2 Dalla Rivoluzione alla guerra mondiale: nuove identità collettive
2.3. IL TRIONFO DELLA LOGICA NAZIONALE: IL DIRITTO DEI POPOLI A DISPORRE DI LORO STESSI
Il processo di nazionalizzazione della società non è una prerogativa squisitamente francese ma si svolge allo stesso momento anche negli altri paesi industrializzati che allo stesso modo della Francia iniziano ad adottare misure protezioniste per tentare di arginare la grave crisi che segue la Grande Depressione.
Un dato importante da tenere in considerazione è il fatto che i paesi democratici, quelli più attaccati alle idee di progresso, di liberalismo, di democrazia, sono i primi a preoccuparsi di fare delle leggi protettrici contro l’immigrazione..
Tutto ciò non è assolutamente contraddittorio se si considera il fatto che le monarchie autoritarie come la Germania a quell’epoca non avevano assolutamente i mezzi giuridici per espellere gli stranieri perciò si limitavano all’uso della forza brutale e all’espulsione di gruppi nazionali interi. Questo trionfo della logica nazionale si riscontra da una parte nella promulgazione di una serie di leggi, ad esempio negli Stati Uniti si vota una legge per regolamentare l’immigrazione cinese, nei Paesi Bassi gli stranieri si devono munire di un permesso di soggiorno rinnovabile ogni 3 anni, in Inghilterra, nonostante essa abbia rappresentato da sempre il baluardo della democrazia e dell’apertura, cominciano a circolare voci in parlamento intorno al 1880 per esigere la protezione degli inglese contro l’afflusso di migranti ebrei dalla Russia che portano alla legge del 1905 detta Alien Act.
Questa legge per la prima volta regola l’immigrazione e dà al ministro la responsabilità totale della cittadinanza e dell’immigrazione e stabilisce meccanismi di espulsione. Questo ci aiuta a punto a comprendere la direzione che la concezione dello Stato sta prendendo, uno stato nazionale coercitivo e più invadente che moltiplica le misure di controllo.
Il secondo sviluppo che bisogna tenere in considerazione con il trionfo della logica nazionale è che grazie a questa concezione ogni Stato-‐nazione ha l’obbligo di protegger i proprio cittadini anche all’esterno del proprio paese. Si tratta di fornire aiuti di tipo giuridico e amministrativo tramite istituti rappresentativi . Tutto ciò non fa che rafforzare la logica nazionale, tutte le proteste al momento delle votazioni di leggi contro l’immigrazione o contro le proposte di tassazione degli immigrati in realtà non fanno che accrescere la separazione tra stranieri e nazionali; diventa sempre più evidente quanto le sorti degli stranieri dipendano ora dalla propria nazione di appartenenza. È qui che entra in gioco “il diritto dei
popoli a disporre di loro stessi” secondo la felice espressione di Hannah Arendt; dappertutto in Europa iniziano ad emergere delle nuove nazionalità, i cosiddetti movimenti di liberazione nazionale o di emancipazione delle minoranze, sono il frutto della logica della nazione secondo cui ogni Stato-‐nazione tenta di espandersi ben oltre le antiche comunità locali ed è per questo che mette in atto tutta il sistema del nation building per mantenere vivo questo apparato statale faticosamente costruito. Ora, tutto il lavoro messo in atto da secoli dai grandi Stati europei partendo da criteri del tutto arbitrari è ripreso anche dalle comunità più piccole, la costruzione di un’identità collettiva sfocia nella messa in evidenza di un sentimento di coesione etnica che porta alla richiesta d’indipendenza di certe comunità che spesso urta con i regimi autoritari e le loro repressioni, azioni che non fanno altro che rinvigorire il sentimento nazionale, perché rafforzano le loro convinzioni identitarie.
Il terzo e ultimo elemento che vorrei considerare è il diritto internazionale. Numerosi sono i trattati internazionali che si occupano del problema delle minoranze e che le riconoscono a livello internazionale appunto.
Il congresso di Vienna già nel 1815 ad esempio fa sparire la Polonia ma gli garantisce rappresentanze in Russia, Austria e Prussia, rappresentanze che nutriranno sollevamenti popolari e repressioni di cui saranno vittime i polacchi lungo tutto il XX secolo.
Abbiamo inoltre il Trattato di Berlino del 1878 che crea la Bulgaria, la Romania, la Serbia e il Montenegro ma allo stesso tempo ufficializza l’esistenza di minoranze, ossia di sottopopolazioni a cui si rifiuta la dignità nazionale come i rifugiati bulgari in Tracia e in Macedonia, armeni che i turchi hanno la missione di “proteggere”.
In seguito alla seconda guerra mondiale i trattati per la prima volta introducono il concetto di minoranza nel diritto internazionale, definita come “insieme d’individui della stessa “razza”, della stessa religione, della stessa lingua, ma che differiscono dalla popolazione maggioritaria “., come stabilito dall’ ONU nel 1953.74
74 In realtà delle minoranze si era già parlato in ambito internazionale, più nello specifico nel 1930 dalla corte permanente di giustizia internazionale per il caso Greco-‐Bulgaro, o nel 1935 per il caso relativo alle suole minoritarie in Albania.
Viene addirittura istituita una commissione speciale per il controllo del rispetto delle minoranze. In realtà, sostanzialmente si ufficializzano delle “sotto-‐nazioni” senza diritto alla sovranità nazionale che non fanno che aumentare le tensioni, quindi, i moti popolari. Il dato più importante che emerge in questo periodo è che non sono più le grandi potenze in quanto tali a garantire il rispetto del diritto internazionale piuttosto ora c’è un organismo internazionale, la società delle nazioni che prevede anche ricorsi alla corte internazionale di giustizia per i candidati allo status di minoranza tanto che tutti coloro che possono approfittano di questa opportunità. Il problema è che la generalizzazione del principio del diritto dei popoli a disporre di loro stessi porta innumerevoli ricorsi alla società delle nazioni tanto che le grandi potenze sono spinte a fare marcia indietro.
Si stabilisce infatti che le domande da ora in poi debbano essere vagliate da un comitato speciale che ne giudichi l’accettabilità.
Proprio questo principio fa sì che ci sia un forte aumento dell’immigrazione verso le democrazie occidentali: mentre i nazionalismi intensificano le loro campagne di assimilazione nazionale, ad esempio di russificazione o germanizzazione, tutti gli individui che non sono conformi alle norme del popolo legittimo sono obbligati a fuggire. Ci sono anche molti casi in cui i perseguitati diventano persecutori appena possibile. Vediamo ad esempio il caso dei Giovani Turchi che portano avanti con successo la loro rivoluzione; ben presto loro stessi diventano i fautori delle repressioni contro i gruppi cristiani armeni, curdi, e greci. Inoltre i popoli colonizzati nel periodo tra le due guerre arrivano all’emancipazione dal dominio europeo inaugurano la loro sovranità e di vita collettiva divergente dal modello nazionale.
Prendiamo ad esempio il caso dei Balcani: fino a che la prima guerra mondiale non diffondesse ovunque la logica nazionale in queste zone la ricchezza locale era costituita anche dal fatto che coesistevano un groviglio di lingue, costumi e popoli che riuscivano a convivere. Con l’idea che a ciascun popolo doveva corrispondere un territorio nazionale si rompe questo equilibrio per sempre.
Un milione di Greci dispersi in ogni parte di questa regione devono lasciare a forza il loro paese per ritornare nella propria “patria” di origine. Dopo alcuni scambi con la Turchia e la Bulgaria o delle espulsioni di massa in qualche anno la Grecia si trova a dover assorbire un numero di rifugiati uguale ad un terzo della
sua popolazione totale. Anche tutti gli altri stati della regione si trovano a dover affrontare un problema dello stesso tipo.
Riassumendo possiamo dire che l’asilo politico nel senso moderno del termine data di molti secoli ma è con la rivoluzione francese che viene elevato al rango di diritto al servizio della libertà; almeno sul piano formale la rivoluzione rompe con la concezione regia dell’asilo che prevaleva sotto l’antico regime e iscrive l’asilo nel quadro dei diritti umani fondamentali. L’articolo 2 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 proclamava in effetti che
“Le but de toute association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de
l’homme; ces droits sont la liberté, la propriété, la sûreté et la résistance à l’oppression”75
Il diritto di asilo poi, ultimo rifugio della resistenza all’oppressione viene esplicitamente citato nell’articolo 120 della costituzione del 1793:
“Le peuple français donne asile aux étrangers bannis de leur patrie pour la cause de la liberté. Il le
refuse aux tyrans”.76
In realtà anche questa rottura con la concezione regia dell’asilo è molto ambigua perché è qui che inizia a porsi il conflitto tra il diritto di asilo e la sovranità nazionale. In effetti, l’articolo 2 sacralizza due principi potenzialmente opposti, il diritto alla libertà che implica appunto la libertà di attraversare le frontiere liberamente, ma anche il diritto alla proprietà che implica invece il diritto al controllo degli ingressi sul territorio nazionale di cui i cittadini sono tutti comproprietari.
Se analizziamo quindi l’evoluzione del diritto di asilo alla luce di questo conflitto ci rendiamo conto di come questo rapporto sia fondamentale perché appunto le relazioni tra il diritto di asilo e le politiche migratorie variano molto: sono armoniche nel momento in cui lo Stato favorisce l’immigrazione (necessità di forza lavoro ad esempio) conflittuali nel momento in cui lo Stato vorrebbe ridurre i flussi (situazioni di crisi economica o di conflitti mondiali).
75 Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen, 1789. http://www.legifrance.gouv.fr/Droit-‐ francais/Constitution/Declaration-‐des-‐Droits-‐de-‐l-‐Homme-‐et-‐du-‐Citoyen-‐de-‐1789
Abbiamo potuto constatare che l’elemento nazionale, attraverso la crescita inarrestabile della logica della sovranità nazionale, rappresenta il vero fil rouge della storia evolutiva del diritto di asilo. L’analisi delle trasformazioni della forza dirompente dei diritti dell’individuo che emerge con la rivoluzione francese e dei rapporti tra individuo e collettività che diventa nazione appunto emerge chiaramente nel ripercorrere la storia degli Stati nazioni, in questo senso il diritto di asilo e la necessità di regolarizzarlo scaturisce da essi con naturalezza e necessità e dialoga con questi tre elementi tanto entrandovi in conflitto, quanto componendo le divergenze a seconda del momento storico.
Con la seconda guerra mondiale il quadro si evolve e si modifica per certi versi, il diritto internazionale si afferma come un’esigenza condivisa e di conseguenza il diritto di asilo si adeguerà alle nuove tendenze ed elaborazioni.
3. “L’emergenza” dei profughi di guerra: prime prove di gestione.
“Everyone has the right to seek and to enjoy in other countries asylum from persecution”
art 14.1 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino.
3.1. NANSEN E LA QUESTIONE DEI RIFUGIATI
All’inizio del XX secolo e ancor più con la prima guerra mondiale la logica della nazione domina ormai il panorama internazionale.
La prima guerra mondiale è la massima espressione del nuovo ordine che regola i rapporti tra gli Stati e tra gli individui: la protezione di un individuo dipende ormai totalmente dal suo Stato nazione.
Se prendiamo in considerazione i tre elementi analitici descritti nel capitolo precedente, (elemento nazionale, diritto e rapporto tra individuo e sovranità) di cui abbiamo potuto seguirne l’evoluzione ci rendiamo conto che già a partire dal periodo tra le due guerre ma soprattutto durante il secondo conflitto mondiale,