3 “L’emergenza” dei profughi di guerra: prime prove di gestione
3.1. NANSEN E LA QUESTIONE DEI RIFUGIATI
Abbiamo potuto constatare che l’elemento nazionale, attraverso la crescita inarrestabile della logica della sovranità nazionale, rappresenta il vero fil rouge della storia evolutiva del diritto di asilo. L’analisi delle trasformazioni della forza dirompente dei diritti dell’individuo che emerge con la rivoluzione francese e dei rapporti tra individuo e collettività che diventa nazione appunto emerge chiaramente nel ripercorrere la storia degli Stati nazioni, in questo senso il diritto di asilo e la necessità di regolarizzarlo scaturisce da essi con naturalezza e necessità e dialoga con questi tre elementi tanto entrandovi in conflitto, quanto componendo le divergenze a seconda del momento storico.
Con la seconda guerra mondiale il quadro si evolve e si modifica per certi versi, il diritto internazionale si afferma come un’esigenza condivisa e di conseguenza il diritto di asilo si adeguerà alle nuove tendenze ed elaborazioni.
3. “L’emergenza” dei profughi di guerra: prime prove di gestione.
“Everyone has the right to seek and to enjoy in other countries asylum from persecution”
art 14.1 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino.
3.1. NANSEN E LA QUESTIONE DEI RIFUGIATI
All’inizio del XX secolo e ancor più con la prima guerra mondiale la logica della nazione domina ormai il panorama internazionale.
La prima guerra mondiale è la massima espressione del nuovo ordine che regola i rapporti tra gli Stati e tra gli individui: la protezione di un individuo dipende ormai totalmente dal suo Stato nazione.
Se prendiamo in considerazione i tre elementi analitici descritti nel capitolo precedente, (elemento nazionale, diritto e rapporto tra individuo e sovranità) di cui abbiamo potuto seguirne l’evoluzione ci rendiamo conto che già a partire dal periodo tra le due guerre ma soprattutto durante il secondo conflitto mondiale,
questi criteri si fondono e seguono rotte che convergono in un punto comune che è appunto il diritto di asilo, che possiamo, dunque, leggere alla luce del rapporto conflittuale tra rispetto dei diritti umani e sovranità nazionale.
Il periodo che sto per analizzare è cruciale per comprendere l’evoluzione di questi rapporti, perché vediamo l’esacerbarsi della logica della nazione, l’elemento che predomina su tutti gli altri.
La seconda guerra mondiale rappresenta una cesura importante da molti punti di vista e in particolar modo porta a riflettere sulle relazioni tra stati, individui e sull’estensione di libertà, diritti e doveri reciproci.
Gli eventi e le novità sul piano internazionale portano pian piano a rendersi conto della necessità di un ordinamento internazionale sulle migrazioni di massa che si traduce appunto nell’esigenza di avere una definizione chiara e univoca di cosa possiamo effettivamente intendere per “rifugiato”, tutto ciò viene appunto sancito dalla Convenzione di Ginevra; ma come si arriva a questa definizione?
Come abbiamo visto la protezione degli individui dipende ormai totalmente dagli Stati-‐nazione. Se è vero che i regimi autoritari trovano in questa logica un mezzo di ritorsione supplementare arrogandosi il diritto di far decadere la nazionalità per i dissidenti,77gli stati democratici contribuiscono loro stessi ad aggravare
questa situazione perché ribadiscono il concetto della necessità di avere una nazionalità: Essi infatti riconoscono che ormai un individuo il cui stato di origine è sparito non può più essere riconosciuto come “cittadino” di questo paese. La guerra del 1914 accelera il processo di chiusura delle frontiere nazionali rendendo obbligatori i passaporti. Nel XIX secolo esisteva già questa pratica ma i documenti erano richiesti anche nell’ambito di una stessa nazione perché esistevano dei passaporti interni che ora scompaiono definitivamente.
Ormai esiste un vero e proprio spazio omogeneo di cittadinanza politica. Il ruolo dei passaporti è completamente trasformato, ormai è lo Stato e lui solo ad essere autorizzato ad emetterli. Il paese che accoglie lo straniero emette un visa che regolarizza il soggiorno nel paese. Per quanto riguarda la Francia, in particolare, il visa non è però sufficiente a regolare il soggiorno dello straniero.
77 Per citare alcuni esempi: il 28 ottobre 1921 ad esempio il Congresso dei commissari del popolo ritira la nazionalità russa ai rifugiati che rifiutano di sottomettersi al potere bolscevico; nel giugno del 1926 Mussolini fa lo stesso contro gli antifascisiti, nel 1935 le leggi razziali hitleriane privano della loro nazionalità centinaia di migliaia di ebrei tedeschi.
A partire dal 1917 bisogna ottenere anche una carta d’identità consegnata dalla polizia su presentazione del passaporto, che vale come autorizzazione del soggiorno. La situazione che si crea durante la prima guerra mondiale ci dà la misura del fatto che ormai nulla sfugge alla ragion di stato e spesso alla violenza del nazionalismo.: sempre in Francia, nel 1914 tutte le donne francesi venute da paesi nemici che per matrimonio hanno acquisito la nazionalità del proprio marito sono chiuse nei primi campi di concentramento. 78
Il regime dei passaporti diventa severissimo, ormai tutti gli Stati lo esigono; ogni nazione cerca sempre di più di proteggere tanto i propri cittadini quanto i mercati nazionali contro la concorrenza straniera, per questo i rifugiati senza documenti iniziano ad essere considerati degli extra legem.
La comunità internazionale inizia a porsi il problema della questione dei numerosi rifugiati che gli sconvolgimenti politici stanno provocando ma sembra non ci si renda ancora conto dell’enormità dei cambiamenti.
Iniziano ad essere presi i primi provvedimenti
Ad esempio nel 1921 la SDN organizza a Parigi una conferenza, su iniziativa della Croce Rossa, consacrata al problema dei numerosi profughi russi che la rivoluzione di ottobre e la guerra avevano sparso per il mondo, in Europa e in Asia, nello specifico. Si capisce ben presto che dato l’elevato numero di rifugiati i tradizionali metodi non sono più applicabili e che solo un organismo internazionale sarebbe capace di cogliere e accettare le nuove sfide che si impongono. Tuttavia i provvedimenti che vengono presi ci mostrano come ancora la questione dei rifugiati venga concepita come facente parte delle conseguenze della guerra piuttosto che essere contestualizzata nel lungo periodo e vista come prodotto del cambiamento irreversibile delle logiche che regolano i rapporti tra gli Stati e tra Stato e individuo.
Il consiglio della SDN decide, infatti, di creare un Alto Commissariato ai rifugiati russi e di affidarne la direzione a Fritjhof Nansen, un norvegese di sessanta anni, esploratore e zoologo di fama internazionale, commissario della SDN per il rimpatrio dei prigionieri di guerra che otterrà il premio Nobel per la pace nel 1922 per la sua azione a favore dei rifugiati.
La politica che prevale è quella del rimpatrio. Lo stesso Nansen concepisce il suo mandato nell’ottica della beneficienza tanto che non pretende mai nessuna remunerazione per il suo lavoro; egli vorrebbe limitare l’azione dell’organismo che dirige al solo problema del rimpatrio dei rifugiati. Il problema principale è che tutti gli altri rifugiati che si trovano nella stessa situazione iniziano a sollecitare le attenzioni della SDN; Greci di Costantinopoli, Bulgari e Armeni in Turchia ecc.
La SDN decide allora di estendere l’azione dell’Alto Commissariato anche agli altri gruppi, ma anche qui Nansen propende per la logica del rimpatrio e come avvenne nel XIX secolo la situazione viene gestita come se fosse temporanea. Nansen, seguendo questa logica, giudica necessario lo spostamento dei profughi da un paese all’altro, sempre con lo scopo di un rimpatrio massiccio.
In questo modo con le risoluzioni del luglio 1922 per i russi e del maggio 1924 per gli armeni viene creato il “passaporto Nansen”, un titolo di circolazione che rimpiazza per gli apolidi il passaporto nazionale che al momento non sono in grado di ottenere.
Eppure tutti i tentativi di rimpatrio falliscono, il problema dei profughi russi non viene risolto né tantomeno quello degli armeni o degli altri profughi.
A questo punto inizia a risultare evidente che la questione non è strettamente legata alla contingenza della guerra ma al sistema della vita politica internazionale: in Italia ad esempio la vittoria del fascismo obbliga gli oppositori a fuggire, in medio-‐oriente i turchi, greci e bulgari continuano ad essere perseguitati.
“Involuntary or forced movements of people are always only one aspect of much larger constellations of socio-‐political and cultural processes and practices, Nationalism and racism, xenophobia and immigration policies, state practices of violence and war , censorship and silencing, human rights and challenges to state sovereignty, “development“ discourse and humanitarian interventions, citizenship and cultural or religious identities, travel and diaspora, and memory and historicity are just some of the issues and practices that generate the inescapably relevant context of human displacement today. In many studies of refugees, however, these are the kinds of “background information” or “ root causes” that sometimes have been considered, for many reasons, beyond the scope of study..”79
79 Lisa H. Malkki, “From “Refugee studies”to the National Order of Things”, in Annual Review of Antrhropology,
Come appunto leggiamo in queste righe la fuga delle persone è data da una concomitanza di fattori che a quell’altezza storica non erano ancora evidenti agli osservatori.
Ora, nelle nuove condizioni che si stanno delineando lo stato di rifugiato non può più essere considerato come provvisorio, bisogna trovare un mezzo per risolvere la questione che non può semplicemente essere il rimpatrio o lo spostamento di queste persone da un paese all’altro. Nansen infatti, seguendo la logica della temporaneità, aveva promosso la diffusione dei passaporti; il problema principale è che questi non sono sufficienti a garantire ad un’esistenza “normale” in un qualsiasi stato che richiede ormai documenti d’identità, dossier giudiziari, informazioni sullo stato civile ecc.. Documenti a cui normalmente provvede lo Stato, ma che li eroga ormai solo per i propri cittadini e per loro soltanto.
Da qui le numerose proteste al consiglio della SDN che deve piuttosto preoccuparsi della sopravvivenza dei rifugiati nel paese ospitante.
Tutte queste evoluzioni ci danno la misura del perché ad un certo momento diventa necessario provvedere tanto ad un piazzamento professionale quanto ad uno statuto per i rifugiati che sia universalmente riconosciuto.
A partire da questo momento la questione dei profughi diviene un problema giuridico internazionale, si tratta di stabilire delle norme che possano essere ammesse e condivise dalla maggior parte dei paesi.
Si capisce inoltre che un semplice organismo di beneficienza come quello di cui si occupa Nansen non può più essere sufficiente.
Si decide allora di ripartire i compiti: ad esempio quello del piazzamento professionale viene affidato all’Ufficio Internazionale del lavoro diretto da Albert Thomas che riesce in qualche anno a procurare un impiego a 60.000 persone circa. Nansen inoltre decide di sollecitare i rifugiati stessi a trovare le risorse necessarie e seguendo un po’ lo stesso principio secondo cui il cittadino è tenuto a pagare l’imposta allo Stato che difende e da cui è difeso, il rifugiato è tenuto a pagare una tassa che permetterà all’Alto commissariato di aiutarlo. Si tratta del famoso “timbro Nansen” apposto sul passaporto.
Nel 1930 Nansen muore e viene creato un ufficio che porta il suo nome incaricato della protezione materiale dei rifugiati.
La questione giuridica dipende ormai totalmente dal segretariato generale della SDN.
3.2. ALLA RICERCA DI UNO STATUTO PER I RIFUGIATI: VERSO LA CONVENZIONE DEL 1951
La prima tappa decisiva nell’elaborazione di uno statuto dei rifugiati che si rende ormai necessario per regolarizzare la situazione europea è la Convenzione del 1933 che con i suoi contenuti rappresenta il modello degli strumenti giuridici successivi.
Questo testo sanziona il nuovo ordine mondiale e il dato primario è che definisce i rifugiati non più in base alla loro nazionalità ma in base alla loro origine nazionale: il rifugiato è divenuto ormai colui che non gode o che non gode più della protezione del suo paese.
Nonostante tutto questa Convenzione ha comunque un approccio empirico al problema poiché non prende in considerazione un principio astratto ma si basa sull’enumerazione dei gruppi che devono beneficiare di questo statuto che progressivamente viene esteso, quindi un approccio che possiamo definire caso per caso.
La Convenzione stabilisce inoltre il principio di non-‐refoulement di un rifugiato nel suo paese di origine ma gli accorda uno statuto per cui l’individuo in questione gode degli stessi diritti di un cittadino della nazione o tuttalpiù dello straniero che gode del trattamento più favorevole.80
Negli anni ’30 la crisi economica accentua il ripiego dei paesi democratici su se stessi, inoltre l’acuirsi delle repressioni dei regimi totalitari crea numerosi altri profughi che pian piano vengono aggiunti all’elenco dei beneficiari dello statuto della Convenzione del ’33. Si decide di creare un nuovo Alto-‐Commissariato per i rifugiati provenienti dalla Germania dopo l’inasprirsi delle leggi razziali e antisemite. Dopo l’Anschluss, gli austriaci in esilio sono ammessi a beneficiare dei servizi di questo Alto Commissariato.
Questa politica delle ammissioni progressive dei gruppi che necessitano dello statuto mostra l’inadeguatezza delle misure prese fino a quel momento per far
80http://www.dirittiumani.donne.aidos.it/bibl_2_testi/b_patti_conv_protoc/b_conv_status_rifug/e_conv_rifug_s toria.html
fronte alla crescente emergenza dei profughi e per mettere fine alle persecuzioni. Nel 1938 dietro l’iniziativa del presidente Roosevelt viene fissata una nuova Conferenza internazionale sulla questione, a Evian nel luglio del ’38.
Qui si decide la creazione di un organismo internazionale, un comitato inter-‐ governativo che dovrà occuparsi di tutte le vittime del fascismo: il comitato è composto inizialmente da 31 Stati con sede a Londra ma la guerra e l’evoluzione dei rapporti internazionali sempre più instabili non permetterà l’applicazione di un programma univoco che tutti gli stati possano accettare. 81
La difficoltà dell’emergenza che inizia a farsi strada nella comunità internazionale fa sì che le misure restrittive adottate diventino sempre più rigide. I provvedimenti presi da Nansen incontrano un certo successo perché la maggior parte dei paesi europei pensa che si tratti di una situazione temporanea e che le strategie messe in atto porteranno in realtà al rimpatrio dei profughi. In realtà quando si comincia a discutere della possibilità di estendere le misure di Nansen ad altri gruppi iniziano ad emergere le falle nel sistema e le prime proteste. Ad esempio tra gli italiani sorgono delle vive inquietudini perché rifiutano che vengano stabiliti dei criteri univoci per definire i rifugiati che rischiano d’includere tutti gli antifascisti perseguitati da Mussolini, così alla fine il compromesso adottato fa sì che vengano esclusi dalla protezione tutti coloro che decidono di lasciare il loro paese in seguito ad un cambiamento di regime.
Le influenze delle relazioni internazionali si fanno sempre più evidenti soprattutto con la crisi degli anni trenta in cui gli egoismi nazionali si fanno sempre più forti. Ad esempio per non provocare l’opposizione di Hitler la SDN decide di rendere l’Alto Commissariato per i rifugiati tedeschi un organismo autonomo, senza mezzi e ridotto all’impotenza. Gli altri stati rifiutano di assistere al disfacimento di questa organizzazione internazionale che è sempre più influenzata dagli egoismi nazionali che iniziano a prevalere sui principi iniziali che ispirarono la Società delle Nazioni. Tuttavia con la crisi economica ci si inizia a preoccupare del mercato interno del lavoro. La difficile situazione economica e alcuni movimenti dell’opinione pubblica sempre più diretti verso il ritorno di sentimenti xenofobi, fanno sì che la situazione ora cambi, mentre negli anni venti la Francia ad esempio aveva accolto molto generosamente i rifugiati soprattutto per mancanza di manodopera.
3.2.1. Xenofobia e antisemitismo alla ribalta.
Apriamo una piccola parentesi sulla situazione che si prospetta negli anni venti/trenta in relazione alla xenofobia e all’antisemitismo.
Se paragoniamo la Francia agli altri paesi europei si può affermare che una delle sue caratteristiche principali è il fatto di essere stata a sua volta il paese più accogliente e quello in cui si sono maggiormente infuocate le ostilità e di conseguenza le espulsioni, soprattutto durante i periodi di crisi economica e politica.
Così tra il 1911 e il 1930 il numero effettivo di stranieri residenti in Francia è passato da 1 150 000 a 3 000 000 rappresentanti rispettivamente il 2,7 % e il 7% della popolazione. Su 100 stranieri che vivono in un paese europeo 46 si erano stabiliti in Francia.82
In uno studio del 1932, Georges Mauco, rivela che con il 5,15 % di stranieri, la Francia superava il tasso degli Stati Uniti che all’epoca si aggirava intorno al 4,92 % d’immigrati non naturalizzati.
È chiaro che questa proporzione non si spiega soltanto a causa dell’attrattività del paese dei diritti dell’uomo ma risponde anche alla necessità per la Francia di attirare una manodopera che compensi l’elevata perdita umana della prima guerra mondiale che ammontava a circa 1 milione e mezzo di combattenti, senza parlare delle vittime civili; è quella che viene chiamata dagli esperti “un’anemia demografica” che non è compensata nemmeno dalle politiche restrittive in materia di contraccezione e aborto. Tra il 1918 e il 1930 la corrente xenofoba si riduce a qualche gruppo di estrema destra soprattutto a un tipo di stampa specializzata in materia che a dir la verità influenzare notevolmente l’opinione pubblica.
Per citare alcune testate ricordiamo Gringoire, di Horace de Carbuccia, oppure Candide, je suis partout dello storico Pierre Gaxotte, L’ami du peuple, di Coty, vera e propria antologia antisemita e xenofoba alle quali bisogna aggiungere L’Action française di Léon Daudet e inoltre le numerose brochure e pubblicazioni di estrema destra. Questa corrente raggiungerà proporzioni elevate fino ad arrivare agli ambienti operai.83
82 Georges Mauco, Les étrangers en France. Leur rôle dans l’activité économique, Paris, 1932
83 Thalmann Rita. Xénophobie et antisémitisme sous le Front populaire. In: Matériaux pour l'histoire de notre
temps. 1986, N. 6. 1936 en France. pp. 18-‐20.
Si possono rintracciare tre nuovi elementi in queste tendenze:
• Il sentimento d’insicurezza e il ripiego protezionista che provoca la crisi del 1929 e che colpisce la Francia a partire dal 1931/32 molto più profondamente e durevolmente delle crisi del 1924,1926 e 1927.
• La paura secolare della Germania ravvivata dall’istaurazione del Terzo Reich nel 1933, paura in certi casi raddoppiata dal fascino di un regime che pone le sue basi su forza e orgoglio razziale.
• La paura e l’odio che la progressione delle forze della sinistra ispira, a partire dal 1934/35, soprattutto all’estrema destra.
Bisogna inoltre considerare che mentre fino all’inizio degli anni trenta la xenofobia e l’antisemitismo si basavano essenzialmente su dei pregiudizi e degli stereotipi di ordine economico, culturale e politico, intorno al 1933 con la diffusione di tesi come quella del “genio nazionale” elaborata a partire dall’idea dell’esistenza di una razza francese omogenea, minacciata dal miscuglio inesorabile delle razze, o la tesi di un “razzismo scientifico”, o quella della cospirazione internazionale degli ebrei sulla scia dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, 84 si assiste, invece, ad uno spostamento verso un discorso più apertamente
razzista.
Ricordiamo ad esempio la lamentela di Charles d’Heristal a sfondo xenofobo appunto “Jamais notre beau jardin de France ne fut ravagé à ce point”85 oppure la diatriba di Paul
Morand contro la decadenza francese “Et maintenant faites entrer les nègres! Et les nègres entrent dans notre décadence comme
ils entrent dans Carthage et Byzance (car on revoit leur ricanement lippu au chevet de toutes les civilisations blanches moribondes)”86
La radicalizzazione del discorso in senso dapprima xenofobo e poi più antisemita nello specifico, è dovuta non
84 Si tratta di un testo promulgato dalla polizia zarista che in Francia conoscerà venti edizioni tra il 1919 e il 1939.
85 “ Mai il nostro bel giardino di Francia fu rovinato a tal punto.”
Charles d’Heristal, L’invasion des barberes, Strasbourg, 1932, in Rita Thalman ecc.
86 Paul Morand, Revue 1933, septembre 1933, in Ralph Schor, L’opinion française et les étrangers entre 1919-‐
soltanto alla crisi economica e politica ma anche all’impatto multiforme della propaganda nazista nel paese, una radicalizzazione notevole se si tiene in considerazione che in realtà a quell’epoca l’immigrazione straniera è costituita da