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Peana 1: una corona di εὐνομία per la città

3. P INDARO , A POLLO E T EBE

3.2 Peana 1: una corona di εὐνομία per la città

La rilevanza dell’Ismenion per la comunità tebana, già presente con chiarezza nell’ode per Trasideo, emerge in maniera ancora più evidente se si considerano i peani composti da Pindaro per Tebe411. In particolare, gli esigui resti di Peana 1, pur nella loro

brevità, ci offrono, come vedremo, l’occasione di osservare in che modo il poeta dia voce alla celebrazione di un rito apollineo della propria città.

Del Peana 1 (= fr. 52a; D1 Ruth.), restituito dal celebre P. Oxy. 841, sono conservati soltanto i versi finali, ossia la conclusione dell’ultima antistrofe e l’epodo seguente: πρὶν ὀδυνηρὰ γήραος σ [. . . μ]ο λεῖν, πρίν τις εὐθυμίᾳ σκιαζέτω νόημ’ ἄκοτον ἐπὶ μέτρα, ἰ δών [⸏ ]δύναμιν οἰκόθετον. ἰ]ὴ ἰή, νῦν ὁ παντελὴς Ἐνιαυτός Ὧρα[ί] τε Θεμίγονοι πλάξ]ιππον ἄστυ Θήβας ἐπῆλθον Ἀπόλ]λ ω ν ι δ α ῖτα φιλησιστέφανον ἄγοντες· Παιὰ]ν δὲ λαῶν γενεὰν δαρὸν ἐρέπτοι [⸎]σαό]φρονος ἄνθεσιν εὐνομίας412.

Non sappiamo quanto dovesse essere lungo il carme, né per quale occasione esso sia stato composto dal poeta. La destinazione tebana, tuttavia, sembra essere provata con sicurezza dalla menzione della città a v. 7, dove essa riceve, se l’integrazione proposta da Housman è corretta413, il medesimo epiteto che Pindaro le attribuisce a Ol. 6,85414. Per

quanto riguarda la festività in occasione della quale il peana dovette essere eseguito,

411 Il testo dei peani è qui riportato secondo la più recente edizione di Rutherford.

412P. Oxy. V 841 col. i (fr. 1). Il testo di Rutherford si distacca da quello stampato da Snell-Maehler nelle intergrazioni degli ultimi due versi: per queste, infatti, Rutherford accetta le proposte avanzate da D’Alessio (1988) 1443 e 1445 sulla base di una più attenta considerazione dell’ampiezza delle lacune del frammento.

413 Housman (1908) 8, che proponeva anche, in alternativa, λεύκιππον. Pure questo aggettivo, in effetti, è riferito alla città in Pyth. 9,83 (λευκίπποισι Καδμείων μετοικήσαις ἀγυιαῖς).

414 Incomprensibile in questo senso la proposta di Irigoin (1952) 83, secondo cui Pae. 1 costiturebbe la conclusione di Pae. 7b: quest’ultimo infatti non è destinato alla città del poeta, ma a Delo; cfr. Rutherford 254 n. 1, dove questa proposta è respinta, mentre si sostiene l’ipotesi che ad appartenere alla nostra ode potesse essere piuttosto Pae. 7c, sulla base della probabile presenza in quest’ultimo della parola Ἰσμην ί α [ις (v. 7).

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invece, i primi editori proponevano, ancora una volta, le Dafneforie presso l’Ismenion come possibile contesto per il canto, in considerazione del fatto che il rito è definito a v. 8 δαίς φιλησιστέφανος415. Come nel caso di Pitica 11, questa idea ha poi finito per

prevalere trovando il favore, tra gli altri, di Farnell e Bona416. Più recentemente, al

contrario, Rutherford ha escluso la possibilità che il testo alluda a questa celebrazione in quanto esso fa riferimento all’“Anno che si compie”417: questo lascerebbe intendere,

quindi, per il nostro peana una festività a carattere annuale, che mal si adatterebbe alla periodicità del rito a noi nota da Proclo, per il quale esso si svolgeva ogni otto anni418.

Come si è detto in precedenza, infatti, per quanto Pausania non confermi questo dato, riferendo che il rito dafneforico era celebrato ogni anno in Tebe, la testimonianza di Proclo è in genere sembrata degna di maggior fede rispetto a quella del periegeta per la ricostruzione della fase più antica del rito419.

D’altra parte, gli studiosi che hanno proposto le Dafneforie come occasione per il Peana 1, contrariamente a quanto lascerebbe pensare l’obiezione sollevata loro da Rutherford, non hanno tralasciato di spiegare ὁ παντελὴς Ἐνιαυτός in relazione alla celebrazione. Infatti, secondo Farnell, seguito da Bona420, “the epithet παντελής suggests

that this is not the ordinary year, but the great year of the ἐννεατηρίς”, il che corrisponderebbe alla periodicità supposta per il rito tebano. In realtà, però, Farnell non illustra questa lettura del sintagma con alcun riferimento ad altri passi, pindarici o non, in cui il termine ἐνιαυτός assuma questa caratterizzazione novennale. In effetti, il sostantivo in questione è attestato anche per indicare un ciclo o periodo di più anni421,

così come il “Grande Anno” pitagorico cui Farnell sembrerebbe richiamarsi: le nostre fonti in merito, tuttavia, non ci dicono che esso durasse nove anni422; e per quanto

l’ἐννεατηρίς possa aver avuto un significato astronomico particolare, dal momento che il calendario basato sul suo computo permetteva di avere corrispondenza tra il ciclo solare e

415 Grenfell-Hunt (1908) 82. 416 Cfr. Farnell (1932) 392; Bona 5. 417 Cfr. Slater (1969a) s.v. παντελής.

418 Rutherford 256; vd. Procl. Chrest. 75sqq. in Phot. Bibl. cod. 239, 321b,12 (cit. supra, p. 68 n. 368). 419 Vd. supra, pp. 68sq.

420 Va detto che Bona 13 si mostra meno sicuro di Farnell per quanto riguarda questa interpretazione, ammettendo che “che si tratti del Grande Anno è possibile, ma non sicuro”.

421 Vd. LSJs.v.

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quelli lunari423, nulla ci permette di intendere un riferimento ad essa nel παντελὴς

Ἐνιαυτός di Pae. 1,5.

Anche per il presente carme, come per la pitica tebana, dunque, i tentativi di connessione con le Dafneforie non sono stati in grado di legare plausibilmente il testo con il rito. Il semplice riferimento alle “corone” del “banchetto” offerto al dio (v. 8), del resto, non ci dice niente che possa essere inteso come elemento caratteristico di una festività particolare, vista la sua genericità424. In ogni caso, in mancanza di indicazioni

contrarie e considerando la destinazione tebana, possiamo ipotizzare con buon grado di verosimiglianza, a mio parere, l’esecuzione dell’ode presso l’Ismenion425. Come ha

suggerito Rutherford, poi, la presenza dell’“Anno” e delle Horai, così come l’idea che il loro sopraggiungere in città rechi il δαίς apollineo, lascia intravedere una celebrazione connessa con il ciclo stagionale, forse in occasione del raccolto426. In questo caso,

potremmo immaginare per la figura di Apollo una sorta di corrispondenza con il sole, che sembrerebbe rintracciabile, come si avrà modo di vedere, anche in Peana 9427. Se così

fosse, il nostro canto potè probabilmente essere eseguito durante una festività simile alle attiche Targhelie e Pianepsie: a quanto sappiamo, queste celebrazioni in onore di Apollo prevedevano, infatti, offerte a Helios e alle Horai428. L’unico problema posto da questa

ricostruzione è dato dal fatto che il testo pindarico sembra alludere ad un rito celebrato alla fine dell’“Anno che si compie”, fissata dal calendario beotico al solstizio d’inverno: evidentemente, un periodo ben poco appropriato per una “festa del raccolto” 429. Come

ha però ragionevolmente osservato sempre Rutherford

423 Vd. Sbordone (1940) 35.

424 Cfr. Hurschmann (1999) 806: “Aus Blumen, Blättern und Zweigen geformt oder in deren Nachbildung […] gefertigt, ist der Kranz Bestandteil griech. und röm. Alltags- und Kulturlebens, ein Symbol der Weihung, Auszeichnung und des Schmuckes für Menschen und Götter”.

425 Cfr. Apoll. Rhod. 1,536sqq.: οἱ δ’, ὥστ’ ἠίθεοι Φοίβῳ χορὸν ἢ ἐνὶ Πυθοῖ/ἤ που ἐν Ὀρτυγίῃ ἢ ἐφ’ ὕδασιν Ἰσμηνοῖο/στησάμενοι, φόρμιγγος ὑπαὶ περὶ βωμὸν ὁμαρτῇ/ἐμμελέως κραιπνοῖσι πέδον ῥήσσωσι πόδεσσιν. Kowalzig (2007) 371 erroneamente afferma che “Paean 1 has the Ismenion in its title”.

426 Rutherford 256. Per quanto riguarda la menzione delle Ὧραι si ricordi che esse compaiono anche nell’Inno Primo (fr. 30), dove ne è narrata la nascita da Zeus e Themis, pure ricordata a Pae. 1,6. Anche nel frammento innico, peraltro, Pindaro sembra sottolineare la natura di “Stagioni” di queste divinità, attribuendo loro l’epiteto di ἀγλαόκαρποι.

427 Vd. infra, p. 89 per le testimonianze antiche in merito all’identificazione del dio con l’astro.

428 Vd. Schol. Aristoph. Equ. 729d: Πυανεψιῶνι καὶ Θαργηλιῶνι μηνί […] Ἡλίῳ καὶ Ὥραις ἑορτάζουσιν Ἀθηναῖοι; cfr. Porph. De abst. 2,7: […]ἡ Ἀθήνησιν ἔτι καὶ νῦν δρωμένη πομπὴ Ἡλίου τε καὶ Ὡρῶν.

429 Per la scansione dell’anno beotico vd. Plut. Pelop. 24,1: καίτοι χειμῶνος μὲν ἦσαν αἱ περὶ τροπὰς ἀκμαί, μηνὸς δὲ τοῦ τελευταίου φθίνοντος ὀλίγαι περιῆσαν ἡμέραι. Sulla base dell’indicazione

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“Still, perhaps the reference here is to the conclusion of the agricultural cycle in the early summer, which for the purposes of poetry and cult might have taken precedence over the conventional chronological framework imposed by the calendar”430.

Comunque stiano precisamente le cose a proposito del rito cui dovette essere destinato, in ogni caso Peana 1 resta a mio avviso un testo molto interessante per quanto riguarda il contenuto dei suoi, pur pochi, versi: in essi, infatti, si può notare come alcuni motivi ricorrenti nella produzione epinicia pindarica per Tebe siano declinati in ambito collettivo e sacrale.

Innanzitutto, la chiusa dell’ultima antistrofe del componimento contiene una formulazione di carattere gnomico accostabile ad altre inserite dal poeta nelle lodi di atleti vincitori, e in particolare tebani. In questi versi, la persona loquens invita gli ascoltatori (e i lettori), prima del sopraggiungere dei “dolori della vecchiaia”, a “ombreggiare”, “mettere al riparo della gioia”431 secondo misura il loro νόημ᾿ ἄκοτον,

constatando “le risorse della casa”. Come si ricorderà, l’immagine di una vecchiaia “serena” compare anche in Istmica 7, dove l’io parlante si augura che ὁ δ’ ἀθανάτων μὴ θρασσέτω φθόνος432. Oltre a questo passo, spesso citato a proposito del nostro

carme433, anche Pyth. 11,55sqq. propone la “versione epinicia” di una sententia simile a

quella del peana: raggiunge “una migliore estremità della nera morte” chi, una volta ottenuto il successo, eviti “terribile insolenza”, comportandosi con moderazione e lasciando “la grazia di un buon nome alla dolcissima stirpe”. Come si vede, sia qui che in Peana 1 ricorrono i motivi della vecchiaia/morte e della moderazione, contestuale al rifiuto dell’ὕβρις così come del κότος; soprattutto, in entrambi i passi è evidente la

pindarica Wilamowitz (1922) 186 ipotizzava che “Der Bittgang gilt der Neujahrsfeier, die wie bei uns nach der winterlichen Sonnenwende stattfand”.

430 Rutherford 256.

431 L’uso di σκιάζω in senso metaforico si trova solo in Pindaro, qui e a Pae. 6,180sq. (τὸνδ ε [καὶ] σ τεφάνοισί νιν/πανθαλέος ὑγιε[ίας] σκιάζετε).

432Isthm. 7,39sqq. Per l’interpretazione di questa affermazione vd. infra, pp. 113sqq.

433 Cfr. Bona 6, che come parallelo per il tema della vecchiaia dolorosa ricorda anche Mimn. fr. 1,5sqq. West2 ([…] ἐπεὶ δ’ ὀδυνηρὸν ἐπέλθηι/γῆρας, ὅ τ’ αἰσχρὸν ὁμῶς καὶ κακὸν ἄνδρα τιθεῖ,/αἰεί μιν φρένας ἀμφὶ κακαὶ τείρουσι μέριμναι,/οὐδ’ αὐγὰς προσορῶν τέρπεται ἠελίου,/ἀλλ’ ἐχθρὸς μὲν παισίν, ἀτίμαστος δὲ γυναιξίν·/οὕτως ἀργαλέον γῆρας ἔθηκε θεός). Evidentemente, però, come nota lo stesso Bona mentre per Pindaro anche il γῆρας può riservare gioia, il poeta elegiaco mostra un’attitudine del tutto negativa di fronte ad esso.

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centralità dell’οἶκος434. Ovviamente, cio che “manca” nel canto cultuale rispetto

all’epinicio è l’accenno al successo del vincitore, ineludibile nella pitica ed estraneo alla dimensione collettiva e religiosa del peana435.

Sebbene in quest’ultimo componimento venga meno il tema della vittoria, un’immagine caratteristica della celebrazione del laudando compare, sempre in chiave sacrale, nell’epodo di Peana 1. Qui la focalizzazione del discorso passa dall’individuo e dalla sua esistenza alla comunità riunita per la festa apollinea436. In favore di questa stessa

comunità Pindaro chiude l’ode, pregando Paian di “cingere a lungo la stirpe dei cittadini di fiori di buongoverno”. Per quanto motivata dall’impiego di corone anche in ambito rituale437, la metafora non può, credo, non richiamare alla mente del lettore degli epinici,

e nello specifico di quelli tebani, alcuni loci similes. Se in Pitica 11, infatti, il vincitore tebano incorona, grazie al suo successo, la propria ἑστία πατρῴα, a Isthm. 1,10sqq. è l’intero Κάδμου στράτος a ricevere corone ἐξ ἀέθλων dal laudando Erodoto. In questo senso, un ulteriore punto di contatto tra il presente carme cultuale e gli epinici tebani è rappresentato dalla preghiera che conclude Istmica 7, sorprendentemente simile a quella del peana:

ἄμμι δ’, ὦ χρυσέᾳ κόμᾳ θάλλων, πόρε, Λοξία, τεαῖσιν ἁμίλλαισιν

εὐανθέα καὶ Πυθό στέφανον438.

Chiaramente, l’εὐνομία sotto il cui segno Peana 1 termina definisce la dimensione più latamente pubblica della sua invocazione; la quale tuttavia, per esprimere un concetto politico439, ripropone un’immagine che dai carmi pitico e istmici del poeta poteva essere

ben nota, prima che al lettore, al pubblico tebano.

434 Con Bona 12 ritengo che la δύναμις οἰκόθετος di Pae. 1,4 non risieda semplicemente nelle risorse materiali del singolo, ma anche nelle persone a lui vicine, in primis i figli (cfr. a questo proposito Ol. 5,22 sq.: ἐπιτερπόμενον φέρειν γῆρας· εὔθυμον ἐς τελευτάν/υἱῶν, Ψαῦμι, παρισταμένων).

435 Nel corpus tebano anche a Parth. 1,16sqq. un οἶκος μὴ λιπότεκνος è motivo di una vita priva di sofferenza. Per la possibilità che l’ode in questione vada collocata tra i dafneforici sulla base della commistione di elementi epinici e cultuali rintracciabile in essa vd. infra, pp. 134sqq.

436 Vd. Rutherford 255: “In the four lines before the epode the subject is the individual and his οἶκος, in the epode it is the broader community of the πόλις”.

437 Vd. supra, p. 78.

438Isthm. 7,49sqq. Per un’analisi della prima persona di questi versi vd. infra, p. 117.

439 Per la presenza di εὐνομία Pae. 1 può essere accostato anche al già analizzato fr. 109 (vd. supra, pp. 57sqq.), in cui compare il concetto, opposto, di στάσις cittadina.

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