• Non ci sono risultati.

Il reato associativo nel testo costituzionale

1.4. Art 270 bis c.p.: un nuovo delitto associativo

1.4.2. Il reato associativo nel testo costituzionale

Per quello che più riguarda il presente lavoro, consideriamo gli artt. 17, 18 e 49 Cost. e la XII disposizione finale e transitoria. L’intenzione di marcare la differenza rispetto al regime in materia di associazionismo risulta in maniera palese all’art.18 ‘I

cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza

autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale’.

In un ordinamento democratico e pluralista, la libertà di

associazione presenta una doppia veste: come libertà del singolo di associarsi, ma anche come libertà delle associazioni.

34 testo costituzionale, all’art.2, ove è indicato che ‘La Repubblica

garantisce e riconosce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità’. E’ un

tratto caratteristico della nostra Costituzione che ha voluto espressamente riferire lo svolgimento della personalità del singolo anche al momento associativo.

Quanto al secondo aspetto, è il caso di dire che l’art.18 non ha precedenti nello Statuto Albertino, il quale si limitava a riconoscere in maniera espressa la sola libertà di ‘adunarsi

pacificamente e senz’armi’30, benché implicitamente la dottrina ne

avesse ricavato il correlato diritto di associarsi fino a che non intervennero le leggi di polizia ad introdurre forti restrizioni nel merito.

Complice una lunga tradizione di controllo dell’autorità governativa sulla costituzione delle associazioni, in Assemblea Costituente fu fatta proposta di introdurre un controllo sui fini delle associazioni, ma gli emendamenti in questione furono respinti.

Il combinato disposto degli articoli 2 e 18 della Costituzione implica la riconosciuta libertà del cittadino di formare

associazioni e di aderirvi nonché la libertà di azione, entro i limiti di cui tratterò avanti, delle associazioni medesime.

Il riconoscimento della libertà di associazione nella Costituzione italiana non costituisce un caso isolato. Infatti negli anni a seguire il diritto in parola è incluso nel catalogo dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla comunità internazionale: lo troviamo enunciato all’art. 20 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’ONU il 10 dicembre 1948, ed all’art. 11 della CEDU, approvata dal Consiglio d’Europa il 4 novembre 1950.

All’art. 18 Cost. la libertà di associazione è riconosciuta nel suo momento generico: il riferimento è al genus ‘associazione’, le cui

30

35

species trovano disciplina negli articoli successivi: ad esempio

l’art.19 riguarda le associazioni religiose, l’art. 39 quelle sindacali, l’art. 49 i partiti politici.

L’art. 18 Cost. però non fa menzione di cosa debba intendersi per ‘associazione’. A tal proposito viene in soccorso la

definizione più comune di associazione elaborata in sede civilistica come ‘insieme di più persone stabilmente vincolate per il

perseguimento di uno scopo comune’ accogliendo così nel genus

varie species: corporazioni, società civili e commerciali, enti, consorzi, ordini professionali e religiosi e via dicendo31.

Occorre, dunque, che vi sia una collettività di individui i quali decidono di istituire una stabile cooperazione in vista del raggiungimento di uno scopo che trascende quello dei singoli e non si presta ad essere conseguito se non attraverso una collettività.

Non c’è comunanza di opinioni né in merito al requisito della stabilità né in merito a quello della organizzazione32.

Rispetto alla stabilità la giurisprudenza tace e la dottrina è divisa fra chi reputa la stabilità un elemento essenziale e parla di ‘unione duratura’ fra più persone e chi ritiene di collocare nel novero delle associazioni anche quelle il cui carattere di permanenza si presenti relativo od anche occasionale.

Riguardo al secondo aspetto, quello dell’organizzazione, da una parte si sostiene che sia sufficiente un semplice accordo, la mera

affectio societatis scelerum, dall’altra si ritiene che non possa

aversi associazione in mancanza di una organizzazione. Secondo questa opinione si ha associazione quando il gruppo si struttura giuridicamente in funzione dello scopo dandosi delle regole interne così da assicurare il funzionamento della associazione medesima.

31

P. Barile, Associazione (diritto di), in Enc. Dir., III, Milano, 1958, 837 ss.

32

Per una ricognizione delle posizioni dottrinali, v. P. Barile, Associazione, cit. supra.

36 Ci si domanda poi quale debba essere la natura del vincolo associativo che lega i singoli: necessariamente volontario o è ammissibile anche un legame coattivo? I sostenitori della prima tesi tendono ad escludere dal novero delle associazioni quelle a carattere coattivo e così facendo essi finiscono con il realizzare una discriminazione che non trova fondamento neppure nel testo costituzionale. Ed è per questa ragione che dovrebbe preferirsi la tesi che non considera discriminante, ai fini della qualifica di ‘associazione’, la natura del vincolo33.

A ben vedere qui si confonde la libertà di associazione che si riferisce alla opportunità del singolo di associarsi, elemento mancante nelle associazioni coattive, con la libertà delle associazioni che si riferisce all’agire delle stesse34.

La giurisprudenza35 parla di un ‘fondo comune’, avvertendo che

non è necessario che esso sia fisso e determinato. E’ opinione della dottrina dominante non considerare alla stregua di un elemento essenziale il patrimonio, sebbene di regola sussistente. Autorevole dottrina propone poi una distinzione fra

associazione e riunione: sebbene sia innegabile che il diritto di associazione presuppone il diritto di riunione, l’elemento discretivo tra le l’una e l’altra consiste nella materialità/idealità del vincolo.

Il vincolo che lega i partecipanti alla riunione consiste nella vicinanza di spazio, ha natura materiale; al contrario quel che lega gli associati è un vincolo ideale, sociale e giuridico insieme.36

Ritorniamo a quel che ci dice l’art. 18 Cost.: esso non fa

distinzione tra associazioni, sancendo un profilo di disciplina che è valido per tutte, benché da una parte della dottrina si sia levata l’opinione secondo cui le associazioni a scopo economico

sarebbero escluse dall’applicazione dell’art. 18 Cost., trovando

33

D. Rubino, Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952, 40-41

34

P. Barile, Associazione, cit.

35

Cass. 16 ottobre 1954, n. 3823.

36

37 disciplina nell’art. 41.

Invece è certo che le rappresentanze organiche del popolo si collocano fuori dal raggio di applicazione dell’art.18 Cost. trattandosi di organi dello Stato-apparato, espressione della volontà popolare e non dell’autonomia riconosciuta ai singoli.37

Ma quel che, soprattutto ai fini del presente lavoro, è di grande rilevanza sono l’ultimo inciso del 1° comma e l’intero comma seguente ‘[…]per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge

penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare’.

L’art. 18 detta un limite alla libertà di associazione ed allo stesso tempo un criterio cui il diritto penale deve informarsi affinché l’incriminabilità delle associazioni non sia costituzionalmente illegittima. Il limite costituzionale alla libertà di associazione si sostanzia nel vietare agli associati il compimento di atti che la legge penale vieta anche ai singoli.

D’altronde se è vero che l’associazione è lo strumento fornito al singolo cittadino per la realizzazione di quei diritti che da sé solo avrebbe difficoltà a realizzare, allora è evidente che

all’associazione non possono opporsi limiti maggiori che al singolo. In altre parole: lo status di associato non può implicare limiti maggiori all’esercizio dei diritti individuali.

In termini di perseguibilità penale significa che non c’è differenza tra il cittadino che agisce uti singulus e il cittadino che agisce come associato quando il fine cui è orientata la condotta sia contrario alla legge penale.

E’ stato opportunamente osservato che, in sostanza, soltanto l’associazione che abbia per scopo la commissione di reati può essere vietata in armonia con il precetto costituzionale. In questo inciso l’art. 18 realizza una riserva di legge penale da riferire tanto alle leggi penali anteriori al testo costituzionale

37

38 quanto a quelle posteriori.

Il secondo capoverso dell’art. 18 pone il divieto di costituzione di associazioni segrete e paramilitari.

Per associazioni segrete, come risulta dai lavori dell’Assemblea Costituente, si intendono quelle associazioni che cercano di nascondere la loro esistenza. In quella stessa sede era stata avanzata la proposta di elencare i sintomi, i caratteri della segretezza , ma la proposta fu poi accantonata.

Oggi la dottrina ritiene che non possa aversi segretezza riguardo alla sede, all’atto costitutivo, all’elenco dei soci, alle cariche sociali ed alle finalità della associazione: in sostanza la segretezza deve investire i tratti essenziali della vita associativa38. Peraltro, i costituenti sembrarono d'accordo

nell'escludere dal limite quelle associazioni che tengono

riservati solo i particolari del loro funzionamento: e in tal senso è anche un indirizzo giurisprudenziale39 e dottrinario40.

In un ordinamento democratico e pluralista, quale quello programmaticamente delineato dalla nuova Costituzione, che offre un’ampia tutela dei diritti e delle libertà, non c’è ragione di legittimare organizzazioni che agiscono clandestinamente. Talvolta però, come si è notato più avanti nel tempo,

l’organizzazione è estrinsecazione di scelte morali, religiose che meritano di rientrare nella sfera della privacy.

L’introduzione della fattispecie delittuosa di ‘associazione segreta’, all’indomani della scoperta della Loggia Massonica P2, ha chiarito in che termini la segretezza dell’associazione sia un fenomeno penalmente rilevante. Non è un caso che la legge n.17 del 25 gennaio 1982 rechi il titolo ‘Norme di attuazione dell'art.

38

Cfr. tra gli altri, S. Cassarino, Le associazioni segrete e l’art. 18 della Carta Costituzionale, in Dir. e Giust., 1950, 225 ss.; A. Meloncelli, Associazioni segrete e diritto di associazione, in Dem. Dir., 1981, 118; ID., Società segrete, in AA. VV. Il segreto nella realtà giuridica italiana, Padova, 1973, 179 ss.; P. Barile, Associazione, cit.

39

Pret. Napoli, 28 novembre 1948, in Dir. giur., 1950, 224.

40

39 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e

scioglimento della associazione denominata Loggia P2’. L’art. 1 della legge stabilisce che ‘Si considerano associazioni

segrete, come tali vietate dall'art. 18 della Costituzione, quelle che, anche all'interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di

amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale’.

Fermo restando che il carattere occulto debba riguardare specifici – ed essenziali – elementi, la segretezza è illecita quando diventa lo strumento, non democratico, per interferire con il regolare svolgersi delle funzioni pubbliche o di interesse nazionale.

Accanto alle associazioni segrete, l’art. 18, 2° comma vieta la costituzione di organizzazioni a carattere militare che perseguono scopi, anche indirettamente, politici.

La formulazione è pressoché identica a quella che ritroviamo all’art. 2 del d.lgs. del 14 febbraio 1948 n. 4341, intitolato ‘Divieto

di associazioni militari’, il quale sanzionava con la pena della reclusione chiunque promuovesse, costituisse, organizzasse, dirigesse o partecipasse ad associazioni militari.

Il 4° comma dell’articolo chiariva che, ai fini dell’applicazione della disciplina, si consideravano a carattere militare le

associazioni costituite mediante l'inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, con disciplina ed ordinamento

gerarchico interno analoghi a quelli militari, con l'eventuale adozione di gradi o di uniformi, e con organizzazione atta anche

41

Il d. lgs. 43/1948 è stato abrogato con l’entrata in vigore del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.

40 all'impiego collettivo in azioni di violenza o di minaccia.

La punibilità delle associazioni monarchiche e di quelle fasciste merita invece un discorso a parte. Infatti, mentre nell’indagare la illiceità delle associazioni segrete e di quelle paramilitari la questione verte sulle modalità attraverso le quali è realizzato il fine dell’associazione – fine che potrebbe essere del tutto lecito – al contrario il carattere di illiceità delle associazioni fasciste e monarchiche riguarda proprio la natura dello scopo perseguito: la ricostituzione del partito fascista o dell’istituto monarchico. In ordine di tempo il primo intervento del legislatore in materia è la legge n.1546 del 1947: ‘Norme per la repressione dell'attività fascista e dell'attività diretta alla restaurazione dell'istituto monarchico’.

Per quel che concerne le associazioni monarchiche l’art. 2 si riferisce a chi promuove un movimento o costituisce un partito diretto alla restaurazione, con mezzi violenti, dell’istituto monarchico.

Queste associazioni risultano punibili soltanto quando si avvalgono, nel perseguimento dell’obiettivo, di mezzi violenti, rimanendo dunque al di fuori del penalmente rilevante quelle associazioni che si limitino a manifestare la propria ideologia tra gli associati od anche verso terzi realizzando una vera e propria propaganda.

Non disponiamo in materia di associazioni monarchiche di una norma di tenore simile alla XII disposizione finale che vieta la ricostituzione ‘sotto qualsiasi forma’ del disciolto partito fascista. L’assenza di una norma costituzionale ad hoc non è comunque tale da fugare il dubbio se il divieto di perseguire ‘con ogni mezzo’ gli obiettivi monarchici non possa ricavarsi

implicitamente dall’art. 139 che sottrae la forma repubblica al procedimento di revisione costituzionale42.

Una parte minoritaria della dottrina argomenta che la

42

41 restaurazione monarchica, poiché urta contro l’elemento

essenziale dell’ordinamento – la forma repubblicana – non possa assolutamente formare oggetto di un procedimento

costituzionale, ma solo di un mutamento in via fatto, un obiettivo che è costituzionalmente inammissibile, e che perciò qualunque attività volta a tal scopo è illegale43.

In questa prospettiva qualunque procedimento diverso da quello costituzionalmente accettato per la revisione, dovrebbe aprioristicamente dirsi illecito, anche quando non presenti di fatto elementi di offensività e si tratti, ad esempio, di sola propaganda. E le associazioni monarchiche, qualunque sia il mezzo utilizzato, qualunque l’attività, sarebbero perseguibili ai sensi del 283 c.p. ‘Chiunque, con mezzi non consentiti

dall’ordinamento costituzionale, commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo […]’ .

Altra parte della dottrina mette però in discussione le premesse stesse di questa tesi: la funzione dell’art. 139 Cost. è quella di limitare l’uso di alcuni strumenti formali previsti dal Costituente medesimo, la revisione costituzionale appunto. Ma non può spingersi ad essere limite ai principi fondamentali di libertà politica e di pluralismo ideologico44.

La scelta del legislatore in tema di punibilità delle associazioni monarchiche è del tutto coerente con un quadro simile. Rimangono invece i dubbi rispetto al coordinamento con altre fattispecie, in particolare con quelle degli artt. 270 e 270 bis. Rispetto alle associazioni fasciste il quadro si complica per varie ragioni. La prima è la presenza di una specifica norma in

Costituzione che vieta ‘la ricostituzione sotto qualsiasi forma del

disciolto partito fascista’ . La seconda è che bisogna volgere uno

sguardo anche al tema dei partiti politici.

43

C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1952, 1243.

44

G. Volpe, Commento all’art. 139, in G. Branca (a cura di) Commentario alla Costituzione, Bologna, 1981, 741 ss.

42 Come già osservato, il primo testo ad occuparsi di associazioni fasciste è stata la legge 1546/1947: l’art. 2 prevedeva la pena della reclusione da due a vent’anni con la confisca dei beni per chiunque promuovesse la ricostituzione del disciolto partito fascista sotto qualunque forma di partito o di movimento. Nel 1948 è entrata in vigore la Costituzione e con essa la XII disp. fin. Il fatto che i padri costituenti abbiano da un lato professato il pluralismo e la libertà di associazione e dall’altro abbiano vietato l’accesso alla vita sociale dei cittadini ai movimenti volti a ricostituire il vecchio partito può apparire incoerente. A tal proposito è il caso di considerare il parere della Corte Costituzionale: infatti nelle occasioni in cui ha ‘salvato’ le norme in tema di antifascismo, la Corte ha giustificato questa scelta, e di conseguenza quella del costituente, in ragione di una sorta di presunzione di pericolosità che caratterizza la

ricostituzione del partito fascista45.

In attuazione della XII disposizione è stata emanata la cd. Legge Scelba, l. 645/1952. Ai sensi dell’art. 1 il delitto si realizza quando ‘una associazione, un movimento o comunque un gruppo di

persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la

soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o

svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista’.

Per come formulata la fattispecie si scinde in una prima parte in cui è individuata la finalità dell’associazione ed in una seconda

45

Cfr., Corte Cost., 26 gennaio 1957, n.1, in Giur. Cost., 1957, con nota di

Vassalli.; Corte Cost., 6 dicembre 1958, n. 74, in Riv. It. Dir. Pen. Proc., 1959, 165, con nota di Siniscalco, La XII disposizione transitoria della Costituzione e il divieto di manifestazioni fasciste, ivi 166; in Giur. Mer., 1958, 958 nota di Esposito; Corte Cost., 27 febbraio 1973, n. 15, in Giur. Cost., 1973, 79 ss.

43 parte nella quale sono tipizzate le condotte che possono

costituire modalità di azione: minacciare, usare violenza,

propugnare la soppressione della libertà e via dicendo. Proprio il modo in cui è formulata la seconda parte induce a dire che l’associazione fascista è punibile soltanto quando le condotte siano effettivamente poste in essere; si parla a tal proposito di associazione a struttura mista. Si apre così una vistosa

differenza rispetto al modello di associazione illecita

prospettato dal dettato costituzionale dove la illiceità, quando non sia dovuta alla segretezza o al carattere militare, è

determinata dal solo fatto che l’associazione si volge ad un fine vietato al singolo dalla legge penale, prescindendo dalla

circostanza che sia stata data attuazione al programma criminoso.

Né la XII disp. fin. si esprime diversamente.

Sembrerebbe dunque che la legge Scelba riservi un trattamento più favorevole alle associazioni fasciste, ma questa

considerazione necessita di essere rivista.

Innanzitutto il concetto di violenza, come metodo di lotta politica cui allude l’art.1 va interpretato in senso restrittivo riferendolo quindi anche a condotte che presentino un grado basso di offensività. In secondo luogo la fattispecie prevede un aggravamento di pena nell’ipotesi in cui l’associazione raggiunga il proprio scopo46.

Alla luce di queste considerazioni, possiamo dire che la ratio sottesa alla XII disp. fin. è rispettata: è contemplata, infatti, la repressione della associazione per il solo fatto di professare un’ideologia di ispirazione fascista; poi la scelta in merito alla punibilità di comportamenti ulteriori rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario.

A questo punto, un breve cenno alla tutela delineata in Costituzione per i partiti politici. L’art. 49 cita: ‘Tutti i cittadini

46

44

hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale’.

Il partito rientra nel genus delle associazioni di cui all’art. 18 Cost.: una conclusione che si fa discendere sia dalla lettera dell’art. 49 (‘associarsi liberamente’) sia dalla definizione stessa di partito considerato una associazione volontaria di cittadini organizzata sulla base di una comune ideologia politico-sociale, e avente come obiettivo la realizzazione di un programma.

Secondo alcuni autori, il richiamo espresso ai partiti servirebbe a garantire maggiore libertà rispetto alle associazioni in genere. In verità i partiti nel nostro ordinamento non godono di una

posizione privilegiata: l’art. 49 Cost. si presenta laconico ed essenziale e nulla dice che possa lasciare intendere la

predisposizione di un trattamento diverso per i partiti politici47.

Semmai la lettera dell’art. 49 Cost. sottintende che l’introduzione di limiti maggiori non è giustificabile.

Secondo altri, l’articolo ha lo scopo di permettere un controllo sui fini, e quindi sull’ideologia, del partito. Ma neppure questo può dirsi, perché, quando il costituente parla di ‘metodo

democratico’ non si riferisce all’ideologia, ma ai mezzi attraverso cui i partiti concorrono ad influenzare la vita politica dello Stato, quindi al programma concreto di azione. L’unico controllo ammissibile è quello sui mezzi: ammettere un controllo

sull’ideologia equivarrebbe a negare la libera manifestazione del pensiero politico.

La sola eccezione all’agnosticismo del costituente rispetto alla ideologia dei partiti politici e, in generale, alla libertà di azione politica e di manifestazione del pensiero, è proprio quella della XII disp. fin. di cui si è ampiamente parlato sopra.

Qui terminano le disposizioni costituzionali in merito a libertà di

47

Per una disamina delle posizioni dottrinali v. E. Palermo Fabris, Il delitto di

Documenti correlati