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2.2 Il sistema logistico

Il sistema logistico italiano, pur essendo caratterizzato da elevate potenzialità, non riesce ancora a soddisfare pienamente la domanda espressa dalle imprese italiane e fatica ad affermarsi come interlocutore a livello europeo. Ciò contribuisce a determinare un “disavanzo di competitività” pari a circa 12 miliardi di euro sul fatturato industriale, solo 4 miliardi di euro derivano da un gap strutturale, i restanti 8 possono essere facilmente recuperati intervenendo sulle criticità operative o sulle inefficienze di sistema177. La quota strutturale del gap logistico italiano appare connessa alle caratteristiche fisiche del Paese e alla sua struttura produttiva. Un tessuto imprenditoriale diffuso, caratterizzato dalla prevalenza di piccole e medie imprese e un’orografia come quella italiana richiedono, infatti, una logistica più complessa rispetto ad una realtà con un tessuto produttivo più concentrato o con un territorio meno impervio. Questi aspetti influenzano anche la composizione del costo logistico italiano che, rispetto alla media degli altri Paesi europei, appare sbilanciato verso la componente di trasporto a cui è riconducibile circa il 73,3 per cento della spesa logistica complessiva, mentre il magazzinaggio e servizi ad alto valore aggiunto, rappresentano una quota totale del 26,7 per cento circa (la media della UE27 segna un 65% circa di costo di trasporto e un 35% per magazzinaggio e servizi).

161 In linea generale, la logistica integrata può essere considerata come un “processo di pianificazione, implementazione e controllo dell’efficiente ed efficace flusso e stoccaggio di materie prime, semilavorati e prodotti finiti e delle relative informazioni dal punto di origine al punto di consumo, con lo scopo di soddisfare le esigenze dei clienti”178. Ma l’affermarsi oggi di un modello distributivo caratterizzato dal progressivo allontanamento dei luoghi di produzione da quelli di consumo, ha reso necessario superare la nozione di logistica come mero processo di movimentazione dei carichi; quindi la nozione appare troppo ampia rispetto al sistema nazionale che comprende accanto all’attività di trasporto (che rimane il costo principe della logistica italiana), c’è quella di magazzinaggio, gestione scorte e servizi ai clienti, il cosiddetto warehousing che ricopre circa il 30 per cento dei costi della logistica tradizionali in Italia.

Data l’incidenza del trasporto sul costo logistico diventa fondamentale ottenere una logistica efficiente ed economica, quindi necessaria la presenza di infrastrutture di trasporto adeguate e ben distribuite sul territorio, tale necessità riguarda sia i nodi, rappresentati principalmente dai porti e dagli interporti, sia le reti stradali e ferroviarie di collegamento terrestre. Pertanto, tante sono le modalità di trasporto e la scelta tra queste avviene sulla base della distanza, del volume, del valore della merce o dalla sua deperibilità. In questo contesto va a inserirsi il trasporto intermodale, cioè la possibilità di passare da un vettore all’altro senza procurare danni al carico, grazie all’uso di container e casse mobili. In Italia le principali tipologie di trasporto intermodale riguardano l’instradamento su gomma o ferro dei carichi da/per gli scali portuali (intermodalità mare-ferro e mare-strada), ovvero quella relativa ai trasbordi strada-ferro. Altrove, dove è più diffusa la navigazione fluviale, anche l’intermodalità relativa alla navigazione interna appare piuttosto sviluppata179. È

evidente, dunque, la necessità di concepire le infrastrutture logistiche efficaci,

178

Definizione formulata dall’Associazione italiana di Logistica - AILOG

162

adeguatamente interconnesse e dimensionate, che consentano una

movimentazione dei carichi quanto più fluida possibile.

I principali nodi intermodali presenti in Italia sono: porti, interporti e terminal. Per porto180 si intende un complesso di attività e servizi teso ad espletare funzioni connesse alla navigazione, gli interporti sono infrastrutture dedicate allo scambio modale e all’interconnessione fra le diverse reti di trasporto, i terminal sono strutture in cui vengono gestiti e movimentati i container marittimi al fine di cambiarne modalità di trasporto. Per parlare di terminal è necessario che vi sia il cambio di almeno due mezzi di trasporto, generalmente un terminal container viene associato alla movimentazione di container fra navi portacontainer e fra navi e veicoli terrestri, quali treni o camion; in questo caso viene definito terminal container marittimo. Analogamente la movimentazione può avvenire fra veicoli terrestri, tipicamente tra treno e camion, in questo caso viene definito terminal container interno, solitamente un interporto181.

Ai sensi dell’art. 28 codice di navigazione, il porto costituisce uno dei beni immobili che appartengono al demanio marittimo ed è assoggettato alla disciplina generale dettata per quella categoria di beni pubblici. In particolare, “i porti non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano”. È ritenuto che la ratio della demanialità del porto debba individuarsi nell’interesse a garantire i pubblici usi

180 La definizione la ritroviamo nell’art.822 del codice civile e negli artt. 28 e seguenti del codice della

navigazione. Nel diritto della navigazione per porto si intende: da un punto di vista fisico può definirsi porto quella zona sulla riva del mare, di un lago o di un fiume, che per configurazione naturale o per le opere artificiali costruite dall’uomo, può dare ricovero alle navi consentendo operazioni di imbarco e sbarco di merci e passeggeri. Il porto è considerato un bene immobile che fa parte del demanio marittimo ed è assoggettato alla disciplina generale dettata per tutti i beni demaniali. Invece, nel diritto internazionale la disciplina relativa ai porti viene in rilievo nell’ambito del diritto del mare e nell’ambito della delimitazione dell’autorità dello Stato rispetto agli Stati stranieri. Dal punto di vista del diritto del mare, il diritto internazionale generale stabilisce il principio fondamentale della libertà, per ogni Stato, di disciplinare a proprio piacimento l’ingresso delle soli navi straniere nei propri porti. Per quello che concerne, invece, il diritto diplomatico e consolare, un punto fermo nella disciplina dei porti è il principio in base al quale allo Stato costiero è vietata ogni interferenza rispetto ai fatti interni di una nave straniera attraccata nel suo porto. La giurisdizione dello Stato costiero può, però, estendersi sulla nave straniera in casi di avvenimenti di rilievo anche esterno, in caso di fatti particolarmente gravi tali da turbare l’ordine pubblico dello Stato costiero e, infine, nel caso in cui l’intervento dello Stato di ormeggio sia richiesto dalle autorità di bordo o dal Console. Definizioni da Dizionario giuridico.

163 del mare e lo sviluppo dei traffici, anche a vantaggio dell’intera economia nazionale. La definizione data dall’articolo, indica il porto da un punto di vista fisico: tratto di costa, bacini ad esso pertinenti, e la apposite strutture artificiali che, per la loro particolare conformazione, costituiscono aree tipicamente deputate all’approdo e alla sosta delle navi. Pertanto, si può definire porto quell’ambiente che presenta due elementi costitutivi: un elemento di natura spaziale la cui estensione è definita dalla conformazione geografica dei luoghi e dagli interventi strutturali apportati dall’uomo, ed un elemento di natura funzionale relativo all’idoneità delle infrastrutture terrestri e marittime ad offrire approdo e sosta alle navi182. La legge 84/94 art. 4, ripartisce i porti marittimi nazionali in due principale categorie:

Categoria I: Porti o le specifiche aree portuali finalizzate alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato, come il porto militare di Taranto;

Categoria II: Classe I: Porti o le specifiche aree portuali di rilevanza economica internazionale;

Classe II: Porti o le specifiche aree portuali di rilevanza economica nazionale (sottoclassificazione in porti commerciali, turistici, servizi passeggeri, industria e petrolifera, peschereccia, turistica e da diporto);

Classe III: Porti o le specifiche aree portuali di rilevanza economica regionale od interregionale.

La suddivisione in queste tre classi, all’interno della categoria II, avviene sulla base della grandezza del traffico e delle relative componenti, delle caratteristiche operative degli scali e del livello di efficienza dei servizi di collegamento con l’entroterra.

Inoltre, i porti possono essere classificati sulla base del dislivello di mare in: - A grande sviluppo di marea (con conche, sostegni)

- A piccolo sviluppo di marea

164 Con riferimento ad aspetti geografici:

- Esterni (affacciati al mare). Suddivisi in:  porti naturali

a) con entrata protetta da isole

b) con entrata protetta da dighe frangiflutti

Taranto La Spezia

Figura 16 - Fonte: Università degli Studi Sapienza  porti artificiali

a) interamente conquistati al mare b) porti ottenuti con escavazione

165 - Interni (lungo i fiumi, in laghi o lagune), esempio è il porto di Amburgo, in Germania183.

Il secondo nodo intermodale è l’interporto, questo può essere definito come un complesso organico di strutture e servizi integrati e finalizzati allo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto, comunque comprendente uno scalo ferroviario idoneo a formare o ricevere treni completi e in collegamento con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione184. Nella definizione “tecnica” di interporto sono indicate, nel dettaglio, le caratteristiche minime che l’infrastruttura logistica deve avere:

 una piattaforma logistica (comprensiva di magazzini per spedizionieri, corrieri e operatori della gestione delle merci);

 uno scalo ferroviario (attrezzato con terminal container, fasci binari per la manovra, raccordi vari, aree per i servizi complementari), adatto alla formazione di treni completi in collegamento con tutti gli altri soggetti della rete portuale e interportuale continentale;

 servizi generali di supporto (banche, ufficio postale, ristorazione, distributore di carburanti ecc.) e specifici (dogana, servizi telematici ecc.).

Si tratta, dunque, di strutture complesse, che si collocano al centro della supply- chain e che sono in grado di accogliere non solo imprese di trasporto e logistica, ma anche aziende specializzate in lavorazioni differenti (imballaggi, assemblaggi, etichettature ecc.). Accanto agli interporti, che integrano le attività connesse al transito delle merci con quelle relative alla lavorazione e al warehousing, esistono altre tipologie di infrastrutture logistiche specializzate in alcune di tali attività, queste sono in gran parte gestite da operatori privati che fanno riferimento a scali ferroviari esistenti o che si collocano su aree interamente private, le possiamo classificare sulla base del grado di complessità

183 Cfr.. De Girolamo Paolo, “Costruzioni Marittime e Porti”, Master In Progettazione Geotecnia,

Università della Sapienza di Roma.

184

Legge 4 agosto 1990, n. 240, in materia di "L. 4 agosto 1990, n. 240, "Interventi dello Stato per la realizzazione di interporti finalizzati al trasporto merci e in favore dell'intermodalità".

166 logistica in autoporti185, piattaforme186, gateway187, centri intermodali188, centri merci189.

Infine ci sono i terminal, l’assetto organizzativo delle infrastrutture portuali delineato dalla legge 84/94 individua un sistema nel quale i terminal portuali sono gestiti da operatori privati, selezionati dall’autorità portuale che valuta la conformità della gestione privata di quell’area di demanio portuale agli obiettivi di interesse pubblico ad essa connessi. Nella legge non è rinvenibile alcuna definizione di “terminal portuale”: tale nozione individua uno spazio del porto attrezzato, costituito da banchine, magazzini, pertinenze etc.. che consenta al terminalista di svolgere il ciclo completo delle operazioni portuali. L’art. 18, della suddetta legge, impone all’autorità portuale di accertare, in sede di rilascio della concessione, la sussistenza in capo alle imprese richiedenti, di un programma di azione e di investimenti volto all’incremento dei traffici ed alla produttività del porto, nonché di un organico di lavoratori rapportato al programma di attività” e di ulteriori requisiti tecnico-organizzativi idonei a “soddisfare le esigenze di un ciclo produttivo ed operativo a carattere continuativo ed integrato conto proprio e di terzi”190.

185 Autoporti, ovvero centri di servizio per il deposito e la preparazione dei carichi, caratterizzati dalla

presenza di un centro di raccolta e smistamento destinato al trasporto su gomma. L’autoporto costituisce un’unità elementare ed è attrezzato per il trasporto delle merci in un’ottica di possibile trasbordo. Dispone di servizi di carattere generale e specifico per persone e mezzi.

186

Piattaforme, ovvero aree dedicate in cui le merci giungono senza essere stoccate. In particolare, i materiali in arrivo vengono scaricati senza stoccaggio (o con stoccaggio minimo). Si ricorre a tale tecnica per cambiare modo di trasporto, per gestire merci con differenti destinazioni, o per comporre stock di merci provenienti da diverse origini.

187

Gateway, è una tipologia che è propria del trasporto ferroviario e s’inquadra in strutture collocate lungo le direttici aventi maggior traffico merci. Di fatto consente di trasferire carichi che provengono da altri convogli.

188

Centri intermodali, strutture organizzate in modo da permettere il solo scambio fra vettori di container. In linea di massima, sono privi di magazzini e hanno depositi di modesta entità. Generalmente sono collocati nei pressi di un terminal ferroviario e offrono servizi logistici elementari anche in considerazione dei ridotti tempi di permanenza dei vettori all’interno della struttura.

189

Centri merci, in queste strutture è possibile trovare, oltre a quanto offerto da un centro intermodale, magazzini per interventi di manipolazione sulle merci che, in questo caso, costituiscono l’attività prevalente rispetto a quanto avviene nei centri intermodali.

190

Per approfondimenti si veda : legge28 gennaio 1994, n. 84 - Riordino della legislazione in materia portuale. (GU n.28 del 4-2-1994 - Suppl. Ordinario n. 21 )

167 La presenza di infrastrutture con caratteristiche diverse, non permette di ottenere un’analisi puntuale della dotazione logistica del nostro Paese, perché se decidessimo di analizzare i soli interporti, da un lato avremmo dei dati certi, dall’altro l’analisi non sarebbe puntuale perché escluderemmo ad esempio la Lombardia che non possiede interporti ma è la regione che da sola movimenta il maggior quantitativo di merce e dove transita quasi il 30 per cento del volume di import/export di container. Per scelte di pianificazione, la Regione ha deciso di privilegiare la creazione di una rete di terminali intermodali diffusa su tutto il territorio, localizzate in aree definite considerando preliminarmente, da un lato la fattibilità tecnica, dall’altro l’accettabilità sociale. Proprio il caso lombardo evidenzia alcuni tratti caratteristici dell’offerta logistica italiana, connotata da un numero elevato di strutture, principalmente private, spesso di dimensioni ridotte, operative su diverse direttrici di traffico e localizzate nelle aree a maggior densità industriale.

L’analisi sin qui condotta sul sistema logistico italiano suggerisce la necessità di interventi di armonizzazione e razionalizzazione dell’offerta. In particolare, si segnala la presenza di forti eterogeneità dimensionali, funzionali e territoriali che rende difficile considerare il sistema interportuale italiano come una rete logistica interconnessa; occorre attivare un sistema di governance che permetta la più stretta interrelazione tra porti e interporti nella prospettiva di un rafforzamento del cluster terra-mare; è necessario avviare un programma di lavori che porti a un più serrato dialogo fra i gestori delle reti e dei nodi della logistica, facendo leva sulla complementarità delle diverse modalità di trasporto191. In questo contesto si colloca, da un lato, l’attività di analisi e ricognizione realizzata dalla Consulta Generale per l’Autotrasporto e la Logistica, che ha portato alla redazione del Piano Nazionale per la Logistica, dall’altro, il progetto di legge quadro in materia di interporti e piattaforme territoriali logistiche in esame alla Camera dei Deputati. Attraverso tali misure sarà possibile non solo migliorare l’efficienza e

168 l’economicità del sistema nazionale dei trasporti, ma anche valorizzare un comparto come quello della lavorazione delle merci nei nodi intermodali, in grado di offrire un contributo significativo, sia al territorio su cui insistono le attività di gestione dei carichi, sia al sistema Paese nel suo complesso.

L’inefficienza del sistema logistico italiano comporta un costo, stimato dalla Consulta Generale per l’Autotrasporto e la Logistica, pari a 40 Miliardi di euro così ripartiti:

• 25 miliardi per il trasporto su strada; • 3 miliardi per il trasporto marittimo;

• 1 miliardo per il trasporto ferroviario combinato terrestre e marittimo;

• 11 miliardi per la carenza di sistemi informatici e per le difficoltà di fare sistema.

Tuttavia, grazie all’attuazione delle linee d’azione del Piano Nazionale della Logistica (PNL), la Consulta stima possibile ridurre gli extra-costi del 10% annuo risparmiando così 4 Miliardi di euro all’anno192.