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Moneta e credito: Banche ed economia pubblica

Nel documento Compendio di scienza delle finanze (pagine 183-186)

In base a quanto rilevato ai paragrafi precedenti, il risparmio è un red- dito non consumato, per vari possibili motivi, socialmente da apprezzare o disapprovare, a seconda delle ragioni di queste eccedenze. Esse possono essersi formate per il particolare contributo dei titolari alla formazione del reddito, o per la particolare sobrietà dei loro consumi. A queste spiegazioni “virtuose” possono affiancarsi quelle secondo cui il risparmio deriva da una sperequazione nella distribuzione del reddito (il reddito può essere stato cioè risparmiato perché il suo percettore o i suoi antenati sono stati varia- mente privilegiati). Non si può quindi dire a priori se il risparmio sia un

vizio o una virtù, anche se, a parità di allocazione del reddito, è più apprez- zabile risparmiarlo che sperperarlo, almeno nella prospettiva della società agricolo artigianale, in buona misura recepita nel nostro bagaglio culturale, come indicato al par. 2.11. Tuttavia gli economisti, influenzati dalla neces- sità di sbocchi della produzione di serie, preferiscono il consumo, cui asso- ciano uno stimolo più intenso all’attività economica, il c.d. moltiplicatore di cui abbiamo parlato al par. 7.3 sul PIL. Il risparmio, cioè un reddito ri- masto allo stadio di “credito” torna nel però circuito economico attraverso l’intermediazione delle banche. Esse comprano denaro, cioè “crediti”, dai risparmiatori, pagando un interesse, e lo rivendono agli investitori, rice- vendo invece un interesse. Il risparmio raccolto dalle banche viene infatti prestato alle aziende, che innescano un circolo virtuoso di fiducia, in cui i depositi si moltiplicano; è il c.d. “moltiplicatore dei depositi” (per certi versi analogo all’appena menzionato moltiplicatore dei consumi, anch’esso esaminato al par. 7.3); l’attività economica, finanziata dalle banche, genera cioè ulteriori depositi, prestiti, e redditi, coordinando le eccedenze di redditi e il bisogno di credito; tuttavia, se mancano le condizioni per investimenti industriali e consumi pubblici produttivi, gli impieghi bancari finiscono per disperdersi nei modi indicati al paragrafo successivo sulla fi- nanza, la speculazione e le sue degenerazioni.

Nella sua superficiale formazione socioeconomica la pubblica opi- nione (par. 4.3) diffida delle banche; su di esse torna, persino rafforzata, la diffidenza verso la generalità delle aziende, secondo la grossolana visione antropomorfica già di cui al par. 3.4; se questo bagaglio culturale tende a personalizzare l’industria, vedendola come un grande artigiano, è natu- rale che veda la banca come un “grande strozzino”. Sfugge quindi la già indicata funzione di intermediazione tra risparmio e prestiti, e la neces- sità di salvaguardare i crediti dei depositanti.

La banca infatti intermedia tra eccedenze a credito e bisogno di credito, prestando somme provenienti dai propri depositanti, non risorse pro- prie. Non a caso l’attività bancaria concorre al PIL di cui al par. 7.1 come servizio di intermediazione. Nessun tasso di interesse ripaga dalle possibi- lità di perdita sul singolo cliente finanziato, e per questo il credito viene erogato a soggetti economicamente “solidi”, benché “poco liquidi”, cioè con i propri valori fortemente “immobilizzati”. Si pensi al mutuo ipoteca- rio, garantito dagli immobili, o ai finanziamenti alle aziende il cui valore è immobilizzato negli impianti, nei macchinari e negli altri investimenti, non monetizzabili in breve termine. Il rischio, per le banche, come recente-

mente è accaduto, è quello di non essere, per via di investimenti sbagliati (in particolare “crediti sbagliati”), più liquide verso i depositanti e gli altri loro creditori, innescando un circolo vizioso di sfiducia; in passato ciò comportò ritiro in blocco dei risparmi, e crisi di panico denominate “corsa agli sportelli” per recuperare i propri depositi in vista di un possibile falli- mento della banca.

Per evitare queste crisi l’autorità pubblica effettua una vigilanza sul credito, svolta fino a poco tempo fa dalla Banca d’Italia poi anche dalla Banca centrale europea (BCE). Lo scopo di questi controlli è mantenere il “credito” e la “fiducia” del gruppo sociale nel sistema bancario. Se c’è fiducia, a sua volta dipendente da tanti aspetti istintivi, emozionali, non inseribili nei grafici degli economisti (par. 4.6), si può continuare ad emet- tere moneta, finanziando quindi “a debito” consumi o investimenti, con equilibri quasi magici agli occhi dell’opinione pubblica. Mentre le ordinarie aziende tecnologiche offrono beni tangibili, l’azienda di credito dà cre- dito, perché “ha credito”, cioè “fiducia”. Di essa qualche volta si abusava, come accadde per i ciarlatani che raccoglievano risparmio promettendo in- teressi favolosi, inzialmente pagati usando parte dei nuovi capitali raccolti, al solo scopo di attrarre altri investitori in questa catena di S. Antonio, desti- nata al fallimento totale, dopo che gli organizzatori avevano fatto sparire il resto del bottino (è lo “schema Ponzi”, rilanciato in Albania dopo la caduta del Comunismo e nel 2008 da B. Madoff). Quest’attività creditizia non ha una domanda e un’offerta in senso tecnico, come i generi alimentari o tes- sili, in quanto la moneta non è una merce come tutte le altre, ma incontra solo il limite della fiducia nell’emittente, della sua (appunto) credibilità. Quando una banca “dà credito”, per certi versi “immette moneta” nel circuito (par. 7.7), con la prospettiva del fallimento, ove subentrino le crisi già indicate sopra, o del salvataggio delle banche in crisi a carico della fi- nanza pubblica. La già indicata funzione di vigilanza pubblica sulle banche salvaguarda l’equilibrio tra credito erogato e depositi, in modo da preve- nire le suddette crisi di liquidità. Gli strumenti sono limiti all’erogazione di crediti, vincoli di portafoglio (cioè di composizione dell’attivo), verifica della recuperabilità dei crediti, il tutto sancito dagli accordi tra banche cen- trali internazionali aderenti all’apposito comitato, chiamati Basilea2 e Basi- lea3, dal nome della città svizzera dove furono firmati. Sia per questo, sia per la salvaguardia dei depositanti, e indirettamente del sistema fiduciario di crediti e debiti, la regia di questa vigilanza è stata demandata alla Banca Centrale Europea, anche se le ispezioni sono svolte dalle banche centrali na-

zionali. Anche questo conferma, come dicevamo dal par. 7.7, che “Battere moneta” nasce come questione privata, ma diventa rapidamente un affa- re di stato, cioè una “questione di diritto”, addirittura sovranazionale, dopo il passaggio all’euro, di cui al par. 7.12.

Nel documento Compendio di scienza delle finanze (pagine 183-186)