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Il Secondo Partenio: un dafneforico “epinicio” per Apollo, Agasicle, e Tebe

3. P INDARO , A POLLO E T EBE

3.5 Il Secondo Partenio: un dafneforico “epinicio” per Apollo, Agasicle, e Tebe

Un ultimo testo ci riporta all’Ismenion tebano, fulcro dei canti apollinei fin qui analizzati. I resti dell’ode edita come Secondo Partenio da Snell-Maehler (= fr. 94b) sono conservati ancora una volta da un papiro ossirinchita, venuto alla luce durante la seconda delle celebri campagne di scavo condotte nel sito da Grenfell e Hunt525: il

contenuto del papiro, seppur non esplicitamente pindarico, è stato ricondotto al poeta tebano quasi all’unanimità dagli studiosi. Come ha precisato Lehnus, infatti, ci sono almeno “quattro ordini di considerazioni” che confermano questa attribuzione per il frammento, scritto in dialetto e metro lirico-corale526.

Innanzitutto, il componimento dovette essere scritto per Tebe, come conferma v. 5 dove la città è nominata. In secondo luogo, l’occasione del carme è stata identificata, in questo caso fondatamente527, con una celebrazione dafneforica tenutasi presso il

santuario apollineo tebano528: e secondo le fonti a nostra conoscenza il solo Pindaro

avrebbe composto dafneforici529. D’altro canto, alcune particolarità della lingua e dello

stile del testo sarebbero da sole sufficienti a sostenerne la paternità pindarica:

523 Per i caratteri di questo particolare peana vd. Rodighiero (2012) 103-37. 524 Rutherford 199.

525P. Oxy. IV 659 coll. ii-v.

526 Lehnus (1984) 77. A proposito dell’incertezza “ingiustificata” di qualche critico in merito alla paternità pindarica del frammento vd. ibidem, in particolare nn. 12-3.

527 Cfr. i casi precedentemente discussi di Pitica 11 e Peana 1.

528 Già gli editori del papiro legavano al rito in questione il testo considerando la presenza ricorrente in esso dell’alloro (Parth. 2,8 e 69; vd. Grenfell-Hunt (1904) 51). A questo elemento si aggiunge la menzione (vv. 36 e 40) dei genitori di Agasicle, destinatario del carme, il quale sembra così coincidere perfettamente con il παῖς ἀμφιθαλής della Dafneforia (vd. supra, pp. 68sq.). Il canto, infine, dovette essere eseguito in processione (v. 70: βαίνοισα πεδίλο ις).

529 Per i passi in questione e una loro attenta analisi vd. Lehnus (1979) 70 n. 49. Al poeta la tradizione attribuisce anche un dafneforico per il figlio Daifanto (= fr. 94c; vd. supra, p. 1 e n. 2).

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- l’aggettivo πάνδοξος, impiegato solo qui nella letteratura greca, richiama πανδοξία di Nem. 1,11, a sua volta hapax assoluto;

- δαιδάλλειν a v. 32 e πρόσφορος a v. 37 sono riferiti al canto e all’attività poetica come di frequente nell’autore tebano (cfr. e.g. Ol. 1,105 - nella forma contratta δαιδαλόω, Nem. 11,18; Ol. 9,81, Nem. 8,48, Nem. 9,7 rispettivamente);

- la forma ἐσλός, oltre che nei testi di ambiente eolico, è presente esclusivamente in Pindaro530;

- la soppressione del primo οὔτε a v. 36 è attestata per il poeta tebano, ma non per gli altri lirici531.

Da ultimo, è interessante notare che il padre del dafneforo Agasicle, Pagonda (nominato a Parth. 2,10), compare come padre di Pindaro in alcune fonti biografiche, le quali parrebbero aver tratto autoschediasticamente questo particolare del bios dal nostro carme532.

L’attribuzione pindarica, invero, è valida anche per i resti del componimento che nel papiro precede il Secondo Partenio533. A differenza di quest’ultimo, tuttavia, il genere

del primo testo, pur registrato come Partenio 1 (= fr. 94a) da Snell-Maehler, è finora sfuggito ad una definizione precisa da parte degli studiosi. In particolare, il fatto che in Parth. 1,11 compaia il participio maschile φιλέων ha fatto ovviamente dubitare della sua classificazione tra i parteni, mentre la centralità della famiglia di Eolada, avo dell’Agasicle del Secondo Partenio534, ha spinto Wilamowitz a supporre per P. Oxy. 659

una natura antologica535. Contro quest’ipotesi, però, Lehnus ha sollevato due obiezioni

cogenti: la presenza di un segno sticometrico nel papiro porterebbe ad escludere che esso

530 In proposito vd. Führer (1885) 56-7. 531 Vd. Blass (1906) 481; cfr. Slater (1969a) s.v.

532 Cfr. e.g. Suda s.v. Πίνδαρος; Schol. I 1,1-2 Dr. (Vita Ambrosiana); Schol. I 4,11-2 Dr. (Vita

Thomana); Eust. Proem. 25 (III 296,14-6 Dr.). Per l’autoschediasma vd. Lefkowitz (1981) 63; cfr. Bowra (1964) 99 che ritiene invece plausibile la discendenza di Pindaro da un tebano di nome Pagonda, che sarebbe stato antenato del Pagonda del Secondo Partenio, “which Pindar wrote late in life for his own relatives”.

533P. Oxy. IV 659 col. i. 534 Cfr. Parth. 1,12 e 2,9.

535 Wilamowitz (1904) 673: “Aber wie kam dieses Gedicht in die Partheneia? oder sollen wir annehmen, hier hätten wir kein Exemplar der Ausgabe, deren Bücher wir kennen? Ich denke eher, die Ordner haben die Gedichte, die sich auf dasselbe Haus bezogen, zusammengelassen”. Cfr. Wilamowitz (1922) 437 dove non si accenna all’ipotesi “antologica”, per quanto restino i dubbi sull’appartenenza di fr. 94a al genere partenio.

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contenesse un’antologia di testi di genere differente536; la forma antologica non è

d’altronde attestata per altri componimenti pindarici scritti per il medesimo destinatario o per la stessa famiglia, non di rado anzi distribuiti tra diversi εἴδη “spezzando eventuali solidarietà di committenza”537. Per quanto riguarda invece il problema posto

dall’impiego del genere maschile, esso si lega alla questione dell’interpretazione della prima persona nel corpus pindarico, come si avrà modo di vedere538.

Sebbene le difficoltà relative alla sua classificazione paiano di incerta risoluzione, in ogni caso anche il cosiddetto Partenio 1 offre a sua volta un ulteriore, possibile indizio della paternità pindarica dei testi conservati in P. Oxy. 659 con l’ardito hapax λιπότεκνος (v. 16)539. Inoltre, fr. 94a resta una testimonianza rilevante dell’attività

poetica di Pindaro nella sua città, e tra le famiglie ivi più in vista: che tra esse fosse annoverata anche quella di Eolada è confermato proprio da Parth. 1,8sqq., in cui allo φθόνος ἀρετᾶς che “incombe su ogni uomo” è contrapposto ὁ μηδὲν ἔχων, il cui capo è “nascosto sotto nero silenzio”540.

Tornando al più sicuro Secondo Partenio, il fatto che esso costituisca l’unico esempio certo di canto dafneforico rende particolarmente significativa una sua sezione, in cui sembra adombrata l’esecuzione della processione rituale:

Δαμαίνας π α[..]ρ ..[...]ῳ νῦν μοι ποδὶ στείχων ἁγ έο · [τ]ὶ ν γὰρ ε [ὔ]φ ρων ἕψεται πρώτα θυγάτηρ [ὁ]δοῦ δάφνας εὐπετάλου σχεδ[ό]ν ⸏βαίνοισα πεδίλο ις, Ἀνδαισιστρότα ἃν ἐπά- σκησ ε μήδε σ [ι .].[.] τ [.]..[ ]541.

536 Nel margine sinistro di col. iv, 67 il segno Γ indica il v. 300 del rotolo.

537 Lehnus (1979) 79-80; (1984) 79 e n. 52. Tra i casi di “solidarietà di committenza” non rispettate nell’edizione pindarica si ricordino Ol. 13 e fr. *122 per Senofonte di Corinto; Ol. 2-3 e frr. 118-*119 per Terone di Agrigento; Ol. 1, Pyth. 1-3 e frr. 105, **124d, *125, *126 per Ierone di Siracusa; cfr. anche Pyth. 6, Isthm. 2 e fr. *124ab per Senocrate di Agrigento e il figlio Trasibulo rispettivamente.

538 Vd. infra, pp. 134sqq. 539 Vd. Lehnus (1984) 77.

540 Come ha precisato Rodi (1978) 776-7 e 780, il contrasto deve essere letto in riferimento alle famiglie esponenti dell’élite aristocratica cittadina, dotate parimenti di patrimonio e virtù da trasmettere di padre in figlio e in grado di rendere immortale la memoria del casato. Per una simile opposizione tra fama (in particolare, “invidia”) e silenzio, raffrontati mediante immagini di carattere visivo e insieme uditivo, cfr.

Pyth. 11,29sq. (ἴσχει τε γὰρ ὄλβος οὐ μείονα φθόνον·/ὁ δὲ χαμηλὰ πνέων ἄφαντον βρέμει). 541Parth. 2,66sqq.

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Prima che una nuova ispezione del papiro condotta da Lehnus individuasse le tracce di un ρ dopo la prima lacuna di v. 66542, il vocativo che doveva esservi espresso era

integrato come Δαμαίνας πα[ῖ], secondo una proposta di Grenfell e Hunt543. A partire

da questo testo, dunque, le figure implicate nella processione dafneforica erano in genere, da Wilamowitz in poi, così identificate: il “figlio di Damena” avrebbe dovuto essere lo stesso Pagonda, padre del dafneforo e corrispondente al portatore della κωπώ dafneforica definito da Proclo ὁ μάλιστα αὐτῷ [scil. al dafneforo] οἰκεῖος544; mentre la

θυγάτηρ nominata a v. 68 sarebbe stata figlia di Pagonda e di Andesistrota545. Rispetto a

quest’interpretazione, ipotizzando per v. 66 l’integrazione Δαμαίνας π ά[τε]ρ Lehnus ricostruisce per la processione un quadro più chiaro e conforme alla Dafneforia per come essa ci è nota. Il “padre di Damena”, infatti, non sarebbe altri che Pagonda, allo stesso tempo padre del dafneforo Agasicle: non a caso, a vv. 36sq. il coro ricorda la propria devozione nei confronti degli θάλεα (al plurale) dei genitori del παῖς ἀμφιθαλής546.

D’altra parte, se Andesistrota è la madre di Damena547, allora ella è anche la madre di

Agasicle, di cui, come ci si aspettererebbe, entrambi i genitori sono menzionati nel dafneforico548.

Sebbene dunque il contesto di esecuzione del canto partenio (e quindi, i versi analizzati) abbia costituito il motivo di maggior interesse per l’ode da parte degli studiosi549, anche altri passaggi del testo offrono l’occasione di fare considerazioni

542 I risultati di questo esame autoptico sono riferiti in Lehnus (1977) e riconsiderati alla luce dell’intero contesto testuale e rituale dell’ode in Lehnus (1984).

543 Grenfell-Hunt (1904) 60 n. 70, dove peraltro si esclude perentoriamente quanto la successiva ispezione di Lehnus al contrario conferma (“the vertical stroke is not long enough for ρ, so πά[τε]ρ is excluded”). 544 Procl. Chrest. 76 in Phot. Bibl. cod. 239, 321b,25 (cit. supra, p. 68 n. 368).

545 Wilamowitz (1922) 435; cfr. Farnell (1932) 429; Sbordone (1940) 33-4 (qui si preferisce però considerare il “figlio di Damena” come uno zio di Agasicle e quindi fratello di Pagonda).

546 Come si è avuto modo di dire (vd. supra, p. 68 n. 367), dal resoconto procliniano della celebrazione non sembra chiaro se dafneforo e παῖς ἀμφιθαλής debbano essere ritenuti la medesima persona. Tuttavia, almeno per quanto riguarda il Secondo Partenio vale quanto si afferma in Lehnus (1984) 83-4: “Non è chiaro fino a che punto sia lecito costringere l’ode pindarica […] dentro questo ragguaglio decisamente enigmatico [scil. la descrizione delle Dafneforie fornita da Proclo]: la discussione è ancora aperta, soprattutto sull’identità o meno tra παῖς ἀμφιθαλής e dafneforo. Nel carme il giovane seguíto e onorato dal coro è comunque uno solo, Agasicle, e non è un caso che si menzionino con enfasi evidente sia il padre

sia la madre”.

547 Di fatto, questo non è detto esplicitamente nel testo, in cui la donna compare semplicemente come colei che “educò”, “esercitò” Damena. Pertanto, qualcuno ha proposto di identificare in Andesistrota la maestra di danza della giovane, vd. e.g. Sbordone (1940) 32.

548 Lehnus (1984) 83-5. Cfr. Grandolini (1982-1983) 27, dove si tiene in considerazione la nuova lettura di v. 66 proposta in Lehnus (1977) 230, ma si continua a vedere nel “padre di Damena” lo zio del dafneforo, come vorrebbe tra gli altri Sbordone (1940) 34.

549 Cfr. Kurke (2007) 65: “what little scholarly discussion there has been of Pindar’s fragment has focused mainly on […] the exact relations among the many named individuals in the poem”.

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significative in merito alla tipologia lirica cui esso appartiene, e in particolar modo di osservare come in un componimento di questo genere si saldino festività pubblica e lode personale.

Secondo la classificazione dei generi lirici fornita da Proclo550, i parteni e con essi i

dafneforici, che sembrano costituire una specie particolare del genere551, sarebbero

indirizzati al tempo stesso εἰς θεούς ed εἰς ἀνθρώπους: insieme a τριποδηφορικά, ὠσχοφορικά ed εὐκτικά essi εἰς θεούς γραφόμενα καὶ ἀνθρώπων περιείληφεν ἐπαίνους552. Come ha sottolineato Severyns, Proclo si sarà limitato a registrare nei generi

citati la presenza di “elogi” di carattere diverso: si ricordi, del resto, come negli stessi Parteni alcmanici la lode di alcuni elementi più in vista di altri all’interno del coro femminile costituisca una componente fondamentale del canto553.

A conferma della definizione procliniana, anche nel caso del Secondo Partenio il coro dichiara che celebrerà “la gloriosissima dimora di Eolada e del figlio Pagonda”554.

Proprio il fatto che lo scopo del carme consista nell’esaltazione di una famiglia aristocratica tebana e dei suoi esponenti ha fatto dubitare Schachter della natura apollinea in generale, e dafneforica in particolare, del componimento, che piuttosto “has more in common with the epinikia than with what one might expect of a daphnephoric hymn”555. In realtà, l’esecuzione dell’ode è posta, fin dai suoi primi versi, in relazione con

il dio, a sua volta connesso con la città:

ἥκε]ι γὰρ ὁ [Λοξ]ίας

π]ρ [ό]φρω[ν] ἀθανάταν χάριν

550 Per la triplice classificazione procliniana (“per gli dei”, “per gli uomini”, “per gli dei e gli uomini”) vd. Procl. Chrest. 33 in Phot. Bibl. cod. 239, 319b,33; per i suoi rapporti con il perduto Περὶ λυρικῶν ποιητῶν di Didimo il Calcentero cfr. Severyns (1938) 114.

551 Procl. Chrest. 69 in Phot. Bibl. cod. 239, 321a,34. 552 Procl. Chrest. 36 in Phot. Bibl. cod. 239, 320a,3.

553 Severyns (1938) 211. Si noti che in Aristid. Or. 2,129 Keil il poeta spartano è definito ὁ τῶν παρθένων ἐπαινέτης (alla definizione segue Alcm. fr. 107 PMGF).

554 Parth. 2,8sqq. Vista la centralità della famiglia del dafneforo e della sua stessa figura nel partenio, Lehnus (1984) 78 ha proposto il titolo Ἀγασικλεῖ Θηβαίῳ δαφνηφορικόν (o δαφνηφόρῳ), poi accettato da Snell-Maehler. Sulla commistione tra pubblico e privato, in relazione al “finanziamento” delle esecuzioni corali antiche, è tornato di recente anche Currie (2011) 295-6, secondo il quale il Secondo Partenio rappresenterebbe un esempio evidente di “a choral song which was privately funded and celebrated a private oikos (38-49), but was performed in a public religious space (the Ismenion) in the context of a civic festival (the Daphnephoria)”.

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⸏Θήβαις ἐπιμ<ε>ίξων556.

Se il contesto pubblico e rituale è quindi chiaramente rintracciabile in ciò che possiamo leggere del carme, è però pur vero che quest’ultimo presenta, in un’affascinante “connubio di generi”557, alcuni dei motivi più cari alla produzione epinicia pindarica.

Già in merito a Peana 1 si è potuto rilevare come alcuni elementi ricorrenti nei canti per atleti vittoriosi potessero essere dal poeta declinati e adattati ad una celebrazione cittadina (e.g. l’impiego di sententiae dal contenuto simile, o il ricorso ad immagini comuni): nel presente dafneforico, tuttavia, ciò non rimane ad un livello puramente espressivo, ma informa il componimento e i suoi contenuti.

Una volta introdotto il proprio canto, il coro si concentra nei versi successivi, precedenti l’interruzione della colonna del papiro, sulla descrizione particolareggiata del suo potere, superiore alle forze della natura (vv. 13sqq.). Similmente, alla ripresa del testo nella colonna successiva (vv. 31sqq.)558, la persona loquens sta definendo le proprie

prerogative poetiche, prima di tornare alla lode di Agasicle e dei suoi genitori559. Di questi

ultimi così come del dafneforo il coro si dice πιστὰ […] μάρτυς […]

ἀμφὶ προξενίαισι· τί- μαθεν γὰρ τὰ πάλαι τὰ νῦν τ’ ἀμφικτιόνεσσιν ἵππων τ’ ὠκυπόδων πο [λυ- ⸐γνώτοις ἐπὶ νίκαις, αἷς ἐν ἀ όνεσσιν Ὀγχη[στοῦ κλυ]τ ᾶς, ταῖς δὲ ναὸν Ἰτωνίας α [...]α

556Parth. 2,3sqq. Come ricorda Lehnus (1984) 77, la presenza di Apollo al v. 3 è “pressoché certa”. Per quanto riguarda poi l’epiclesi “Lossia”, si è già avuto modo di notare (a proposito di Pitica 11, vd. supra, p. 72 e n. 389) come essa fosse particolarmente adatta ad indicare il dio presso il santuario oracolare dell’Ismenion per il suo carattere “profetico”.

557 Questa la definizione data da Kurke (2007) 85: “This wedding of genres produces the effect of a fusion of interests between the entire civic community (for whom the chorus speaks) and the members of a single noble family (who lead the procession)”. In proposito cfr. anche Demand (1982) 92-3, per la quale per effetto dell’organizzazione amministrativa e politica della polis antica, e quindi anche di Tebe, “the line between civic and public events probably was never clearly drawn, at least for the great families”. 558 Non siamo in grado di quantificare con certezza la lunghezza della lacuna tra le due colonne, che interrompe il testo alla seconda strofe del partenio e termina con le ultime tracce di un epodo, cui segue la strofe di una nuova triade: perché il formato della colonna presentasse una dimensione verosimile e in linea con le altezze degli altri rotoli papiracei a noi noti è possibile ipotizzare che tra le attuali seconda e terza strofe sia caduta nessuna oppure una triade (vd. apparato dell’edizione Snell-Maehler; cfr. D’Alessio (1991) 107). Il problema si lega ovviamente a Partenio 1 e alla ricostruzione della sua struttura strofica, per la quale vd. Lehnus (1985).

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χαίταν στεφάνοις ἐκό-

σμηθεν ἔν τε Πίσᾳ πε ριπ [ 560.

La celebrazione della famiglia si realizza, in modo del tutto analogo all’elogio del laudando e della sua casata negli epinici, attraverso la menzione dei suoi rapporti con gli ospiti stranieri alla città e il ricordo delle vittorie agonistiche ottenute. In proposito, è molto interessante notare che i medesimi topoi dell’eulogia pindarica attivi in questi versi si ritrovano in un altro carme tebano, la già analizzata Istmica 4, dove essi ricevono una formulazione sorprendentemente simile a quella del Secondo Partenio561: anche i

Cleonimidi infatti Θήβαισι τιμάεντες ἀρχᾶθεν λέγονται/πρόξενοί τ’ ἀμφικτιόνων562, condividendo al tempo stesso con la famiglia di Eolada e Pagonda

l’impegno nelle gare equestri563. D’altro canto, però, nei cataloghi di vittorie che spesso

“corredano” la lode epinicia solitamente l’ordine di menzione dei giochi procede dalla sede più prestigiosa a quelle meno rilevanti o locali564. Al contrario, come si vede, nel

nostro componimento Olimpia, con Delfi una delle due maggiori sedi agonali della Grecia, è preceduta da Onchesto e Itone, due (seppur importanti) centri religiosi beotici565. La prima città era situata nei pressi di Tebe, sul Lago Copaide, e ospitava un

tempio di Posidone ricordato dal poeta accanto al santuario di Corinto in due delle istmiche tebane566. Sempre affacciata sul Lago, ma più distante da Tebe era invece Itone,

presso Cheronea, sede di un antico culto di Atena e, a partire dal IV sec. a.C., dei Pamboiotia del κοινόν567. Proprio in forza della sua peculiarità, di recente l’ordine di

questo catalogo ha ricevuto una particolare interpretazione, che sarà bene discutere.

560Parth. 2,38sqq.

561 Cfr. Olivieri (2011) 183-4.

562Isthm. 4,7sq. Per il significato dei termini “prossenia” e “prosseno”, che sembrano impiegati in Pindaro nella loro accezione più specifica (indicante un individuo incaricato della protezione degli stranieri presenti nella sua città) vd. Carey (1981) 163; D’Alessio (1994) 133 n. 51.

563 Vd. Isthm. 4,14: ἱπποτρόφοι τ’ ἐγένοντο.

564 Per questa “gewisse Regelmäßigkeit in der Aufzählung der Siege” vd. gli esempi riportati in Thummer I 27-8. In realtà, ci sono casi in cui l’elenco delle vittorie subisce una qualche modifica rispetto alla “norma” di cui si è detto; ma in molti di questi la ragione dell’eccezione è spiegata dal contesto (cfr. e.g.Ol. 7,80sqq. in cui l’isola di Rodi, come spiega Thummer, è menzionata in quanto sede di due successi di Diagora prima dell’Istmo e di Nemea perché il poeta approfitta di queste vittorie per tornare dal mito (rodio) alla lode del pugile).

565 Cfr. Grandolini (1982-1983) 26: “la menzione di Pisa = Olimpia, per ultima, lascia supporre che Pindaro ricordasse le gare dalle meno importanti alle più celebri”.

566 Vd. Isthm. 1,32sq.; Isthm. 4,19sq.

567 Per questo culto vd. Strab. 9,2,29; per la festività federale vd. Polyb. 4,3,5 e 9,34,11. La rilevanza dell’Atena Itonia per la Beozia e la sua storia etnico-politica è analizzata in Kowalzig (2007) 360-4. Va però detto che Kowalzig lega, pur dubitanter, alla sede cultuale alcuni frammenti iporchematici pindarici

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Occupandosi del dafneforico pindarico per indagare “why the ritual should award such a prominent role to a single aristocratic family”, L. Kurke ha affermato di rintracciare nelle modalità della celebrazione e nel testo dell’ode diversi “levels of negotiation” o di “community-building”568. Innanzitutto, all’interno della città

l’avvicendarsi degli esponenti di diverse famiglie dell’élite oligarchica alla carica di dafneforo avrebbe permesso una migliore gestione della loro reciproca competizione569.

Allo stesso tempo, il rito, presentandosi come un “bizarre hybrid” di elementi delfici e beotici in esso confluiti570, avrebbe permesso ai Tebani (e in particolare alla loro élite) di

“suture together” la città ed il restante territorio della Beozia, per esercitare il proprio controllo sul κοινόν, in formazione intorno alla metà del V sec. secondo Mackil571.

A proposito del primo punto, Kurke stabilisce una forte analogia tra la processione dafneforica e un passo erodoteo in cui, parlando del regime oligarchico, il sovrano persiano Dario afferma che in un tale sistema costituzionale ciascuno finisce per voler essere κορυφαῖος572: appunto per scongiurare il sopravvento di un singolo

esponente dell’aristocrazia cittadina, le Dafneforie tebane permetterebbero di “substitute the role of choral koruphaios for its political equivalent”573, attraverso la figura del nobile

dafneforo. Tuttavia, il fatto che il medesimo termine potesse essere impiegato per indicare il leader tanto in ambito politico quanto in un coro non prova, a mio parere, che in occasione della celebrazione apollinea si verificasse uno “scambio” tra le due figure574.

Per quanto riguarda poi la funzione del rito rispetto alle altre città beotiche, proprio lo “strikingly Boeotian-centred victory catalogue” del Secondo Partenio è interpretato da Kurke alla luce della sua idea di “negoziazione esterna” con esse: la

che non possono avere niente a che fare con il “central Greek contest” da lei ipotizzato: fr. 106 contiene la lode dell’ὄχημα δαιδάλεον proveniente “dalla Sicilia dagli splendidi frutti”; mentre fr. *107ab, di cui è dubbia la paternità pindarica, non mostra alcuna traccia di connessione con un culto di Atena.

568 Kurke (2007) passim.

569 Il fatto che Paus. 9,10,4 metta in relazione i pochi tripodi votivi da lui osservati presso l’Ismenion alle dediche degli εὐδαιμονέστεροι τῶν παίδων è interpretato da Kurke (77) come un segnale del perdurare dei rapporti competitivi tra i Tebani più nobili. In realtà, però, la connessione tra le dafneforie e la dedica di tripodi al santuario cittadino è lungi dall’essere pacifica e, come ha osservato Schachter (1981) 83, la penuria di ex-voto registrata da Pausania potrebbe essere semplicemente la conseguenza di furti (la spiegazione è stata definita da Kurke “commonsensical”, ma non credo che questo ne infici la plausibilità). 570 Vd. Schachter (1981) 85.

571 Vd. Mackil (2013) 22-45, già Mackil (2003). Per il κοινόν beotico cfr. supra, p. 34 e n. 205.

572 Hdt. 3,82,3: ἐν δὲ ὀλιγαρχίῃ πολλοῖσι ἀρετὴν ἐπασκέουσι ἐς τὸ κοινὸν ἔχθεα ἴδια ἰσχυρὰ φιλέει ἐγγίνεσθαι· αὐτὸς γὰρ ἕκαστος βουλόμενος κορυφαῖος εἶναι γνώμῃσί τε νικᾶν ἐς ἔχθεα μεγάλα ἀλλήλοισι ἀπικνέονται, ἐξ ὧν στάσιες ἐγγίνονται, ἐκ δὲ τῶν στασίων φόνος, ἐκ δὲ τοῦ φόνου ἀπέβη ἐς μουναρχίην.

573 Kurke (2007) 78.

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disposizione delle sedi agonali nel testo, infatti, sarebbe finalizzata alla messa in evidenza di una

“considered strategy of Boeotian community-building and patriotism on the part of the family by focusing their athletic efforts exclusively on local contests”575.

Per avanzare quest’ipotesi Kurke accetta l’identificazione della vittoria panellenica nominata a Parth. 2,49 con il successo olimpico ottenuto nella 25a Olimpiade (= 680

a.C.) da un Pagonda tebano576: in questo senso, dopo la prestigiosa vittoria dell’avo, la

famiglia di Agasicle avrebbe tralasciato gli agoni panellenici. Anche ammessa la parentela tra il vincitore ricordato da Pausania e il nostro dafneforo, non credo però che il testo supporti la lettura di Kurke, dal momento che non possiamo sapere se il successo