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Struttura organizzativa dell’associazione: gl

1.5. La fattispecie del 270 bis c.p

1.5.3. Struttura organizzativa dell’associazione: gl

Analizziamo adesso i singoli elementi costitutivi della fattispecie e preliminarmente la domanda è: quando si ha ‘associazione’? Cosa si intende per ‘associazione’?

L’associazione è qualcosa di più grave e diverso rispetto al semplice accordo e ciò è confermato dal confronto con la fattispecie dell’art. 304 c.p., cospirazione politica mediante accordo, sanzionata meno gravemente, e perseguita solo a condizione che il delitto oggetto dell’accordo non sia stato ancora commesso (ove il delitto-scopo sia commesso verrà contestato questo soltanto).

Qual è il quid pluris che invece caratterizza l’associazione rispetto al mero accordo?

I tratti differenziali sembrerebbero essere individuati nella pluralità di reati oggetto del dolo specifico (mentre perché sia integrata la fattispecie dell’art. 304 è sufficiente che l’accordo

77 sia fatto ad hoc, in vista della esecuzione di un solo attentato) e nel numero minimo dei partecipanti.

L’accordo è già perfezionato quando provenga dall’incontro di volontà di due persone; per la associazione dovrebbe invece propendersi per un numero minimo di partecipanti superiore a due. Benché l’art. 270 bis nulla dica a proposito, un’indicazione in tal senso è mutuata dalla norma ‘madre’ in tema di associazione per delinquere, di cui all’art. 416 c.p. che richiede la

partecipazione di ‘tre o più persone’. Parte della giurisprudenza95

sostiene che, nel silenzio della legge, la associazione terroristica possa dirsi realizzata anche con la partecipazione di soltanto due persone. Ma prescindendo da questo, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel richiedere che la associazione in parola non scaturisca da un mero incontro di volontà volto alla

realizzazione di una pluralità di reati, ma debba presentarsi come ‘una struttura organizzata di uomini e di mezzi’ che presenti un grado di effettività tale da rendere almeno possibile

l’attuazione del progetto criminoso96.

Il problema più difficile in questa sede è dimostrare l’esistenza di una ‘organizzazione’: quali sono in concreto gli elementi di prova che l’accusa deve fornire?

Preliminarmente occorre osservare che la giurisprudenza italiana si è confrontata con realtà associative anche molto diverse tra loro, andando quindi a delineare più modelli, non necessariamente interscambiabili tra loro e che, negli anni dell’emergenza terroristica in Italia, è stata la fattispecie di ‘banda armata’ e non quella associazione terroristica a dominare la scena nelle aule di tribunale.

In materia di criminalità organizzata di tipo mafioso la

95

Cass. Pen. Sez. I, 4 novembre 1987, Adinolfi, in Cass. Pen., 1989, p. 977.

96

In questo senso cfr. Cass. Pen., Sez. I, 11 ottobre 2006, Bouyahia Maher, in Cass. Pen. 2013, 4438. Nello stesso senso, con riferimento specifico ad associazioni di fondamentalisti islamici, Sez. II, 21 dicembre 2004, est. Casucci, Maamri, in Foro it., 2005, II, c. 385 ss.; Cass. Pen. Sez. II, 25 maggio 2006, Bouhrama, in Guida dir., 2006, n. 44, p. 64 ss.

78 giurisprudenza si confronta con associazioni, di regola,

fortemente e stabilmente strutturate con chiare ripartizioni di ruolo tra gli associati, regole di affiliazione ed obbedienza alla volontà collettiva così come è espressa dai capi, vincoli gerarchici.

A questo modello forte la giurisprudenza ne ha affiancato uno debole, maturato in relazione ad altre ipotesi associative criminali, soprattutto al momento del confronto con la

associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Lo standard probatorio richiesto in queste occasioni è di gran lunga più rudimentale: la pubblica accusa non ha l’onere di provare né che l’associazione disponga di mezzi, né che vi siano gerarchie interne o distribuzione di ruoli. Sufficiente è che sia dimostrata la stabile cooperazione tra gli associati in vista della

realizzazione di una pluralità di fatti delittuosi, ovvero la non episodicità o occasionalità di tale concertazione.

Rispetto ai fatti di terrorismo, l’adozione dell’uno o dell’altro modello comporta comunque delle difficoltà all’interprete. Soprattutto considerando i più recenti fenomeni di terrorismo, quello islamico-fondamentalista per intenderci, dobbiamo mettere in conto che la scarsa conoscenza della struttura interna di questi gruppi rende inutile il ricorso alla

giurisprudenza formatasi in materia di associazione mafiosa e quindi l’adozione di un modello forte. Si potrebbe allora propendere per l’adozione del modello debole impiegato nel contrasto al traffico di stupefacenti. Tuttavia va detto che la debolezza del modello è almeno in parte compensata: la prassi giurisprudenziale in materia è sempre stata riferita a gruppi che

effettivamente cooperano nella commissione di una pluralità di

reati proprio da questa cooperazione non episodica nell’esecuzione dei reati-fine è stato possibile desumere l’esistenza di una associazione.

79 potrebbe porre un problema di mancato rispetto dei principi di materialità ed offensività. In più occasioni la giurisprudenza si è imbattuta nella difficoltà di dovere valutare la posizione di ‘cellule terroristiche’ costituitesi in funzione logistica, di supporto a programmi concreti di azioni compiute altrove da altre cellule.

Da un lato sarebbe del tutto irrealistico richiedere la prova di uno specifico programma criminoso in capo al gruppo logistico, essendo del tutto verosimile che non sia neppure a conoscenza di quel che viene deciso, e realizzato, altrove. Dall’altro, benché la fattispecie del 270 bis sia di pericolo presunto, non può considerarsi sufficiente l’adesione ad una ideologia, per quanto riprovevole, ma occorre che l’adesione ad un programma, oltre che sorretta da una strutturata organizzata, sia accompagnata da comportamenti oggettivamente apprezzabili. Si è ribadito in dottrina che vanno puniti i fatti, non le idee le quali rimangono costituzionalmente lecite pure quando siano manifestazione di violenza, purché non vadano ad integrare gli estremi di una istigazione a delinquere97.

Già nel vigore della vecchia formulazione dell’art. 270 bis, e prima dell’emergenza terrorismo islamico, la Suprema Corte aveva posto l’attenzione sulla necessità di un concreto e attuale

programma di violenza98.

Il nucleo essenziale di questo indirizzo può dirsi ancora valido, sebbene con gli aggiustamenti necessitati dal confronto con un fenomeno terroristico diverso rispetto a quello per cui la fattispecie del 270 bis era stata originariamente pensata.

97

F. Viganò, Terrorismo di matrice islamico-fondamentalistica e art. 270 bis c.p. nella recente esperienza giurisprudenziale, cit., passim.

98

L'espressione, che compare letteralmente in Sez. I, 8 ottobre 1984, Alvisini, in Cass. Pen., 1986, 39, è ripresa regolarmente anche nelle pronunce concernenti il terrorismo di matrice islamica: cfr. ad es. Cass. Pen., Sez. VI, 13 ottobre 2004, Laagoub, in Foro It., 2005, 218; Cass. Pen., Sez. I, 21 giugno 2005, Drissi, Sez. II, 25 maggio 2006, in Foro It., 2006, 342 ss.; Cass. Pen., Sez. I, 15 giugno 2006, Tartag, in Dir. e Giust., 2006, 82 ss.

80 Infatti in tempi recenti la Cassazione ha ‘rispolverato’

quell’indirizzo affermando che, al fine della prova della partecipazione al delitto di associazione terroristica, la condivisione dell’ideologia non può essere sufficiente,

necessitandosi ‘un concreto passaggio all’azione’ dei membri del gruppo tanto sotto forma di attività preparatorie rispetto all’esecuzione dei reati-fine quanto sotto forma di creazione di una struttura organizzativa idonea alla concreta messa in opera del programma99.

Alla luce di tale premessa, faranno prova dell’esistenza

dell’associazioni tanto le condotte di preparazione/esecuzione dei delitti-scopo quanto le condotte tese a mantenere in vita la associazione stessa, in vista ed oltre l’attuazione del programma. Ed in questa direzione avranno tenore di prova la

predisposizione di mezzi logistici, la raccolta e l’invio di denaro, le attività di reclutamento, la realizzazione di documenti falsi, etc.

In termini più prettamente processuali, i riscontri, ottenuti in genere da intercettazioni telefoniche o ambientali, quali la sussistenza di stabili contatti fra i sodali, varie dichiarazioni nelle quali i sospettati esprimono l’intenzione di uccidere gli infedeli e magari di immolarsi per la causa comune, hanno rilevanza nella misura in cui possano servire ad colorandum, a completare un quadro probatorio di elementi già sufficientemente fondanti100.

La giurisprudenza si scontra, a tal proposito, con due problematiche mancanze : l’una consiste nel difetto di collaboratori di giustizia in grado di illustrare dall’interno le dinamiche del gruppo, l’altra consiste nella mancanza di quella che è considerata la prova ‘regina’: ossia il ritrovamento di armi ed esplosivi nella diretta disponibilità del gruppo. In mancanza di

99

Così, ad es., Cass. Pen., Sez. I, 15 giugno 2006, Tartag, cit.; Cass. Pen., Sez. I, 11 ottobre 2006, Bouyahia Maher, cit.

100

F. Viganò, Terrorismo di matrice islamico-fondamentalista e art. 270 bis c.p. nella recente esperienza giurisprudenziale, cit., passim.

81 questi gli altri supporti logistici, quali la disponibilità di cellulari, di computer o di un appartamento ‘covo’, rimangono in un’area di significato non univoco.

La soluzione qui indicata in merito ai requisiti richiesti sembra anche la più garantistica dei principi del diritto penale: riservare gli interventi repressivi alla commissione di fatti almeno

prossimi alla lesione dei beni giuridici, tralasciando i casi di fraternizzazione o solidarietà verso un’ideologia espressa a parole o tramite la frequentazione di siti internet o tramite il possesso di materiale di propaganda. D’altra parte che il mondo musulmano nutra un sentimento di sdegno verso le politiche dei paesi occidentali, e segnatamente degli USA, è fatto noto. Ma quel che non si può tollerare è la criminalizzazione di massa di un sentimento: il rischio è la radicalizzazione di posizioni opposte andando ad alimentare una ‘guerra di religioni’.

Chiarito cosa debba intendersi per associazione, passiamo all’analisi delle condotte tipizzate dalla fattispecie.

La norma incrimina con la pena più grave da 7 a 15 anni chi, alternativamente, promuove, costituisce, organizza, dirige o

finanzia l’associazione101.

E’ promotore colui che prende l’iniziativa per la creazione del sodalizio; in concreto questa condotta può consistere nel fare proselitismo e nell’acquisizione di nuovi adepti.

Sostiene la giurisprudenza che l’attività del promotore deve avere preminenza rispetto a quella svolta dagli altri sodali; in sostanza, egli deve avere un ruolo di supremazia. Così pure di supremazia è la posizione di chi dirige. La linea di

discriminazione tra chi promuove e chi dirige è di poco conto: la giurisprudenza si limita a dire, con espressione tautologica, che dirige chi, in seno al sodalizio, ha funzioni direttive.

Costituisce chi svolge un’attività in forza della quale

101

Circa il significato delle singole condotte, v. E. Dolcini, G. Marinucci (a cura di), Codice penale commentato, vol. I, Milano, 2011, 2983

82 l’associazione esiste nel mondo esterno mediante reclutamento di personale e di mezzi. Organizza chi svolge le attività essenziali per fornire la associazione di una struttura operativa: individua i ruoli, ripartisce i compiti e distribuisce gli incarichi tra gli

associati, redige i programmi.

Accanto alle condotte tradizionali il legislatore, come già esposto sopra, ha enucleato la condotta di chi ‘finanzia’ con l’intento di condurre una lotta al finanziamento delle

organizzazioni terroristiche ricorrendo alla deterrenza della sanzione penale.

Al 2° comma è incriminata la condotta di chi ‘partecipa’ con la reclusione da 5 a 10 anni. La definizione di questa condotta ha una importanza decisiva perché differisce dalla condotte di rango superiore in termini sanzionatori.

Non è agevole dimostrare la partecipazione: una certa tendenza giurisprudenziale tendeva ad includere nella nozione di

partecipazione tutti quei comportamenti che non fossero riconducibili ad una delle quattro condotte di rango superiore. Ma questo indirizzo rischia di allargare a sproposito la figura del partecipe, includendovi anche quelle condotte suscettibili di assumere una valorizzazione autonoma come condotta di

concorso eventuale nel reato associativo, di concorso nel singolo reato-fine, come condotta di assistenza agli associati o ancora come condotta di favoreggiamento.

Anche stavolta, la giurisprudenza ha attinto da categorie e modelli maturati, in sede giurisprudenziale e dottrinale, in materia di associazione mafiosa accogliendo la nozione ‘organizzatoria’ di partecipazione: si definisce ‘partecipe’ chi, inserito stabilmente ed organicamente nella struttura organizzativa dell’ente, non ha semplicemente acquisito uno status in senso formalistico ma, in senso dinamico e funzionale, svolge un ruolo, è vincolato all’adempimento di compiti perché

83 l’associazione possa dispiegare il proprio programma102.

La prova più semplice dell’assegnazione del ruolo consisterà nella dimostrazione del compimento di atti preparatori e/o di esecuzione dei delitti scopo ovvero di attività funzionali all'esecuzione di tali reati o al mantenimento in vita dell’associazione.

In sostanza questo indirizzo suggerisce che è dimostrata la assegnazione del ruolo, e quindi la partecipazione, quando possa aversi prova dell’esercizio dello stesso da parte del soggetto. Ci si chiede se, in difetto di alcuna prova circa la concreta esecuzione del ruolo, è sufficiente ai fini della condanna per partecipazione la prova del mero ingresso, dell’avvenuto inserimento103. Nei processi di mafia la ragione di una risposta

affermativa risiede nell’elevato livello di conoscenze

dell’organizzazione mafiosa, specie con riguardo alle regole ed alle modalità di affiliazione; al contrario la frammentaria conoscenza delle dinamiche interne alle organizzazioni terroristiche islamiche non consente di dare una risposta ugualmente affermativa.

Dunque, res sic stantibus, è maggiormente garantista l’opinione che ritiene necessario siano contestati nel capo di imputazione fatti concreti, espressivi di ‘militanza associativa’. L’indicazione di cosa il soggetto volesse fare, della sua disponibilità al martirio non costituiscono elementi tali da potere validamente

suffragare, da soli, un’ipotesi accusatoria.

102

Cass. Pen., Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in C.E.D. Cass., n. 231670-79.

103

84

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