• Non ci sono risultati.

Il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (CSE) consiste nella somministrazione di chemioterapia ed eventuale radioterapia ad intensità sovra-massimale (fase denominata di condizionamento) seguita da reinfusione delle CSE del paziente stesso, che siano state raccolte e congelate prima della terapia. Il paziente, quindi, è allo stesso tempo donatore e ricevente delle cellule staminali.

Il razionale su cui si basa il trapianto autologo di CSE è rappresentato dalla elevata chemio-sensibilità di molte neoplasie, ematologiche e non, che sono capaci di rispondere alla somministrazione di dosaggi elevati di chemioterapia. La somministrazione di tali dosaggi offre la possibilità di raggiungere un buon controllo di malattia fino alla eventuale eradicazione, tuttavia è gravata da una serie di tossicità, la più importante delle quali è quella midollare, caratterizzata dalla distruzione dei precursori delle cellule emopoietiche. La reinfusione di CSE, precedentemente raccolte e conservate, è in grado di determinare una rigenerazione del midollo osseo e quindi di far fronte a questo grave effetto collaterale. In questo modo si possono somministrare elevati dosaggi di chemioterapia, raggiungendo la massima efficacia sul controllo di malattia ma allo stesso tempo evitando la distruzione completa ed irreversibile del midollo osseo ematopoietico.

Il primo caso di utilizzo di CSE autologhe è stato descritto nel 1959 in una bambina affetta da leucemia linfoblastica acuta, sebbene qualche caso fosse stato già pubblicato alla fine dell’800. Nel 1978 è stato pubblicato dai medici americani del National Cancer Instituite il primo studio prospettico in cui l’autotrapianto di CSE veniva utilizzato in pazienti con linfoma in fase avanzata. Nel tempo si è assistito ad un incremento del numero di trapianti autologhi effettuati, oltre che alla progressiva estensione delle sue indicazioni.

50 È possibile distinguere, nella procedura del trapianto autologo di CSE,

cinque fasi successive.

La prima fase consiste nella raccolta delle CSE, note anche come cellule CD34-positive (CD34+) per la presenza sulla loro superficie di questa molecola distintiva.

La metodica originale per raccogliere le CSE, che è stata utilizzata per circa un decennio, era il prelievo di midollo osseo ematopoietico. Il paziente veniva sottoposto a ripetute aspirazioni a livello delle creste iliache posteriori (generalmente in sala operatoria, in anestesia generale o loco-regionale spinale), fino a prelevare in totale circa 1-2 litri di sangue contenente midollo osseo ematopoietico; si assicurava così una quantità di CSE adeguata per una ricostituzione midollare completa dopo la chemio-radioterapia mieloablativa. La procedura richiedeva circa due ore per essere completata, e spesso era necessario trasfondere il paziente con emazie concentrate a causa dell’elevata quantità di sangue prelevata. La metodica tradizionale è stata progressivamente sostituita da un’altra modalità di raccolta delle CSE, nota dai primi anni ’80 e che attualmente rappresenta la tecnica prevalente: la raccolta delle CSE dal sangue venoso periferico. Sebbene normalmente le CSE CD34+ siano presenti in piccolissime quantità nel sangue venoso periferico, dopo somministrazione di fattori di crescita granulocitari (Granulocyte Colony Stimulating Factor, G-CSF) associata eventualmente a specifici farmaci chemioterapici definiti mobilizzanti (Ciclofosfamide, Citarabina, Ifosfamide), il numero di queste cellule nel sangue periferico aumenta enormemente (fenomeno della mobilizzazione). A questo punto si possono raccogliere le CSE direttamente dal sangue periferico mediante un separatore cellulare a flusso continuo ad una velocità di aspirazione del sangue di 30-70 ml/minuto, che possiede una centrifuga interna predisposta in modo da separare dagli altri elementi ematici una frazione di cellule mononucleate contenenti le CSE, grazie alla presenza del loro marcatore CD34. Per la raccolta si utilizza generalmente un catetere venoso centrale a doppio o triplo lume, in modo da garantire adeguati volumi di scambio, che viene rimosso al termine della seduta di aferesi.

51 Una procedura standard prevede che siano processati 10-15 litri di sangue

intero in 3-5 ore di tempo, valutando, al termine, la conta cellulare e le cellule CD34+.

La quantità di CSE CD34+ da raccogliere dipende dal numero di trapianti che si intendono effettuare, dall’intensità della chemioterapia di condizionamento e dalla patologia per la quale si effettua il trapianto. Solitamente, per assicurare al paziente un’adeguata ricostituzione del midollo dopo che questo è stato distrutto dalla terapia mieloablativa, è necessario reinfondere un numero di CSE CD34+ pari a 2-5 x 106/kg. Nei pazienti che abbiano raggiunto quantità adeguate di cellule CD34- positive circolanti, un’accurata procedura consente di raccogliere il totale delle CSE necessarie per un trapianto. Pazienti che abbiano basse quantità circolanti di precursori emopoietici o che debbano essere sottoposti a più di una procedura trapiantologica, dovranno talvolta essere sottoposti a più sedute di leucoaferesi. È necessario sottolineare che circa il 25% dei pazienti sottoposti a mobilizzazione non è in grado di raggiungere un adeguato numero di CSE CD34+ nel sangue venoso periferico; tali soggetti, in cui fallisce quindi il tentativo di raccolta, vengono definiti cattivi mobilizzatori. In questi casi possiamo associare al G-CSF e alla chemioterapia i nuovi farmaci mobilizzanti che sono stati immessi sul mercato negli ultimi anni. Il principale è il Plerixafor, che mediante un complesso meccanismo d’azione è in grado di aumentare la capacità di mobilizzazione anche nei pazienti suddetti. Tuttavia, anche con i nuovi farmaci rimane una percentuale di soggetti in cui non è possibile effettuare la mobilizzazione, rendendo così necessario il ricorso all’espianto di midollo osseo ematopoietico per ottenere un adeguato numero di cellule CD34+ in modo da effettuare la procedura di trapianto autologo in regime di sicurezza.

La seconda fase è rappresentata dalla conservazione delle CSE. Qualsiasi sia stata la modalità di raccolta, infatti, le CSE devono essere conservate in maniera adeguata al fine di evitarne il deterioramento.

52 Negli ultimi decenni sono state proposte diverse metodiche di

congelamento delle cellule staminali, sottoponendole a temperature variabili tra -80 e -196°C; si è arrivati addirittura a non congelarle nei casi in cui il regime di condizionamento sia di breve durata ed il tempo che intercorre tra la raccolta e la reinfusione delle cellule non superi le 96-120 ore. Per permetterne la sopravvivenza a tali temperature, è necessario proteggere le CSE: generalmente ciò viene fatto diluendole in un agente crioprotettivo, il Dimetilsulfossido (DMSO), una molecola in grado di diffondere rapidamente all’interno della cellula ed andare a ridurre il numero e le dimensioni dei cristalli di ghiaccio intracellulari che altrimenti danneggerebbero la membrana e gli organuli citoplasmatici, e di proteggere le cellule dalla disidratazione. L’utilizzo del DMSO in concentrazione pari al 10% del volume della sospensione cellulare garantisce una buona conservazione delle cellule staminali ed un effetto tossico contenuto nei pazienti sottoposti a reinfusione. Le CSE correttamente criopreservate rimangono integre e vitali per lunghi periodi, anche per 10-15 anni, perciò possono essere utilizzate in qualsiasi momento previo scongelamento.

La terza fase è quella del condizionamento, che consiste nella somministrazione di chemioterapia +/- radioterapia a dosaggi sovra- massimali nei giorni precedenti l’infusione delle CSE. Nel caso delle neoplasie ematologiche, in particolare, questo processo ha lo scopo di preparare il midollo osseo del paziente a ricevere le CSE, ma anche un altro obiettivo fondamentale, ovvero il tentativo di eradicare la quota di malattia che è ancora presente.

Numerosi farmaci sono stati testati per essere utilizzati, singolarmente o in combinazione, nella terapia ad alte dosi. Tra questi, gli agenti alchilanti (che agiscono mediante la formazione di cross-links all’interno del DNA, impedendone così qualsiasi funzione) soddisfano molte delle caratteristiche ideali: sono efficaci contro una buona varietà di neoplasie umane; hanno curve di risposta dose-dipendenti, ed utilizzati in alte dosi sono in grado di superare la resistenza delle cellule tumorali; la

53 mielosoppressione è la tossicità dose-limitante, mentre le tossicità non

ematologiche sono variabili e non equivalenti, ed accettabili anche a dosi mielosoppressive. In particolare, il Melfalan è uno dei più utilizzati: oltre a condividere i vantaggi degli altri agenti alchilanti, ha una breve emivita, che consente di trasfondere il paziente con le proprie cellule staminali (Peripheral Blood Stem Cells, PBSC) poco dopo aver completato la terapia mieloablativa. Altri farmaci sono stati testati singolarmente, la maggior parte dei quali con risposte parziali. Una certa efficacia è stata provata per il Busulfano ed il Treosulfano: entrambi si sono dimostrati in grado di ridurre la crescita cellulare neoplastica in maniera tempo- e dose-dipendente. Attualmente, gran parte dei protocolli mieloablativi prevede l’utilizzo di combinazioni di farmaci, che si sono rivelate maggiormente efficaci rispetto al singolo. In genere tali regimi sono rappresentati dal Melfalan, variamente associato a Busulfano, Etoposide, Tiothepan, Carboplatino o altri ancora.

I principali schemi di condizionamento usati nel trapianto autologo di CSE sono i seguenti (per convenzione, il giorno dell’infusione è indicato come giorno 0):

BU-CY2 (BUSULFANO dal giorno -7 al giorno -4, CICLOFOSFAMIDE giorni -3 e -2);

BEAM (CARMUSTINA giorno -7, CITARABINA e ETOPOSIDE dal

giorno -6 al giorno -3, MELFALAN giorno -2);

BEAC (CARMUSTINA giorno -6, CITARABINA, CICLOFOSFAMIDE e ETOPOSIDE dal giorno -5 al giorno -2);

MEL200 (MELFALAN giorno -2);

CY-TBI (CICLOFOSFAMIDE giorni -6 e -5, TOTAL BODY

IRRADATION dal giorno -3 al giorno -1);

BU-MEL (BUSULFANO dal giorno -5 al giorno -2, MELFALAN al

giorno -1);

54 La fase successiva prevede la reinfusione delle cellule staminali CD34+,

che viene effettuata al termine della terapia di condizionamento ed in particolare dopo un periodo di tempo sufficiente a garantire l’eliminazione dal circolo ematico dei metaboliti dei farmaci somministrati. Per far ciò, le sacche di CSE devono essere scongelate, dopodiché verranno reinfuse nel paziente mediante un catetere venoso centrale o, in alternativa, a livello di una vena periferica di grosso calibro.

In genere la procedura avviene in prossimità della stanza di degenza del paziente, immergendo la sacca in un bagno termostatico in cui l’acqua distillata è mantenuta a 37°C. La sacca viene mantenuta nel bagno termostatico fino alla scomparsa di tutti i cristalli di ghiaccio. La reinfusione delle CSE dovrebbe avvenire il più rapidamente possibile dopo lo scongelamento e, comunque, non oltre i 45 minuti dallo stesso.

Le problematiche relative all’infusione sono correlate agli effetti tossici del DMSO contenuto nelle sacche. Nella maggior parte dei casi il paziente avvertirà delle vampate di calore, nausea, secchezza delle fauci e un cattivo sapore. Piuttosto rari sono effetti collaterali più importanti, quali brivido, febbre, insufficienza respiratoria, abbassamento dei valori pressori fino allo shock.

La somministrazione della terapia di condizionamento induce la cosiddetta fase di aplasia, in cui si realizza un abbassamento dei valori dei globuli bianchi, delle piastrine e dell’emoglobina; ciò comporta una drastica riduzione delle difese immunitarie che espone il paziente ad un elevato rischio di infezioni, oltre che di emorragie potenzialmente fatali. L’aplasia midollare termina una volta che le CSE infuse, in grado di trovare la strada per colonizzare le cavità midollari vuote, iniziano a proliferare, maturano e si differenziano in globuli bianchi, piastrine e globuli rossi. La fase di aplasia midollare ha durata variabile e dipendente dall’intensità del condizionamento, dal numero di CSE infuse e dallo stato di malattia al trapianto.

55 A questa segue il cosiddetto attecchimento, ovvero la fase di recupero

ematologico con risalita dei valori dei globuli bianchi e delle piastrine, che si verifica generalmente dopo 10-15 giorni dal trapianto.

Si definisce attecchimento in neutrofili e/o in piastrine il raggiungimento di valori di granulociti neutrofili superiori a 500/ mm3, e/o di piastrine superiori a 20.000/ mm3 per almeno tre giorni consecutivi. Fino a quando l’attecchimento non è completo il paziente presenta un rischio di infezioni ed emorragie non trascurabile, per cui necessita di adeguata sorveglianza. La ripresa midollare e periferica, comunque, continua anche dopo la dimissione, infatti sono generalmente necessari 6 mesi o più per avere una ricostituzione immunitaria completa.

Tossicità

Oggi il trapianto autologo è ritenuto una procedura relativamente sicura se effettuato in centri specializzati. Negli ultimi anni, grazie al miglioramento della terapia di supporto e della conoscenza dei principali effetti collaterali dei regimi di condizionamento, le complicanze e la mortalità legata alla procedura (definita Transplant Related Mortality, TRM) si sono ridotte notevolmente. Tuttavia, il trapianto autologo di CSE rimane gravato da una certa tossicità e da una mortalità (TRM) che si attesta, nei centri adeguati, su valori del 2-3%, e che è legata principalmente alle possibili complicanze infettive.

Le più comuni complicanze in corso di trapianto autologo sono: • Mucosite del cavo orale e del tratto gastroenterico; • Infezioni batteriche;

• Riattivazioni virali (es. Cytomegalovirus); • Cistite emorragica;

• Tossicità epatica e malattia veno-occlusiva; • Tossicità polmonare con distress respiratorio;

56 • Insufficienza multi organo.

Indicazioni

Le principali indicazioni per il trapianto autologo di CSE sono le patologie neoplastiche ematologiche, le quali rappresentano ben il 90% dei casi, ed i tumori solidi, purché siano radio-chemiosensibili.

L’età limite fino a cui è possibile essere sottoposti a tale procedura è stata modificata con il miglioramento delle terapie di supporto e la minore tossicità dei farmaci usati nel corso della malattia. Oggi, anche soggetti anziani che siano in buone condizioni cliniche possono essere avviati a tale procedura senza un incremento significativo di tossicità e del rischio di TRM. Affinché ciò avvenga in regime di sicurezza, si rende necessario studiare precedentemente il paziente mediante lo screening pre- trapianto, con lo scopo di accertarsi che non vi siano condizioni cliniche tali da controindicare l’esecuzione del trapianto stesso.

Le principali patologie in cui è indicato il trapianto autologo di CSE sono le seguenti:

• Mieloma Multiplo ed altre Discrasie plasmacellulari; • Linfoma Non-Hodgkin;

• Linfoma di Hodgkin; • Leucemia Mieloide Acuta; • Leucemia Linfoblastica Acuta;

• Tumori solidi chemio-sensibili: osteosarcoma, seminoma, sarcoma di Ewing, neoplasie mammarie ad elevata frazione di crescita, tumori a cellule germinali;

• Malattie autoimmuni: LES, Sclerosi Sistemica progressiva, Artrite Reumatoide;

57 • Malattie infiammatorie intestinali: Morbo di Chron.

Le indicazioni del Ministero della Salute (www.salute.gov.it) al trapianto autologo di CSE nei pazienti pediatrici sono le seguenti:

• Leucemia Mieloide Acuta in prima o seconda remissione dopo purificazione midollare;

• Leucemia Linfoblastica Acuta in seconda remissione dopo recidiva extra-midollare isolata;

• Linfomi maligni recidivati;

• Neuroblastoma metastatico alla diagnosi; • Rabdomiosarcoma metastatico alla diagnosi; • Sarcoma di Ewing metastatico alla diagnosi;

• Selezionati tipi di malattie autoimmuni refrattarie ai trattamenti convenzionali e quindi a prognosi infausta.

58

Terapia ad alte dosi e Trapianto di Cellule

Documenti correlati