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Pitica 11: Tebe, Delfi e uno “stuolo locale di eroine”

3. P INDARO , A POLLO E T EBE

3.1 Pitica 11: Tebe, Delfi e uno “stuolo locale di eroine”

L’undicesimo epinicio pitico è generalmente considerato uno dei testi pindarici di più ardua comprensione355. Le sue difficoltà interpretative coinvolgono infatti gran

parte del testo, mentre sono rimaste per molti oscure o di dubbia interpretazione sia la scelta di un mito laconico e “negativo” come quello del matricidio di Oreste (Pyth. 11,16sqq.), sia le affermazioni che l’io parlante fa seguire alla vicenda narrata356. Per

quanto riguarda il motivo apollineo, tuttavia, sono stati i versi dell’incipit dell’ode ad attirare l’attenzione degli studiosi:

Κάδμου κόραι, Σεμέλα μὲν Ὀλυμπιάδων ἀγυιᾶτι, Ἰνὼ δὲ Λευκοθέα

352 Cfr. Hymn. Hom. 3,225-274, dove sono descritte le tappe beotiche del viaggio di Apollo verso Delfi. Un’accurata rassegna dei numerosi santuari dedicati al dio nella regione si trova in Schachter (1981) 43- 90. Più di recente le interazioni cultuali tra le diverse sedi oracolari affacciate sul Lago Copaide hanno ricevuto una nuova interpretazione in chiave etnico-politica da Kowalzig (2007) 353-91.

353 Wilamowitz (1922) 344.

354 Tra le odi apollinee composte da Pindaro per la città di Tebe sarebbe forse da annoverare, come si è detto (vd. supra, p. 20), anche l’Inno Primo.

355 La perentoria sentenza “pronunciata” da Wilamowitz (1922) 259 (“Pyth. 11 zumal ist eins der dunkelsten seiner Lieder”) è stata preceduta e seguita da molti altri giudizi simili da parte della critica pindarica, che almeno su questo punto è stata per lo più unanime: cfr. e.g. Boeckh 337 (“Interpretis munere siquis rite fungi constituerit, vix illi ulla oda tantam, quantam haec, difficultatem obiiciet), cui sono pressoché identici Mezger 288, Gildersleeve 358 e Farnell (1932) 225. Molto diverso, invece, l’atteggiamento nei confronti del carme di Young (1968) 2-3: “My primary intention here is to clarify the meaning of Pythian 11 as a literary work of art […]. The poem itself, despite its reputation, is rather easy”. 356 Per questi problemi vd. infra, pp. 117sqq.

67 ποντιᾶν ὁμοθάλαμε Νηρηΐδων, ἴτε σὺν Ἡρακλέος ἀριστογόνῳ ματρὶ πὰρ Μελίαν χρυσέων ἐς ἄδυτον τριπόδων θησαυρόν, ὃν περίαλλ’ ἐτίμασε Λοξίας, Ἰσμήνιον δ’ ὀνύμαξεν, ἀλαθέα μαντίων θῶκον, ὦ παῖδες Ἁρμονίας, ἔνθα καί νυν ἐπίνομον ἡρωΐδων στρατὸν ὁμαγερέα καλεῖ συνίμεν, ὄφρα θέμιν ἱερὰν Πυθῶνά τε καὶ ὀρθοδίκαν γᾶς ὀμφαλὸν κελαδήσετ’ ἄκρᾳ σὺν ἑσπέρᾳ ἑπταπύλοισι Θήβαις χάριν ἀγῶνί τε Κίρρας, ἐν τῷ Θρασυδᾷος ἔμνασεν ἑστίαν τρίτον ἐπὶ357 στέφανον πατρῴαν βαλών358.

La sezione corrisponde sostanzialmente all’intera prima triade359 e rappresenta il proemio

del canto con l’invocazione rivolta dal poeta e, per suo tramite, dal Lossia360 allo “stuolo

locale di eroine” affinché celebrino Pito, sede della vittoria del laudando. A questo fine lo στρατός, guidato da Semele, Ino e dalla “madre di Eracle dalla nobile prole” viene invitato a recarsi presso la ninfa Melia, al pari di Semele e Alcmena, celebre madre tebana361: dalla sua unione con Apollo, infatti, nacquero Tenero e Ismeno. Secondo

quanto racconta Pausania, mentre il primo avrebbe ottenuto in sorte dal padre il dono della profezia, ad Ismeno sarebbe stato concesso l’onore di dare il proprio nome al fiume tebano in precedenza chiamato Ladone362 e, quindi, al santuario oracolare sorto sulle sue

rive: l’Ismenion appunto, ora indicato come sede del consesso delle eroine tebane.

357 Qui il testo stampato da Snell-Maehler (ἔπι) non è stato accettato sulla base di Finglass (2007) 85, il quale a ragione osserva che “since ἑστίαν must be the direct object of ἔμνασεν, it cannot be dependent on a preposition in anastrophe. Hence, Pindar’s ΠΙ must be in tmesis with βαλών, and so should be accented ἐπί”.

358Pyth. 11,1sqq.

359 La triade si conclude infatti a v. 16.

360 Nonostante Schol. Pyth. 11,12e (II 255,23 Dr.) preferiscano riferire καλεῖ (v. 8) alla stessa Melia, il verbo si attribuirà più opportunamente al dio del santuario, come ha osservato Most (1985b) 20 n. 61, “denn Apoll als der pythische Gott and als der Begründer des Ismenischen Heiligtums zugleich ist viel mehr dazu geeignet, aus Anlaß dieses Sieges die Heroinen zu diesem Fest unabweisbar einzuladen”. 361 Della duplice specularità tra Dioniso, Eracle e le loro madri si è già detto (vd. supra, pp. 32sq.). Delle figlie di Cadmo Pindaro ricorda, come qui, solo le divinizzate Semele e Ino a Ol. 2,22sqq., mentre in Pyth.

3,96sqq. Agave, Autonoe e la stessa Ino compaiono, pur non esplicitamente nominate, come le tre figlie di Cadmo che “privarono il padre di una parte di gioia” in contrapposizione a Semele-Tione.

362 Paus. 9,10,6: Ἀπόλλωνι δὲ παῖδας ἐκ Μελίας γενέσθαι λέγουσι Τήνερον καὶ Ἰσμηνόν· Τηνέρῳ μὲν Ἀπόλλων μαντικὴν δίδωσι, τοῦ δὲ Ἰσμηνίου τὸ ὄνομα ἔσχεν ὁ ποταμός. οὐ μὴν οὐδὲ τὰ πρότερα ἦν ἀνώνυμος, εἰ δὴ καὶ Λάδων ἐκαλεῖτο πρὶν Ἰσμηνὸν γενέσθαι τὸν Ἀπόλλωνος.

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Proprio questa immagine ha spinto gli studiosi ad ipotizzare un possibile contesto cultuale per l’esecuzione dell’epinicio. Mentre per Wilamowitz rimaneva un mistero la scelta di Pindaro di radunare “solo le eroine, non gli eroi”363, già Boeckh tentava di

rintracciare una giustificazione rituale alla scena incipitaria supponendo che essa dovesse alludere ad una festività particolare attestata per il tempio tebano: quella delle Dafneforie364.

Le nostre fonti sull’argomento ci permettono di ricostruire per il rito un quadro abbastanza preciso, anche se non privo di contraddizioni. Secondo Pausania, ogni anno un ragazzo nobile, bello e forte veniva scelto in Tebe per rivestire la carica di sacerdote di Apollo Ismenio, cioè di dafneforo, così chiamato perché coronato di alloro; alcuni dei giovani, inoltre, al termine dell’incarico avrebbero dedicato al dio un tripode d’oro365.

Alquanto diversa è, invece, la descrizione del rito conservata in Proclo: ogni otto anni in Beozia, e in particolare presso i santuari dell’Ismenion e di Apollo Galassio366, una

processione recava al tempio rami di alloro. Il corteo sarebbe stato guidato da un παῖς ἀμφιθαλής, seguito da un non meglio precisato ὁ μάλιστα αὐτῷ οἰκεῖος incaricato di portare un ceppo d’ulivo riccamente adorno e cinto di rami della pianta sacra al dio (κωπώ). La descrizione di Proclo continua con il dafneforo, che seguirebbe, a quanto pare di capire dal testo367, il portatore del ceppo toccandone l’alloro, mentre un coro di

vergini chiuderebbe la processione368.

Per Schachter, che ha studiato a più riprese questa celebrazione e le fonti ad essa connesse, ci sono buone possibilità che sia quest’ultimo racconto a conservare traccia di

363 Wilamowitz (1922) 260.

364 Boeckh II 2, 338: “At Melia cur heroinas Cadmi filias convocet, intelligi non potest, nisi apud Meliam illis in Ismenio sollemnes epulas et lectisternium statis temporibus fuisse putemus, credo tum quum Daphnephoria celebrabantur”.

365 Paus. 9,10,4. Stando al racconto del periegeta, persino il giovane Eracle avrebbe ricoperto questo ufficio sacro, dedicando al santuario tebano il suo tripode. È interessante ricordare che in un rilievo della Tabula Albani (per cui vd. Sadurska (1964) 83-94 e pl. 19) è raffigurato in un tempio un tripode la cui iscrizione

recita: Ἀμφιτρύων ὑπὲρ|Ἀλκαίου τρίποδ᾿ Ἀπόλλωνι.|τοῦτον ὑπὲρ Ἡρακλέους|φασὶν

δαφνηφορή|σαντος ἀνατεθῆναι·|τὸ γὰρ ἐξ ἀρχῆς οὐχ Ἡ|ρακλῆ ἀλλ᾿ Ἀλκαῖον|αὐτὸν καλεῖσθαι. 366 Secondo Schachter (1981) 48 questo luogo di culto andrebbe collocato nelle vicinanze dell’Ismenion, sempre dunque in prossimità della città di Tebe: qui infatti è attestato il teonimo Γαλαξίδωρος (vd. e.g.

Xen. Hell. 3,5,1; Plut. De gen. Socr. 4, p.577a) che Schachter ritiene originato dall’epiteto divino; cfr. anche Schachter (2000) 105-6. Nell’edizione Snell-Maehler a Pindaro è attribuito dubitanter il frammento di un tripodeforico per il Galaxion (fr. **104b), che compare però tra i FragmentaAdespota di Page (fr. 997 PMG). Studiando lingua e stile del frammento, Francis (1972) ne conclude l’appartenenza alla lirica ionica, mettendo così in dubbio l’attribuzione al poeta tebano.

367 Gli studiosi sono tuttora divisi a proposito dell’identità del dafneforo, che secondo alcuni andrebbe identificato con lo stesso παῖς ἀμφιθαλής; in proposito vd. Schachter (2000) 107 e n. 23, con ampia bibliografia.

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una fase più antica del rito (collocabile intorno al IV sec. a.C.) rispetto alla pur antecedente testimonianza di Pausania369. In questo caso, si può ritenere con buona

probabilità che anche ai tempi di Pindaro la cerimonia presso l’Ismenion dovesse prevedere una processione di figure con un particolare ruolo sacrale, accompagnate dal canto di un coro di fanciulle: non a caso al poeta tebano sono attribuiti gli scarsi resti di alcuni parteni dafneforici370.

Proponendo la festività tebana come occasione per Pitica 11, Boeckh individuava il motivo della connessione tra la celebrazione dafneforica e il successo delfico del laudando Trasideo nel carattere “apollineo” della vittoria, senza peraltro rinunciare del tutto all’ipotesi che il giovane atleta potesse avere anche rivestito la carica di dafneforo371.

In seguito, questa ipotesi ha trovato in genere accoglimento presso gli studiosi372, fino alla

sua definitiva affermazione ad opera della scuola di Urbino e, in particolare, di Bernardini373. Secondo quest’ultima, infatti, alcuni elementi del proemio del carme

corrisponderebbero puntualmente alla Dafneforia come essa può essere ricostruita sulla base dei resoconti citati:

- il giovane nobile, bello e forte ricordato da Pausania sarebbe da identificarsi proprio in Trasideo, allo stesso tempo corrispondente, per Bernardini, al παῖς ἀμφιθαλής della descrizione di Proclo374;

- l’“inviolato tesoro di tripodi” (vv. 4sq.) dell’ode richiamerebbe la dedica del tripode d’oro da parte dello stesso laudando;

- il consesso delle eroine convocate presso il santuario perché prendano parte alla celebrazione (vv. 7sqq.) non sarebbe altro che la “proiezione mitica” del coro partenio tebano, incaricato dell’esecuzione, successiva all’epinicio, di un dafneforico (vv. 9sqq.);

- il fatto, infine, che il canto sia collocato cronologicamente ἄκρᾳ σὺν ἑσπέρᾳ (v. 10) costituirebbe un’indicazione “preziosa” relativamente al rito dafneforico,

369 Vd. Schachter (1981) 84; cfr. Schachter (2000) 107-8.

370 Per i frammenti e la loro attribuzione a Pindaro vd. infra, pp. 98sqq.

371 Boeckh II 2, 338: “Quod vero Apollini Ismenio ducta pompa est, eius rei non alia videtur causa fuisse nisi quod Apollo victoriae auctor est; neque inde iure collegeris Trasydaeum […] fuisse aut daphnephorum Apollinis sacerdotem […]. Potuit tamen […] esse et daphnephorum”.

372 Cfr. e.g. Mezger 287-8; Burton (1962) 61-2. 373 Vd. Bernardini (1989) e Bernardini in Gentili 286.

374 Per sostenere questa identificazione la studiosa deve ammettere che nella testimonianza di Proclo questo “ragazzo con entrambi i genitori in vita” e il dafneforo coincidano. Come si è detto, tuttavia, la fonte resta poco chiara a questo proposito.

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accostabile in questo ad altre celebrazioni serali o notturne in onore di figure eroiche375.

Nell’interpretazione di Bernardini, quindi, l’epinicio avrebbe trovato spazio nell’ambito della festività precedendo l’esecuzione, a tarda sera, dell’inno delle eroine, ossia del partenio dafneforico376. Come si è accennato, questa lettura dell’ode in funzione della

performance cultuale è stata in seguito ripresa senza che alcuno sollevasse dubbi sulla sua fondatezza, almeno fino allo studio di Pitica 11 condotto da Finglass377.

Come egli ha osservato, in realtà, nessuno degli elementi individuati da Bernardini nel carme ne confermano un’interpretazione specificamente dafneforica378.

Innanzitutto, non c’è nel testo pindarico nessun particolare che giustifichi l’identificazione con un dafneforo del vincitore; di cui inoltre, a differenza di altri epinici, nella nostra pitica non vengono punto fornite caratterizzazioni fisiche o sociali di sorta. Né, d’altro canto, siamo in grado di dedurre, da quanto il poeta accenna a proposito della famiglia del laudando379, la presenza in vita di entrambi i suoi genitori,

indispensabile perché Trasideo potesse essere il παῖς ἀμφιθαλής in lui riconosciuto da Bernardini: se il padre Pitonico compare a v. 43, infatti, l’assenza della madre dal testo non può costituire un argomento e silentio del suo essere ancora viva, come invece vorrebbe la studiosa380. Da ciò consegue che anche la definizione dell’Ismenion in

relazione ai tripodi d’oro in esso conservati non può essere intesa come un esplicito rimando alla Dafneforia, né sarebbe necessario lo fosse: evidentemente, in un santuario

375 A sostegno dell’idea che “la presenza delle eroine giustifica di per sé un rito notturno perché tradizionalmente il periodo stabilito per il loro culto è la sera e la notte”, Bernardini (1989) 45 ricorda

Isthm. 4,61sqq. (cit. supra, p. 14 n. 77), dove la “fiamma” dei riti in onore dei figli di Eracle παννυχίζει. È possibile che anche lo scoliaste di Pitica 11 avesse in mente un rito del genere, e forse lo stesso passo di

Istmica 4, dal momento che parafrasa l’espressione σὺν παννυχίσι. Si può forse osservare, però, che l’espressione usata qui da Pindaro non si riferisce alla “notte”, ma alla “sera”.

376 Una ricostruzione simile a questa si trova già in Boeckh II 2, 338, il quale distingueva tra l’epinicio cantato “in via” e l’inno eseguito “intemplo”.

377 Vd. e.g. Krummen (1990) 274; Sevieri (1997). Ancora recentemente hanno accolto la ricostruzione Currie (2005) 17 e Carey (2007) 202.

378 Finglass (2007) 27-32.

379 Della famiglia di Trasideo è menzionato unicamente il passato vittorioso negli agoni, in quanto adeguato preambolo alla vittoria nello stadio riportata dal giovane laudando (vd. vv. 46sqq.: τὰ μὲν <ἐν> ἅρμασι καλλίνικοι πάλαι/Ὀλυμπίᾳ τ’ ἀγώνων πολυφάτων/ἔσχον θοὰν ἀκτῖνα σὺν ἵπποις,/Πυθοῖ τε γυμνὸν ἐπὶ στάδιον καταβάντες ἤλεγξαν/Ἑλλανίδα στρατιὰν ὠκύτατι).

380 Bernardini (1989) 43. A questo proposito mi sembra utile ricordare che sono comunque eccezionali le occasioni in cui, accanto al padre, il poeta ricorda anche la madre del vincitore: cfr. e.g. Ol. 6,77sqq. e

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apollineo la presenza di tripodi doveva essere comune381. Similmente, il coro di eroine

radunato in occasione della celebrazione non mostra in sé alcun carattere propriamente dafneforico, mentre il fatto che il loro canto debba avvenire ἄκρᾳ σὺν ἑσπέρᾳ non si adatta al rito tebano indicato, per il quale, come sottolinea a ragione sempre Finglass, le nostre fonti non attestano un’esecuzione serale o notturna382.

A queste osservazioni andrebbe aggiunto, a mio parere, che Bernardini associa impropriamente le eroine tebane di Pitica 11 ad altri riti in onore di eroi: nel presente epinicio, infatti, le figure femminili invocate non sono destinatarie della celebrazione, ma ne prendono attivamente parte. Anche la distinzione tra il canto presente e un ipotetico dafneforico cui alluderebbero i vv. 9sqq. non mi sembra sostenibile: sarebbe alquanto anomalo se un partenio per Apollo Ismenio celebrasse in primis θέμιν ἱερὰν Πυθῶνά τε καὶ ὀρθοδίκαν γᾶς ὀμφαλόν383.

Mentre l’argomentazione di Finglass ha avuto il merito di sollevare obiezioni del tutto cogenti alla ricostruzione dafneforica384, non sono però, credo, condivisibili le sue

idee in merito alla rilevanza dell’Ismenion nel carme, a sua volta strettamente connessa con il motivo delfico appena citato:

“The ode may well have been first performed at the Ismenium […]; then again, it may not. Indeed, the very vividness of the description of the Ismenium at the opening may suggest that the ode was sung elsewhere. […] why would the poet need to evoke the place with such insistence if his audience could see it for themselves?”385.

Se la descrizione fornita da Pindaro dell’Ismenion fosse “autonoma” rispetto alla celebrazione in fieri, l’ipotesi di Finglass potrebbe trovare accoglimento, e la suggestiva

381 Secondo Hdt. 1,92,1 anche Creso avrebbe dedicato un τρίπους χρύσεος nel tempio tebano; per il quale lo storico (5,59-61) ricorda anche tre tripodi inscritti a Καδμή α γράμματα e risalenti all’età eroica. 382 D’altra parte, l’indicazione ἄκρᾳ σὺν ἑσπέρᾳ non ci garantisce che con essa il poeta intendesse collocare l’esecuzione dell’epinicio nell’ambito di una cerimonia cultuale specifica: infatti, non credo si possa escludere che la precisazione avesse valore puramente descrittivo, cfr. Ol. 10,73sqq. (ἐν δ᾽ ἕσπερον /ἔφλεξεν εὐώπιδος/σελάνας ἐρατὸν φάος); Nem. 6,37sq. (παρὰ Κασταλίαν τε Χαρίτων/ἑσπέριος ὁμάδῳ φλέγεν [scil. il vincitore]).

383 cfr. Sevieri (1997) 96, la quale, pur riprendendo l’ipotesi di Bernardini, non condivide l’idea che l’inno delle eroine dovesse costituire un carme distinto e successivo rispetto all’epinicio.

384 Non ritengo sia sufficiente a incrinare la validità dell’argomentazione di Finglass l’obiezione ad essa mossa da parte di Currie (2011) 296 n. 115: il fatto che “the Daphnephoria is the only festival we know to have involved a female chorus performing at the Ismenion” non è sufficiente perché si rintracci un rito specifico in un testo che non contiene alcun preciso ed identificabile riferimento ad esso.

385 Finglass (2007) 31-2. Si noti però che Finglass (65) traduce ἴτε di v. 3 con “come”, inappropriato se l’Ismenion non è, come egli ipotizza, la sede dell’esecuzione di Pitica 11.

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immagine del santuario tebano come “veridico seggio di profeti” costituirebbe semplicemente un omaggio del poeta ad uno dei più importanti luoghi di culto della sua città. In realtà, come si è precisato, il κελαδεῖν cui è invitato lo stuolo di eroine radunato presso il tempio apollineo consiste nella celebrazione della sede agonale in cui Trasideo ha riportato la sua vittoria. Quindi, per accettare l’idea che il luogo della performance del nostro epinicio fosse diverso dall’Ismenion, dovremmo immaginare che Pindaro descriva, nei versi proemiali di Pitica 11, l’esecuzione presso il santuario di una sorta di ode “parallela” alla presente386: ma nulla ci autorizza a “duplicare” il canto per Trasideo,

soprattutto in considerazione del fatto che il tempio tebano era senza dubbio la sede più adatta per celebrare Delfi e il successo ivi ottenuto dal laudando.

Il motivo apollineo è il carattere più evidente dell’incipit del carme. Tra il santuario della città e Delfi, infatti, il poeta istituisce un chiaro parallelo, sottolineando per entrambe le sedi religiose la loro natura profetica. Se l’Ismenion viene descritto come ἀλαθὴς μαντίων θῶκος, il luogo della vittoria di Trasideo è definito in modo tale da richiamare esplicitamente l’oracolo che vi aveva sede, mettendone in rilievo la rettitudine dei responsi: “sacra giustizia”387 caratterizza “l’ombelico della terra dai retti giudizi”388.

Al tempo stesso, il dio, raffigurato nell’atto di “onorare” e “denominare” il tempio tebano (vv. 5sq.), è introdotto attraverso l’epiclesi di “Lossia”, tradizionalmente legata al suo carattere di divinità oracolare389. La ragione di questo raffronto va ricercata, credo,

386 Una questione simile, legata alla nostra scarsa conoscenza della prassi esecutiva dei carmi corali e in particolare al concetto di κῶμος, ha interessato altri passi pindarici, tra cui e.g.Isthm. 8,1sqq. (Κλεάνδρῳ τις ἁλικίᾳ τε λύτρον εὔδοξον, ὦ νέοι, καμάτων/πατρὸς ἀγλαὸν Τελεσάρχου παρὰ πρόθυρον/ἰὼν ἀνεγειρέτω/κῶμον). Secondo Lefkowitz (1988) 5 il komos di cui parla qui il poeta sarebbe un altro carme rispetto alla performance epinicia. Come ha però dimostrato Carey (1989) 547-51, analizzando i passaggi in cui il termine compare in Pindaro, il komos coincide di fatto con la celebrazione in fieri, di cui condivide i caratteri e, soprattutto, lo scopo encomiastico. Similmente anche Currie (2005) 16: “The odes abound with references to groups of performers […]. It does not seem significant that the preferred designation for these performers in both Pindar and Bacchylides is κῶμος, not χορός”.

387 L’espressione θέμιν ἱερὰν Πυθῶνά τε è stata molto discussa dagli studiosi per quanto riguarda l’interpretazione dell’ordo verborum. Mentre Gentili, riferendo ἱεράν a Pito, intende il primo termine come la personificazione Themis (Θέμιν), Finglass (2007) 83 ha osservato che non ci sono paralleli simili a questo per la postposizione di τε: piuttosto, l’aggettivo si accompagna a θέμιν, che in questo caso non può essere intesa in senso personificato “as ἱερός does not qualify the names of divinities in classical Greek”. Qui si è accettato il testo di Finglass, che a sua volta corrisponde a quello edito da Snell-Maehler. Anche così, tuttavia, credo si possa essere d’accordo con D’Alessio (2007a) 112 n. 35, per il quale “il termine [scil. θέμιν] non può fare a meno di evocare anche la dea e Pindaro sta probabilmente giocando con entrambi i significati”. Si ricorderà che secondo parte della tradizione Themis avrebbe retto la sede delfica prima dell’avvento di Apollo (cfr. e.g. Aesch. Eum. 2sqq.).

388 Per la corrispondenza tra l’ὀμφαλός pitico e l’oracolo in Pindaro cfr. Pyth. 4,73sq.: ἦλθε δέ οἱ κρυόεν πυκινῷ μάντευμα θυμῷ,/πὰρ μέσον ὀμφαλὸν εὐδένδροιο ῥηθὲν ματέρος.

389 Il termine sembra derivato dall’aggettivo λοξός, “pendente”, “obliquo” e quindi, in senso metaforico, “ambiguo” (vd. Beekes (2010) s.v. λοξός). Con quest’ultima accezione l’epiclesi è stata attribuita al dio-

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nel successo del vincitore: è plausibile che la celebrazione di una vittoria pitica avesse luogo presso il santuario tebano più “prossimo” a quello delfico; e lo stesso Pindaro sembra voler rimarcare questa “vicinanza” 390. A ciò si potrebbe forse obiettare che, una

volta venuta meno la connessione di Trasideo con l’Ismenion garantita dall’interpretazione dafneforica, rimane difficile spiegare perché al giovane laudando sia stato concesso l’onore di una celebrazione presso il tempio cittadino391. Non possediamo,

però, altre pitiche tebane che permettano un confronto con il trattamento di questa vittoria. E, d’altra parte, il poeta sottolinea la rilevanza dell’occasione per la comunità tutta: il canto delle eroine deve essere eseguito “a gloria” non solo “dell’agone di Cirra”, ma anche “di Tebe dalle sette porte”392. Proprio alla luce dell’importanza che la

celebrazione dovette avere nella città si può chiarire, a mio parere, anche la scelta da parte del poeta di affidarne l’esecuzione, almeno a livello metaletterario, all᾿ἐπίνομος ἡρωΐδων στρατός.

La scena proemiale di Pitica 11 non è, in sé, affatto inedita: essa può essere annoverata tra le invocazioni a carattere innico con cui spesso si apre l’epinicio pindarico393. In questi passi il poeta si rivolge con una preghiera ad una città394, ad una

divinità o entità personificata395, oppure, più spesso, alle Muse o al canto396. La richiesta

avanzata riguarda sempre l’ode in fieri, e può consistere nell’invito a riceverla o a prendervi parte. Come è stato osservato, mentre al dio o alle entità astratte può essere chiesto sia di accogliere che di partecipare all’epinicio, le città sono in genere indicate come destinatarie delle odi; al contrario le Muse vengono, ovviamente, sempre pregate di unirsi alla lode del vincitore397. A questo secondo genere di preghiera sembra

corrispondere, con l’imperativo ἴτε (v. 3) e la subordinata finale di v. 9, anche l’incipit

profeta per eccellenza, in riferimento all’oscurità dei suoi vaticini (vd. Frey (1999) 450: “[…] der Bezug zu Apollon als delph. Orakelgott ist aber klar”).

390 Per lo stretto legame tra i due santuari vd. Schachter (1981) 70 e 80-5, dove si ricorda, tra l’altro, che il più antico epiteto di Apollo attestato in Tebe sarebbe stato “Pythios”. Come si è visto (vd. supra, p. 69 n. 371), già Boeckh II 2, 338 riteneva fondamentale il fatto che Trasideo avesse vinto in una sede apollinea