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Alte dosi di Busulfano-Melphalan (BuMel) seguite da Autotrapianto di Cellule Staminali Emopoietiche in pazienti affetti da Sarcoma di Ewing: esperienza del Centro Trapianti dell'U.O. Oncoematologia Pediatrica di Pisa

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1 Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Alte dosi di Busulfano-Melphalan (BuMel)

seguite da Autotrapianto di Cellule Staminali

Emopoietiche in pazienti affetti da Sarcoma di

Ewing: esperienza del Centro Trapianti dell'U.O.

Oncoematologia Pediatrica di Pisa

CANDIDATA: RELATORI:

Ilaria Bertacca Dott. Luca Coccoli

Dott.ssa Mariacristina Menconi

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A Elena M., Per avermi fatta avvicinare a questo travolgente mondo con il suo esempio di coraggio e positività.

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RIASSUNTO ANALITICO

Introduzione. Il Sarcoma di Ewing (SE) è un tumore mesenchimale altamente maligno, scarsamente differenziato e con alto potenziale metastatico. Colpisce soprattutto pazienti pediatrici e giovani adulti, con una lieve prevalenza nel genere maschile. La localizzazione ossea è quella più frequente, con un’incidenza di circa 60 nuovi casi l’anno in Italia, tuttavia tale neoplasia può interessare anche i tessuti molli. Dal punto di vista genetico si caratterizza per la presenza, nella quasi totalità dei casi, del gene di fusione EWS-FLI1, derivante dalla traslocazione t(11;22). Attualmente, il trattamento del SE prevede la combinazione di terapia sistemica (chemioterapia) e locale (chirurgia e/o radioterapia). I regimi chemioterapici utilizzati sono molteplici, ma non esistono ancora nette evidenze su quale sia la combinazione migliore. Poiché l’intensità di dose correla positivamente con la sopravvivenza, una strategia è quella di ricorrere alla chemioterapia con alte dosi (HDCT) seguita da autotrapianto di cellule staminali emopoietiche (ASCT); in particolare, tale approccio si è dimostrato efficace in pazienti risultati Poor Responder (PR) alla chemioterapia primaria, in pazienti metastatici all’esordio, ed in pazienti con SE recidivante che non avessero già effettuato tale trattamento.

Scopi. Il presente studio retrospettivo ha lo scopo di valutare l’efficacia e la tossicità della terapia con alte dosi di Busulfano-Melphalan seguita da autotrapianto di cellule staminali emopoietiche nei pazienti pediatrici e giovani adulti affetti da Sarcoma di Ewing che sono stati trattati nella U.O. Oncoematologia Pediatrica di Pisa.

Pazienti e metodi. In questo studio sono stati inclusi 27 pazienti affetti da SE e sottoposti ad HDCT ed ASCT nel periodo compreso tra Settembre del 2000 e Settembre del 2018 (un soggetto completerà la terapia in Ottobre 2018). Di essi, 16 erano PR alla chemioterapia di induzione, 9 Metastatici all’esordio e 2 affetti da SE ricorrente. Sono stati trattati seguendo, rispettivamente, i protocolli EW1/ISG III, EW2/ISG IV e rEECur; successivamente, i pazienti risultati idonei hanno proseguito con la terapia ad alte dosi ed autotrapianto di CSE.

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4 Per il condizionamento sono stati somministrati per via endovenosa

Busulfano, dal giorno -7 al giorno -4, con un dosaggio giornaliero di 3,2 mg/kg suddiviso in 4 somministrazioni, e Melfalan, al giorno -2, con un dosaggio di 140 mg/m² in monosomministrazione. Solo un paziente è stato trattato esclusivamente con Melfalan, somministrato il giorno -2 al dosaggio di 180 mg/m² in monosomministrazione. Al giorno 0 è stata effettuata l’infusione delle cellule staminali autologhe, con un valore mediano di CD34+ reinfuse pari a 5,065 x 106/kg. Risultati. In quasi tutti i pazienti è stata raggiunta la risposta completa di malattia (RC) già prima della HDCT; 4 pazienti con risposta parziale (RP) sono stati comunque sottoposti alla procedura, ma di essi solo uno è ancora vivo senza evidenza di malattia a 6 mesi dal trapianto. La ricaduta si è verificata in 12 individui entro due anni dal trapianto, solo in uno successivamente. La sopravvivenza libera da eventi (EFS) ha raggiunto, comprensibilmente, valori migliori nei PR (80,4% ad un anno, 40,2% a tre e a cinque anni) rispetto ai Metastatici e Recidivati (56,3% ad un anno, 18,8% a tre e a cinque anni). Ad oggi sono andati incontro ad exitus 7 PR e 5 Metastatici/Recidivati, con un tempo mediano di sopravvivenza globale (OS) pari a 51 mesi e 25 mesi rispettivamente. La OS dei PR è risultata pari al 93,3% ad un anno, 56,6% a tre anni e 47,1% a cinque anni dal trapianto; nei Metastatici e Recidivati la OS ha raggiunto il 66,7% ad un anno, ed il 33,3% a tre così come a cinque anni dal trapianto. Per quanto riguarda le tossicità riscontrate, sono state nella maggior parte dei casi di moderata entità e gestibili con terapie di supporto; solo in tre casi è stato necessario sospendere la somministrazione di BuMel temporaneamente, dopodiché la procedura di trapianto è stata completata senza ulteriori problematiche. Possiamo inoltre evidenziare che non si è verificato alcun decesso correlato alle alte dosi di chemioterapia né al trapianto. Conclusioni. Il trattamento con alte dosi di Busulfano-Melphalan seguito da Autotrapianto di CSE si è rivelato efficace nelle suddette categorie di pazienti affetti da Sarcoma di Ewing. Tale procedura, infatti, ha permesso di consolidare ulteriormente la regressione di malattia indotta dalle terapie di prima linea, e di raggiungere valori

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5 interessanti di sopravvivenza globale e libera da eventi. Inoltre, avendo

asserito la buona tollerabilità del trattamento (soprattutto in Centri sia oncologici che trapiantologici di terzo livello come la U.O. Oncoematologia Pediatrica di Pisa), possiamo concludere che, anche qualora la OS non sia molto elevata, la EFS corrisponde ad un periodo di reale benessere del paziente. Tali risultati, in linea con quelli riportati da altri studi, sono interessanti ed incoraggianti in vista di futuri studi policentrici.

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INDICE

PARTE I 13 INTRODUZIONE 14 Il Sarcoma di Ewing 14 Epidemiologia 15

Patogenesi: basi genetiche e molecolari 16

Presentazione clinica, diagnosi e stadiazione 20

Anatomia patologica 29

Trattamento multimodale 31

Protocolli terapeutici per il SE 37

Follow up 42

Fattori prognostici 44

Il Trapianto Autologo di Cellule Staminali Ematopoietiche 49

Tossicità 55

Indicazioni 56

Terapia ad alte dosi e Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche nel Sarcoma di Ewing 58

PARTE II 61

SCOPI DELLO STUDIO 62

MATERIALI E METODI 63

Individuazione e caratterizzazione dei pazienti 63

Valutazione della risposta alla chemioterapia 64

Valutazione della tossicità alla chemioterapia 67

Accreditamento, comitato etico e consenso informato 68

Terapia di supporto 68

Criteri di esclusione 69

Definizione degli indicatori 70

Analisi statistica 70

RISULTATI 72

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Trattamento 74

Valutazione delle tossicità al trattamento 77

Valutazione della risposta al trattamento 81

DISCUSSIONE 91

CONCLUSIONI 94

BIBLIOGRAFIA 96

SITOGRAFIA 102

Ringraziamenti 103

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1. Incidenza del SE nei due sessi, nelle varie fasce di età e nei diversi segmenti scheletrici (788 casi) dei casi presentatisi tra il 1900 e il 2000 all’Istituto ortopedico Rizzoli.

Figura 2. Traslocazione cromosomica reciproca e bilanciata tra il cromosoma 11 ed il cromosoma 22 con la formazione del gene di fusione EWS-FLI1. La porzione prossimale del gene EWS è giustapposta alla porzione distale di FLI1. La proteina chimerica codificata contiene quindi il dominio aminoterminale di EWS e la regione carbossiterminale di FLI1.

Figura 3. Aspetti radiologici di un SE del terzo prossimale della diafisi tibiale destra. Radiografia in proiezione anteroposteriore (A) e laterolaterale (B) e RM T1-pesata in sezione coronale (C).

Figura 4. Ibridazione fluorescente in situ (FISH) che dimostra la t(11; 22) (q24; q12), [der (22)] nel SE e nei tumori neuroectodermici periferici primitivi (PNET).

Figura 5. Anatomia patologica microscopica del SE. Il preparato istologico colorato con ematossilina ed eosina (EE) mostra un fitto strato di cellule neoplastiche rotonde con nucleo grande il doppio di quello dei linfociti, intensamente colorato e con rare figure mitotiche e nucleoli visibili, circondato da scarso citoplasma pallido e vacuolizzato.

Figura 6. Schema della randomizzazione e delle fasi di trattamento previste dal

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8 Figura 7. Rappresentazione schematica delle sedi ossee interessate dal SE nella

nostra coorte di pazienti.

Figura 8. Curva di Kaplan-Meier per la sopravvivenza globale (OS) a 5 anni nell’intera coorte di pazienti sottoposti ad HDCT ed ASCT.

Figura 9. Curva di Kaplan-Meier per la sopravvivenza libera da eventi (EFS) a 5 anni nell’intera coorte di pazienti sottoposti ad HDCT ed ASCT.

Figura 10. Curva di Kaplan-Meier per la sopravvivenza libera da eventi (EFS) a 5 anni nei pazienti sottoposti ad HDCT ed ASCT: i Poor Responder sono rappresentati in blu, i Metastatici all’esordio e Recidivati in rosso.

Figura 11. Curva di Kaplan-Meier per la sopravvivenza globale (OS) a 5 anni nei pazienti sottoposti ad HDCT ed ASCT: i Poor Responder sono rappresentati in blu, i Metastatici all’esordio e Recidivati in rosso.

Figura 12. Curva di Kaplan-Meier per la sopravvivenza globale (OS) a 5 anni nei pazienti sottoposti ad HDCT ed ASCT: il gruppo 0-18 anni è rappresentato in rosso, il gruppo >18 anni è rappresentato in blu.

INDICE DELLE TABELLE

Tabella 1. Sistema di stadiazione secondo Enneking per i tumori maligni primitivi dell’osso.

Tabella 2. American Joint Committe on Cancer Staging System per i tumori maligni primitivi dell’osso diagnosticati dopo il 1 gennaio 2003.

Tabella 3. Caratteristiche della coorte di pazienti afferenti al nostro studio. Tabella 4. Regime di condizionamento utilizzato, N° mediano di CD34+/kg infuse e tempo mediano di attecchimento dei PMN.

Tabella 5. Regime di condizionamento utilizzato, dosaggi e tempistiche di somministrazione dei farmaci.

Tabella 6. Tossicità osservate nella coorte oggetto di studio durante la chemioterapia ad alte dosi e la successiva reinfusione di cellule staminali emopoietiche autologhe.

Tabella 7. Dettagli delle risposte di malattia prima e dopo il Trapianto Autologo di Cellule Staminali emopoietiche (ASCT) nei pazienti con SE appartenenti alla categoria Poor Responder.

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9 Tabella 8. Dettagli delle tempistiche di recidiva/progressione, esito e

sopravvivenza globale per i pazienti appartenenti alla categoria Poor

Responder.

Tabella 9. Dettagli delle risposte di malattia prima e dopo il Trapianto Autologo di Cellule Staminali emopoietiche (ASCT) nei pazienti con SE appartenenti alle categorie Metastatici all’esordio e Recidivati.

Tabella 10. Dettagli delle tempistiche di recidiva/progressione, esito e sopravvivenza globale per i pazienti appartenenti alle categorie Metastatici all’esordio e Recidivati.

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ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI UTILIZZATE NEL

TESTO

3D-CRT: Radioterapia Conformazionale (Three-Dimensional Conformal

Radiotherapy);

ACT: Actinomicina-D; ADM: Adriamicina;

AIEOP: Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica; AJCC: American Joint Commettee on Cancer;

AOUP: Azienza Ospedaliero-Universitaria Pisana;

ASCT: Trapianto autologo di cellule staminali (Autologous Stem Cell

Transplant);

AWD: Vivo con malattia misurabile (Alive With Disease); BOM: Biopsia Osteo-Midollare;

BuMel: Busulfano + Melfalan; C: Ciclofosfamide;

CD: Cluster di differenziazione; COX-2: Ciclossigenasi-2;

CR: Risposta completa (Complete Response); CSE: Cellule Staminali Emopoietiche;

CTCAE: Common Terminology Criteria for Adverse Events; CVC: Catetere Venoso Centrale;

DMSO: Dimetilsulfossido;

DOC: Deceduto per altra causa (Died from Other Cause); DOD: Deceduto per malattia (Died Of Disease);

ECOG: Eastern Cooperative Oncology Group; EEC: Euro Ewing Consortium;

EFS: Sopravvivenza libera da eventi (Event-Free Survival);

ENCCA: European Network for Cancer research in Children and Adolescents; ESFT: Tumori della famiglia di Ewing (Ewing’s Sarcoma Family of Tumors); ETO: Etoposide;

EURAMOS: EURopean and AMerican Osteosarcoma Study Group;

EWS-FLI1: Ewing’s sarcoma-Friend leukemia integration 1 trascription factor; FISH: Ibridazione Fluorescente In Situ (Fluorescent In Situ Hybridization); FU: Follow up;

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11 G-CSF: Granulocyte Colony Stimulating Factor;

GEIS: Spanish Group for Research on Sarcomas; GEMDOX: Gemcitabina + Docetaxel;

GR: Good Responder; Gy: Gray;

Hb: Emoglobina;

HCT: Trapianto di cellule emopoietiche (Hematopoietic Cell Transplant); HDCT: Chemioterapia ad alte dosi (High-Dose Chemotherapy);

HDIFO: Ifosfamide ad alte dosi;

HEPA: Filtro ad elevata efficienza di fluidi (High Efficiency Particulate Air

filter);

HR: High Risk; IFO: Ifosfamide;

IGF: Fattore di crescita insulino-simile (Insuline-like Growth Factor);

IGF-1R: Recettore del fattore di crescita insulino-simile (Insuline-like Growth

Factor 1 Receptor);

IMRT: Radioterapia ad intensità modulata (Intensity-Modulated Radiation

Therapy);

IR-A: Isoforma A del recettore dell’insulina (Insuline Receptor-A); ISG: Italian Sarcoma Group;

LDH: Lattato Deidrogenasi;

LES: Lupus Eritematoso Sistemico;

M: Presenza di Metastasi regionali o a distanza; N: Interessamento neoplastico dei Linfonodi regionali; NDD (Febbre di): Non Definita Diagnosi;

NED: Nessuna evidenza di malattia (No Evidence of Disease); NSE: Enolasi Specifica Neuronale;

OS: Sopravvivenza globale (Overall Survival); PARP1: Poli ADP-Ribosio Polimerasi;

PAS: Periodic Acid Schiff;

PBSC: Cellule staminali raccolte dal sangue periferico (Peripheral Blood Stem

Cells);

PCR: Proteina C-Reattiva;

PD: Progressione di malattia (Progressive Disease);

PDMES: Sarcoma di Ewing multifocale primariamente disseminato (Primary

Disseminated Multifocal Ewing Sarcoma);

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12 PFS: Sopravvivenza libera da progressione (Progression-Free Survival);

PMN: Polimorfonucleati;

PNET: Tumori Neuroectodermici Periferici Primitivi; PR: Risposta parziale (Partial Response);

PR: Poor Responder;

PROVABES: the PROspective VAlidation of Biomarkers in Ewing Sarcoma

network;

RB: Proteina del Retinoblastoma (Retinoblastoma protein); RECIST: Response Evaluation Criteria in Solid Tumors; RFI: Intervallo libero da recidiva (Relapse Free Interval); RFS: Sopravvivenza libera da recidiva (Relapse Free Survival); RMN: Risonanza Magnetica Nucleare;

RT-PCR: Real Time-Polimerase Chain Reaction; RX: Radiografia;

SD: Malattia stabile (Stable Disease); SE: Sarcoma di Ewing;

SSG: Scandinavian Sarcoma Group; SSS: Surgical Staging System; T: Sede ed estensione della neoplasia; TC: Tomografia Computerizzata; TC: Topotecan + Ciclofosfamide;

TCSE: Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche; TEMIRI: Temozololomide + Irinotecan;

TLI: Radioterapia su campi polmonari (Total Lung Irradiation); TMO: Trapianto di Midollo Osseo;

TRAIL: Tumor Necrosis Factor-Related Apoptosis-Inducing Ligand; TRM: Mortalità correlata al trapianto (Transplant Related Mortality); UICC: Union for International Cancer Control;

V o VCR: Vincristina;

VES: Velocità di Eritrosedimentazione; VHR: Very High Risk;

VOD: Malattia veno-occlusiva (Veno-Occlusive Disease) VZV: Virus della Varicella-Zoster.

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INTRODUZIONE

Il Sarcoma di Ewing

Il Sarcoma di Ewing (SE) è un tumore mesenchimale altamente maligno, scarsamente differenziato e con alto potenziale metastatico. Dal punto di vista anatomopatologico è caratterizzato da piccole cellule blu rotondeggianti,1,2 mentre dal punto di vista genetico si caratterizza per la presenza, nella quasi totalità dei casi, del gene di fusione EWS-FLI1, derivante dalla traslocazione tra i cromosomi 11 e 22.

La localizzazione più frequente del SE è quella ossea: le sedi più colpite sono la diafisi delle ossa lunghe degli arti (in particolare del femore e della tibia) e le ossa piatte del bacino; più raramente sono interessati l’omero, la fibula, la mano, il piede, il cranio, la scapola, la clavicola e le coste. Tuttavia questa neoplasia può interessare anche i tessuti molli, come i muscoli, i tendini, il tessuto fibroso, il grasso, i vasi sanguigni e i nervi; in tali casi esso viene definito Sarcoma di Ewing extraosseo.

Alla famiglia del Sarcoma di Ewing appartengono altre neoplasie: il neuroepitelioma o tumore neuroectodermico periferico primitivo (PNET) e il tumore di Askin. Esse sono accomunate dall’origine neuroectodermica, dalle caratteristiche istologiche, immunoistochimiche e citogenetiche, e attualmente dallo stesso tipo di trattamento.3,4 Il neuroepitelioma è una variante più differenziata che può interessare sia i tessuti molli che il tessuto osseo, mentre il tumore di Askin è una variante a localizzazione toracica con insorgenza solitamente muscolare.

All’esordio il 20-25% dei pazienti presenta anche localizzazioni secondarie di malattia clinicamente evidenti, in genere a livello polmonare e/o osseo.

Dal punto di vista terapeutico, il SE risulta altamente sensibile ai trattamenti integrati chemioterapico, chirurgico e radioterapico; per questo motivo l’approccio multidisciplinare qualificato è

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15 indispensabile. In particolar modo, l’introduzione di una chemioterapia

efficace ha notevolmente migliorato la prognosi, permettendo di raggiungere un tasso di sopravvivenza a 5 anni pari al 75%, ed una sopravvivenza a lungo termine del 50%.

Epidemiologia

Il SE rappresenta il 6-10% dei tumori primitivi maligni dell’osso che colpiscono bambini e adolescenti, tra i quali è secondo per frequenza dopo gli osteosarcomi. Nel nostro Paese l’incidenza del SE osseo è di circa 60 nuovi casi l’anno, di cui due terzi interessano pazienti di età inferiore ai 20 anni. L’età di insorgenza è compresa, in oltre il 90% dei casi, tra i 5 e i 25 anni. La prevalenza è lievemente maggiore nel sesso maschile rispetto a quello femminile (M:F=1.5:1) e nei caucasici piuttosto che negli individui di origine africana, nei quali il SE è raramente riscontrabile1,4 (vedi Figura 1).

Figura 1. Incidenza del SE nei due sessi, nelle varie fasce di età e nei diversi segmenti

scheletrici (788 casi) dei casi presentatisi tra il 1900 e il 2000 all’Istituto ortopedico Rizzoli (per gentile concessione del Centro Tumori dell'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna).

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Patogenesi: basi genetiche e molecolari

I sarcomi sono un gruppo eterogeneo di neoplasie maligne che originano da tessuti mesenchimali, come osso, muscolo e cartilagine. A differenza dei carcinomi - tumori di origine epiteliale che insorgono solitamente in età più avanzata, costituendo il risultato di una lunga progressione a partenza da lesioni preneoplastiche che accumulano mutazioni molecolari nel tempo (cancerogenesi multistep) - i sarcomi colpiscono in genere pazienti pediatrici e giovani adulti ed hanno una storia naturale per lo più sconosciuta. In effetti, i tumori della famiglia di Ewing non sono stati associati in maniera evidente a malattie congenite né a malattie ereditarie. Negli ultimi decenni, tuttavia, sono state identificate alcune alterazioni molecolari che sono state associate a specifici sottotipi istologici di sarcoma, e proprio sulla base di queste anomalie è stata elaborata una nuova classificazione. Attualmente, infatti, i sarcomi ossei e dei tessuti molli possono essere distinti in due gruppi a seconda delle peculiarità genetiche: ad un gruppo appartengono sarcomi caratterizzati da un’aberrazione cromosomica ricorrente, tumore-specifica e rilevante nella patogenesi e nella diagnosi; all’altro, invece, neoplasie con cariotipi complessi ed alterazioni genetiche variabili.5,6 I tumori della famiglia di Ewing appartengono al primo gruppo, insieme ad altri come il sarcoma sinoviale, il rabdomiosarcoma alveolare, il liposarcoma mixoide ed il condrosarcoma mixoide. Queste neoplasie sono caratterizzate da specifiche traslocazioni cromosomiche, responsabili dell’espressione di un fattore di trascrizione chimerico oncogenico.

Per quanto riguarda il sarcoma di Ewing, in più dell’85% dei casi si trova il gene di fusione EWS-FLI1, derivante dalla traslocazione t(11;22) tra i cromosomi 11 e 22 (vedi Figura 2); meno frequentemente si riscontrano altre traslocazioni, come t(21;22), t(7;22) e t(17;22). In ogni caso il risultato è la fusione del gene EWS, situato sul cromosoma 22, con un gene codificante per un fattore di trascrizione della famiglia ETS (E26 trasformation-specific o E-twenty-six family); importante sottolineare che la specifica traslocazione riscontrabile nei pazienti

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17 affetti da SE non sembra influenzarne il tasso di sopravvivenza.7 La

proteina di fusione EWS-FLI1 ha potere trasformante, costituisce lo step limitante nella cancerogenesi ed è determinante nel mantenimento del fenotipo oncogeno. Inoltre, gli effetti della espressione forzata di EWS-FLI1 e la conseguente insorgenza della neoplasia sono condizionati dal background cellulare. Nonostante i fattori critici in questo processo siano per lo più sconosciuti, nella patogenesi del SE rivestono un ruolo importante l’inattivazione di P53 e RB, la preservazione della via metabolica di IGF (Fattore di crescita insulino-simile, Insuline-like Growth Factor) e di CD99 (Cluster di differenziazione 99); quest’ultima è una proteina integrale di membrana fortemente espressa in molti pazienti affetti da SE. La reciproca influenza tra EWS-FLI1 e questi fattori critici è stata evidenziata recentemente. Ad esempio, è stato dimostrato come l’espressione di EWS-FLI1 possa indurre una upregolation di IGF1, mediante un’attivazione autocrina del recettore di IGF (IGF-R1) e/o di CD99, in modo da determinare la trasformazione in senso neoplastico delle cellule staminali mesenchimali.8-10

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18 Figura 2. Traslocazione cromosomica reciproca e bilanciata tra il cromosoma 11 ed

il cromosoma 22 con la formazione del gene di fusione EWS-FLI1. La porzione prossimale del gene EWS è giustapposta alla porzione distale di FLI1. La proteina chimerica codificata contiene quindi il dominio aminoterminale di EWS e la regione carbossiterminale di FLI1.

In ottica terapeutica la presenza di un prodotto chimerico tumore-specifico rappresenta un elemento molto appetibile, tuttavia ad oggi non esistono farmaci in grado di interferire con la sua espressione o con il meccanismo di cancerogenesi da esso attivato. Tra i potenziali strumenti terapeutici nei confronti del SE avanzato sono stati studiati anticorpi monoclonali o inibitori tirosinchinasici diretti contro IGF-1R, che vanno quindi a bloccare le vie metaboliche regolate dall’espressione di EWS-FLI1;11 gli studi clinici condotti con questi farmaci, però, hanno rilevato una scarsa efficacia (è stata ottenuta risposta in meno del 10% dei pazienti trattati) a fronte di una moderata tossicità (iperglicemia lieve e reversibile).12,13 Essendo stato

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19 evidenziato un ruolo compensatorio di IR-A (isoforma A del recettore

dell’insulina) in presenza dell’inattivazione del IGF-1R, quale meccanismo di resistenza intrinseca alla terapia anti-IGF-1R,14,15 si ritengono necessari ulteriori studi per identificare i pazienti che potrebbero beneficiare di una terapia anti-IGF-1R accanto alla terapia standard.

Un’altra importante opzione terapeutica è rappresentata dagli anticorpi monoclonali anti-CD99, i quali sono in grado di indurre una massiva apoptosi e di ridurre il potenziale maligno delle cellule del SE.16,17 È stato dimostrato sia in vitro che in vivo che la combinazione di un anticorpo anti-CD99 con ADM potenzia l’efficacia antitumorale della terapia immunologica.18 Inoltre, secondo una recente ricerca sembra che la proteina CD99 svolga un ruolo cruciale nel prevenire la normale differenziazione neuronale delle cellule di Ewing.19

Un’ulteriore strategia terapeutica per la terapia del SE sfrutta l’azione pro-apoptotica del ligando TRAIL (Tumor necrosis factor-Related Apoptosis-Inducing Ligand), il quale induce la morte cellulare programmata andando ad attivare i recettori posti sulla superficie delle cellule neoplastiche. È stato provato che le cellule di Ewing sono sensibili all’apoptosi indotta dal TRAIL; inoltre è stato recentemente riportato in letteratura uno studio preclinico che ha mostrato l’efficacia di TRAIL nei modelli animali di SE.20 Quindi, l’utilizzo di anticorpi monoclonali che si comportino come agonisti di TRAIL rappresenta una modalità terapeutica aggiuntiva a quelle attualmente disponibili.

Infine, è importante menzionare la scoperta risalente a pochi anni fa dell’interazione con feedback positivo tra i geni di fusione EWS-FLI1 e il PARP1 (Poli ADP-Ribosio Polimerasi). I geni di fusione EWS-FLI1 infatti sostengono l’espressione di PARP1, il quale a sua volta è richiesto per la trascrizione mediata da EWS-FLI1. La somministrazione di inibitori di PARP1 ha conseguito risultati incoraggianti in modelli animali, in particolare sono state ottenute risposte complete in un modello di xenotrapianto di topo di tutti i tumori trattati aggiungendo gli inibitori di PARP1 al farmaco di seconda linea

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20 temozolamide;21 ciò ha aperto la strada alla sperimentazione di questi

farmaci in ambito clinico.

Presentazione clinica, diagnosi e stadiazione

Generalmente la presentazione clinica del SE è condizionata da sede e dimensioni di malattia. Nella maggioranza dei casi il dolore è il sintomo più precoce: esso è intenso e può essere irradiato qualora si manifesti una sindrome da impingement, ad esempio in caso di localizzazione sacrale e vertebrale. Al dolore possono talvolta associarsi tumefazione della sede colpita, aumento locale della temperatura e limitazione funzionale. La manifestazione di tali sintomi e segni, soprattutto se in pazienti pediatrici e giovani adulti, è suggestiva dell’insorgenza della neoplasia, per cui richiede adeguato approfondimento diagnostico. Alcuni pazienti presentano anche sintomi sistemici: si riscontra febbre in un terzo dei casi, o ancora l’alterazione di parametri ematochimici che possono simulare un’infezione, come l’aumento della proteina c-reattiva (PCR) e della velocità di eritrosedimentazione (VES), anemia e leucocitosi. Inoltre, nel 30% dei pazienti si possono evidenziare elevati livelli di LDH: esso tuttavia rappresenta un indice di morte cellulare che subisce alterazioni in molte malattie neoplastiche e non. In conclusione, quindi, non esistono indagini ematochimiche specifiche per la diagnosi di SE.

Qualora si ponga il sospetto clinico di SE, l’iter diagnostico corretto prevede in prima istanza l’esecuzione di una radiografia in due proiezioni della sede colpita, che in una buona parte dei casi è in grado di suggerire la diagnosi. Sono caratteristiche le aree osteolitiche multiple a piccoli focolai non confluenti, con interessamento spesso pandiafisario. Al rapido andamento clinico della malattia corrisponde l’evoluzione del quadro radiografico: in fase iniziale è presente una lesione osteolitica permeativa ed infiltrante, a limiti non definiti; successivamente l’osteolisi raggiunge la corticale e la distrugge, innescando così la reazione del periostio nel vano tentativo di

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21 contrastare la diffusione del tumore (reazione periostale a "bulbo di

cipolla"); nel momento in cui la neoplasia supera la corticale anche il periostio viene distrutto, rimane così solo un’area di iperostosi triangolare ai margini della neoplasia stessa, caratteristica anche dell’osteosarcoma (Triangolo di Codman). Nelle fasi avanzate l’osso può apparire come “cancellato”, aspetto che viene definito “osso fantasma”. Il tumore, inoltre, tende ad espandersi nei tessuti molli circostanti, il cui interessamento può essere rilevato alla RMN o alla TC. Con la RM dobbiamo esplorare l’intero segmento osseo colpito e le articolazioni adiacenti; essa rappresenta l’indagine di elezione per individuare eventuali skip metastates (vedi Figura 3). La TC può fornire informazioni aggiuntive in alcuni casi, come nell’interessamento delle sedi assili. Esami aggiuntivi che possono essere richiesti in situazioni particolari sono l’angioTC e l’angiografia.

Il quadro radiografico, la rapidità del decorso clinico e la sintomatologia di tipo sistemico rendono necessaria la diagnosi differenziale con l'osteomielite acuta, favorita dal fatto che la reazione periostale a “bulbo di cipolla” del SE risulta ampiamente interrotta nella sua continuità. Per quanto riguarda le patologie neoplastiche, il SE va differenziato dall'osteosarcoma, in particolare dalla sua variante teleangectasica, dal fibrosarcoma e dall'istiocitoma fibroso maligno, dai tumori della serie ematopoietica, tra cui soprattutto il linfoma, e dalle metastasi ossee, che però interessano una fascia d'età differente rispetto al SE.

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22 Figura 3. Aspetti radiologici di un SE del terzo prossimale della diafisi tibiale destra.

Radiografia in proiezione anteroposteriore (A) e laterolaterale (B) e RM T1-pesata in sezione coronale (C).

Al momento della diagnosi è importante eseguire una stadiazione sistemica, che si avvale delle seguenti indagini: TC spirale del torace e scintigrafia scheletrica, o in alternativa la PET total body, cui oggi viene attribuito un ruolo sempre più rilevante; inoltre, la biopsia osteomidollare (BOM) bilaterale è imprescindibile per identificare l’eventuale interessamento del midollo osseo. L’utilità della RM total body è ancora oggetto di valutazione.22 In alcuni centri di terzo livello, tra cui l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, la collaborazione tra la Medicina Nucleare e la Radiologia ha reso possibile l’esecuzione nella stessa seduta della PET total body e la scansione basale integrata TC torace, costituendo un vantaggio per il paziente in termini di radiazioni, nonché di tempo e stress.

Per quanto concerne l’analisi dei reperti polmonari, non esistono criteri di imaging che consentano di stabilirne la natura. La probabilità che i noduli rilevati alla TC spirale siano di natura metastatica aumenta in relazione al numero e alle dimensioni degli stessi: si ritiene che lesioni singole di dimensioni inferiori a 0.5 cm abbiano bassa probabilità di rappresentare secondarismi. Cambiamenti della densità e delle dimensioni dei reperti polmonari in corso di trattamento chemioterapico

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23 sono invece suggestivi di lesione di natura metastatica. In caso di TC

torace dubbia è utile considerare la possibilità di eseguire un accertamento bioptico dei noduli polmonari, soprattutto qualora l’esito della biopsia influenzi l’approccio terapeutico. Un’analoga valutazione, comprensiva di eventuale biopsia, è indicata anche in caso di sospette localizzazioni secondarie di malattia in sedi extrapolmonari.

Qualsiasi intervento terapeutico deve essere preceduto dalla biopsia della sospetta sede primitiva, che permette di confermare la diagnosi. Il prelievo bioptico deve essere eseguito in un centro di riferimento da un chirurgo o da un radiologo esperto, e può avvalersi di tecniche diverse a seconda della sede e delle caratteristiche della lesione. A prescindere dalla procedura eseguita la sede della biopsia deve essere marcata e resa ben riconoscibile, poiché il tragitto effettuato per la stessa dovrà essere asportato durante l’intervento chirurgico definitivo per evitare l’insemensamento neoplastico.23

Le tecniche più utilizzate sono l’agobiopsia TC- o eco-guidata e la biopsia incisionale, mentre la biopsia escissionale deve essere evitata.24 La tecnica utilizzata comunemente nei centri qualificati è la biopsia incisionale.

In tumori con aspetto clinico-radiografico classico non è necessario ricorrere ad una valutazione istologica estesa, per cui può essere effettuata l’agobiopsia. Essa viene eseguita in regime ambulatoriale: tale procedura prevede l’utilizzo di un trocar, ovvero un grosso ago di diametro pari a 5-6 mm, che viene inserito sotto guida ecografica o radiologica, previa esecuzione di anestesia locale o generale (in pazienti pediatrici). Nonostante rispetto alla biopsia incisionale sia più semplice e sia più facile la successiva escissione del tragitto bioptico, il principale svantaggio è rappresentato dalla modesta quantità del materiale prelevato, che in alcuni casi può risultare non rappresentativo.

La biopsia incisionale rappresenta la tecnica preferita attualmente. È indicata soprattutto in tumori con caratteristiche clinico-radiografiche non univoche, nei casi in cui è necessario uno studio istologico accurato e completo per stabilire la condotta terapeutica ed in tutte le situazioni

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24 nelle quali l’agobiopsia potrebbe non essere sufficiente per confermare

la diagnosi a causa della scarsità del prelievo. L’incisione è effettuata solitamente in senso longitudinale, in una sede che possa essere escissa in blocco assieme al tumore durante la chirurgia definitiva; non si effettua dissezione dei piani anatomici ma si passa attraverso il muscolo, in modo da evitare la contaminazione di compartimenti come i fasci vascolo-nervosi e le cavità articolari. È preferibile prelevare il tessuto a livello dell’interfaccia tra il tumore e l’osso ospite, sede più ricca di cellule vitali, piuttosto che dalla porzione centrale della lesione, che potrebbe essere necrotica e conseguentemente non diagnostica. Prima di procedere con la sutura bisogna assicurare un’adeguata emostasi: abbiamo a disposizione la spugna emostatica o il cemento per riempire la cavità ossea, in modo da evitare la formazione di ematomi da cui potrebbero essere disseminate cellule neoplastiche. Infine, in caso di applicazione di un drenaggio questa deve essere effettuata in linea ed in prossimità dell’incisione cutanea.

La biopsia escissionale prevede invece l’esposizione e l’escissione completa della neoformazione. Pur risultando utile per lesioni benigne, in caso di sospetto SE andrebbe evitata.

L’analisi istologica richiede una competenza specifica da parte dell’anatomopatologo o la conferma di un Centro di riferimento nazionale.

In situazioni particolari, come un soggetto che si presenta con una lesione osteolitica e/o frattura patologica del rachide, specialmente se giovane e potenzialmente riconducibile a SE, l’iter migliore prevede l’accertamento bioptico in urgenza ed il trasferimento presso un centro di riferimento specialistico, evitando la laminectomia decompressiva.

Tutti i sarcomi di Ewing sono tumori ad alto grado. Il materiale prelevato tramite biopsia deve essere sufficiente per eseguire le classiche colorazioni istologiche ed indagini immunoistochimiche e di biologia molecolare. Il materiale fresco deve essere congelato e conservato in specifiche banche dei tessuti. In buona parte dei casi è possibile porre diagnosi sulla base della colorazione con ematossilina

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25 ed eosina e dell’analisi immunoistochimica, che deve valutare

l’espressione di CD99, caveolina e FLI1. Possiamo differenziare il SE da un linfoma tramite ulteriori indagini immunoistochimiche: ad esempio, la negatività di CD45. L’identificazione delle caratteristiche traslocazioni cromosomiche costituisce una tappa fondamentale ed obbligatoria quando sussiste un dubbio diagnostico, anche se questo dovesse richiedere l’esecuzione di un’ulteriore biopsia.25,26 Un laboratorio di riferimento per la diagnosi di SE deve disporre di tecniche di FISH (ibridazione fluorescente in situ, Fluorescent In Situ Hybridization) e RT-PCR (Real Time-Polimerase Chain Reaction).27 La PCR real time è una tecnica che consente l’amplificazione e la simultanea quantizzazione del DNA, partendo da minime quantità di acido nucleico (anche una sola molecola). La FISH è una tecnica citogenetica che permette di rilevare e localizzare specifiche sequenze di DNA nei cromosomi; per fare ciò utilizza sonde fluorescenti che si legano in modo selettivo alle regioni cromosomiche riconosciute, servendosi poi della microscopia a fluorescenza. Mentre la RT-PCR è la tecnica di scelta quando si ha a disposizione materiale fresco, la FISH è utilizzabile su materiale fissato in paraffina (vedi Figura 4). L’uso di RT-PCR sull’aspirato midollare è attualmente oggetto di valutazione, tuttavia non sembra offrire vantaggi in termini di valutazione prognostica rispetto al classico esame citologico del midollo osseo.28

Figura 4. Ibridazione fluorescente in situ (FISH) che dimostra la t(11; 22) (q24; q12),

(26)

26 Attualmente sono proposti due sistemi di stadiazione dei tumori

primitivi maligni dell’osso: il sistema di stadiazione secondo Enneking ed il sistema di stadiazione UICC/AJCC. Il secondo, tenendo conto anche delle skip metastasi e dei diversi pattern di metastatizzazione, appare più informativo.29-33

Il primo è stato elaborato da Enneking nel 1980 ed adottato dall’American Musculoskeletal Tumor Society. Si basa su tre parametri:

• il grado istologico di malignità del tumore, indicato con la lettera G; • la sede e l’estensione della neoplasia, identificata con la lettera T; • la presenza o meno di metastasi regionali o a distanza, indicata con

la lettera M.

Sulla base di tali parametri, le neoplasie maligne vengono distinte in lesioni a basso grado istologico (stadio I) e ad alto grado istologico (stadio II). Vengono ulteriormente distinte in intracompartimentali (A) ed extracompartimentali (B) in relazione all’estensione anatomica locale. I pazienti allo stadio III presentano lesioni metastatiche. I sarcomi di Ewing sono tutti tumori ad alto grado istologico e solitamente extracompartimentali. La Tabella 1 descrive il sistema di stadiazione secondo Enneking per i tumori maligni primitivi dell’osso.

Tabella 1. Sistema di stadiazione secondo Enneking per i tumori maligni primitivi

dell’osso.

Abbreviazioni utilizzate: T1, tumore intracompartimentale; T2, tumore extracompartimentale; M0, assenza di metastasi, M1, presenza di metastasi regionali o a distanza; G1 basso grado istologico; G2, alto grado istologico.

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27 Enneking ha inoltre proposto una stadiazione riservata al SE: EW I, se

il tumore è solitario intraosseo; EW II, se è solitario extraosseo; EW III, quando è ancora esclusivamente scheletrico ma multicentrico; infine EW IV, che corrisponde allo stadio metastatico. Al momento della diagnosi, il 20% dei pazienti con SE è già metastatico.

Il sistema di stadiazione dell’American Joint Committee on Cancer (AJCC) è stato recentemente aggiornato. Nei casi diagnosticati a partire dal 2003, l’entità del tumore riflette la dimensione piuttosto che l’estensione transcorticale dello stesso (criterio che veniva utilizzato nella stadiazione precedente: T1 identificava una neoplasia intracorticale, T2 una neoplasia con estensione extracorticale). Oggi, i tumori con diametro inferiore o uguale a 8 cm vengono indicati come T1, mentre quelli con diametro maggiore di 8 cm sono indicati come T2; inoltre, è stato aggiunto T3 per indicare le skip metastasi. L’interessamento dei linfonodi regionali da parte della neoplasia è indicata come N1. Un’ulteriore modifica è stata effettuata andando a suddividere lo stadio M1 in M1a (metastasi esclusivamente polmonari) e M1b (metastasi a distanza in altre sedi). Il grado istologico di malignità, invece, è rimasto sostanzialmente invariato: G1 (ben differenziato) e G2 (moderatamente differenziato) rappresentano il basso grado, mentre G3 (scarsamente differenziato) e G4 (indifferenziato) rappresentano l’alto grado di malignità. La Tabella 2 descrive in dettaglio questo sistema di stadiazione.

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28 Tabella 2. American Joint Committe on Cancer Staging System per i tumori maligni

primitivi dell’osso diagnosticati dopo il 1 gennaio 2003.

Abbreviazioni utilizzate: T1, tumore di dimensioni ≤ 8cm; T2, tumore di dimensioni

> 8cm; T3, presenza di skip metastasi nell’osso primitivo; NO, assenza di metastasi linfonodali regionali; N1, presenza di metastasi linfonodali regionali; M0, assenza di metastasi a distanza; M1a, metastasi polmonari; M1b, metastasi in altre sedi; G1, tumore ben differenziato; G2, tumore moderatamente differenziato; G3 tumore scarsamente differenziato; G4, tumore indifferenziato.

In un’ottica di valutazione olistica, l’inquadramento del paziente deve essere completato indicando la sua capacità funzionale. Per misurare tale capacità, possiamo utilizzare almeno due sistemi: la Karnofsky performance status scale e l’indice della qualità della vita proposto dall’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG). La prima è una scala di valutazione sanitaria che tiene conto di tre parametri: la limitazione delle attività, la capacità di prendersi cura di se stessi e l’autodeterminazione. È descritta ad intervalli di 10 punti, dove il 100% rappresenta il punteggio massimo (corrispondente a nessuna limitazione) e lo 0% ne rappresenta il minimo (morte). Tale scala fornisce indicazioni sulla prognosi, sullo scopo delle terapie e sulla pianificazione delle stesse. Infatti, la valutazione dello stato di salute finale del paziente è fondamentale per intraprendere la migliore condotta terapeutica possibile nei diversi stadi di malattia, tenendo conto delle possibilità di guarigione, di prolungamento della vita, di restituzione funzionale o di palliazione. In realtà, nella pratica clinica

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29 quotidiana viene maggiormente utilizzata la scala ECOG. Essa assume

valori da 0 (nessuna limitazione funzionale) a 5 (morte); un valore pari a 2, ad esempio, indica la presenza di sintomi che limitano l’attività lavorativa ma non tali da determinare l’incapacità di provvedere alla cura di se stessi. Nella quasi totalità dei casi, ai pazienti con SE viene attribuito un indice ECOG 0.

Anatomia patologica

Il SE origina nella cavità midollare; da qui determina progressivamente l’erosione della corticale e del periostio, fino a raggiungere le parti molli. Dal punto di vista macroscopico, il tumore si caratterizza per una consistenza molto soffice ed un colorito biancastro-bruno, data la presenza di aree emorragiche e necrotiche; in particolare, la porzione centrale della neoformazione è spesso necrotica, assumendo un aspetto semiliquido. All’esame istologico, l’aspetto è solitamente uniforme: si osservano lamine di piccole cellule rotondeggianti, di dimensioni leggermente maggiori rispetto ad un linfocita, che risultano stipate tra loro in assenza di matrice intercellulare. Le cellule sono tutte simili: il citoplasma è scarso, pallido, granulare, eosinofilo e con i bordi scarsamente definiti; i nuclei hanno forma rotonda-ovalare, sono dotati di una membrana ben distinta e cromatina finemente dispersa, possono contenere uno o più nucleoli, mentre le figure mitotiche sono generalmente rare. (vedi Figura 5) Le cellule risultano separate da scarse fibre collagene, mentre i vasi sanguigni sono numerosi e sottili. La colorazione con il PAS (Periodic Acid Schiff) mostra numerosi granuli di glicogeno intracitoplasmatici, confermati alla osservazione al microscopio elettronico, mentre l’analisi immunoistochimica evidenzia la positività alla vimentina e ad altri antigeni.3 Talvolta le cellule tumorali si organizzano in strutture primarie caratteristiche definite pseudorosette di Homer-Wright: esse sono costituite da cellule disposte ad anello attorno ad uno spazio centrale fibrillare, con proiezioni citoplasmatiche orientate verso il centro ed i nuclei disposti verso la

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30 periferia. Tali formazioni sono indicative della differenziazione in

senso neurale oppure possono essere correlate alla necrosi centrale. Quando all’analisi immunoistochimica le cellule risultano positive alla proteina S100 e all’enolasi specifica neuronale (NSE), ed al microscopio elettronico si osservano processi dendritici, neurotubuli e granuli neurosecretori densi, il tumore è uno PNET. Frequente è la presenza di necrosi, spesso molto estesa, e talora accompagnata da un abbondante infiltrato leucocitario; in questo caso è importante differenziare la lesione da un quadro di osteomielite.

Il tumore dapprima infiltra diffusamente il midollo, dopodiché inizia a distruggere l’osso, stimolando un’intensa risposta vascolare ed infiammatoria, ed una reazione osteo-fibrosa che tuttavia non è in grado di arrestarne l’espansione tramite la creazione di una capsula. È possibile notare noduli satelliti ai margini del tumore, sia all’interno che al di là della zona reattiva, e talvolta persino delle lesioni a salto (skip metastases).1,2

Figura 5. Anatomia patologica microscopica del SE. Il preparato istologico colorato

con ematossilina ed eosina (EE) mostra un fitto strato di cellule neoplastiche rotonde con nucleo grande, il doppio di quello dei linfociti, intensamente colorato e con rare figure mitotiche e nucleoli visibili, circondato da scarso citoplasma pallido e vacuolizzato.

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31

Trattamento multimodale

Il trattamento del SE richiede la centralizzazione dei pazienti in Centri dotati di elevata esperienza nel trattamento dei sarcomi ossei o in istituzioni che facciano riferimento a network specializzati nei sarcomi. Data la rarità della malattia, è raccomandato l’inserimento dei pazienti in studi clinici nazionali o internazionali.

Trattandosi di una neoplasia altamente chemio- e radiosensibile, attualmente l’approccio standard per il trattamento del SE prevede la combinazione di terapia sistemica (chemioterapia) e locale (chirurgia e/o radioterapia).34

La chirurgia rappresenta la prima scelta nel trattamento locale del SE ove possibile, con l’obiettivo di eliminare il tumore con margini di resezione ampi e preservando al tempo stesso il migliore recupero funzionale. Secondo la classificazione di Enneking i margini chirurgici possono essere distinti in radicali, ampi, marginali, intralesionali e contaminati.31 La determinazione di tale parametro, frutto della stretta collaborazione fra chirurgo ed anatomopatologo, è fondamentale se si considera la relazione esistente fra qualità dei margini chirurgici e rischio di recidiva locale. Un intervento intralesionale deve sempre essere evitato: esso, infatti, anche se combinato con radioterapia postoperatoria, non offre vantaggi rispetto alla sola radioterapia in termini di controllo locale, perciò non deve mai essere pianificato. Attualmente, tra tutti i pazienti affetti da SE candidabili alla chirurgia, oltre il 90% può beneficiare di un intervento di tipo conservativo. Il giudizio di non resecabilità, invece, richiede la conferma da parte di un chirurgo dotato di specifica esperienza nel trattamento di sarcomi ossei. Aree con margini a rischio che siano identificate durante la procedura chirurgica dovrebbero essere rese ben identificabili con clips di titanio, ai fini dell’eventuale trattamento radioterapico postoperatorio.

Le tecniche ricostruttive dovranno tenere in considerazione la possibile necessità di un trattamento radioterapico postoperatorio.

(32)

32 Alcuni tra i pazienti che abbiano effettuato un trattamento locale

esclusivamente radioterapico potranno essere considerati e selezionati, previa valutazione multidisciplinare, per una chirurgia a completamento del trattamento chemioterapico.

La radioterapia costituisce l’altra ed unica possibilità di trattamento locale nei casi in cui la chirurgia sia giudicata non fattibile o oncologicamente inadeguata. Grazie alla radiosensibilità del tumore, essa offre comunque una buona percentuale di controllo locale.

Un trattamento radioterapico postoperatorio deve essere somministrato in tutti quei casi in cui i margini chirurgici risultino interessati da malattia.35,36 Non vi è, invece, conformità di giudizio sull’opportunità di somministrare o meno radioterapia postoperatoria in caso di margini ampi e scarsa risposta istologica. Infine, il trattamento radioterapico postoperatorio non è indicato in caso di margini ampi e buona risposta istologica.

Il volume da sottoporre al trattamento radioterapico fa riferimento all’estensione del tumore al momento della diagnosi. In caso di radioterapia esclusiva la dose cumulativa raccomandata è di 55-60 Gy, se invece alla radioterapia si associa la chirurgia la dose raccomandata è di 40-45 Gy. Generalmente si adotta la tecnica del bifrazionamento quotidiano: essa permette di aumentare l’intensità del trattamento, favorisce una migliore integrazione con la chemioterapia, ed inoltre consente di limitare la tossicità tardiva grazie alla riduzione del dosaggio per singola frazione. In caso di localizzazione al rachide, la dose somministrata al midollo spinale non deve superare i 45 Gy. Per quanto riguarda le modalità di erogazione della radiazione, sono divenute recentemente disponibili tecniche di radioterapia conformazionale (3D-CRT) o ad intensità modulata (IMRT). Esse consentono una maggiore selettività di trattamento con risparmio dei tessuti sani circostanti, importante soprattutto per alcune localizzazioni di malattia. Non vi sono, invece, evidenze di un vantaggio prognostico

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33 con l’utilizzo di queste tecniche rispetto a quelle tradizionali. Analoga

considerazione vale per la terapia con adroni.

La chemioterapia primaria è, ad oggi, sempre raccomandata in virtù dell’elevata sensibilità della neoplasia alla stessa. Una volta effettuata la chemioterapia neoadiuvante, il trattamento locale dovrà essere preceduto da ristadiazione della sede di malattia, utilizzando le stesse tecniche di imaging della stadiazione iniziale, ed eventuale ripetizione della BOM se precedentemente positiva.37,38 La risposta alla rivalutazione di malattia effettuata secondo i criteri RECIST (Response Evaluation Criteria in Solid Tumors) è indicativa di miglior prognosi, soprattutto in relazione alla riduzione della componente extraossea, e rappresenta l’unica risposta possibile nei pazienti inoperabili.39

La chemioterapia preoperatoria ha come scopo principale la riduzione dimensionale della neoplasia, in modo tale da effettuare una chirurgia definitiva che sia più conservativa possibile; pare che la completa scomparsa dell’interessamento delle parti molli da parte del tumore correli con una migliore sopravvivenza. Anche nelle forme che alla diagnosi sono localizzate è indicata la ripetizione di una TC torace dopo chemioterapia primaria per escludere l’eventuale comparsa di metastasi polmonari, che rappresenterebbe un indice di mancata risposta alla chemioterapia e di progressione della neoplasia; è possibile eseguirla contestualmente alla PET total body. L’esecuzione di tali esami risulta spesso sufficiente; diversamente, la scintigrafia scheletrica dovrebbe essere ripetuta solo in caso di progressione locale o di sintomatologia specifica. Sul pezzo chirurgico possiamo inoltre valutare la risposta istologica alla chemioterapia pre-operatoria: essendo strettamente correlata alla probabilità di sopravvivenza, essa rappresenta un ulteriore motivo per cui è importante effettuare tale terapia.40 In Italia la risposta istologica viene analizzata usufruendo della scala di valutazione di Picci, che descrive tre gradi: il grado 1 definisce la persistenza di focolai macroscopici di cellule tumorali vitali, il grado 2 la persistenza di focolai microscopici di cellule tumorali vitali, il grado 3 l’assenza di

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34 cellule neoplastiche. I gradi 2 e 3 corrispondono ad una buona risposta

istologica, al contrario del grado 1 che identifica una scarsa risposta istologica. Si raccomanda che la valutazione della necrosi indotta dalla chemioterapia sia centralizzata.

I regimi terapeutici chemioterapici utilizzati nel SE sono molteplici, ma spesso in prima linea vengono impiegati gli stessi farmaci variamente combinati tra loro. Gli agenti chemioterapici correntemente utilizzati in prima linea nel trattamento del SE sono i seguenti: adriamicina (ADM), ciclofosfamide (C), ifosfamide (IFO), etoposide (ETO), vincristina (V), actinomicina-D (ACT).41-43

Gli studi clinici attualmente in attività utilizzano da tre a sei cicli (somministrati ogni 2-3 settimane) prima del trattamento locale, e da sei a dieci cicli dopo il trattamento locale, per una durata complessiva di 6-12 mesi. I protocolli maggiormente impiegati hanno previsto l’uso da quattro a sei farmaci variamente combinati fra loro; non esistono nette evidenze su quale sia la combinazione migliore.

È necessario ricordare, nella pianificazione del trattamento, che l’intensità di dose correla positivamente con la sopravvivenza. Sulla base di tale osservazione, alle volte è possibile ricorrere alla terapia con alte dosi seguita da trapianto di midollo osseo (TMO) con cellule staminali emopoietiche autologhe. In particolare, studi non randomizzati evidenziano una loro efficacia in pazienti che abbiano mostrato una scarsa risposta alla chemioterapia primaria ed in pazienti metastatici all’esordio, ovvero pazienti con SE ad alto rischio.44 La chemioterapia primaria consente di valutare la sensibilità delle cellule tumorali agli agenti impiegati mediante lo studio istologico del pezzo operatorio; tuttavia, attualmente non vi è un consenso riguardo la possibilità di effettuare una chemioterapia post-chirurgica differenziata in base alla risposta istologica.

Il trattamento chemioterapico deve essere sempre raccomandato a prescindere dall’età di insorgenza della malattia, sempre tenendo conto delle condizioni generali dei pazienti. Anche in età giovane adulta - in particolare fino ai 40 anni – si suggerisce di seguire la terapia prevista

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35 dai protocolli pediatrici: essa, infatti, essendo più aggressiva permette

di ottenere risultati migliori.

In pazienti affetti da SE extraosseo, il trattamento chemioterapico segue gli stessi criteri delle forme ossee.45

A causa dell’elevato rischio di infertilità conseguente ai trattamenti chemioterapico e radioterapico, è importante offrire al paziente la possibilità di preservazione degli ovociti o di conservazione dello sperma. Per quanto riguarda il rischio di cardiotossicità da ADM, consistente nello sviluppo di cardiopatia dilatativa, i pazienti devono essere strettamente monitorati con ecocardiogrammi seriati.

A parità di trattamento chemioterapico, i pazienti metastatici all’esordio di malattia presentano una probabilità di sopravvivenza inferiore rispetto ai pazienti con malattia localizzata. In caso di metastasi sincrone, quindi, è prevista una strategia più aggressiva, che prevede una chemioterapia intensificata rispetto a quella dei pazienti con malattia localizzata, associata a radioterapia possibilmente su tutte le sedi di malattia e a chirurgia ove necessario.46

L’intensificazione del trattamento mediante alte dosi di Busulfano-Melfalan ed il supporto con cellule staminali ematopoietiche autologhe nei pazienti metastatici all’esordio e responsivi alla terapia a dosi convenzionali, ha riportato in diversi studi non randomizzati risultati incoraggianti e superiori in termini di sopravvivenza a quelli storici. 47-49

Oltre ad evidenziare l’impatto positivo della terapia con alte dosi e trapianto di cellule staminali emopoietiche autologhe (con una EFS a 5 anni complessiva pari al 37%, mentre nel sottogruppo di pazienti che hanno ricevuto HDCT raggiunge il 47%), lo studio condotto dalla Société Française des Cancers de l’Enfant ha analizzato l’influenza delle diverse localizzazioni metastatiche sull’outcome della malattia, valutando ancora una volta la sopravvivenza libera da eventi a 5 anni: nei pazienti con metastasi esclusivamente polmonari la EFS arriva al 52%; nei pazienti con metastasi ossee ma senza interessamento

(36)

36 midollare la EFS si attesta al 36%; infine, dei 23 pazienti con

coinvolgimento del midollo osseo alla diagnosi solo uno è sopravvissuto, determinando una EFS pari al 4%.47

Anche nell’esperienza italiana i vantaggi maggiori sono stati raggiunti nei pazienti con metastasi esclusivamente polmonari e/o con una singola metastasi scheletrica, e responsivi alla chemioterapia primaria. Nel caso della localizzazione polmonare, l’uso della radioterapia conferisce un vantaggio in termini di sopravvivenza.52

Il protocollo EWING 2008, invece, ha riportato risultati contrastanti. I pazienti afferenti a questo studio sono stati distinti in tre gruppi di rischio in base all’estensione di malattia alla diagnosi; dopo aver effettuato tutti la stessa terapia di induzione (6 cicli VIDE), sono stati randomizzati ed inseriti in diversi bracci di trattamento. Soffermandoci sugli High Risk R2, ovvero soggetti con malattia localizzata ma Poor Responder e soggetti affetti da SE con metastasi esclusivamente polmonari, sono stati randomizzati come nel trial EURO-EWING 99: un braccio di trattamento prevedeva la chemioterapia standard (8 cicli VAI), l’altro braccio prevedeva un solo ciclo VAI seguito dalla terapia con alte dosi di Busulfano-Melfalan. Nei PR (trial R2Loc) è stata confermata l’efficacia del trattamento intensificato con BuMel, con un importante beneficio sulla OS a tre anni ed ancor più sulla EFS a tre anni.50 Valutando i soggetti con metastasi polmonari (trial R2Pul), invece, nel gruppo sottoposto alla terapia con alte dosi di BuMel è stata ottenuta una superiorità ma non statisticamente significativa, peraltro al costo di maggiori tossicità, rispetto al trattamento standard.51

Il ruolo della chirurgia in caso di malattia metastatica all’esordio è meno definito, e richiede una valutazione collegiale.

Qualora il paziente recidivi, la sede di ricaduta e l’intervallo libero da malattia rappresentano i principali fattori prognostici. Se l’intervallo libero di malattia è maggiore di 36 mesi e la localizzazione della recidiva è polmonare, si raccomanda - seppure in assenza di parere univoco - l’intervento chirurgico; qualora esso non sia eseguibile è indicato il ricorso alla radioterapia polmonare.53 Nelle altre circostanze

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37 è opportuno associare sempre la chemioterapia. Per la malattia recidiva

non si ha uno standard di trattamento chemioterapico da seguire. Inoltre, non vi è consenso unanime riguardo la possibilità di utilizzare terapie con alte dosi e supporto con cellule staminali emopoietiche nei pazienti con ricaduta di malattia.

In alcune analisi retrospettive, come quella condotta da McTiernan et al. su 114 pazienti presentatisi al London Bone and Soft Tissue Sarcoma Service con ESFT recidivato o in progressione, e quella condotta da Baker et al. su 55 pazienti trattati al Children’s Hospital and Regional Medical Center di Seattle, emerge un impatto positivo di tale approccio, che sembra essere in grado di aumentare la OS e la PFS.54,55

Ad ogni modo, il protocollo europeo per il trattamento del SE recidivato (rEECur) affida al Centro di trattamento la decisione sulla fattibilità di tale strategia terapeutica.

Protocolli terapeutici per il SE

ISG/AIEOP EW1

Approvato nel 2008, il protocollo ISG/AIEOP EW1 consiste in uno studio randomizzato di fase III condotto su pazienti con EFT localizzato al fine di valutare l’efficacia di un trattamento con dosi intensificate e di minore durata. In particolare, lo scopo principale è quello di stabilire se tale strategia sia in grado di garantire una sopravvivenza libera da eventi (Event Free Survival, EFS) non inferiore a quella offerta dal protocollo standard ISG/SSG III.

I pazienti eleggibili (diagnosi istologica di SE o PNET, assenza di metastasi evidente o singola immagine polmonare < 0,5 cm, età ≤ 40 anni, adeguata funzionalità organica, consenso informato) vengono randomizzati a ricevere due regimi terapeutici di induzione differenti, quello standard oppure quello intensificato. Successivamente vanno incontro al trattamento locale: la chirurgia è raccomandata ogniqualvolta possibile, mentre solo qualora essa sia giudicata non

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38 praticabile si ricorre alla radioterapia. Si raccomanda che la valutazione

riguardo il tipo di trattamento locale da attuare venga effettuata in Centri di riferimento identificati. A questo punto i pazienti giudicati poco responsivi (Poor Responder, PR) alla chemioterapia neoadiuvante (ovvero i soggetti che alla valutazione del pezzo operatorio secondo Picci mostrano scarsa risposta istologica, con necrosi tumorale inferiore al 90%, oppure, per i soggetti non sottoponibili a chirurgia, in cui risulti ancora evidente all’imaging l’interessamento dei tessuti molli adiacenti da parte della neoplasia) vengono avviati ad un trattamento comune che prevede 4 cicli di chemioterapia - di cui il secondo a base di Etoposide e Ciclofosfamide ad alte dosi, definito reclutante/mobilizzante poiché ha lo scopo di mobilizzare le CSE nel sangue periferico per effettuarne la raccolta - seguiti dal trattamento intensificato con alte dosi di Busulfano-Melfalan e reinfusione delle cellule staminali emopoietiche autologhe precedentemente raccolte.

ISG/AIEOP EW2

Per i pazienti con SE ad alto rischio (ovvero con malattia metastatica polmonare o unica scheletrica) è attivo il programma AIEOP/ISG EW-2. Esso prevede un trattamento chemioterapico inziale, distinto in una fase di induzione (con l’utilizzo di vincristina, doxorubicina, ciclofosfamide, ifosfamide, etoposide) cui si associa il trattamento locale (chirurgia, radioterapia o chirurgia seguita da radioterapia), ed una fase di consolidamento (trattamento con alte dosi di Busulfano-Melfalan e reinfusione di cellule staminali periferiche). Completata la chemioterapia, i pazienti ricevono una terapia di mantenimento anti-angiogenetica a base di Celecoxib (un anti-COX2) e Ciclofosfamide a basse dosi, per una durata generalmente semestrale.

Una categoria distinta è quella dei pazienti con metastasi extrapolmonari e scheletriche multiple alla diagnosi, identificati come “ad altissimo rischio” (VHR-EFT, Very High-Risk Ewing’s Family Tumors) e caratterizzati da una pessima prognosi.

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39 La probabilità di sopravvivenza dei pazienti con VHR-EFT a due anni

è intorno a 0.3056,57 ed è tuttora carente una terapia efficace. Infatti, sebbene siano per essi disponibili terapie in grado di indurre remissioni parziali o persino complete in oltre il 50% dei casi, nella maggior parte dei soggetti si assiste successivamente ad una ripresa evolutiva della neoplasia che è generalmente fatale.49,58

Per questo motivo ISG e AIEOP hanno attivato una serie consecutiva di protocolli nei quali hanno inserito una window therapy con l’intento di migliorare i risultati terapeutici ed identificare regimi maggiormente efficaci per gli VHR-EFT. Il primo ha visto l’introduzione del Melfalan in window front-line, che si è effettivamente dimostrato attivo nella prima fase di trattamento, con tossicità acuta assolutamente accettabile (anche se le tossicità ematologiche dei cicli successivi del protocollo si sono rivelate superiori a quelle del controllo storico).58 Il secondo protocollo, in cui era stato inserito il cisplatino in window front-line, è stato chiuso precocemente in quanto la percentuale di risposte RECIST è stata ritenuta insufficiente per dichiarare il cisplatino come attivo in window therapy. Infine, ISG e AIEOP hanno recentemente proposto di inserire nell’ultimo protocollo (ISG/AIEOP EW2) il TEMIRI in front-line window therapy nei pazienti VHR-EFT, visti i risultanti incoraggianti evidenziati nell’utilizzo del TEMIRI non in prima linea di terapia in pazienti con SE recidivato o in progressione di malattia. Lo studio è ancora in corso ma i dati preliminari sembrano essere molto incoraggianti.

Considerando la rarità della presentazione metastatica ad altissimo rischio, l’arruolamento nel protocollo EW2 permette inoltre di trattare questo sottogruppo in maniera uniforme e di valutare l’entità della risposta alle varie fasi del piano di cura. Nel caso l’attività fosse confermata, in una seconda fase il TEMIRI potrebbe essere introdotto nei regimi di induzione della remissione degli EFT, in associazione agli altri antiblastici attualmente in uso, anche per pazienti con EFT e malattia non metastatica, per i quali le % di sopravvivenza a 5 anni a tutt’oggi non superano il 75%.34

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rEECur

Il protocollo attualmente impiegato (Versione 3.0 del 2014) per il trattamento del SE refrattario e ricorrente si basa su rEEcur, primo trial clinico di fase II e di fase III internazionale, controllato e randomizzato, promosso da EEC (EURO EWING Consortium), centro coordinatore Università di Birmingham. I principali gruppi europei che si occupano di sarcomi, basandosi sulle precedenti collaborazioni ottenute in studi di fase III (EuroEWING99, EWING2008 e EE2012), hanno sviluppato rEECur con l’obiettivo di individuare il regime chemioterapico ottimale per i pazienti di età ≥ 4 anni e < 50 anni con SE in ricaduta o resistente, sulla base della sua efficacia e tossicità.

Il progetto rEECur è uno studio multifase (con un tempo stimato di completamento di 2.2 anni per la fase II e 4 anni per la fase III), in aperto (open-label), a bracci multipli di trattamento. I pazienti vengono randomizzati per ricevere uno tra i seguenti 4 regimi chemioterapici, emersi come i più diffusi in tutta Europa nella terapia della malattia refrattaria o ricorrente:

• Topotecan e Ciclofosfamide (TC): 6 cicli; • Irinotecan e Temozolomide (TEMIRI): 6 cicli; • Gemcitabina e Docetaxel (GEMDOX): 6 cicli; • Ifosfamide ad alte dosi (HDIFO): 4 cicli.

Ciascun ciclo, indipendentemente dai chemioterapici impiegati, ha una durata di 21 giorni, dopodiché il trattamento potrà proseguire per ulteriori cicli addizionali a discrezione dello sperimentatore. Le valutazioni del controllo locale verranno effettuate dopo il secondo ed il quarto ciclo di trattamento e al completamento della terapia. Misure per ottenere il controllo locale del tumore sono indicate ove possibile; ogni decisione riguardo modalità e tempistiche dell’intervento locale è affidata allo sperimentatore, ad eccezione della necessità di accertarsi della risposta di malattia dopo il quarto ciclo di chemioterapia.

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41 La raccolta di cellule staminali può essere effettuata nei pazienti per i

quali è prevista la terapia ad alte dosi, ma i primi 4 cicli di chemioterapia devono essere seguiti in base al regime randomizzato. La terapia mieloablativa può essere somministrata a discrezione dello sperimentatore dopo 6 cicli di TC, IT o GD, o dopo 4 cicli di HDIFO.

La prima analisi ad interim è prevista dopo che 50 pazienti per braccio (più di 200 in totale) sono stati reclutati, trattati e valutati per l'outcome di fase II. Il braccio con il tasso di risposta peggiore, in base all'attività e/o alla tossicità chemioterapica, verrà eliminato. I 3 bracci restanti continueranno in maniera randomizzata a reclutare pazienti fino ad un numero minimo di 75 pazienti per braccio. Al termine della seconda analisi intermedia, prevista dopo la valutazione dell’outcome di almeno 75 pazienti per braccio, il braccio con risultati inferiori sarà eliminato sulla base degli stessi criteri precedenti e i due bracci restanti continueranno poi al confronto di fase III. Nella fase III è prevista la prima valutazione principale dopo che almeno 400 pazienti (200 per braccio) sono stati reclutati e seguiti per almeno un anno. Lo schema nella Figura 6 descrive la randomizzazione e la sequenza delle fasi di trattamento previste dal protocollo di studio rEEcur.

Figura 6. Schema della randomizzazione e delle fasi di trattamento previste dal rEECur Trial Protocol, versione 3.0, 9 settembre 2014.

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