione di eversione dell’ordinamento democratico e quella di eversione dell’ordinamento costituzionale ad opera della legge di interpretazione autentica del 29 maggio 1982, n. 304, l’eversione è stata interpretata come ‘lo sconvolgimento

dell’assetto costituzionale’56.

Più articolato si presentava il dibattito in dottrina riguardo il concetto di ‘terrorismo’ ed ‘attività terroristica’.

L’orientamento prevalente57 si poneva sulla stessa linea di

pensiero della giurisprudenza di legittimità: il fine di terrorismo non è coessenziale a quello di eversione dal momento che può aversi spargimento del terrore senza avere un obiettivo eversivo e, parimenti, si può perseguire una finalità eversiva senza spargimento del terrore. Invece secondo l’orientamento minoritario, terrorismo ed eversione sono concetti coincidenti, tali da formare

un’endiadi58 rappresentando ‘l'atto terroristico (...) null'altro

che una forma violenta dell'eversione, ponendosi quindi in funzione strumentale rispetto all'obiettivo della

trasformazione, per vie illegali, dell'ordinamento

55

Fiandaca- Musco, Diritto Penale parte speciale, 1977, 44 ss.

56

G. De Francesco, Commento all’art. 3, l. 6 febbraio 1980, n. 15, cit.

57

G. De Francesco, v. supra; F.C. Palazzo, La recente legislazione penale, Padova, 1985, 48; E. Rubiola, Sull’aggravante della finalità di terrorismo o di eversione, in Giur. It., 1981, II, 241 ss.;

58

G. Palombarini, in Commentario breve al codice penale a cura di Crespi-Stella- Zuccalà, Padova, 1992, sub art. 270 bis c.p., 638;

55 costituzionale’59. In sostanza si sosteneva che quando lo

scopo eversivo sia perseguito mediante reati che implicano l'uso della violenza siano normalmente ravvisabili anche gli estremi della finalità terroristica.

Anche a seguito della modifica ad opera della l. 438/2001 l’orientamento prevalente ha continuato ad essere quello ‘autonomista’ tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. La Cassazione 60 ha mantenuto ferma la distinzione tra

finalità di eversione e finalità di terrorismo, adesso anche internazionale, ed ha precisato che il novellato art. 270 bis non è titolo adatto per l’incriminazione delle associazioni con finalità di eversione di uno Stato estero e ciò intanto perché è il tenore della norma che lo esclude: il 3° comma estende la punibilità delle associazioni con finalità di terrorismo anche al di fuori dell’ordinamento italiano, rimanendo la punibilità dell’associazione eversiva chiusa entro i confini nazionali. Ed in secondo luogo perché è la ratio

legis a suggerirlo: è stata specifica intenzione del legislatore

evitare di offrire una tutela ‘in bianco’ a tutti gli ordinamenti politici esistenti, compresi quelli a natura dittatoriale e/o notoriamente irrispettosi dei diritti fondamentali

dell’uomo61.

Tuttavia non ha mancato di diffondersi nella giurisprudenza, soprattutto di merito, l’opinione secondo cui il compimento di atti violenti finalizzati all’eversione, per quanto indirizzato verso uno Stato straniero, finirebbe per risolversi in una lesione in via mediata dell’ordinamento costituzionale italiano, quale delineato dai principî fondamentali indicati dalla Costituzione. L’orientamento in parola faceva leva sulla

59

A. A. Dalia, I sequestri di persona a scopo di estorsione, terrorismo ed eversione, Milano, 1980, 22.

60

Cass. Pen. 1° luglio 2003, in Foro it., 2004, II, c. 217, con ivi nota redazionale di Leineri.

61

V. Masarone, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale, Napoli, 2013, 209 ss.

56 proiezione internazionale della personalità dello Stato per affermare l’idoneità lesiva anche di tali fatti, nonostante la portata ‘restrittiva’ del novellato art. 270 bis.62 Si tratta di un

orientamento già diffuso prima della novella ed è probabile che lo stesso legislatore ne abbia fatto tesoro al momento di estendere la rilevanza penale ai fatti di terrorismo anche internazionale. Quanto alla accettabilità di una simile impostazione rispetto fatti di eversione la tesi è stata respinta facendo leva su una rigorosissima interpretazione dell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivo. La norma incriminatrice, strutturata secondo il paradigma del dolo specifico, sanziona l’associazione che si ponga in modo diretto il fine dell’eversione dell’ordinamento costituzionale italiano e dunque, se detta finalità soggettiva manca, manca l’associazione eversiva de qua e si tratterà di altra

associazione criminale. E non può applicarsi a strutture associative che, proponendosi finalità diverse rispetto a quella di destabilizzare quest’ultimo, pervengano soltanto in via indiretta a determinare un pregiudizio per l’ordinamento del nostro Stato63. Ricorda poi la Cassazione 64 che la ragione

dell’esclusione delle fattispecie associative finalizzate all’eversione di ordinamenti esteri, oltre che nei già richiamati motivi di opportunità politica e cautela internazionale, deve essere rintracciata anche nella

maggiore facilità di individuazione di un’azione terroristica ‘il

cui intrinseco disvalore è indipendente dalla valutazione dell’obiettivo finale della condotta’.

Quanto alle posizioni della dottrina neppure questa,

62

Sul contrasto tra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità v. L. Bauccio, L’accertamento del fatto reato di terrorismo internazionale. Aspetti teorici e pratici, 2005, passim .

63

Cass. Pen. 1° marzo 1996, Ferdjani e altri, in Foro It., 1996, II, 578; v. anche Cass. 21 novembre 2001, Pelissero, in Foro It., 2004, II, 28.

64

Cass. Pen. 1° luglio 2003, ric. Nerozzi e altri, in Foro It., 2004, 217 con ivi nota redazionale di G. Leineri.

57 all’indomani della novella, ha modificato il proprio

orientamento: anzi, c’è stato chi ha sostenuto che il novellato art. 270 bis abbia risolto la questione in senso

autonomista; infatti, la disgiunta previsione delle finalità di

terrorismo e di eversione dell'ordine democratico sottintende un autonomo riconoscimento di rilevanza penale della prima anche in assenza della seconda

disegnando un ambito di applicazione bivalente, sia interno che internazionale, per la finalità dell'associazione

terroristica, permanendo per quella eversiva una punibilità circoscritta alla sola finalizzazione nazionale65.

Ciononostante, la nuova formulazione non è in grado di dissipare in toto le perplessità interpretative della situazione

quo ante: ci si chiede, infatti, se detta riforma rappresenti una

esplicita formalizzazione di ciò che era già immanente al sistema o, al contrario, una specificazione innovativa

rispetto alla impostazione che considerava il fine terroristico implicito in quello eversivo.

Ecco che, quando sembrava si fosse raggiunto un equilibrio su ciò che dovesse considerarsi ‘terrorismo’ e ciò che dovesse considerarsi ‘eversione’, un nuovo intervento del legislatore ha cambiato le carte in tavola.

Nel luglio 2005, all’indomani dei gravi attentati di Londra e Madrid, il Governo italiano elaborò il d.l. 144/2005 “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”, anche noto come ‘Pacchetto Pisanu’, dal nome dell’allora Ministro degli Interni che ne era formalmente il promotore. Eppure in quella sede rinunciò di proposito a formulare una definizione di terrorismo, ‘essendosi trovato in una certa

difficoltà, stretto tra la definizione di cui alla decisione quadro del Consiglio europeo e quella delle Nazioni Unite, e ritenendo,

65

C. Cupelli, Il nuovo art. 270 bis c.p.: emergenze di tutela e deficit di determinatezza?, in Cass. pen., 2002, 897 ss.

58

inoltre, data la delicatezza e la complessità della materia, che fosse meglio rinviare la soluzione alla valutazione del

Parlamento’66.

La situazione intorno non era di grande supporto: la giurisprudenza era ‘disarmata’ di fronte ad un fenomeno criminale nuovo e diverso sia da quello terroristico degli ‘‘Anni di Piombo’’ sia da quello di stampo mafioso; la

comunità internazionale sembrava essere in un momento di stallo, come dimostra il fatto che il progetto di una

‘Convenzione globale’ contro il terrorismo in seno all’Onu, iniziato nel 2000, si era sostanzialmente arenato proprio per l’incapacità di pervenire ad una definizione di terrorismo in grado di accontentare tutti.

Nonostante questo quadro disordinato, in sede di

conversione del ricordato d.l. 144, con l. 31 luglio 2005 n. 155 il Parlamento modificò il testo elaborato dal Governo introducendo, all’art. 15 del decreto legge, l’art. 270 sexies con il preciso intento di colmare una tra le più vistose lacune dell’art. 270 bis : fornire un’interpretazione autentica delle condotte qualificabili come ‘terroristiche’ così risolvendo l’annosa questione che interessa tutte le fattispecie, e la aggravante di cui all’art. 1 della l. 15/1980, che menzionano la finalità di terrorismo.

Fatta eccezione che per un ristretto numero di parlamentari, maggioranza ed opposizione concordavano sull’opportunità di adottare una definizione di terrorismo, ma diverse erano le proposte formulate: i partiti di opposizione sostenevano la necessità di mutuare la definizione dall’art. 1 della Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2002/475/GAI sulla lotta contro il terrorismo, i partiti di maggioranza, pure con l’esplicita intenzione di dare attuazione alla suddetta

66

Dal discorso del Ministro Pisanu nel corso del suo intervento alla Camera dei Deputati il 30 luglio 2005.

59 decisione quadro, proposero e approvarono una definizione che si ispira fortemente a quella comunitaria, ma che di fatto ne differisce. Il testo approvato rinuncia a una tipizzazione analitica delle condotte terroristiche, per non rischiare di

‘lasciar fuori alcuni fenomeni’.

E’ necessario, per comprendere le problematicità dell’art. 270 sexies, fare una breve digressione sulla decisione quadro in parola, lasciando l’ampia trattazione delle fonti

comunitarie ed internazionali ad altra sede del presente lavoro67.

La decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea sulla lotta contro il terrorismo è stata adottata il 13 giugno 2002 nel quadro delle attività di cooperazione di polizia e

giudiziaria in materia penale, ovvero nell’ambito del cd. Terzo Pilastro. La decisione contiene una definizione generale di terrorismo in tempo di pace ed impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie perché siano considerati reati di terrorismo una serie di fatti che ‘per la

loro natura o contesto possono arrecare grave danno a un Paese o a un'organizzazione nazionale, quando siano commessi al fine di intimidire gravemente la popolazione, costringere

indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione

internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un’organizzazione internazionale’.

Segue un elenco all’art. 1 par. 1 lettere da a) ad h), di atti intenzionali da considerarsi ‘terroristici’: attentati alla vita e all'integrità fisica, sequestri di persona, danneggiamenti di vasta portata di strutture governative, di sistemi di

trasporto, di infrastrutture, di sistemi informatici, dirottamenti aerei e navali, fabbricazione, detenzione e

67

60 acquisto di armi convenzionali, atomiche, chimiche,

biologiche.

Si tratta, per la verità, di fatti già tipici alla stregua del diritto penale degli Stati membri tipizzati in quest’elenco come ‘terroristici’ non tanto in ragione degli obiettivi cui mira il compimento di ciascun atto di reato, ma perché a tali modalità di azione fanno frequente ricorso i terroristi68. La

qualificazione terroristica è data dall’intenzione perseguita dall’attentatore il quale deve tendere ad uno dei tre obiettivi alternativamente richiamati dalla norma, eventi la cui effettiva verificazione non è peraltro richiesta, in omaggio alla tecnica di anticipazione della tutela caratteristica del dolo specifico. In più è richiesto che tali atti, finalisticamente orientati, presentino un coefficiente di pericolosità in quanto potenzialmente in grado, per la natura o il contesto, di

arrecare grave danno a un paese o ad un’organizzazione internazionale.

La decisione quadro presenta differenze significative con la Convenzione di New York (cd. Convenzione financing) del 1999, ratificata e resa esecutiva in Italia con la l. 14 gennaio 2003, n. 7. Si tratta della prima convenzione mondiale di diritto internazionale penale che contiene una definizione, ancorché indiretta, del terrorismo nella sua globalità la cui funzione interpretativo-integratrice è oramai generalmente riconosciuta. Nella Convenzione la definizione di atto terroristico è data per mezzo del rinvio ad una serie di precedenti convenzione e per mezzo della clausola di chiusura di cui all’art. 2, lett. b): costituisce atto terroristico ‘qualsiasi altro atto destinato a cagionare la morte o lesioni

personali gravi ad un civile o a qualsiasi altra persona che non partecipi attivamente alle ostilità nel corso di un conflitto

68

S. Reitano, Riflessioni in margine alle nuove fattispecie antiterrorismo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2007, 217 ss.

61

armato, quando lo scopo di tale atto, per sua natura o per il contesto, sia quello di intimorire la popolazione o costringere un governo o un'organizzazione internazionale a compiere o ad omettere un atto’.

Confrontando i due testi emergono elementi di differenza tali da escludere che la definizione della decisione quadro possa avere portata generale: quest’ultima infatti non utilizza i criteri interpretativi del conflitto armato e della natura delle vittime, i quali, al contrario, come dimostra l’esperienza del diritto internazionale umanitario (di cui si dirà approfonditamente più avanti) sono parametri

essenziali per tracciare un discrimen tra gli atti realizzati nel contesto di un conflitto armato dai legittimi combattenti e gli atti di terrorismo.

Al di là della portata della norma definitoria, per l’interprete si pone un altro problema, quello dell’efficacia. Mentre l’efficacia delle norme di diritto internazionale pattizio passa per il tramite della relativa legge di ratifica, per quel che riguarda le decisioni quadro dell’UE le cose stanno

diversamente. Esse, non avendo natura di trattato ed al pari delle direttive, non hanno efficacia diretta eppure vincolano gli Stati membri al raggiungimento degli obiettivi, ferma restando la competenza delle autorità nazionali degli stessi a decidere su mezzi e modalità69.

Con la approvazione dell’art. 270 sexies l’Italia ha ‘inglobato’ nel codice la definizione della decisione quadro, con la conseguenza che, in termini formali, i principi in essa stabiliti diventano principi dell’ordinamento penale italiano.

La definizione approvata dal Parlamento riproduce solo la prima parte dell’art. 1 della decisione quadro, tralasciando l’elenco. L’articolo in parola recita:

‘Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per

69

62

la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o da altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia’.

La formula del 270 sexies è pressocché identica a quella della prima parte della decisione quadro se non fosse per l’inciso finale ‘nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse

con finalità di terrorismo da convenzioni o da altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia’.

Essa descrive le condotte con finalità di terrorismo tramite un elemento oggettivo , ovvero la potenzialità ad arrecare un grave danno, e tramite un elemento soggettivo

consistente nel triplice dolo specifico alternativo (intimidire

la popolazione, o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare o distruggere le strutture politiche

fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale), ma non offre una

tipizzazione delle condotte per il timore che questo potesse rivelarsi preclusivo. Né, diversamente dalle fattispecie ‘storiche’ di terrorismo del nostro ordinamento, fa menzione di ‘atti di violenza’.

L’art 270 sexies presenta diversi aspetti di problematicità sia con riferimento al rispetto del principio di tassatività e determinatezza sia con riferimento al principio di offensività.

63 duplice rinvio: statico, alle Convenzioni già ratificate,

dinamico, alle norme di futura creazione realizzando un meccanismo di automatico adeguamento alla produzione normativa futura.

Tuttavia tale clausola risulta in parte sovrabbondante e pleonastica perché, richiamando le convenzioni

internazionali ratificate e rese esecutive in Italia, fa

riferimento a norme che sono già inserite nell'ordinamento. In più, il rinvio alle convenzioni o alle altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia pone delle perplessità in relazione a due aspetti: il principio di riserva di legge e quello di tassatività.

Il principio della riserva di legge nel diritto penale non sembra che possa legittimare una integrazione da parte del diritto internazionale o delle convenzioni internazionali senza un preliminare intervento del legislatore italiano che valga a modificare/introdurre la norma incriminatrice interna. La considerazione, sicuramente valida per il diritto internazionale consuetudinario, il cui ‘ingresso’

nell’ordinamento non è mediato da alcun intervento, è estensibile anche a quello pattizio posto che la legge di ratifica solitamente consta di un solo articolo unicamente atto a recepire e ratificare il trattato.

Alla luce di ciò è evidente che il richiamo al diritto internazionale fatto dall’art. 270 sexies rimane privo di contenuto70.

Altro aspetto di perplessità è dato dalla vaghezza

dell’espressione ‘le condotte che, per loro natura o contesto,

possono arrecare grave danno ad un paese o ad una organizzazione internazionale’.

Questa medesima formula nel testo della decisione quadro si pone in un rapporto di reciproca funzionalità con l’elenco

70

64 dei fatti base: detti fatti, da qualificarsi come terroristici quando commessi per gli scopi specificati all’art. 1 della decisione quadro, sono innanzitutto fatti che, direttamente o indirettamente, ledono o mettono in grave pericolo la vita, l’integrità fisica o la libertà delle persone71.

La mancanza di un analogo elenco di fatti base nella formulazione del 270 sexies obbliga l’interprete ad un maggiore sforzo dal momento che il requisito della potenzialità dell’atto preso da solo definisce ben poco. La via suggerita dalla Suprema Corte, in occasione della sentenza 11 ottobre 2006, Bouyahia è quella dell’ ‘interpretazione della norma italiana alla luce delle fonti

sovranazionali vincolanti per l’Italia’. Ciò implica che l’art. 270 sexies debba essere interpretato in maniera conforme alla

definizione della decisione quadro 2002/475/GAI – obbligo già messo bene in luce dalla nota decisione della Corte di Giustizia delle Comunità europee, 16 giugno 2005 n. 105, Pupino – e alla definizione di terrorismo contenuta nella Convenzione Onu del 1999. La Corte di Cassazione si è poi pronunciata in merito al rapporto tra le due definizioni ed ha osservato che la ricerca di una definizione generale di terrorismo deve fare capo innanzitutto al contenuto della Convenzione di New York del 1999, la cui ampia portata ne consente la applicabilità sia in tempo di guerra sia in tempo

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