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La definizione di trauma si rivela molto difficile. Questo è dovuto a disaccordi su ciò che costituisce effettivamente un trauma. Inoltre, il settore del peacebuilding definisce il trauma in maniera leggermente diversa rispetto al campo della psicologia. Nella letteratura psicologica, Peter Levine osserva che definire il trauma è una sfida perché è generalmente definito dall'evento che lo ha causato, piuttosto che essere definito nei suoi stessi termini. Lisa Schirch afferma esplicitamente "il trauma è un evento o una serie di eventi che causano gravi problemi fisici, lesioni emotive o spirituali”.126

124 https://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/20784.html

125 NAIDU-SILVERMAN, E., The contribution of art and culture in peace and reconciliation processes in

Asia, Danish Centre for Culture and Development (CKU), 2015 p. 13

Barry Hart dà una definizione simile, un individuo o

il gruppo può sperimentare o assistere ad un trauma attraverso un evento che "comporta una reale minaccia di morte o gravi lesioni fisiche, emotive, cognitive, comportamentali e spirituali ". 127

Da una prospettiva psicologica, tuttavia, Payne spiega che il trauma viene trattato come un evento attraverso termini diversi.128 Secondo Payne, il trauma è spesso visto come qualcosa

di statico, tuttavia, affermano che si tratta di una falsa ipotesi, pongo un accento importante su questa questione, affermando invece che il trauma è un evento, anche se non è l'evento che provoca lesioni. Nel senso che è un processo dinamico "associato a varie risposte fisiche e psicologiche che possono differire per grandezza ed espressione ".129

Molto vicino a ciòche Lisa Schirch identifica come caratteristiche del trauma, includendo: periodi di shock, rifiuto, vergogna ed umiliazione, perdita di significato, sentimenti di impotenza, rabbia e soppressione del dolore e delle paure. 130 La guarigione dal trauma in

termini di utilizzo di terapie creative in psicologia è ritenuto un campo a sé rispetto alla guarigione da trauma attraverso l'ABP. Ad ogni modo, il nostro obiettivo non è quello di scardinare questioni teoriche irrisolte tra psicologi e peacebuilding makers. Ho però ritenuto opportuno introdurre l'argomento e le sue problematiche riportando i risultati di alcuni studi condotti sulla relazione tra trauma, guarigione ed arte, che ritengo siano interessanti al fine di inquadrare ancora meglio il contesto teorico e sperimentale nel quale si inserisce il creative peacebuilding, considerando il trauma più dal punto di vista degli psicologi che dei peacebuilders, cioè più come risposta psico-fisica ad un'evento che come evento in sé, sottolineando la questione del trauma collettivo. A tal proposito segnalo la lettura di un'importante studio condotto dal Prof. Lorenzo D'Orsi sul trauma collettivo in Uruguay: “Trauma and the Politics of Memory of the Uruguayan Dictatorship”.131

Ritenendo ad ogni modo che le arti possano contribuire a costruire la pace offrendo una via di espressione a livello individuale, ne sottolineo l'importanza che possa avere anche e

Arts and a 3D Approach to Human Security "in Peacebuilding in Traumatized Societies, ed. Barry Hart,

Lanham, University Press of America, 2008, 85

127 HART, B., Peacebuilding in Traumatized Societies, University Press of America, 2008 p. 120 128 J. Payne et al., "The biopsychology of trauma and memory", in Memory and Emotion, ed. Daniel

Reisberg and Paula Hertel (New York, NY: Oxford University Press, 2004), 76-128

129 Ibid.

130 Lisa Schirch, "Trauma, Identity and Security: How the U.S. Can Recover 83 from 9/11 Using Media Arts and a 3D Approach to Human Security "in Peacebuilding in Traumatized Societies , ed. Barry Hart

(Lanham, MD: University Press of America, 2008), 85."

131 D'ORSI, L., Trauma and the Politics of Memory of the Uruguayan Dictatorship, Università Bicocca, Milano, 2015

forse soprattutto per la guarigione a livello collettivo, in un'ottica più in termini di trasformazione del conflitto che di superamento del trauma.

La trasformazione del conflitto è definita come un approccio che

mira a porre fine a qualcosa di distruttivo e a costruire qualcosa che è desiderato. Si è distinta dalla risoluzione del conflitto in quanto nella risoluzione del conflitto si cerca solo di porre fine a ciò che è distruttivo. La risoluzione dei conflitti, inoltre, implica anche una finalità, una fine ben definita che non esiste nella maggior parte dei conflitti, mentre la trasformazione dei conflitti implica un processo più lungo e più coinvolgente.132 Oltre ad

essere un mezzo per la costruzione della pace e la trasformazione dei conflitti, l'arte può anche aiutare nel processo di cura del trauma. Zelizer spiega che "molti praticanti di conflitti, in particolare quelli che lavorano in contesti violenti o postbellici lavorano spesso con individui che sono stati esposti ad eventi traumatici, "quindi", per i professionisti delle arti comunitarie che lavorano in zone colpite da conflitti è fondamentale sviluppare

consapevolezza dei traumi e della strategie per la cura dell'individuo lavorando in modo efficace con gli altri".133 Questo è ciò che ci auspichiamo da parte delle organizzazioni che

lavorano in contesti post-conflitto. Il percorso logico che ritengo fondamentale nella costruzione teorica parte dalla consapevolezza, spiegata da Schirch in Strategic

Peacebuilding - State of the Field, del fatto che nella maggior parte della letteratura sul

trauma si è associato il superamento del trauma, quindi la guarigione da esso, alla pratica della dimenticanza.134 C'è una forte convinzione nelle società di tutto il mondo che "ciò che

è fatto è fatto ", è meglio andare avanti e dimenticare il dolore del passato. 135 La politica

della dimenticanza. Alcuni esempi recenti includono l'Irlanda del Nord e la Bosnia. Nella maggior parte dei casi, tali politiche sembrano essere controproducenti, causando più traumi invece di eliminarli.136 È in questo spazio teorico che si incontrano gli studiosi di

psicologia e i teorici della costruzione della pace e del creative peacebuilding. È in

entrambi i campi ritenuto come assioma che il trauma passato non possa non influenzare il

132 HART, B., Peacebuilding in Traumatized Societies, University Press of America, 2008 p. 120

133 FITZDUFF, M., STOUT, C. E., The Psychology of Resolving Global Conflicts: From War to Peace (3

Volume Set), Praeger Security International, 2005, “Creative Approaches to Reconciliation” di Cynthia Cohen

134 SCHIRCH, L., Strategic Peacebuilding – State of the field, Peace Prints: South Asian Journal of Peacebuilding 1, no. 1, 2008, p. 2-3

135 BIGGAR, N., Burying the Past: Making Peace and Doing Justice After Civil Conflict, Expanded and Updated Edition, Georgetown University Press, 2003, p. 4

presente, individuale, sociale, politico di un uomo o della sua comunità. La letteratura in psicologia e della costruzione della pace riflette in entrambi i casi l'ipotesi che il trauma non debba essere ignorato e non affrontato, se no quasi invariabilmente porterà a conseguenze disastrose.137 Esiste un'importante differenza di visione tra psicologia e

peacebuilding. Per la psicologia il trauma colpisce a livello intra o interpersonale, mentre il peacebuilding parte già da un'azione collettiva, forse riuscendo a giungere all'individuo da questo livello. Nel suo libro, Building Peace: Sustainable Reconciliation in Divided

Societies, John Paul Lederach identifica quattro dimensioni del cambiamento causato dal

conflitto sociale.138 Le dimensioni del cambiamento sono: personale, relazionale, strutturale

e culturale. Personale: il cambiamento personale comporta un cambiamento emotivo e spirituale negli individui mentre il cambiamento relazionale fa riferimento alla

trasformazione dei rapporti interpersonali costituiti da contatti diretti "faccia a faccia" l'uno con l'altro.139 La letteratura psicologica raramente discute il cambiamento oltre la

dimensione personale.140 La letteratura sul peacebuilding, tuttavia, esamina gli effetti del

trauma a livello individuale e sociale. Questo è soprattutto vero nel lavoro connesso al trauma: guarigione e trasformazione dei conflitti. Una ragione per la quale la letteratura della costruzione della pace si concentra sul cambiamento a queste dimensioni è che, secondo Biggar, le emozioni, sia a livello individuale che collettivo, possono portare all'odio e alla sfiducia tra vittime e perpetratori. Hart e Schirch affermano entrambi che queste lamentele possono tradursi in risposte violente, causando un ciclo di traumi, violenza e vittimizzazione. La letteratura psicologica afferma che le vittime di un trauma possono rimanere intrappolate in un ciclo di vittimizzazione, questo ciclo riguarda solo l'individuo ed è per lo più limitato agli effetti psicologici negativi sulla persona.141 D'altra

parte, da una prospettiva di costruzione della pace, questo ciclo di vittimizzazione può causare danni psicologici e fisici non solo all'individuo bloccato nel ciclo di

vittimizzazione, ma anche agli altri. Ad esempio, le vittime della violenza possono usare la violenza contro i loro ex perpetratori, diventando così loro stessi autori di violenze e continuando il ciclo di vittimizzazione e violenza. Nonostante le differenze in questi

137 Ivi, p. 155.

138 LEDERACH, J. P., Building Peace: Sustainable Reconciliation in Divided Societies, United States Institute of Peace, 1998

139 Ibid. 140 Ibid.

141 Lisa Schirch, "Trauma, Identity and Security: How the U.S. Can Recover 83 from 9/11 Using Media Arts and a 3D Approach to Human Security "in Peacebuilding in Traumatized Societies , ed. Barry Hart,

cicli, sia la letteratura sulla costruzione della pace che la psicologia sostengono che un modo per uscire da questo ciclo è attraverso l'espressione di pensieri e sentimenti legati al trauma.142 L'espressione delle esperienze può essere difficile per molte

ragioni. Una ragione dal punto di vista psicologico è che "il trauma influisce sulla memoria".143 Eppure, secondo Payne, dipende comunque dall'individuo. Gli psicologi

sostengono che alcuni individui traumatizzati sono ossessionati dai ricordi dell'esperienza traumatica nonostante i loro sforzi atti a dimenticare, mentre si crede che gli altri

sopprimino o addirittura "dimentichino" le esperienze traumatiche.144 Freud asserisce che

questo è dovuto al fatto che di fronte a ricordi negativi, gli individui li reprimono o li ricordano in modo distorto.145 Tuttavia, un recente studio psicologico condotto da Richard

McNally, Susan Clancy e Heidi Barrett sostiene che gli individui traumatizzati in realtà non dimenticano o reprimono il ricordo di un evento traumatico.146 Spiegano che la

nozione che il trauma possa essere dimenticato è molto probabilmente a causa di un fraintendimento di come funziona la memoria e gli eventi di richiamo nella

mente.147 Quando un individuo blocca mentalmente un evento o un'esperienza nella

memoria, spesso definita come "dimenticanza", non necessariamente significa che la persona non è in grado di ricordarla. La dimenticanza in questa maniera sarebbe

categorizzata come amnesia. McNally, Clancy e Barrett affermano che "non c'è bisogno di postulare qualsiasi meccanismo speciale per spiegare per quale motivo qualcuno ha cercato di non pensare a qualcosa di spiacevole ed è riuscito a non pensarci per lunghi periodi di tempo."148

Gli studiosi di psicologia sostengono che sia necessaria talvolta una certa distanza temporale ed emotiva dall'esperienza traumatica prima che un individuo sia pronto ad affrontarla. Un individuo può deliberatamente creare questa distanza non pensando all'evento traumatico.

142 HARRISONBERG, VA, STAR, Youth STAR Training Manual, Eastern Mennonite University, 2007 143 J. Payne et al., "La biopsicologia del trauma e della memoria" in REISBERG, D., HERTEL, P., Memory

and Emotion, Oxford University Press; 1st edition, 2003

144 Richard J. McNally, Susan A. Clancy e Heidi M. Barrett, "Dimenticare il trauma ?," in REISBERG, D., HERTEL, P., Memory and Emotion, Oxford University Press; 1st edition, 2003, p. 52

145 IGARTUA, J., PAEZ, D., Art and remembering traumatic collective events: the case of the Spanish

Civil War, Hillsdale, Lawrence Erlbaum, 1997 P. 53

146 MCNALLY, R. J., CALNCY, S. A., & BARRETT, Forgetting trauma? p. 148-149 in REISBERG, D., HERTEL, P., Memory and Emotion, Oxford University Press; 1st edition, 2003

147 Ibid. 148 Ibid.

L'evento deliberatamente non viene pensato ma in realtà può essere ancora ricordato. Come McNally, Clancy e Barrett sottolineano, non pensare a un evento spiacevole nel passato di una persona è n qualcosa di naturale.149 A volte è l'unico modo

per far fronte fino a quando un individuo è pronto o in grado di lavorare sul proprio trauma passato. Questa dimenticanza differisce dal processo applicato dalle politiche di

oblio. Secondo le letterature entrambi i campi, psicologia e peacebuilding, tali politiche non sono un mezzo efficace per il superamento del trauma. Questa inibizione

dell'elaborazione e dell'espressione del trauma possiamo denominarla "repressione". Piuttosto che "perdonare e dimenticare", Lederach suggerisce che la riconciliazione arriva quando le vittime del conflitto "ricordano e cambiano".150 Tuttavia, il perdono non deve

essere eliminato dall'equazione.

In sostanza e conclusione, le arti sono state utilizzate come mezzi creativi per affrontare il trauma e la riconciliazione nelle società post-conflitto, sia per le comunità che per gli individui. I terapeuti hanno utilizzato molteplici tecniche artistiche. La terapia artistica è considerata da molti professionisti come un mezzo efficace per esprimere le esperienze di paura, perdita, separazione, instabilità e interruzione. La maggior parte delle tecniche di terapia creativa utilizzano processi basati sulle arti per facilitare il rilascio di traumi ed emozioni a livello individuale.151 In tutto il mondo, diverse organizzazioni internazionali

non governative ben conosciute e organizzazioni locali e gruppi di comunità hanno utilizzato processi basati sulle arti in programmi psicosociali orientati alla comunità per lavorare attraverso emozioni irrisolte. Non c'è ancora abbastanza sviluppo della teoria sull'applicazione degli approcci artistici oltre il livello interpersonale o la ricerca sul campo per misurare il loro impatto sui processi di costruzione della pace.152

Sia gli psicologi e sia i professionisti della pacificazione riconoscono sempre più che la pace sostenibile richieda più dell'impegno cognitivo e razionale. Ad ogni modo questi conflitti non sono suscettibili di trasformazione attraverso i soli processi razionali. Richiedono modalità espressive che abbraccino il paradosso e diano voce a pensieri e sentimenti che sfidano le parole.153 Il lavoro culturale e le arti offrono risorse per

149 Ibid.

150 LEDERACH, J. P., Building Peace: Sustainable Reconciliation in Divided Societies, United States Institute of Peace, 1998

151 http://www.peacebuildinginitiative.org/indexe9b8.html?pageId=2048 152 http://www.peacebuildinginitiative.org/indexe9b8.html?pageId=2 048

combattere i conflitti non violentemente, trasformando le relazioni dopo la violenza e costruendo le capacità necessarie per la pace. In tempi di distruzione e guerra, gli artisti affermano il potere della creatività e contrastano la demonizzazione del nemico. L'arte può far emergere il conflitto e il trauma, proprio per evitare l'inopportuna repressione di questo che come abbiamo visto risulta sia dal punto di vista degli psicologi, sia dal punto di vista dei peacemakers, un male per il superamento del trauma. Inoltre le arti e gli artisti

testimoniano la sofferenza e attirano l'attenzione del mondo su gli abusati, gli invisibili, sui dominati, sui repressi. I musicisti creano opportunità per collaborazioni senza parole attraverso le differenze e gli artisti visivi costruiscono spazi fisici in cui le storie e le culture dei gruppi opposti possono essere convalidate e condivise.154 Il teatro aiuta le

persone provenienti da comunità in conflitto a sviluppare una comprensione più sfumata delle narrative di ciascuno. Questi sono solo alcuni esempi dei molti modi in cui artisti e operatori culturali contribuiscono agli sforzi per la costruzione della pace.155 Ad ogni modo

il ruolo dello psicologo rimane fondamentale e risulta auspicabile, secondo me essenziale, la sua presenza operativa e consultiva durante le attività artistiche di progetto di

costruzione della pace attraverso le arti. Infine concludo questo paragrafo riportando una parte dell'intervento di Ezio Sciarra “La vocazione del teatro sociale” presente in “Teatro come Corpo Sociale e Orizzonte di Diritti Umani”. Ezio Sciarra chiarisce un importante punto che può creare le basi per snodare la dibattuta questione del rapporto tra costruzione della pace attraverso l'arte e psicoterapia, ragionando sul ruolo della rappresentazione nella società, della persona e dell'entità “attore”.156 Egli sostanzialmente arriva alla conclusione

che la persona è la maschera e l'uomo si maschera per ritrovarsi persona.157 Una svolta

concettuale che rileva il carattere terapeutico che caratterizza, in questo caso,

specificatamente il teatro, in quanto “scopre diagnosticamente e sana pragmaticamente, con l'esercizio di una effettiva simulazione vissuta, la frattura che si è inserita tra me e me, per riscoprire ciò che io sono, oltre quella frattura di inautentiche costruzioni fatte su di me.”158

154 http://www.brandeis.edu/ethics/peacebuildingarts/about_us/whycreative.html

155 Ibid.

156 CAM LECCE, (a cura di), Teatro come Corpo Sociale e Orizzonte di Diritti Umani, Edizioni Tracce, Pescara, 2011 P. 28

157 Ibid. 158 Ibid.