2 Dalla Rivoluzione alla guerra mondiale: nuove identità collettive
2.2. L’EPOCA POST RIVOLUZIONARIA
2.2.1. LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITA’ NAZIONALE
che questo consiglio emana direttamente dall’Assemblea nazionale.
I dibattiti che precedono la legge sono focalizzati essenzialmente sulla questione della nazionalità e non sul diritto di espulsione a cui sono dedicati solo gli ultimi tre articoli a cui oggi si conferisce invece molta più importanza. Si cerca di colpire principalmente gli stranieri ancora non residenti che attraversano le frontiere, per questo motivo si conferisce il potere di espulsione anche ai prefetti delle regioni di confine; per gli stranieri già residenti si applica invece lo stesso principio della naturalizzazione, si attende una delibera del Consiglio di Stato. E’ notevole che in questi articoli non si fa menzione degli stranieri nati in Francia, se ne parlerà infatti solo a partire dall’articolo 9 del Codice civile riformato poco dopo nel 1851.
Questa legge cerca sostanzialmente d’individuare le differenze tra nazionale e straniero e i criteri che permetteranno di assicurare questa divisione.
Il periodo rivoluzionario non è stato senza risonanze in questo senso poiché dopo il 1848 il trionfo della democrazia fa sì che la cittadinanza venga estesa all’insieme dei francesi di sesso maschile che devono essere d’ora in poi difesi dal governo. Da qui, come detto in precedenza, la necessità di una norma concreta e definita in materia.
Il primo vero e proprio dibattito sul diritto di asilo ha permesso dunque soprattutto di porre il problema del rapporto tra democrazia politica e sovranità nazionale più che contribuire a definire chiaramente i diritti dei rifugiati.
2.2.1. LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITA’ NAZIONALE.
Notiamo quindi come l’elemento nazionale si faccia pian piano strada negli argomenti politici e torniamo quindi al primo degli interrogativi posti all’inizio di questo capitolo. Come e perché l’elemento nazionale diventa fondamentale e fondante nel discorso sul diritto di asilo?
Dobbiamo a questo punto prendere in considerazione il processo di costruzione dell’identità nazionale.
Nel periodo che va dall’89 al ’48 il discorso rivoluzionario si è sviluppato in un modo tutt’altro che unitario, l’eredità della rivoluzione inoltre è apparsa come un lascito indispensabile ma ingombrante al tempo stesso.
I principi della proprietà e della libertà sono quelli che permeano in un certo senso questo lascito, e che costituiscono la struttura di una società che vuole presentarsi come la realizzazione delle aspettative rivoluzionarie.
Diverse elaborazioni scaturiscono da questa eredità, e il peso ingombrante della rivoluzione non è più una prerogativa soltanto francese, anche in Italia ad esempio i discorsi sull’identità nazionale sono fortemente influenzati da un rapporto ambiguo con la rivoluzione, positivo e negativo allo stesso tempo. Si tratta di fare i conti con un modello che, sebbene spesso venga rigettato, serve in realtà da pungolo per proporre in un linguaggio originale i temi dei diritti dell’appartenenza e della sovranità.
Soltanto analizzando la nazione come gruppo sociale (piuttosto che considerare soprattutto i criteri oggettivi che aiutano ad definirla, o quelli soggettivi come i simboli che la identificano o gli aspetti degenerativi e negativi prediletti dai regimi estremisti e veicolati dai mezzi di propaganda che essi controllano ci rendiamo conto che essa rappresenta un fattore decisivo nella questione del diritto di asilo. Soprattutto a partire dalla prima guerra mondiale è impossibile sfuggirvi: in questa circostanza il rifugiato diventa più specificamente colui che ha perso la protezione del suo Stato di origine. Diventa perciò fondamentale capire come dagli ideali del 1793 si arrivi a queste nuove elaborazioni.
Prendendo spunto da ciò che Polany70 teorizza nella grande trasformazione
poniamo l’attenzione sul passaggio dallo stato liberale allo stato sociale o per meglio dire allo stato provvidenza che inizia, cioè, pian piano a interessarsi della società.
La fine del laissez-‐faire e il massiccio protezionismo messo in atto sono certamente indicatori di una risposta alla grave crisi economica ma sono anche rilevatori di un forte cambiamento in atto perché gli interessi sociali iniziano ad invadere il campo statale e viceversa. In Francia fino all’inizio della III Repubblica (1870) lo scarso intervento della potenza pubblica nella vita sociale può spiegare perché nonostante l’antica centralizzazione del potere la Francia sia rimasta così
70 Karl Polanyi, La grande trasformazione, introduzione di Alfredo Salsano, traduzione di Roberto Vigevani, Torino Einaudi, 1974.
diversa nei suoi costumi, attività o pratiche culturali. Quando lo Stato inizia invece a interessarsi alla vita della società, si opera allo stesso tempo un importante processo d’integrazione.
Il primo imponente fattore d’integrazione nazionale è la moneta: perfetto esempio di barriera costruita contro lo straniero ci mostra un nuovo tipo di nazionalismo in cui l’identità nazionale è espressa attraverso un nuovo tipo di sovranità economica, molto più assoluto e forte di tutto ciò che si era conosciuto fino a quel momento di cui le banche centrali diventano i bastioni.
Grazie al protezionismo tutta la società ha gli occhi puntati sul corso della moneta. Si tratta di una parte integrante del processo di nazionalizzazione della società. Un altro elemento fondamentale è il diritto, collegato a sua volta alla fioritura delle democrazie politiche.
Possiamo fare un esempio prendendo in considerazione le peripezie che accompagnano l’adozione della legge sulla nazionalità francese del 1889, fondamento del diritto odierno in materia.
Il progetto di legge iniziale fu deposto dal senatore Batbie nel 1882 e aveva come obiettivo iniziale quello di riunire a classificare in un ordine metodico i testi delle leggi precedenti sull’argomento. Ripercorrere il dibattito sulla questione, durato sette anni, ci dà la possibilità di mostrare come una questione che inizialmente interessava soltanto dei giuristi ora diviene un importante argomento pubblico che oppone i principali gruppi della società francese: da una parte i rappresentati del patronato industriale, i partigiani del diritto alla nazionalità a causa del loro forte bisogno di manodopera e di combattere la concorrenza straniera, e i militari che vogliono ricostruire un’armata potente con un gran numero di soldati. Dall’altra troviamo i difensori dell’identità francese che vengono principalmente dall’ambiente aristocratico che trovano in questo dibattito un’ eccellente occasione per far tornare alla ribalta i vecchi principi genealogici e che restano, quindi, fedeli al puro ius sanguinis .
Alla fine la legge del 1889 rappresenta un compromesso tra i gruppi sociali per cui la questione nazionale è divenuta di primaria importanza. Da una parte vengono fatte concessioni ai sostenitori dello ius soli che permette in qualche anno la progressione del numero dei soldati e degli operai naturalizzati di cui si aveva bisogno, dall’altra vengono fatte delle concessioni anche ai promotori dello ius sanguinis, in quanto viene reintrodotto il principio monarchico della
naturalizzazione a doppia velocità che era stata soppressa poco tempo prima secondo cui si eliminavano i nuovi naturalizzati dalle funzioni elettive per dieci anni.
Daniel de Folleville nel suo trattato sulla naturalizzazione71 spiega che il principio
dell’ammissione a domicilio come tappa transitoria verso la naturalizzazione, (principio che conferiva i diritti civili e non quelli politici secondo il codice napoleonico), accordando la possibilità ai figli di stranieri di declinare la nazionalità francese aveva condotto alla presenza di una grande quantità di stranieri che pur vivendo da generazioni sul territorio francese non erano stati naturalizzati ma godevano comunque dei diritti civili.
Folleville sosteneva che si trattasse ancora di stranieri e che per questo fosse necessario che gli fosse accordata la nazionalità, altri giuristi invece ritenevano che in virtù della loro presenza antica sul suolo francese potessero essere già considerati francesi. I senatori a questo punto decidono di consultare il consiglio di Stato che propone numerose modificazioni al progetto di legge non solo per quanto riguarda la naturalizzazione, ma anche per tutto ciò che concerne la nazionalità francese. Il rapporto che scaturisce da questo dibattito al Consiglio è quello proposto da Camille Sée il 7 giugno 1883.
Sée sostiene che la legge sulla nazionalità è stata modificata a più riprese negli ultimi anni in seguito alla modificazione dei rapporti internazionali.
Così, a suo dire, queste disposizioni potevano essere giudicate sufficienti in un’epoca in cui c’erano molti meno spostamenti di popolazioni, quando le comunità vivevano, separate, i cambiamenti di nazionalità erano molto più rari, mentre nel periodo in questione le nazioni e le nazionalità si mescolano, dunque, certi assetti non sono certamente più validi. Aggiunge, però, che la Francia non si trova ancora in questa situazione poiché gli stranieri che la invadono per chiedere la nazionalità sono ancora pochi. Da qui la proposta del Consiglio di Stato di rinunciare completamente allo ius soli, pratica in uso sotto l’Antico Regime.
Cominciano così ad essere proposti vari progetti di legge alla Camera, come quello di Pieyre che esige l’imposizione di una tassa sui lavoratori immigrati che invadono la Francia e fanno concorrenza ai francesi. Oppure il progetto di Dubost
che pone l’accento sulle mancanze del Codice civile che permettendo agli stranieri di ripudiare la nazionalità francese pone un duplice problema: da un lato priva l’armata francese di dozzine, anche centinaia di migliaia di coscritti, considerando anche che la popolazione diminuisce considerevolmente in quel periodo.
Dall’altra parte questa situazione penalizza i francesi sul mercato del lavoro perché i datori tendono a reclutare più gli stranieri che i francesi che sono invece costretti ad un certo punto ad abbandonare il lavoro per dedicarsi al servizio militare.
Per costringere però i figli d’immigrati ad assumere la nazionalità francese bisogna rigettare in toto lo ius sanguinis per ristabilire lo ius soli. L’importanza di questa legge sta nel fatto che per la prima volta vengono fissati in modo razionale i principi della nazionalità francese che combinerà i due precetti fino ai giorni nostri.72
Grazie ai compromessi raggiunti dalla legge la società francese dispone finalmente di criteri stabili e oggettivi per distinguere il nazionale dallo straniero ed è ciò che più interessa al nostro argomento.
Per comprendere l’entità e il cambiamento che questa legge introduce sarà utile portare ad esempio le precedenti leggi; ricordiamo quella del 1851 sugli aiuti agli indigenti che obbliga gli ospedali ad accoglier ei poveri e i malati qualunque sia la loro origine, inoltre il fatto che le leggi sulle società di mutuo soccorso non menzionano la differenza tra operai sulla base di criteri di nazionalità. Per quanto riguarda invece la maggior parte delle leggi sociali della terza repubblica si precisa che i vantaggi sono riservati ai nazionali, come ad esempio le leggi sui sindacati che escludono gli stranieri dalle istanze dirigenziali ecc.
Allo stesso tempo il mercato del lavoro viene riorganizzato su questa base a partire cioè dal criterio nazionale: l’ordine degli avvocati ad esempio ripropone una norma in vigore nel 1810 che esclude le donne e gli stranieri dal barreau, i medici ottengono la soppressione dell’equivalenza dei diplomi per impedire che medici stranieri vengano in Francia, nel mondo operaio settori interi del lavoro sono chiusi agli stranieri con diversi pretesti.73
72 Noiriel, Réfugiés et sans papiers, cit., pp. 85-‐89. 73 Ivi.
Pian piano questa politica d’insieme del mercato del lavoro porta a subordinare l’entrata e il piazzamento della manodopera straniera all’interesse dei salariati francesi.
La costruzione di questo interesse nazionale che ben presso penetra in tutto il tessuto sociale è lenta ma ben radicata se analizziamo gli strumenti con cui si è nazionalizzata la società francese non possiamo mancare di citare la moneta e il diritto con cui lo Stato centralizzato è arrivato a fare in modo che tutti gli individui si sentano parte della questione nazionale.
Per quanto riguarda l’identità francese credo sia utile rilevare in particolar modo anche l’importanza della stampa e dei simboli e valori che essa veicola e solo in seguito quella del diritto in special modo del diritto internazionale.
Fino alla III Repubblica la nozione di straniero riposava sulle norme della società locale e non su dei principi giuridici astratti, c’erano tante piccole comunità quanti stranieri. Sono gli apparati democratici che iniziano a diffondere delle immagini di stranieri uguali per tutti i francesi, da dove l’importanza di stabile un sistema di corrispondenza e d’identificazione. La stampa inizia più che altro a stabilire criteri d’identificazione tramite quelli di separazione, attraverso la diffusione di stereotipi delle altre comunità che a questo punto però diventano anch’esse nazioni.
Gli stereotipi unificati che si diffondono non corrispondono assolutamente ad alcune realtà precisa ma gli individui possono rapportarla alla loro esperienza vissuta.
La prima guerra mondiale accelera questo processo poiché inizia a diventare necessario appartenere ad una nazionalità; i passaporti ora vengono richiesti non più all’interno di una stessa nazione ma tra una nazione e l’altra.
L’esempio migliore del forte cambiamento può essere illustrato dalla considerazione per cui Napoleone III dichiarava di fare guerra ai principi e non ai popoli, ormai nulla sfugge alla violenza degli Stati e le guerre si combattono per conflitto di sovranità nazionale.
2.3. IL TRIONFO DELLA LOGICA NAZIONALE: IL DIRITTO DEI POPOLI A