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Imposizione indiretta: imposta sul valore aggiunto

6. Impatto dei proventi illeciti su:

6.2. Imposizione indiretta: imposta sul valore aggiunto

È opportuno chiedersi, se quanto disposto dall’articolo 14, comma 4 della L. 537/93, sia applicabile anche in campo IVA.

La Corte di Cassazione 110 si è espressa in merito affermandone l’applicazione anche in tema di IVA ed in particolare “anche se la norma è riferita alla disciplina delle imposte sul reddito, è inequivocabilmente una norma di principio, in forza della quale non si può eccepire la esenzione tributaria per i proventi derivanti da attività illecite”.

Proprio su tale materia, è intervenuta la Corte di Giustizia delle Comunità Europee 111 la quale ha basato le sue argomentazioni sulla vigenza del principio di neutralità fiscale 112 che opera sia nei rapporti interni che in quelli internazionali: in altre parole il tributo colpisce il valore finale del bene o della prestazione del servizio indipendentemente dal numero di passaggi che intercorrono per giungere al consumatore finale 113. Ciò comporta l’indifferenza, ai fini tributari, della distinzione fra operazioni lecite ed illecite.

Tuttavia con due precedenti sentenze 114 la Corte di Giustizia Europea aveva classificato estranee a quanto disciplinato dalla VI Direttiva, operazioni di

108

Circ. Min. 10 agosto 1994, n. 150/E, in banca dati Fisconline. 109

Oggi rispettivamente Ires ed Irap. 110

Cass. 12 marzo 2001, n. 3550, in banca dati Fisconline. 111

Corte Giust. CEE, 11 giugno 1988, causa C- 283/1995, in banca dati Fisconline. 112

In base all’art. 1, n. 4, VI Direttiva IVA (n. 77/388/CEE del 17/05/1977), in banca dati

Fisconline. 113

S. CAPOLUPO, La tassazione dei proventi illeciti ai fini Iva, in Il Fisco, 2007, n. 16, p.2250. 114

Corte Giust. CEE, 28 febbraio 1984, causa C – 294/82, Einberger II, Mol e Happy Family; Corte Giust. CEE, 6 dicembre 1990, causa C – 343/89, entrambe in banca dati Fisconline.

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importazione di cessione illecite di stupefacenti o di denaro falso. Questo perché riguardano operazioni aventi ad oggetto beni la cui introduzione nel perimetro economico e commerciale della Comunità è vietata per definizione, tanto da generare provvedimenti coercitivi 115.

Nel caso, invece in cui sussiste una situazione di concorrenza fra un settore economico lecito ed uno illecito, come ad esempio in ipotesi di esportazione di merci verso determinate destinazioni in presenza di divieto, il principio di neutralità fiscale non permette una distinzione fra operazioni lecite ed illecite. La Corte ritiene che tali considerazioni possano essere fatte anche relativamente alla prestazione di servizi come l’organizzazione dei giochi d’azzardo. Questi ultimi, infatti, sono oggetto di attività pienamente lecite in numerosi Stati membri, tanto che grazie al principio di neutralità è previsto che il gioco d’azzardo “illecito” sia trattato allo stesso modo di quelle lecito sotto il profilo dell’Iva 116

.

Nel nostro ordinamento, il Ministero delle finanze 117 ha raccolto il principio affermato dalla sentenza europea fondando su di essa le basi circa l’argomentazione dell’assoggettamento ad Iva delle operazioni illecite.

115

Corte Giust. CEE, 2 agosto 1993, causa C – 111/92 Lange, in banca dati Fisconline. 116

I. CHERCHI , La tassazione dei proventi illeciti (1990-2005), in Dir. e Pr. Trib., 2005, Vol. 76 p. 440.

117

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Capitolo Secondo

COSTI DA REATO

DISPOSIZIONI GENERALI

1. Ambito applicativo della indeducibilità dei costi da reato.

Negli anni, il comma 4-bis dell’articolo 14 della L. 537/1993 è stato adottato in modo inopportuno come sanzione impropria e non come regola generale concernente l’ambito della determinazione del reddito. Questa motivazione ha spinto il legislatore a modificare la norma in ordine all’indeducibilità dei costi da reato con l’introduzione dell’articolo 8 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 118

, frutto in parte della versione apparsa nella bozza iniziale del D.L. 6 luglio 2011, n. 98.

Il legislatore, con la nuova formulazione della disposizione, ha previsto una contrazione delle fattispecie di reato dalle quali far discendere l’indeducibilità dei costi e delle spese. Si assiste, infatti, al passaggio dalla globale categoria di “fatti, atti o attività qualificabili come reato” a quella più ridotta di “atti o attività qualificabili come delitto non colposo”.

Quindi, a differenza della precedente versione, nella quale si faceva riferimento ad una generica riconducibilità di costi e spese a fattispecie penalmente rilevanti, nella nuova versione il costo o la spesa, affinché possano ritenersi indeducibili dalla base imponibile del reddito, occorre che siano relativi a beni o

118

Convertito con modifiche dalla L. 26 aprile 2012, n.44 in banca dati Fisconline. Tale decreto rubricato “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e

potenziamento delle procedure di accertamento” è denominato anche “Decreto semplificazioni fiscali e Decreto semplificazioni tributarie” ed è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 2

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prestazioni di servizio “direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo” 119.

È opportuno precisare che, sulla base dell’articolo 43 del codice penale, rubricato “Elemento psicologico del reato”, è definito doloso quel delitto il cui evento dannoso o pericoloso è voluto dall’agente come conseguenza della sua azione o quando l’evento non è voluto ma si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

La relazione illustrativa 120 al D.L. 2 marzo 2012, n. 16 conferma la volontà del legislatore di restringere la portata applicativa della precedente disposizione ed, in particolare, specifica che l’indeducibilità non è applicata per i delitti colposi 121 a seguito della “non intenzionalità della condotta e quindi del difetto di finalizzazione dei costi eventualmente sostenuti” per il compimento dei delitti.

La dottrina 122 è intervenuta giustificando tale scelta legislativa per la “residualità e scarsa gravità delle ipotesi ammesse” in quanto sono rari i delitti caratterizzati dall’elemento soggettivo della colpa o le contravvenzioni i cui profitti possono acquisire rilievo reddituale ai sensi dell’articolo 14, comma 4 della legge 537/1993123.

119

B. SANTACROCE - D. PEZZELLA, Il decreto sulle semplificazioni fiscali prova a fare

chiarezza sull’indeducibilità dei costi da reato, in Corr. Trib., 2012, n. 13, p. 923-924 120

Tale relazione è reperibile in banca dati Fisconline 121

Ad esempio il mero acquisto di beni di sospetta provenienza . 122

A. GIOVANNINI, “Cartiere”, “pizzo”, e costi di reato nelle imposte sui redditi, in Corr. Trib., 2014, n. 28, p. 2172

123

Articolo 14, comma 4 della legge 537/1993 che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti dispone “Nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui

redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria”.

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Ulteriore giustificazione risiede nel fatto che i costi non direttamente utilizzati per la commissione di delitti dolosi si riferiscono alle fattispecie di operazioni soggettivamente false nelle quali si contesta solo il loro profilo soggettivo e non l’esistenza e l’ammontare dell’operazione stessa. Appare, tuttavia, non convincente il fatto di voler adattare la deducibilità alla qualificazione del reato come delitto o contravvenzione e sulla base del suo elemento soggettivo.

Il collegamento fra la gravità del reato e la sua qualificazione, considerando il delitto più grave della contravvenzione, risulta essere discordante con la struttura del codice penale; in particolare la distinzione fra delitti e contravvenzioni non risiede nella diversa gravità dell’illecito ma nella discordanza degli interessi e dei diritti tutelati 124. Inoltre non appare corretto ritenere che la differente gravità fra le due forme di illecito risiede nell’elemento soggettivo della condotta; la dimostrazione risulta essere ben chiara nei delitti gravissimi, come ad esempio in ipotesi di omicidio, per la cui esecuzione è sufficiente la colpa.

Nonostante tali critiche, qualora ammettessimo la tesi secondo cui la gravità dell’illecito sia determinata semplicemente in ragione della tipologia di reato e dell’elemento soggettivo, non potrà essere valida per ammettere la deduzione di elementi economici che caratterizzano fattispecie antigiuridiche. In altre parole, i costi illeciti, se costitutivi della fattispecie di reato o qualificabili come mezzi o strumenti del reato stesso, sono privi di titolo giuridico e di conseguenza non possono mai essere considerati come elementi giuridicamente rilevanti per la determinazione della ricchezza da assoggettare a prelievo.

124

A. GIOVANNINI, “Cartiere”, “pizzo”, e costi di reato nelle imposte sui redditi, in Corr. Trib., 2014, n. 28, p. 2172. L’autore specifica in merito ai reati contravvenzionali interessi di carattere preventivo – cautelare o riguardanti il regolare svolgimento di attività sottoposte mentre collega ai delitti interessi o diritti naturali o concernenti esigenze primarie della collettività e dello Stato.

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Dovrà essere accertato e motivato dall’Amministrazione il collegamento che sussiste fra il fattore produttivo acquisito, il suo costo e lo specifico delitto. Ne deriva una relazione biunivoca necessaria fra il fattore produttivo acquisito e il delitto non colposo per il cui compimento è stato acquisito tale fattore produttivo. Tale relazione risulta essere cosi stringente da ritenere che seppur l’agente avesse commesso più delitti non colposi, se questi non hanno comportato il sostenimento di alcun costo non ne scaturirebbe alcun effetto di indeducibilità 125.

A titolo esemplificativo, dall’analisi di recenti sentenze 126 , risultano indeducibili: a) gli acquisti di merce rubata ai fini di ricettazione; b) gli acquisti di stupefacenti ai fini del loro spaccio; c) le tangenti finalizzate alla corruzione; d) i costi relativi al traffico illecito di rifiuti; e) gli acquisti di imbarcazioni utilizzate ai fini dell’immigrazione clandestina; f) le spese di induzione alla prostituzione; g) i costi relativi alla somministrazione abusiva di manodopera; h) i costi sostenuti per la realizzazione di una “frode carosello”.

Maggiormente problematico sarà il caso in cui l’intera attività del soggetto risulta essere illecita 127; infatti è opportuno escludere un collegamento “diretto” fra i costi sostenuti e il reato.

La diretta utilizzazione del costo rileva anche dal punto di vista soggettivo dell’agente che utilizza direttamente i fattori produttivi acquisiti. Si pensi all’ipotesi di società di capitali, la quale non potrà mai porre in essere un’ attività delittuosa, ma risulta essere l’ente sul quale si producono gli effetti punitivi della norma; in

125

F. TUNDO, Indeducibilità dei costi da reato: i difficili rapporti fra processo penale e tributario, in Corr. Trib., 2012, n. 22, p. 1683-1684.

126

Cass. pen. 29 novembre 2010, n. 42160; Cass. 16 ottobre 2012, n. 40559; Comm. Trib. Reg. 5 dicembre 2012, n. 289; Comm. Trib. Prov. Ravenna, 3 aprile 2013, n. 106; Cass. 9 ottobre 2013, n. 41694; Comm. Trib. Reg. Lombardia 13 gennaio 2014, n. 150; in banca dati Fisconline.

127

Ad esempio un soggetto esercita un’impresa o professione senza essere in possesso di opportune autorizzazioni , la cui assenza scaturisce rilievo penale.

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particolare gli Uffici accertatori adottano una prassi in base alla quale è la società di capitali a dover rispondere della sanzione impropria dell’indeducibilità dei costi 128.

In questa ipotesi, oltre a non poter sanzionare la società per delitti che non ha mai commesso, non si potrà mai affermare che i fattori produttivi acquisiti siano stati “direttamente utilizzati per il compimento dei delitti non colposi” perché se i delitti sono commessi dalla persona fisica, ad esempio nelle veci del rappresentante legale, l’utilizzo, soprattutto se diretto, dovrà necessariamente riferirsi alla medesima persona fisica. Inoltre in sede di processo, se il reato fosse commesso dal rappresentante legale della società, sarà egli a doversi difendere e tale possibilità non sarà mai concessa alla società stessa. Malgrado ciò le conseguenze tributarie dell’applicazione della norma gravano in capo alla società, la quale non potendo difendersi nel processo penale non potrà esercitare il legittimo diritto di difesa nemmeno in sede di processo tributario 129