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Segue: valori economici nella prospettiva del venditore e ri-

Nel documento Compendio di scienza delle finanze (pagine 178-180)

Nella prospettiva del produttore e del venditore i valori sono molto più oggettivi, rispetto al punto di vista dell’acquirente finale, indicato al paragrafo precedente.

Dal punto di vista del produttore il valore è influenzato, prima di tutto dal costo di produzione; In una certa misura il comportamento del produttore è molto più razionale rispetto alle sfuggenti motivazioni degli acquirenti, coi loro sogni e bisogni, descritti al paragrafo precedente. Anche se l’atteggiamento dei possibili acquirenti (il c.d. “mercato”) è de- terminante nel decidere se intraprendere o meno una produzione, il con- fronto dell’ipotetico prezzo di vendita (dipendente dai fattori indicati al paragrafo precedente) viene effettuato con un dato molto più certo, cioè il “costo di produzione”.

In quest’ottica, riferita al produttore, si spiega l’affermazione di Marx sulla corrispondenza del valore al lavoro (“Valore uguale lavoro”), che tuttavia è semplicistica. Prima di tutto quest’eguaglianza è erronea nella misura in cui viene generalizzata, riferendola anche all’acquirente, che guar-

da invece all’utilità, materiale o ideale, come indicato al paragrafo pre- cedente. Inoltre anche per il produttore la struttura dei costi dipende molto dai macchinari, dalle materie prime dalle energie e dalle abilità di fornitori terzi. L’idea che il valore dipenda dai tempi di lavoro è chia- ramente modellata sulla produzione artigianale preindustriale, con la sua flessibilità, indicata al par. 2.6. Un ulteriore inconveniente di questa chia- ve di lettura è equiparare il lavoro a una merce, trascurando la moltepli- cità di variabili sociali che lo influenzano, e soprattutto trascurando anche che il lavoratore è “anche” un membro del gruppo, cosa che non sono le materie prime, le energie o i macchinari. In buona misura quest’equipa- razione marxista, oltre che influenzata dalla produzione artigianale, era anche finalizzata agli obiettivi politici di cui al par. 4.12 sul “comunismo”. Anche l’operaio, come il contadino, l’artigiano o il piccolo commerciante, partecipa all’attività produttiva nella prospettiva di un’esistenza libera e dignitosa. Si ritrova, nel “valore uguale lavoro”, la necessità dell’antico artigiano di soddisfare attraverso il lavoro il proprio bisogno di decoro- sa sussistenza. Il valore, in questo senso, dipende dal reddito di cui il fornitore produttore pensa di avere bisogno, che si deve mantenere però in sintonia con le aspettative e i bisogni del cliente ultimo (il “mercato”), indirettamente rappresentato dalla massa dei consumatori cui si dirige l’azienda datrice di lavoro, coi vincoli di cui al par. 3.7, rispetto ai quali il profitto è tutto sommato secondario. Benchè il lavoro non sia una merce, come vedremo al prossimo paragrafo anche per la moneta, ma non è neppure una variabile indipendente rispetto al valore aggiunto aziendale; con tutta la buona volontà non è infatti possibile insomma distribuire ai lavoratori valore aggiunto che l’azienda non ha creato, solo per soddisfare le loro esigenze di tenore di vita. Occorre quindi che il lavoro sia “utile” ed efficiente, ed è responsabilità dell’azienda, e dei pubblici poteri, creare le relative condizioni. È questa la cornice per creare reddito cioè utilità sociale, il che può avvenire in vari modi, ed è il ter- reno su cui può avere successo l’intervento pubblico. Anche se non tutto il lavoro crea utilità, non può esserci utilità sociale senza lavoro, cioè senza attività, come vedremo al prossimo paragrafo sull’illusione di soddisfare i bisogni stampando moneta o facendo debiti.

Quanto sopra conferma la già indicata dimensione sociale della ric- chezza, come qualcosa che continuamente si crea e si consuma, non come se fosse un tesoro da spartire. Questo conferma quanto indicato al par. 7.4 sul rapporto tra reddito e valore, che non è una caratteristica ogget-

tiva dei beni, ma dipende dalla domanda, dalle priorità nella soddisfazione dei vari bisogni, e quindi dal reddito.

Questo conferma che economicamente il patrimonio dipende dai red- diti, non sono del medesimo titolare, bensì da attività svolte nel sistema o anche fuori dal sistema, purchè esse alimentino una domanda diretta verso il sistema. Per questo le recessioni economiche sono accompagnate da una diminuzione, a parità degli altri fattori, dei valori patrimoniali. Anche il patrimonio, compresi immobili di pregio ed opere d’arte, nonché l’oro, come vedremo al prossimo paragrafo, hanno un valore in quanto esistono “eccedenze” rispetto ai bisogni materiali di base (torna il concetto di “ecce- denze alimentari” dal par. 2.4). Questo richiamo all’era agricolo artigianale conferma che sono i redditi che creano i valori, e li sostengono nel tempo. Per questo, se il reddito dell’organizzazione sociale cala (par. 711 sulla glo- balizzazione), anche il valore del patrimonio diminuisce, seguendo a ruo- ta, a meno che non subentrino esponenti di altre comunità, in cui si crea un reddito consumato nella comunità “in declino”. Questa rilevanza del reddi- to conferma che senza un risultato produttivo di qualcuno l’organizzazione sociale, pubblica o privata, non sopravvive. La ricchezza non è quindi data una volta per tutte, ma deve essere sempre ricreata con un lavoro utile, per usare una metafora che mette insieme, e spiega, i punti di vista del venditore e dell’acquirente. Derivando dal lavoro, che deve riprodursi nel tempo, la ricchezza non è una entità che si possa razionalmente spar- tire una volta per sempre, ma deve costantemente deve riprodursi, come vedremo a proposito del concetto di redistribuzione (paragrafo 8.12). È una visione umanistica della ricchezza, che non coincide con beni materiali, ma con la individuazione e soddisfazione di bisogni, materiali e mentali (bisogni di sogni), tramite prestazioni e impegni reciproci, misurati nei modi che vedremo al prossimo paragrafo.

7.7. La “moneta” come questione di diritto tra “simbolo di credi-

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