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Importazioni, esportazioni e intervento pubblico: protezio-

Nel documento Compendio di scienza delle finanze (pagine 187-190)

Anche in materia di rapporti di cambio con le altre monete, i pubblici poteri esercitano un intervento, simile a quello che esercitano sul credito, e con esso in buona parte collegato.

Esportazioni e importazioni dipendono prima di tutto dall’econo- mia, dal prezzo dei prodotti rispetto alla loro qualità. Un’economia forte- mente esportatrice provoca un “saldo attivo” della bilancia commerciale come differenza (“saldo”), tra importazioni ed esportazioni di merci e ser- vizi. Nella misura in cui questo saldo è attivo o passivo il paese, guardan- do i rapporti con l’estero, produce più di quanto consuma o viceversa. A parità degli altri fattori, questa eccedenza di produzione sul consumo, già vista sotto l’aspetto del PIL al paragrafo 7.1 provoca crediti di produttori del gruppo sociale verso acquirenti di altri gruppi sociali; questi ultimi cer- cheranno moneta del paese esportatore per pagare i loro debiti, e quindi la domanda di questa moneta ne aumenterà il valore, a danno di quello delle altre monete; nel linguaggio del settore si dice che la moneta richiesta “si rivaluta” rispetto alle altre, che invece “si svalutano”. Ove prevalgano

le importazioni si ha invece l’opposto, cioè consumo senza produzione, con accumulo di debiti verso altri gruppi, vendita di moneta nazionale e sua svalutazione rispetto alle altre (da non confondere con l’inflazione di cui diremo). In termini logici non c’è svalutazione senza rivalutazione, perché varia il rapporto tra monete (valute) diverse; ad ogni svaluta- zione di una moneta corrisponde cioè la rivalutazione di un’altra rispetto a lei.

La rivalutazione della moneta è uno dei fattori che rendono meno competitive le esportazioni, e viceversa, il che, secondo chi sostiene gli automatismi di mercato (paragrafo 4.7), porterebbe il sistema ad auto- correggersi. Il cambio non è però la sola variabile da cui dipendono le esportazioni e le importazioni, essendo rilevante anche la qualità dei pro- dotti, l’efficienza della produzione e del paese in cui essa si colloca, anche per quanto riguarda le funzioni pubbliche, i sistemi infrastrutturali, sanitari, educativi etc. Un paese ben organizzato è infatti competitivo anche col cambio rivalutato; al contrario, se la qualità delle produzioni è sca- dente e il loro prezzo è alto, l’automatismo della svalutazione non renderà più concorrenziale la produzione; l’effetto automatico del cambio sulla concorrenzialità della produzione appare quindi limi- tato come la pretesa capacità del mercato di trovare da solo i propri equilibri (par. 4.7).

In passato si poneva molta enfasi sulla “valuta forte”,come indizio di brillantezza economica, e tutti gli stati cercavano di incentivare le at- tività produttive nazionali, con divieti di importazione di beni esteri, oltre che dazi doganali all’importazione e sovvenzioni all’esportazione. Erano atteggiamenti definiti, all’inizio, con l’espressione mercantilismo, o protezionismo, inteso come salvaguardia dell’attività economica na- zionale; era una concezione che vedeva la potenza economica come un riflesso della potenza politica, e non a caso fu in auge dal seicento alle guerre napoleoniche, trasformandosi poi in una trama di accordi commer- ciali bilaterali, diplomaticamente concordati con paesi amici; ciò creava un insieme di interdipendenze di fatto, con concessioni e ritorsioni (c.d. “guerre commerciali”). A questo protezionismo economico nei rapporti con l’estero erano favorevoli anche delle classi dirigenti molto liberali nei rapporti economici interni.

Nell’attuale contesto economico, più globalizzato (par. 7.11), il sostegno alla produzione nazionale avviene con “svalutazioni competitive”; esse rendono più appetibili le esportazioni, frenando le importazioni per

il consumo. Per l’industria, infatti, che “aggiunge valore”, le materie prime importate vengono valorizzate dall’attività di trasformazione, e quindi il vantaggio, derivante dalla svalutazione, sull’esportazione del prodot- to, è maggiore dello svantaggio sull’importazione della materia prima. Invece il maggior costo, dovuto alla svalutazione, limita l’importazione dei beni di consumo, spingendo a consumare la produzione nazionale, con effetti di autarchia economica, spesso teorizzata apertamente, come nel periodo fascista.

I tassi di cambio sono influenzati anche da altri fattori, come i movi- menti finanziari, per acquisti di titoli pubblici e privati, o gli investimenti esteri, ad esempio per la costituzione di impianti e strutture produttive nel paese. Il paese esportatore, con una bilancia commerciale attiva, può utilizzare infatti l’avanzo per investimenti esteri, senza quindi innescare domanda di propria moneta, evitandone la suddetta rivalutazione. Se si tiene conto anche di questi acquisti di valuta straniera, si ha la “bilancia dei pagamenti”, più ampia della suddetta bilancia commerciale.

La perdita di valore della moneta rispetto alle altre monete, non dev’es- sere confusa con l’inflazione, che esprime l’aumento del livello dei prezzi anche solo interni, senza collegamenti con le altre monete. L’infla- zione può essere diversa anche per aree geografiche di un paese o di una stessa area monetaria, ad esempio quella dell’Euro (par. 7.12) dove in te- oria l’inflazione, ad esempio, francese, potrebbe essere diversa da quella Italiana, anche se entrambi i paesi utilizzano la stessa moneta. Inflazione e svalutazione sono concetti collegati, perché la svalutazione può contribuire all’inflazione, e l’inflazione alla svalutazione. L’emissione di moneta, e le diminuzioni dei tassi di interesse tendono a provocare inflazione, effet- to della già indicata politica monetaria “espansiva”. L’inflazione, considera- ta in genere in modo negativo, è anche un modo per attenuare l’impatto di debiti pubblici troppo alti, ed è compatibile con la crescita economica (inflazione come strumento di politica fiscale).

Può essere più pericoloso il fenomeno opposto, cioè la deflazione, in- tesa come diminuzione del livello generale dei prezzi. Essa raramente si è verificata, e anche quando è accaduto i prezzi sono scesi poco; anche se il consumatore vede aumentare il proprio potere d’acquisto, la deflazione si è spesso accompagnata a stasi economiche socialmente tragiche. Se infatti diminuiscono i posti di lavoro, e l’attività economica ristagna, diminuisce anche il valore dei patrimoni (par. 7.6), tutti eventi socialmente tutt’altro che desiderabili.

Come si vede è un equilibrio precario, in cui interagiscono molte va- riabili, difficili da gestire, anche in un sistema economico chiuso, cioè con barriere verso le importazioni; figuriamoci nel contesto economico globa- lizzato di cui al paragrafo seguente.

7.11. Globalizzazione e concorrenzialità dei “sistemi paese”

Nel documento Compendio di scienza delle finanze (pagine 187-190)