2 Dalla Rivoluzione alla guerra mondiale: nuove identità collettive
2.1 IL SOGGETTO COLLETTIVO RIVOLUZIONARIO: LA NAZIONE
emergono dalla rivoluzione francese, cesura storicamente fondante sotto molti aspetti ma che nel nostro caso rappresenta sostanzialmente un punto di rottura concettuale con l’Antico Regime.
Il punto di arrivo di questo capitolo sarà la prima guerra mondiale che più che rappresentare una cesura rappresenta la messa in pratica di certe prassi e di ideali elaborati nel secolo precedente e il punto d’inizio di un periodo bellico che vede l’esacerbarsi di un conflitto che avrà termine solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, evento che rappresenta la cesura più importante dopo la rivoluzione francese .
Le elaborazioni concettuali della rivoluzione francese e delle rivoluzioni successive si propagano, si evolvono e si scontrano con altri elementi senza soluzione di continuità fino a sfociare nei conflitti mondiali, è perciò inevitabile partire dall’analisi di quei principi per poter comprendere eventi come le guerre mondiali.
Proprio in questo particolare momento storico possiamo osservare la transizione epocale che vede il passaggio dalla logica di Antico Regime a quella moderna dello Stato-‐nazione, ed è proprio in queste circostanze che possiamo trovare in nuce tutti gli elementi necessari a comprendere le trasformazioni odierne tanto del diritto di asilo quanto della concezione del rifugiato.
2.1 IL SOGGETTO COLLETTIVO RIVOLUZIONARIO: LA NAZIONE.
“ La cittadinanza è un termine di relazione: serve a richiamare l’attenzione su un rapporto che ha a un estremo l’individuo e all’altro estremo una “città” (una comunità politica, una convivenza “ordinata”). Interrogarsi sulla cittadinanza significa privilegiare i nessi piuttosto che i singoli elementi, significa analizzare i punti di collegamento (o di frizione) di un individuo con una collettività politicamente organizzata.”57
Come evidenziato dal breve estratto citato, comprendere i legami che sottostanno alla costruzione identitaria di una cittadinanza ci permette di fare chiarezza sul discorso del diritto di asilo dato che se prendiamo in considerazione la questione della cittadinanza nella rivoluzione francese troviamo tutti e tre i parametri di analisi evidenziati in precedenza.
Possiamo osservare il muoversi dell’individuo nella società, il suo definirsi in relazione alla comunità di conseguenza comprendere anche il regime di diritti e doveri nel quale si sostanzia il rapporto fra individuo e comunità politica e allo stesso tempo il rapporto tra la comunità stessa e i suoi membri. Questo rapporto essenzialmente d’inclusione si manifesta per riflesso anche in un rapporto di esclusione/espulsione giocato sulla contrapposizione interno/esterno.
La rivoluzione francese costituisce uno spartiacque; in linea di principio rompe con le concezioni di Antico Regime tanto nella delineazione di questo rapporto tra il soggetto e la comunità quanto nel fatto che proprio in questo clima inizia a tracciarsi una questione fondamentale, quella nazionale.
La rivoluzione stessa è consapevole di rappresentare la frattura più clamorosa nel discorso della cittadinanza in Europa; è proprio in quegli anni che si comincia a guardare alla società del passato come a un regime “antico”, quello dei privilegi e della diseguaglianza contrapposto alle nuove richieste di diritti e libertà.
I principi, infatti, che definiscono il discorso sulla cittadinanza a partire dalla rivoluzione francese iniziano ad essere lo stato, la nazione, la libertà, l’uguaglianza e i diritti.: è questo l’ordine nuovo contrapposto all’antico che la rivoluzione orgogliosamente e consapevolmente vuole imporre alla modernità, nuove basi su cui impostare il rapporto tra soggetto, diritti e comunità politica, che diventa nazione e non più una città come avveniva nelle epoche precedenti. Le successive derive dispotiche in Italia e in Germania nasceranno proprio da questi presupposti, saranno dei tentativi di realizzazione dell’unità politica della nazione tramite una nuova rappresentazione del soggetto, dei diritti e dell’appartenenza, in questo caso però prendendo volutamente le distanze dal modello francese.
Il “nuovo “ soggetto rivoluzionario e post-‐rivoluzionario deve essere ascritto di volta in volta alla nazione, alla società, allo Stato.
Possiamo, dunque, iniziare a chiederci in che modo una pluralità di soggetti comincia a costituire un’unità indissolubile.
Nella Francia sei-‐settecentesca inizia a circolare il termine nazione con una certa valenza politica designando in generale il rapporto tra la collettività e una qualche forma di sovranità. All’interno dei numerosi significati che questo termine inizia ad assumere la sensazione generale è comunque quella di una possibilità, di qualcosa che è in potenza ma che ancora non si è realizzato, di qualcosa che attende un effettivo contatto con l’esperienza
Prendiamo in considerazione alcuni testi di Sieyès, in un certo senso inaugurali del processo rivoluzionario.
Nel pamphlet Che cos’è il Terzo Stato egli manifesta la volontà di proferire un discorso che sia fortemente ancorato alla realtà, vuole cioè riferirsi concretamente alla situazione contingente, individuare gli avversari, dare un nome tanto al nemico quanto al soggetto collettivo in grado di annientarlo. Sieyès individua i nemici nei privilegiati che vogliono sottrarsi alle regole della convivenza in nome del rango delle antiche origini e in nome dell’appartenenza ad un corpo separato dal resto della società; è il trionfo dell’interesse particolare contrario alle aspirazioni del soggetto collettivo. Questo corpo separato dei privilegiati aiuta a definire la nazione in negativo, fissa le condizioni di appartenenza, i criteri
d’inclusione e di esclusione.
Sièyes vuole allo stesso tempo denunciare l’illegittimità del privilegio e definire un soggetto collettivo, la nazione: i nobili si sono tratti fuori dalla nazione con le loro stesse mani, convinti della propria superiorità, compongono un ceto di cui è facile mostrare l’illegittimità.
Tutte le attività socialmente utili sono svolte dai membri del Terzo Stato: la produzione, il lavoro, lo scambio sono tutte affidate ad un ceto che tuttavia ne ricava più oneri che onori, più oppressione che valorizzazione. 58
La nazione per Sièyes non è un’entità evanescente o simbolica, ma si può trovare nel Terzo Stato appunto, “Dove trovare la Nazione? Dove essa è, nelle
quarantamila parrocchie che abbracciano tutto il territorio, tutti gli abitanti e tutti i contribuenti della cosa pubblica; là, senza dubbio, è la Nazione.”59
La sua declamazione non è fine a se stessa, egli ha in mente un’occasione ben precisa che è quella degli Stati Generali, opportunità quindi per ridefinire la nazione e dar voce ad essa in un’assemblea che rappresentandola si ponga come compito quello di scrivere una costituzione. Sieyès collega quindi direttamente nazione e costituzione, volontà nazionale e potere costituente. La nazione è essenzialmente potere costituente, è la nazione che deve prevedere all’intero apparato normativo, a determinare le modalità di funzionamento del corpo politico, la costituzione rappresenta un insieme di norme che la nazione liberamente crea e modifica in quanto espressione della volontà di un soggetto collettivo.
La nazione rappresenta, quindi, in questo senso uno strumento di lotta e di ridefinizione dei ruoli sociali ma anche simbolo di legittimazione dell’ordine politico che si sta sviluppando, dato che ogni disposizione introdotta per via rappresentativa diviene espressione della volontà nazionale che si pone, dunque, di là da ogni contestazione.
È proprio in rapporto alla nazione che i soggetti si determinano e che si chiariscono i criteri d’inclusione ed esclusione.
Il discorso di Sièyes raccoglie una grande eredità per consegnarla ad un dibattito rivoluzionario che darà adito a diverse interpretazioni della nazione ma che non metterà in dubbio il suo ruolo fondante; da ora in poi il concetto di appartenenza troverà nella nazione un punto di riferimento obbligato.
2.1.1 I diritti inalienabili dell’uomo: verso un nuovo ordine
La costituzione è ciò che ci permette di esplicitare a questo livello il nesso tra i tre elementi principali del nostro discorso; arrivare alla costituzione significa
passare attraverso l’individuazione dei diritti di un soggetto che è ormai parte di una collettività che si inizia a chiamare nazione.
Il primo testo epocale prodotto dall’assemblea non è propriamente una costituzione ma una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Il punto focale è comprendere il nesso tra il soggetto, quindi tra i diritti individuali e la legge del sovrano.
Il tema dei diritti è centrale nel dibattito rivoluzionario, sono presentati come un patrimonio intangibile del soggetto: dichiarare i diritti imprescrittibili dell’uomo rappresenta allo stesso tempo una rottura e un nuovo inizio.
Patrimonio assoluto e inalienabile di ogni individuo, i diritti non costituiscono momenti isolati della vita del soggetto ma tessono una complicata rete di comportamenti attraverso la relazione con i doveri che è ordine.
Questo ordine è rappresentato dalla dichiarazione finale dei diritti alla libertà, alla proprietà e alla sicurezza. La dichiarazione di questi diritti ha una portata eccezionale, innovativa ed epocale: il nuovo ordine è l’insieme dei diritti del soggetto finalmente riconosciuti e dichiarati, ma si tratta di un ordine che non si va compiendo spontaneamente e che viene semplicemente contemplato da spettatori, è un ordine che finalmente il soggetto stesso può decidere di modificare e di costituire; è questa la vera portata rivoluzionaria dell’affermazione in un’assemblea dei diritti naturali dell’uomo.
Non si tratta, quindi, di un gesto meramente contemplativo, ma è un’azione che ha valenza distruttiva e insieme inaugurale che costituisce appunto un ordine nuovo. Dato che questo nuovo ordine è prodotto da un ente collettivo e rappresentativo,
il soggetto in questione non può che essere l’individuo, ma un individuo in quanto membro di una collettività che è inevitabilmente la nazione; il sovrano e la legge devono quindi operare in funzione di questo particolare e nuovo soggetto. Il punto fondamentale da prendere in considerazione è il fatto che una volta definiti i cittadini necessariamente si definiscono anche gli esclusi dalla comunità. Ricorriamo ancora una volta a Sieyès per comprendere le prime distinzioni.
L’abate parla della distinzione fra diritti attivi e diritti passivi; si tratta di un discrimine che corrisponde alla differenziazione tra soggetti attivi e soggetti passivi. 60
Questa classificazione serve a contraddistinguere due categorie di soggetti: i cittadini passivi che hanno diritto alla protezione della propria persona, della proprietà e della libertà e i cittadini attivi che invece godono del diritto di esercitare un ruolo attivo nel potere pubblico.
Oltre alle donne e ai bambini Sieyès individua come sprovvisti dei requisiti minimi per l’amministrazione della cosa pubblica anche gli stranieri: la nazione è l’elemento fondante e primario come insieme di tutti i soggetti eguali ma questa stessa nazione non è neutra, esclude totalmente per un verso i privilegiati e per l’altro gli stranieri. In questo dato possiamo riscontrare una contraddizione di fondo; Sièyes, come abbiamo visto, individua una categoria di nemici della nazione rappresentata dai privilegiati, coloro che non rappresentano il soggetto collettivo e che vogliono sottrarsi alle regole della convivenza e definisce la nazione come l’insieme dei partecipanti alla cosa pubblica, dopo questa dichiarazione di universalismo però egli stesso definisce ancora più nello specifico i ruoli e distingue tra cittadini degni di partecipare e quelli che invece possono solo assistere da spettatori. In quest’ultima categoria rientrano gli stranieri, come ad indicare che i valori rivoluzionari professati non sono poi così universali, non sono applicabili né a tutti i francesi né tanto meno agli altri. Si tratta di una delle contraddizioni più evidenti dei valori proclamati dalla rivoluzione, stiamo parlando di uguaglianza ma di un’uguaglianza, per così dire, selettiva che riguarda solo coloro che rispettano i requisiti di accettabilità che avrà delle conseguenze importanti sul lungo periodo e influirà molto sul modello di integrazione che si seguirà in Francia, un paese che sotto questo punto di vista può essere considerato il paese dei diritti e delle contraddizioni.
Il soggetto collettivo identificato, dopo aver definito i diritti passa a stabilire le “regole del gioco politico” che si concretizza in due obiettivi fondamentali: da una parte difendere i diritti del cittadino e dall’altra la sua sovranità. Entrambe queste difese sono mirate soprattutto a proteggere i propri membri contro i due “nemici”
che la rivoluzione ha individuato come non idonei a far parte della nazione: i privilegiati appunto, i nemici principali e gli stranieri.
Attraverso la definizione del soggetto e alla dichiarazione dei termini di inclusione/esclusione si arriva alla costituzione del 1793, detta costituzione montagnarda in cui per la prima volta si fa riferimento alla nozione di asilo: nella sezione dedicata ai Rapporti della repubblica francese con la nozione di straniero, l’articolo 120 dispone che Il popolo francese: “donne asile aux étrangers bannis de leur patrie pour la cause de la liberté. -‐ Il le refuse aux tyrans. » 61 .
Questa dichiarazione sancisce una prima tappa nella giurisdizione del diritto di asilo e allo stesso tempo risulta fondamentale per comprendere l’importanza che va via via assumendo l’elemento nazionale. In realtà dato che la costituzione montagnarda non è mai stata applicata alla prova dei fatti bisogna attendere circa un secolo e mezzo perché la nozione di asilo sia effettivamente consacrata nel diritto francese.
2.1.2 Dall’Ancien Régime al nuovo ordine.
Nonostante tutto, questa legittimazione teorica del diritto di asilo è sotto certi punti di vista figlia dello spartiacque costituito dalla rivoluzione in quanto segna una separazione netta dall’antico anche nel campo di questo particolare diritto; infatti, in precedenza, questo era legato ad un luogo specifico mentre ora inizia a trattarsi di uno dei diritti del nuovo soggetto che si sta costruendo decretando il trionfo definitivo della concezione laica dell’asilo.
Passiamo ad analizzare meglio questo cambiamento.
La rivoluzione ha aperto un periodo di crisi di potere che ha permesso lo sviluppo di un discorso politico distaccato dalla realtà dei fatti e nutrito dalle diverse fazioni che lottano per occupare la posizione di rappresentanti legittimi del popolo o della nazione.
61 Articolo 120, Costituzione del 24 giugno 1973, Declaration des droits de l’homme et du citoyen,
http://www.conseil-‐constitutionnel.fr/conseil-‐constitutionnel/francais/la-‐constitution/les-‐constitutions-‐de-‐la-‐ france/constitution-‐du-‐24-‐juin-‐1793.5084.html
Questo spiega appunto come una preoccupazione prima marginale, quella appunto di incarnare la volontà del popolo e della nazione, diventi pian piano primaria.
La questione del diritto di asilo si fa pian piano strada nei dibattiti dell’assemblea fino a giungere alla nota definizione della costituzione del 1793 in cui appunto il diritto di asilo viene per la prima volta annoverato tra i diritti dell’uomo; è vero però che nonostante sia dichiarato come principio viene poi sbeffeggiato in pratica. Il duplice aspetto dell’asilo inizia già a risultare evidente, il fatto che la nazione si trovi combattuta tra l’accoglienza generosa dei perseguitati e la difesa dei cittadini della nazione.
Prima del 1789 era una pratica comune accogliere degli esiliati politici in Francia, una pratica monarchica che non faceva che svilupparsi. Se sotto l’Antico Regime c’erano così tanti stranieri ad esempio nei posti militari era perché il sovrano era sostanzialmente un imprenditore incaricato della difesa nazionale che non aveva diritto sulle persone, piuttosto lo aveva sulle loro finanze.
Con l’avvento del principio rivoluzionario del popolo sovrano è il popolo stesso che si identifica con la propria patria e che è incaricato di difenderla.
E’ per questo che a partire dal febbraio 1793 l’universalismo dell’inizio della rivoluzione cede il passo al nazionalismo; vengono prese forti misure per difendere i cittadini dagli stranieri.
Vengono ad esempio creati dei comitati di cittadini per verificare la lealtà e la situazione degli stranieri, gli indigenti e i “cattivi patrioti” sono espulsi, quelli che restano in Francia si devono munire di carte di sicurezza speciali.
Bisogna comunque tener presente che queste misure riguardano gli stranieri arrivati in Francia dopo la dichiarazione di guerra e che si tratta di misure transitorie facenti parte delle leggi d’eccezione che verranno abbandonate dopo il Terrore, così come le referenze al diritto di asilo peraltro. 62
62 Gérard Noiriel, Réfugiés et sans papiers. La Republique face au droit d’asile, XIXe-‐XXe siècle, Paris, Calmann-‐ Lévy (Pluriel), 1991, p. 36
2.2. L’EPOCA POST RIVOLUZIONARIA
Le guerre rivoluzionarie e le conquiste napoleoniche non hanno solo sconvolto la carta dell’Europa ma hanno anche portato ben oltre la Francia le aspirazioni nazionali e democratiche.
Il congresso di Vienna ha il compito di ristabilire l’ordine ma le antiche monarchie restaurate si trovano a far fronte a delle violente rivendicazioni. In Italia ad esempio a partire dal 1821 vengono messe in atto delle rivolte contro l’Austria a Napoli e in Piemonte e in seguito nel Lombardo Veneto.
Si crea un periodo di grande instabilità politica in Europa in cui la forza montante del principio nazionalista spiega la crescita continua del numero di rifugiati in Europa almeno fino alla repressione del 1848. Ogni cambiamento politico in Italia, In Spagna o Portogallo obbliga i perdenti del giorno a fuggire,. Ad esempio il fallimento polacco del 1830 dà luogo a quella che viene chiamata “la grande emigrazione”. Più di 10.000 esiliati, nobili, borghesi, moderati e radicali lasciano il loro paese e per la maggior parte sono diretti in Francia. 63
Mentre fino a quel momento la Francia aveva accolto non più che qualche centinaio di rifugiati per volta ora sono migliaia, venuti da tutta Europa in un movimento di va e vieni che non cesserà praticamente fino al Secondo impero. Difronte a un tale afflusso per la prima volta un regime parlamentare si trova nella situazione di dover affrontare il problema dei rifugiati di maniera non solo teorica come avveniva nel 1793 ma questa volta in modo concreto.
La questione dei rifugiati scatena un acceso dibattito durante tutta la monarchia di luglio in Francia e specialmente negli anni ’30 soprattutto in sede parlamentare. 64
63 Ibid., p. 37
64 Per monarchia di luglio si intende il periodo che va dal 1830 al 1848. Fu proclamata il 9 agosto 1830 ins eguito ai moti della Rivoluzione di Luglio, le cosiddette “Tre giornate gloriose,”, e succedette alla Restaurazione. Sala al potere la casa d’Orléans con il suo ramo cadetto, quello dei Borboni, il nuovo re Luigi Filippo si proclama Re dei francese e non più di Francia come i suoi predecessori. Il suo regno nacque in seguito alle barricate del 1830 durante la rivoluzione di luglio ed ebbe fine con altre barricate nel 1848 che lo abbatterono per dare luogo alla Seconda Repubblica. La Monarchia di Luglio sancì la fine della regalità in Francia.