• Non ci sono risultati.

I livelli di spesa pubblica, tra stato-istituzione, stato appara-

Nel documento Compendio di scienza delle finanze (pagine 145-149)

rispetto al mercato per tipologia di funzione. – 6.4. Il costo delle varie funzioni pub- bliche come “dato sociale”: fonti informative e criteri di stima. – 6.5. Finanziamento della politica e suo valore simbolico (parlamento e organi costituzionali). – 6.6. Affari esteri e partecipazione a enti sovranazionali (finanziamento unione europea e “fondi comunitari”). – 6.7. Segue. Difesa. – 6.8. Segue. Giustizia e sicurezza. – 6.9. Segue. Infrastrutture, ambiente, protezione civile. – 6.10. Sanità. – 6.11. Istruzione e beni cultu- rali. – 6.12. Interessi sul debito pubblico (rinvio) e costi della politica monetaria. – 6.13. Spese per la riscossione delle entrate: Agenzia delle entrate e Guardia di Finanza. – 6.14. La previdenza tra corrispettività e fiscalità. – 6.15. L’assistenza: integrazioni salariali, sussidi e controllo del territorio.

6.1. Spesa pubblica per funzione e natura (spese correnti e in conto capitale)

Questo capitolo riferisce alle principali funzioni pubbliche le valu- tazioni di costo (input) e di rendimento (output) in un tentativo di “bi- lancio sociale” quali quantitativo, basato su una combinazione di dati sociali e senso comune con cui ogni lettore potrà confrontare le proprie cognizioni ed esperienze. È un punto di partenza per ulteriori valutazioni di efficienza dell’intermediazione pubblica (par. 5.2) nei vari settori, come sanità, istruzione, infrastrutture, giustizia, ambiente, etc., eventualmente da approfondire in tesi di laurea o di dottorato.

Questa geografia funzionale della spesa pubblica può essere divisa a sua volta per natura delle spese, ad esempio lavoro dipendente, acquisti di beni e servizi (tra cui appalti pubblici), interessi passivi, pagamenti di cano- ni di locazione, erogazione di contributi. Non basta la natura della spesa per classificarla tra spese “correnti” o “in conto capitale”, distinzione generale di contabilità pubblica. Al par. 6.7 e 6.11 vedremo ad esempio che le retribuzioni degli insegnanti e dei militari di carriera sono “spese correnti” mentre gli acquisti di nuovi armamenti o le ristrutturazioni degli edifici scolastici in conto capitale; la natura stessa di queste ultime spese ne indica l’utilità pluriennale1, e inversamente altre volte la natura della spesa

basta a definirla “corrente”, come gli interessi passivi o i canoni di locazio- ne; la maggior parte delle odierne retribuzioni pubbliche hanno natura di spesa corrente, anche se la loro erogazione potrebbe servire a costruire “in economia” opere con utilità pluriennale, come aggiornare il catasto, censire beni culturali o povertà meritevoli di assistenza (par. 6.15). Le spese “correnti”, coincidono in buona misura con quelle “obbligatorie”, cioè connesse a impegni già fissati per legge, o per conseguenti atti esecutivi verso i beneficiari.

Non sempre gli aggregati contabili, presenti nei bilanci, consentono distinzioni ulteriori nell’ambito della funzione. Ad esempio non sempre consentono di distinguere, nell’ambito della funzione istituzionale come istruzione, sanità, etc., gli stipendi degli insegnanti o degli infermieri, da quelli destinati all’auto-amministrazione, come gli stipendi del personale amministrativo.

Una distinzione ulteriore è tra spesa esternalizzata su fornitori esterni privati (appaltatori) e spesa internalizzata su propri dipendenti e propri macchinari. Abbiamo visto al par. 5.1 che il modello gerarchico-militare tendeva di più a internalizzare le funzioni, com’è connaturato all’esercito e alla polizia, dove non possono essere certo fornitori esterni a correre rischi per la Patria. Il modello aziendale è più aperto all’esternalizzazione, con i rischi di perdita di controllo già indicati al suddetto par. 5.1, a pro- posito del venire meno nei pubblici uffici dei c.d. “lavori in economia” e del crescente ricorso ad appalti/affidamenti esterni, anche per interventi di poco conto.

1 Se esiste una utilità, perché potrebbero esserci anche investimenti del tutto inutili, definiti talvolta

6.2. I livelli di spesa pubblica, tra stato-istituzione, stato apparato (ministeri), enti autonomi e territoriali (federalismo fiscale) La maggior parte delle informazioni che seguiranno nel capitolo sono tratte dal bilancio dello stato, cioè dell’apparato tradizionale dei ministeri, amministrato dalla ragioneria dello stato. Tuttavia non tutta la spesa pubblica fluisce in quel contenitore, o vi è facilmente rinveni- bile per analizzare l’intervento dei pubblici poteri nell’economia. Per alcuni organi costituzionali, come i due rami del parlamento, la corte costituzionale, nonché il CNEL, il CNR, e autorità autonome come le varie “authorities” e le agenzie fiscali il bilancio dello stato non con- tiene analisi, ma trasferimenti complessivi, il cui dettaglio si trova nel bilancio dell’istituzione beneficiaria. Lo stesso accade per i bilanci degli enti locali, regioni, province e comuni, di cui diremo al paragrafo suc- cessivo, a proposito della distribuzione di alcune funzioni pubbliche (ad es. infrastrutture), e non di altre (ad es. Difesa o Diplomazia), tra vari livelli di governo.

Sono ormai fuori dal bilancio pubblico, in quanto privatizzate, almeno nella forma, le aziende che offrivano, in veste istituzionale, beni e servizi per il mercato, come le vecchie poste, le vecchie ferrovie, e simili, che sono state tutte inserite nella veste giuridica della società di capitali, pur a parte- cipazione pubblica (persino l’ANAS ha assunto questa forma giuridica, pur non operando per il mercato e mantenendo molte prerogative di pubbli- ca autorità). Quando queste società sono deficitarie, le relative dotazioni transitano comunque per il bilancio dello stato, o dell’ente locale che vi contribuisce.

Gli enti locali, in quanto vicini ai cittadini, sono ottimi erogatori delle spese pubbliche di sanità, trasporto locale, istruzione, assetto del territorio, ambiente, assistenza. Il senso di “comunità”, la conoscenza reciproca, l’au- to-organizzazione “di base”, pur in parte pregiudicate dall’organizzazione sociale moderna, resistono meglio a livello locale. Si giustifica così il princi- pio di sussidiarietà territoriale, secondo cui vanno trasferite al governo centrale le funzioni che non possono essere utilmente svolte a livello locale (par. 4.13).

I lati negativi di questa vicinanza al territorio sono secondari, o comun- que ineliminabili e da gestire; mi riferisco a una maggiore sensibilità delle amministrazioni locali a demagogie territoriali, “ricatti elettorali”, e persino ad infiltrazioni di gruppi criminali diffusi sul territorio.

Vedremo al par. 8.13 il rapporto tra spesa degli enti locali e loro entrate, derivanti da tariffe o tributi a carico degli appartenenti alla determinata collettività. Il finanziamento della spesa locale con trasferimenti da parte dello stato, di cui parleremo al par. 8.13 finisce per deresponsabilizzare la gestione della spesa locale; alla spesa non corrisponde infatti un proporzio- nale carico fiscale sui propri elettori-amministrati. Questi ultimi sarebbero più responsabilizzati sapendo che le maggiori spese dovranno essere finan- ziate, almeno in parte, con un inasprimento dei tributi, anziché con risorse provenienti dallo stato centrale.

Il finanziamento delle spese locali, anziché attraverso tariffe o tributi propri, con trasferimenti statali, rischia anche di mettere a carico della col- lettività nazionale le inefficienze di spesa dell’ente locale. Il rischio è quello di non premiare, in questo modo, gli enti locali finanziariamente virtuosi, e di non punire quelli finanziariamente dissestati. Anche la solidarietà terri- toriale tra aree più sviluppate e meno sviluppate di un determinato paese, rischia di essere un pretesto per avallare una gestione clientelare e corrotta della spesa pubblica, da parte delle classi dirigenti locali delle regioni meno sviluppate, a danno di quelle più sviluppate. Che non finanziano l’assisten- za, la sanità, e i servizi delle altre regioni, bensì i loro sprechi. Quando il finanziamento della spesa locale avviene mediante trasferimenti statali senza controllo, “a piè di lista”, in base alla spesa storica, questo rischio si acuisce. Specie quando nelle aree territoriali più sviluppate e meglio am- ministrate sul piano dei servizi pubblici locali, si diffonde la sensazione di dover finanziare, in nome di una generica solidarietà, non “i poveri delle regioni povere”, bensì di alimentare l’assistenzialismo tramite assunzioni pubbliche, l’affarismo clientelare di politici locali, se non infiltrazioni del- la criminalità organizzata.

I trasferimenti statali dovrebbero quindi essere collegati ad indici di ef- ficienza nella spesa, superando il suddetto criterio della copertura da parte dello stato della c.d. “spesa storica” degli enti locali. Nel 2010 sono stati varati, con la legge delega sul federalismo fiscale, stime di costo medio “efficiente” relativamente ai principali servizi pubblici (costi standard), che tengono conto del fabbisogno per abitante; l’erogazione dei trasferimenti agli enti locali in base a questi costi standard consentirebbe di stimolare l’efficienza, premiando le aree virtuose, capaci di ottimizzare la spesa. Una serie di servizi – base, socialmente più importanti, sarebbero finanziati in questo modo, con criteri solidaristici, a valere su tutto il gettito tributario, indipendentemente da quello proveniente dalle singole regioni. I gettiti tri-

butari regionali, ovvero le “capacità fiscali” delle varie regioni, dovrebbero essere un parametro per il finanziamento di servizi meno importanti.

6.3. Segue. Fungibilità della spesa pubblica rispetto al mercato per

Nel documento Compendio di scienza delle finanze (pagine 145-149)