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Peana 7: una processione tebana

3. P INDARO , A POLLO E T EBE

3.3 Peana 7: una processione tebana

Se procedessimo nella lettura della sezione di P. Oxy. 841 che conserva Peana 1, il successivo peana di destinazione tebana in cui ci imbatteremmo sarebbe l’attuale Peana 7 (= fr. 52g; D7 Ruth.)440. Al testo di quest’ultimo contribuisce invero anche un papiro

fiorentino, che permette di integrare i primi tredici versi del componimento, gravemente lacunosi nel papiro ossirinchita441.

Μαντευμ άτ [ω]ν τε θεσπεσίων δοτῆρα καὶ τελεσσιε[πῆ] θεοῦ ἄδυτον [...]ον ἀγλαάν τ’ ἐς αὐλάν Ὠκεανοῖο [ ]υ Μελίας Ἀπόλλωνί γ’ [ ].´[ ὀριδρόμον τ [ σὺν ἀπιομ[ήδ]ει φιλ α [ γανάειν το[..]ν δέ ..[ χέων ῥαθά[μιγ]γα πα [ιάνιδα Χαρίτεσσί μοι ἄγχι θ[ γλυκὺν κατ’ αὐλὸν αἰθερ[ ἰόντι τηλαυγέ’ ἀγ κορυφὰν [ ἥρωα Τήνερον λέγομεν[ον ...]α ταύρων ε ι [ ...]ν προ βωμ[ ...]οιτ.τ.μο[....]παρα [ ... κελ]ά δησαν αὐδάν· ...]αντεσι χρηστήριον442.

La sovrapposizione, con l’ultimo verso del testo ricostruito, di alcune lettere conservate in un ulteriore frammentino papiraceo proveniente da Ossirinco ha spinto Snell a ricondurre anche quest’ultimo alla presente ode: in realtà la connessione resta dubbia443.

440 P. Oxy. V 841 coll. xxxiv-xxxv (fr. 15 coll. i-ii). Tanto i resti di Peana 1, quanto quelli di Peana 7 sono stati ricondotti da Grenfell e Hunt alla medesima sezione di rotolo, di cui essi rappresentano rispettivamente il componimento iniziale e finale (vd. Grenfell-Hunt (1908) 12; cfr. Rutherford 140). 441PSI II 147 frr. Vv-VIv.

442 Rispetto all’edizione Snell-Maehler, il testo di Rutherford si avvale di nuovi contributi apportati alla lettura dei frammenti papiracei da parte di diversi studiosi, nominati ove necessario.

443 Il frammento in questione è P. Oxy. XXVI 2442 fr. 10 (a)+(b): ]αντεσι χρησ ⌞τήριον ]αιδ᾿ ε . [ ]δα[ ]εκρα[ ]ανέ[ ]τ᾿ οὐρα [ ] . [ . Per il carattere puramente “speculativo” della connessione vd. Rutherford 339 (in apparato). Sempre in Snell-Maehler (= Pae. 7(a)-(f)) sono ascritti al peana altri sei

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PSI 147 conserva anche i resti dell’inscriptio del carme, da cui è sicura la sua destinazione tebana444. Quanto resta di questo titolo, inoltre, ha permesso a D’Alessio di

ipotizzare in esso la presenza di un’indicazione di carattere classificatorio: il peana vi sarebbe infatti definito come un προσοδιακός, in riferimento al modo di esecuzione “processionale”445. In effetti, a quanto si ricava da v. 10sqq. (μοι […] ἰόντι τηλαυγέ᾿ ἀγ

κορυφάν), il carme sembrerebbe implicare un movimento del coro incaricato della sua esecuzione: la meta di questo movimento processionale sembrerebbe indicata, a sua volta, nei versi dell’incipit; ma la sua identificazione da parte degli studiosi non è stata finora univoca.

Come suggeriva già Wilamowitz, tutti gli accusativi di vv. 1sqq. dovranno essere intesi come complementi di luogo, o retti ἀπὸ κοινοῦ dalla preposizione ἐς di v. 3, o dipendenti da una forma verbale che ammetta entrambe le reggenze, con o senza preposizione446. Questo verbo è forse rintracciabile, sempre a v. 3, in [...]ον, per cui

Galiano ha proposto [μόλ]ον, mentre D’Alessio [ἦλθ]ον447. Per quanto riguarda gli

accusativi di moto, tuttavia, gli studiosi hanno avuto difficoltà a determinare a chi o a cosa alluda l’espressione “datore di divini vaticini” con cui il peana si apre. Il problema era individuato chiaramente da Vitelli, che curando l’edizione del papiro fiorentino supponeva che con queste parole Pindaro dovesse far riferimento ad Apollo o a Tenero, suo figlio e profeta448; salvo poi ipotizzare, per “conciliar ciò con le parole frammentarie

seguenti”, che v. 1 potesse riferirsi direttamente al peana449. Più recentemente,

Rutherford è tornato a sostenere l’ipotesi che il testo si apra con un’allusione all’indovino Tenero, individuando in μαντευμ άτ [ω]ν τε θεσπεσίων δοτῆρα il primo elemento di

frammentini papiracei, cinque conservati da PSI 147, uno da P. Oxy. 1792 (per quest’ultimo vd. infra, p. 85 n. 461). Tuttavia, anche questi frammenti per Rutherford 340 “need not in fact have anything to do with it [scil. Peana 7]”.

444 Quanto rimane del titolo è riportato da PSI 147 fr. Vv: Θ ΒΑΙΟΙΣ [ΙΣ < 15]|Π ΟΣ…[ < 15]. 445 D’Alessio in Ferrari-D’Alessio (1988) 169 n. 29 sulla base di un’accurata analisi delle tracce di scrittura che restano al secondo rigo del titolo prima della lacuna ipotizza προσο δ ι [ακός. L’indicazione, “derivante da un’edizione dei Peani”, non sarebbe isolata: di un “peana prosodiaco” parla Schol. Isthm. 1,inscr. b (III 197,1 Dr.), che secondo D’Alessio sarebbe da identificare nell’attuale Peana 4.

446 Wilamowitz (1922) 188 n. 1.

447 Galiano (1950-1951) 311; D’Alessio in Ferrari-D’alessio (1988) 170 n. 32. Il fatto che il coro possa dire al v. 3 di essere giunto non è in contraddizione con v. 11, dove il suo movimento è rappresentato in fieri: come ha precisato Ferrari (2000) 226, infatti, si realizzerebbe in questo caso una “distonia fra tempo cantato e tempo del canto” altrove rintracciabile nel corpus pindarico (cfr. e.g. il trattamento del motivo dell’invio del carme in Pyth. 2,67sqq.).

448 Per Tenero vd. supra, p. 67.

449 Vitelli (1913) 73 n. 1. Va precisato che Vitelli integrava il termine παιᾶνα nella lacuna di v. 2, per la quale, però, questa integrazione sarebbe stata troppo lunga (cfr. Bona 148).

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un “rising tricolon”, completato da un riferimento al dio, attraverso la menzione del suo “penetrale che [ne] porta a compimento la parola”, e dall’accenno alla madre del profeta (ἀγλαάν τ’ ἐς αὐλάν/Ὠκεανοῖο […] Μελίας)450.

In realtà, mi sembra che dalla lettura proposta da Rutherford non risulti una e vera e propria climax in quanto la successione Tenero-Apollo-Melia vede il passaggio dall’eroe alla ninfa attraverso il dio. Al contrario, se si ipotizza che l’indovino fosse introdotto dal poeta solo al v. 12, dove il suo nome effettivamente compare, avremmo una focalizzazione progressiva a partire dalla sede oracolare, ricordata ai primi versi, per arrivare al suo profeta, passando per la madre Melia (v. 4) e il padre Apollo (v. 5). In questo caso, il “datore di oracoli” nominato a v. 1 non potrebbe essere altro, credo, che lo stesso tempio del dio, insieme sede oracolare e “splendente dimora” della ninfa451: la sua

personificazione, del resto, sembra garantita dall’aggettivo τελεσσιεπής (v. 2), riferibile con altrettanta sicurezza ad ἄδυτον θεοῦ sulla base di uno scolio a queste parole conservato in P. Oxy. 841. L’annotazione marginale, lacunosa ma ricostruibile grazie ad uno scolio pitico analogo, reciterebbe ἀρσενι- κ]ῶς τὸν ἄδυ τ ον452, evidentemente per

spiegare l’attribuzione del genere maschile, nel componimento, ad un sostantivo di solito neutro. Ora, tenendo in debita considerazione questo scolio Wilamowitz plausibilmente proponeva a v. 2 l’integrazione τελεσσιε[πῆ]453. Ma se il “penetrale del dio” era definito

“realizzatore della [sua] parola” nel peana, esso poteva comparirvi anche come μαντευμ άτ [ω]ν τε θεσπεσίων δοτῆρα: del resto, le due espressioni sarebbero, secondo questa lettura, perfettamente simmetriche, e lo stesso santuario darebbe e compirebbe oracoli in virtù della potenza del suo dio454.

Una volta appurata la centralità della sede apollinea cui sembra volto il movimento processionale ipotizzato per il carme, resta da chiarire quale realmente essa fosse. L’opinione invalsa nella critica pindarica è stata quella di legare l’esecuzione di

450 Rutherford 340-1.

451 Cfr. Bona 149 che dubitanter proponeva per l’inizio di Peana 7 la traduzione “al penetrale dispensatore di divini vaticini, che porta a compimento la sua parola, e allo splendido tempio giunsi”.

452 Cfr. Schol. Pyth. 11,5 (II 254,21 Dr.): πυκνῶς δὲ τίθησιν ὁ Πίνδαρος κατὰ τὸ ἀρσενικὸν τὸν ἄδυτον.

453 Wilamowitz (1922) 188 n. 1. L’integrazione è poi stata accettata da Snell-Maehler, Bona e Rutherford. Al contrario, Galiano (1950-1951) 310 proponeva di scrivere τελεσσιε[πές] in base allo scolio (o, a quanto resta di esso) in margine a v. 2 ( Π Σ). Tuttavia, come ha acutamente osservato Bona 148, se per Galiano lo scolio conservava una variante testuale, non è chiaro come essa potesse coincidere con la forma che egli suppone fosse già nel testo.

454 Cfr. Rutherford 340-1 per il quale “the seer gives oracles, but it is the god who brings the words to fulfilment”. In quanto rimane di v. 3 però il dio compare come complemento di specificazione rispetto al proprio penetrale; ed è quest’ultimo ad occupare il centro dell’incipit del peana.

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quest’ode tebana ad una celebrazione tenutasi presso il tempio dello Ptoion. Per quest’ultimo Pindaro avrebbe composto un inno, conservatoci dai frr. 51a-d455: qui si

narrerebbe la fondazione della stessa sede apollinea da parte del dio, che

προ[.]ινηθεὶς ἐπῇεν

γᾶν τε καὶ <– –> θάλασσαν

καὶ σκοπιαῖσιν [ἄκρ]αις ὀρέων ὕπερ ἔστα

καὶ μυχοὺς διζάσατο βαλλόμενος κρηπῖδας ἀλσέων456.

Appunto durante le sue peregrinazioni egli avrebbe preso possesso della “valle dalle tre cime delle Ptoion”, monte situato nella Beozia nord-orientale, nelle vicinanze di Acraifia e del Lago Copaide. In effetti, a quanto sembra di capire, in questa località il culto del dio olimpico si sarebbe imposto rispetto al precedente culto di un eroe locale, Ptoios appunto; il quale, nella “rilettura” apollinea testimoniata da fr. 51c, sarebbe stato poi identificato con un figlio di Apollo457. Un altro discendente del dio, il nostro Tenero, sarebbe poi stato

posto a capo dell’oracolo del tempio, sempre secondo un frammento ricondotto all’inno pindarico458.

Il fatto che il profeta tebano potesse essere connesso con il santuario dello Ptoion ha fatto dunque preferire agli studiosi l’ipotesi che Peana 7 sia stato composto dal poeta per questa sede cultuale, su cui, in questo modo, Tebe avrebbe esteso la propria influenza459. Accanto a questo, tuttavia, un altro argomento fondamentale portato a

455 Questi frammenti (derivati da Strab. 9,2,33sq., cui si aggiunge Herodian. ap. Reitzenstein, Geschichte

der griechischen Etymologika 305,16 eSchol. Paus. 9,23,6) sono ricondotti sulla base dei loro testimonia

ad un inno ΙΣ ΑΠΟΛΛΩΝΑ ΠΤΩΙΟΝ già da Schröder, e la ricostruzione è stata in genere accolta da editori (vd. Snell-Maehler) e studiosi (cfr. Wilamowitz (1922) 188). Al contrario, Wagman (1986) ha messo in dubbio l’associazione dei testi in questione, sostenendo anche che lo scolio a Pausania (= fr. 51c), sulla base del quale il componimento è stato ascritto agli inni, sia stato connesso in modo arbitrario ai frammenti. Se per quanto riguarda l’attribuzione al genere innico si può essere d’accordo con l’obiezione mossa da Wagman (cfr. D’Alessio (1997) 31-2 e n. 50, dove si avanza l’ipotesi che i frammenti conservati da Strabone (= 51a, 51b e 51d) potessero piuttosto appartenere ai prosodi), d’altra parte la prossimità delle citazioni in Strabone rende a mio parere plausibile il fatto che il geografo attingesse al medesimo carme pindarico.

456 Fr. 51a.

457 Per il santuario dello Ptoion e le sue caratteristiche cultuali vd. Schachter (1981) 52-73; per il “classic pattern of Apolline usurpation” consistente nell’unione con una figura mitica locale del dio, che grazie ad essa diventa padre del contendente sconfitto, così “reintegrato” nel nuovo culto vd. in particolare 58-9. 458 Fr. 51d: (τὸν Τήνερον) <–⏑⏑?> ναοπόλον μάντιν δαπέδοισιν ὁμοκλέα. Per la figura tebana allo Ptoion un resoconto recente delle varie interpretazioni si può trovare in Olivieri (2004).

459 Vd. Olivieri (2004) 58: “per l’oracolo di Apollo Ptoios Pindaro compose forse due carmi, commissionatigli dai Tebani quando era ormai consolidato il loro controllo sulla regione del monte Ptoio: i frr. 51a-d […], e il Peana 7”.

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sostegno dell’identificazione consiste nella conformazione montuosa ricordata da Pindaro per lo Ptoion, il quale potrebbe facilmente corrispondere alla “cima lungisplendente” nominata a Pae. 7,11. Stando così le cose, già Wilamowitz concludeva che, se pure il testo si presenta di difficile comprensione data la scarsità dei suoi resti,

“Sicher ist nur daß der Paean dem Apollon des Ptoion gegolten hat, als dessen Stifter, seit Theben die Gegend beherrschte, der Teneros des Ismenion galt”460.

Accettando l’attribuzione proposta da Wilamowitz, infine Snell-Maehler integrano l’inscriptio del peana conseguentemente Θ ΒΑΙΟΙΣ [ΙΣ ΠΤΩΙΟΝ?] e propongono di ricondurre al carme un ulteriore frammento, conservato da un papiro diverso dagli altri due recanti tracce del nostro componimento, in cui sembra nominato il santuario prescelto461. Tenendo presente l’ubicazione dello Ptoion, inoltre, Snell immagina a v. 6

una processione “in corsa sui monti” (ὀρ‹ε›ιδρόμον τ [ε κῶμον)462.

In realtà, il frustulo papiraceo connesso con il nostro peana sembrerebbe poter essere attribuito piuttosto ad un altro componimento dedicato allo Ptoion463. E d’altra

parte, l’aggettivo usato dal poeta a Pae. 7,6 avrebbe potuto essere riferito ad una divinità, in particolare alla dea Artemide che, come ha fatto notare D’Alessio, è descritta come ὀριδρόμος nel frammento di un peana attribuito a Simonide, e potrebbe facilissimamente venire nominata in un contesto apollineo come il nostro 464. Se si presta

attenzione a quanto resta del carme, poi, si noterà che a vv. 14sq. sembra essere presente il riferimento ad un altro particolare del rito cui l’ode dovette essere destinata: ταύρων e προ βωμ[ lasciano infatti pensare ad un sacrificio animale, forse in connessione con un responso oracolare (v. 17: χρηστήριον). Come ha recentemente precisato Kowalzig, tutti i santuari apollinei del cosiddetto “Boiotian cult complex”, individuato da Schachter nelle maggiori sedi del dio dislocate attorno al Lago Copaide465, prevedevano pratiche

460 Wilamowitz (1922) 187.

461P. Oxy. XV 1792 fr. 47: ...| ]τριαινα[ | ]εν Πτωιω[ι ⊗|⊗ ]εν σοφ[ .

462 In questa accezione l’aggettivo è impiegato in Eur. Bacch. 985, ad indicare appunto gli ὀρειβάσια delle baccanti cadmee.

463 Vd. D’Alessio (1997) 31 n. 50, che propone di attribuire P. Oxy. 1792 fr. 47 alla medesima ode cui apparterrebbero frr. 51a, 51b e 51d; cfr. Rutherford 435, che ritiene invece incerto il carme di provenienza del frammento.

464 D’Alessio (1991) 99; vd. Sim. fr. 519,35b,7 PMG. Per la presenza di Artemide in un peana pindarico cfr. e.g.Pae. 4,1.

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idromantiche per il loro oracolo, tranne uno: l’Ismenion tebano466. Qui, stando alle nostre

fonti, i vaticini erano dati mediante l’interpretazione dei sacrifici, come ad Olimpia467. Se

questo dettaglio può forse sembrare insufficiente per attribuire Peana 7 al santuario della città, si consideri anche la centralità della figura di Melia per l’ἄδυτος con cui si apre il carme e a cui la processione ipotizzata per esso dovette essere indirizzata: il “penetrale del dio” è al contempo definito “sede splendida” della ninfa. Ma, come sappiamo da Pitica 11, Melia era indissolubilmente legata all’Ismenion, e, come ha avuto il merito di osservare Rutherford, “even if the cult of Tenerus had moved to the Ptoion, we have no evidence that the cult of Melia moved in the same way”468: effettivamente, non si hanno

notizie della presenza della ninfa nel culto dello Ptoion, in relazione al quale essa non compare neppure nei frammenti pindarici citati a proposito della sede apollinea (frr. 51a- d)469. Né in merito varrà l’obiezione avanzata da Olivieri, per la quale “l’eroina tebana

poteva essere nominata per illustrare la genealogia di Tenero” senza che la sua menzione implicasse un riferimento alla sua sede nella città470: è infatti lo stesso Pindaro a

richiamare esplicitamente non tanto l’eroina quanto la sua “dimora”.

In concreto, una sola, fondata obiezione resta contro l’ipotesi che il poeta avesse apprestato la nostra ode per un’esecuzione processionale da tenersi presso l’Ismenion: il fatto che quest’ultimo non sembrerebbe a rigore definibile, a differenza del montuoso Ptoion, τηλαυγὴς κορυφά. In realtà, però, anche il tempio tebano era collocato su un’altura secondo quanto racconta Pausania:

ἔστι δὲ λόφος ἐν δεξιᾷ τῶν πυλῶν ἱερὸς Ἀπόλλωνος· καλεῖται δὲ ὅ τε λόφος καὶ ὁ θεὸς Ἰσμήνιος, παραρρέοντος τοῦ ποταμοῦ ταύτῃ τοῦ Ἰσμηνοῦ471.

466 Kowalzig (2007) 376.

467 Vd. Hdt. 8,134,1 (ἔστι δὲ κατά περ ἐν Ὀλυμπίῃ ἱροῖσι αὐτόθι [scil. presso l’Ismenion] χρηστηριάζεσθαι); Soph. Oed. Tyr. 21 (ἐπ᾽ Ἰσμηνοῦ τε μαντείᾳ σποδῷ); schol. ad loc. (= Philoch.

FGrH 328 F 193). Cfr. Ant. 998sqq.: γνώσῃ, τέχνης σημεῖα τῆς ἐμῆς κλυών./ἐς γὰρ παλαιὸν θᾶκον ὀρνιθοσκόπον/ἵζων, ἵν’ ἦν μοι παντὸς οἰωνοῦ λιμήν,/ἀγνῶτ’ ἀκούω φθόγγον ὀρνίθων, κακῷ/κλάζοντας οἴστρῳ καὶ βεβαρβαρωμένῳ·/καὶ σπῶντας ἐν χηλαῖσιν ἀλλήλους φοναῖς /ἔγνων· πτερῶν γὰρ ῥοῖβδος οὐκ ἄσημος ἦν./εὐθὺς δὲ δείσας ἐμπύρων ἐγευόμην/βωμοῖσι παμφλέκτοισιν· ἐκ δὲ θυμάτων/Ἥφαιστος οὐκ ἔλαμπεν, ἀλλ’ ἐπὶ σποδῷ/μυδῶσα κηκὶς μηρίων ἐτήκετο/κἄτυφε κἀνέπτυε, καὶ μετάρσιοι/χολαὶ διεσπείροντο, καὶ καταρρυεῖς/μηροὶ καλυπτῆς ἐξέκειντο πιμελῆς. 468 Rutherford 343-4.

469 Cfr. Schachter (1981) 60 che sottolinea l’assenza di una figura femminile nel culto dello Ptoion. 470 Olivieri (2004) 58 n. 22.

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Lo stesso Pindaro, del resto, aveva in mente una conformazione tutt’altro che pianeggiante per la sua città quando scriveva

λιπαρᾶν τε Θηβᾶν μέγαν σκόπελον472.

Pertanto, mentre non è impossibile che l’Ismenion fosse raffrontato ad una “cima lungisplendente”, sarebbe molto difficile immaginare per lo Ptoion un rito ed una figura cultuale ad esso, fino a prova contraria, estranei. Come si avrà occasione di osservare anche per Peana 9, Melia aveva la sua sede esclusiva nel tempio tebano: il cui oracolo il poeta celebra in Peana 7, così come in Pitica 11.