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Il trattamento fiscale dei proventi illeciti e l'indeducibilità dei costi da reato

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INDICE

Capitolo Primo

REDDITI PROVENIENTI DA ATTIVITÀ ILLECITE 1. Le disposizioni legislative e le posizioni di dottrina e

giurisprudenza ……… 2

2. Articolo 14, legge 24 dicembre 1993, n. 537 ………10

2.1. Carattere della disposizione ……… 12

2.2 Profili di costituzionalità ………17

3. Modifiche intervenute con il comma 34- bis, articolo 36 del D.L. n. 223/2006 ……… ………20

4. Obblighi dell’inadempimento e la stabilità nel possesso del reddito ……... 25

5. Rapporti con i provvedimenti ablatori ……….. 29

5.1. Obblighi successivi ai provvedimenti ablatori ……… 33

6. Impatto dei proventi illeciti su: 6.1. Categorie reddituali ………... 35

6.2. Imposizione indiretta: imposta sul valore aggiunto ……….. 36

Capitolo Secondo COSTI DA REATO: DISPOSIZIONI GENERALI 1. Ambito applicativo della indeducibilità dei costi da reato ………... 39

2. La rilevanza dell’avvio dell’azione penale ………... 43

3. Natura sanzionatoria ………... 47

4. Diritto al rimborso………... 52

Capitolo Terzo SOLUZIONI APPLICATIVE 1. Operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti……… 57

2. Il nuovo regime sanzionatorio in caso di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti………. 63

3. Indetraibilità dell’IVA in operazioni soggettivamente inesistenti ed onere della prova ………...…. 64

4. Analisi di alcune ipotesi rilevanti 4.1 Il trattamento dei proventi da meretricio ……….……… 71

4.2 Il trattamento delle tangenti e la problematica del finanziamento illecito ai partiti ………..…. 75

5. Conclusioni: profili di criticità relativi all’applicazione pratica delle nuove disposizioni sui costi da reato ……… 78

BIBLIOGRAFIA DOTTRINA………. 81

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2

Capitolo Primo

REDDITI PROVENIENTI DA ATTIVITÀ ILLECITE

1. Le disposizioni legislative e le posizioni di dottrina e giurisprudenza

Un’attività illecita può essere definita come un’attività o atto contrario a precetti penali, civili o amministrativi o, comunque a norme imperative, all’ordine pubblico, alla pubblica moralità o al buon costume 1. Poiché, i flussi finanziari generati da attività illecite sono diventati estremamente rilevanti 2, nell’ordinamento tributario italiano è sorto un problema circa la loro tassazione, nonostante in passato apparisse risolto dall’abrogato D.P.R. 29/09/1973 n. 597 3

con la norma di cui all’articolo 80 denominata “Altri redditi”.

Tale disposizione prevedeva che “Alla formazione del reddito complessivo, per il periodo d’imposta e nella misura in cui è stato percepito, concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente considerati nelle disposizioni del presente decreto”.

Quanto enunciato dall’articolo 80 aveva fatto emergere le diverse prospettive di analisi del giudice tributario, direttamente interessato alla questione, rispetto a quello penale il quale poneva la sua attenzione sulla incriminabilità dell’obbligo di dichiarazione, di comunicazione o di tenuta della contabilità 4. Tuttavia risultava

1

Art. 1, D.D.L. 22 giugno 1993, Atto n. 1325 Senato della Repubblica. 2

Tali attività non sono più riconducibili solo alla delinquenza da strada, alla prostituzione, alle case da gioco clandestine, bensì anche alla corruzione finalizzata al finanziamento illegale di partiti politici, alla diffusione del commercio della droga e cosi via. Cfr. Relazione, D.D.L. 22 giugno 1993, Atto n. 1325 Senato della Repubblica.

3

Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 16 ottobre 1973 n. 268 4

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3

essere molto astratto e la dottrina5 intervenne ritenendo che tale articolo avrebbe dovuto comprendere un’elencazione maggiormente approfondita delle fattispecie di redditi provenienti da attività illecite.

Nella revisione del TUIR operata nel 1986 6, il contenuto della norma di cui all’articolo 80 non è stato nuovamente riprodotto, soprattutto per evitare l’insorgenza di problemi di incostituzionalità in riferimento alla riserva di legge imposta dall’articolo 23 7 della Costituzione. Tale indeterminatezza avrebbe, infatti, comportato l’applicazione della norma in modo arbitrario violando il dettato costituzionale garantista di cui all’articolo 23 8.

La vivace attenzione sulla questione manifestata da dottrina e giurisprudenza, trova spiegazione in numerose implicazioni. Un primo orientamento giurisprudenziale9 risultava essere favorevole alla tassabilità dei proventi illeciti ricollegandosi alla definizione economica di reddito, ma nel tempo10 si è affermata la tesi contraria che ha posto le proprie basi sul fatto che un’ attività illecita non possa corrispondere ad un presupposto di imposta.

5

A. DIDDI, In tema di tassabilità dei proventi da reato, in Giust. Pen., 1994, p. 9101 e ss. ; G. FALCONE, Riflessioni sulla tassabilità dei proventi da attività illecite, in Il Fisco, 1994, p. 9101 e ss. ; N. POLLARI, Ancora sulla vexata quaestio della tassazione dei proventi illeciti ed in

particolare delle tangenti, in Il Fisco, 1994, p. 5831 e ss. 6

Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 31 dicembre 1986 n. 302 7

Art. 23 Costituzione : “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non

in base alla legge” 8

L’articolo 23 riconosce alla legge la qualifica di fonte primaria delle norme tributarie. Parlando di “prestazioni personali o patrimoniali imposte in base alla legge”, fa riferimento ad una serie di doveri ai quali non sarebbe possibile adempiere senza un obbligo espressamente previsto dalla legge. In particolare saranno prestazioni patrimoniali imposte quelle che comportano l’obbligo di comparizione in giudizio in qualità di testimone; saranno invece prestazioni patrimoniali imposte quelle che impongono il pagamento di una somma di denaro.

9

Corte di Cassazione, Sez. I, Sentenza n. 2402 del 30 luglio 1952 in banca dati Fisconline e riscontrabile in LIGUORI, Circa la tassabilità dei redditi derivanti da attività illecite, in Giur. Cass. Civ., 1953, p. 325.

10

Il primo momento in cui si è manifestata avversione alla tassazione dei proventi illeciti è riscontrabile nella Sentenza della Cassazione il 25 marzo 1871, richiamata da O. QUARTA,

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4

Infatti, se da un’attività illecita emerge un obbligo di pagamento, questo corrisponderà ad una sanzione avente carattere punitivo ed, in caso contrario verrebbero legittimate tali attività con la conseguenza che il responsabile del compimento del fatto illecito debba denunciare al Fisco i relativi proventi autodenunciandosi 11. Questo risulta essere contrario al principio “nemo tenetur se detegere” in base al quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità.

Ripercorrendo l’excursus giurisprudenziale in merito, in un primo momento è possibile riscontrare sentenze 12 più indulgenti nei confronti del reo non dichiarante, nelle quali si escluderebbe, a carico del contribuente, la ricorrenza della fattispecie della dichiarazione omessa o infedele nella parte in cui non si dia notizia dei proventi da attività illecita.

In base a tali principi sarebbe assurdo pretendere da un usuraio la tenuta delle scritture contabili e l’esecuzione delle relative annotazioni delle entrate, concludendo che nei confronti del contribuente sarà possibile procedere a prelievo fiscale attraverso la tassazione dei proventi illeciti ma non potrà essere sanzionata la mancata indicazione degli stessi nella dichiarazione dei redditi 13

Il problema della tassabilità dei proventi illeciti ha alla base il dibattuto rapporto fra illecito e tributo. Infatti, in riferimento alle implicazioni etiche per le quali si ritiene che lo Stato sia colui che contribuisce a produrre reddito attraverso i suoi servizi ed offre protezione giuridica alle attività svolte dai cittadini, non è

11

I. CHERCHI , La tassazione dei proventi illeciti (1990-2005), in Dir. e Pr. Trib., 2005, Vol. 76 p. 421– 423.

12

Cassazione, 19 aprile 1995, n. 4381 in Riv. Giur. Trib., 1995, p. 871 13

Tribunale di Teramo, 21 novembre 1997, in banca dati Fisconline. In dottrina tale orientamento è riscontrabile in N. POLLARI – G. GRAZIANO, La tassazione dei proventi da attività illecite tra

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5

possibile pensare che esso presti la sua protezione nei confronti di coloro che agiscano illecitamente.

Tuttavia la tesi a sostegno della tassabilità14 faceva leva sul fatto che il presupposto dell’imposizione fosse solo il “possesso di un reddito” senza analizzare la provenienza dello stesso. In particolare l’illiceità dell’attività produttiva, sotto il profilo giuridico, non esclude la tassabilità del reddito che ne deriva poiché si tratta di un dato economico e non giuridico ed, in quanto tale costituisce il presupposto del sorgere di un’obbligazione tributaria.

Inoltre i sostenitori della tassabilità evidenziavano che qualora la ricchezza derivante da attività illecita non fosse soggetta a tassazione si sarebbe creata una sperequazione in violazione dell’articolo 3 della Costituzione, a svantaggio degli individui con condotta onesta.15

La Cassazione 16 ha rimarcato tali concetti prevedendo che, l’illiceità civile o penale non fanno venire meno la manifestazione economica e l’esistenza del reddito, e non può essere prevista l’esenzione dall’imposta di tale reddito con evidente vantaggio di chi svolge attività illecite. L’obbligo di pagamento delle imposte può cessare solo nei casi di applicazione di provvedimenti tali per cui la manifestazione economica non va ad aumentare il patrimonio di colui che esercita tali attività.

Ulteriore pronuncia del 1992, richiede al legislatore un’ulteriore “rimeditazione” circa la intassabilità dei proventi illeciti, in quanto la capacità

14

Già negli anni ’50, F. FORTE, Sul trattamento fiscale delle attività illecite, in Riv. Dir. Fin., 1952, Vol. 2, p. 119, sosteneva che chi realizza dei proventi di natura illecita produce una ricchezza che in quanto tale costituisce il presupposto del sorgere di un’obbligazione tributaria.

15

Articolo 3 Costituzione “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla

legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione , di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

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6

economica di sopportare le spese pubbliche va intesa come idoneità a sostenere una riduzione della ricchezza comunque ottenuta, e non come protezione sociale per l’attività svolta 17

.

A sostegno di tale tesi vi sono anche la VI Direttiva Comunitaria18 che ha previsto con l’articolo 9 19 , l’imponibilità delle attività economiche indipendentemente dallo scopo e dai risultati e la posizione assunta dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee 20 , la quale stabilisce che l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto non debba tener conto della distinzione fra attività lecite ed illecite.

Tuttavia nell’ordinamento italiano, il legislatore è intervenuto a favore della tassazione con la legge 24 dicembre 1993, n. 537, tentando di superare le incertezze manifestate dalle posizioni contrastanti di dottrina e giurisprudenza.

Nell’ordinamento italiano la Sentenza 7 marzo 1994 (12 novembre 1993), n. 2798 delle Sezioni Unite rappresenta lo strumento che dimostra quanto la pressione dei destinatari delle norme non lasci indifferenti gli operatori del diritto che dovranno assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge” e “ l’unità del diritto oggettivo nazionale” 21

.

Pertanto, nel caso in esame mancava il presupposto richiesto dall’articolo 610 c.p.p. per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, le quali sarebbero necessarie

17

Cassazione penale, Sez. III, 24 gennaio 1992, n. 9405, in banca dati Fisconline. 18

VI Direttiva Comunitaria del Consiglio n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari; in banca dati Fisconline.

19

Titolo III, articolo 9, VI Direttiva Comunitaria del Consiglio n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 “Si considera soggetto passivo , chiunque esercita in modo indipendente ed in qualsiasi luogo,

un’attività economica, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività”. 20

Corte di giustizia della Comunità Europea, causa C – 283/95 del 11 giugno 1998, in banca dati

Fisconline. 21

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7

per “dirimere contrasti tra le decisioni delle singole sezioni”22

ed pur attribuendo alla questione la dovuta importanza, non risultava indispensabile sollecitare una pronuncia a sezioni unite.

Solo nella seconda metà del 1993 è prevalsa l’opinione volta a sanzionare determinati comportamenti illeciti emersi a seguito di indagini sui reati contro la Pubblica Amministrazione e per fatti di criminalità organizzata, nella quale ha trovato spazio anche lo strumento fiscale per poter ritrasferire allo Stato ricchezze indebitamente accumulate.

Di fronte a questo fatto gravoso l’opinione pubblica e i mass media hanno sollecitato la parte politica ed hanno ritrovato credito le argomentazioni rinvenibili da parte della dottrina tale per cui la questione è stata devoluta alle Sezioni Unite in ragione non di un conflitto già manifestatosi ma in via preventiva della “possibilità che si pervenga a conclusioni di segno diverso rispetto alla giurisprudenza della Sezione”23.

Le Sezioni Unite hanno ripercorso tutti i percorsi logico – giuridici che hanno portato alle contrapposte conclusioni in merito alla tassabilità dei proventi da illecito.

Le ragioni a favore si basano sul fatto che la provenienza del reddito non è elemento essenziale per la sua qualificazione; il presupposto del tributo è costituito dal possesso del reddito e la liceità o illiceità dell’attività da cui esso deriva non inficia la qualificazione normativa del fatto avente meramente rilevanza economica.

22

Prima dei primi anni ’90 non vi erano in giurisprudenza, e soprattutto nelle sezioni penali della Suprema Corte, risposte contrastanti, poiché i giudici di legittimità hanno sempre indirizzato la questione verso la non assoggettabilità a prelievo fiscale dei proventi di reato.

23

Motivazione contenuta nell’ordinanza 2 luglio 1993 della sezione III a fronte di posizioni divergenti manifestatasi in sede di disamina preliminare, fra cui nella sentenza 24 giugno 1992, n. 9405 nella quale le previsioni precedenti circa la non tassabilità dei proventi illeciti sono state accompagnate dal desiderio di una rimeditazione di tale principio.

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8

Le ragioni contro la tassabilità si basano, invece, sul fatto che i proventi conseguiti da attività illecite, non essendo frutto di operazione produttiva e dovendo ritenersi come frutto di arricchimento senza causa, non possono rientrare nella nozione di reddito 24. In base a questa ultima motivazione ne consegue che, qualora determinati proventi abbiano la loro fonte nella consumazione di un reato, “non sussistono redditi da tassare, ma frutti di reato da confiscare”.

Le Sezioni Unite sulla questione sono estremamente efficaci affermando che appare poco sensato tassare il provento illecito che per sua natura, deve essere confiscato o deve essere restituito all’avente diritto, poiché in questo modo oltre ad una pretesa restitutoria si aggiungerebbe una pretesa ulteriore da parte dell’Erario con il rischio che, in assenza di disponibilità per poter soddisfare entrambe le pretese, la vittima del reato sarebbe risarcito solo parzialmente 25 .

Inoltre ulteriori argomenti contro la tassazione dei proventi da reato sono riconducibili ad alcuni principi costituzionali; in particolare l’articolo 41 della Costituzione il quale prevede che l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Per la Suprema Corte, l’espressione “non può svolgersi” fa riferimento ad una reazione preventiva dell’ordinamento giuridico a fronte dell’iniziativa economica privata che rechi danno ai beni della sicurezza, della libertà e della dignità umana; in altre parole tale locuzione si riferisce all’impossibilità, per quell’iniziativa di nascere e di esistere e quindi l’ordinamento giuridico non può prevederne l’assoggettamento a prelievo fiscale che rappresenta,

24

P. CORSO, La tassazione dei proventi illeciti tra Suprema Corte e Legislatore, in Corriere Tributario, 1994, n. 13, p. 830.

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9

invece il riconoscimento di una determinata iniziativa economica, di un’attività o di una fonte di ricchezza.

Le Sezioni Unite, per ampliare ulteriormente la motivazione fanno riferimento all’articolo 12quinquies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306 26 deducendo che la reazione dell’ordinamento giuridico nei confronti di arricchimenti ricevuti illecitamente non si realizza nel prelievo fiscale ma nella confisca27.

Sul punto la Suprema Corte trae le sue conclusioni affermando che il prezzo, il profitto, il prodotto e l’impiego degli stessi debbono essere dunque confiscati. Poiché in alcuni casi la confisca è facoltativa e poiché a seguito di patteggiamento, il legislatore vieta la confisca con eccezione di quella obbligatoria 28, la Suprema Corte ha affermato che solo dopo la conclusione del processo penale al quale non segua la confisca, l’obbligazione tributaria sorge per tutto ciò che avviene in futuro e non per il passato, tale per cui i proventi da reato non sono tassabili. Il giudice, nell’avvalersi del suo potere discrezionale di non disporre la confisca, o il legislatore, nel vietare la confisca quando quest’ultima è facoltativa, legittimano il possesso delle cose non confiscate, le quali, quindi, perdono il loro carattere di illiceità e, vengono scisse dalla fonte illecita dalla quale sono scaturite. In quel momento diventano ricchezza lecita aggredibile dal fisco29.

Tale principio incide su tutti i reati suscettibili di patteggiamento, poiché la condanna ottenuta legittima il possesso delle somme di provenienza illecita, fermo restando che il danneggiato avrà diritto alla restituzione o al risarcimento.

26

Convertito in legge il 7 agosto 1992, n. 356 27

Sentenza in esame al punto 9, VII) 28

Articolo 445 comma 1 c.p.p. 29

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10

Le Sezioni Unite hanno concluso la loro motivazione, sperando in un intervento legislativo che, attraverso la confisca o altri strumenti idonei garantisca che il vantaggio economico legato al reato non rimanga in capo a colui che lo ha commesso. L’auspicio delle Sezioni Unite trova riscontro nell’articolo 14, legge 24 dicembre 1993, n. 537, il quale al comma 4 prevede che “Nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria”.

In conclusione i proventi da illecito non costituiscono reddito, qualora siano già oggetto di sequestro o confisca penale.

2. L’articolo 14 legge 24 dicembre 1993, n. 537

Cosi, come auspicato dalle Sezioni Unite, il legislatore è intervenuto, pensando di poter risolvere il problema, con il quarto comma dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537.30 Tuttavia, la formulazione dell’articolo 14 ha, sin dalla sua introduzione comportato critiche e perplessità in merito all’ambito di efficacia temporale della disposizione ed i relativi limiti di applicabilità.31

Una delle questioni di maggior interesse ai fini dell’applicazione di tale disposizione normativa, era incentrata sull’esigenza di far rientrare i proventi illeciti in una delle categorie di reddito previste dall’articolo 6 del T.U.I.R.

30

P. CORSO, La tassazione dei proventi illeciti tra Suprema Corte e legislatore, in Corr. Trib., 1994, n. 13, p. 831.

31

S. GUADALUPI, Questioni controverse sulla tassazione dei proventi illeciti, in Corr. Trib., 1997, n. 34, p. 2482

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11

Inoltre, la categoria di redditi diversi, al contrario di quanto enunciato dall’originario articolo 80 D.P.R. n. 597 del 1973 32

, comprendeva solo i redditi espressamente previsti con elenco e descrizione aventi carattere tassativo, in base a quanto disposto dalla nuova formulazione dell’articolo 81 TUIR all’epoca vigente. Ne consegue che era possibile sottoporre a tassazione, solo quei redditi provenienti da attività illecite riconducili ad una delle categorie espressamente previste.

L’applicazione della nuova disposizione contenuta nell’articolo 14 era subordinata al verificarsi congiunto di tre condizioni: a) il conseguimento di un effettivo arricchimento patrimoniale da parte del soggetto attivo dell’illecito; b) la mancata applicazione delle misure del sequestro e della confisca coinvolgenti i beni oggetto dell’arricchimento; c) la riconducibilità dei proventi illeciti ad una delle categorie di reddito previste dall’articolo 6 T.U.I.R.

Il legislatore aveva, quindi, limitato la portata della norma, lasciando all’interprete l’oneroso compito di inquadrare le singole attività illecite di volta in volta, per valutare soggettivamente ed oggettivamente la riconducibilità dei proventi ad una delle categorie di reddito previste dall’articolo 6 T.U.I.R. 33. Essendo quest’ultima una condizione indispensabile perché la norma venisse applicata, risultava essere molto spesso inapplicata, in quanto non vi era la possibilità di dare una risposta univoca.

La questione è stata risolta con l’interpretazione fornita dal legislatore che, emanando l’articolo 36, comma 34-bis, D.L. n. 223 del 2006 convertito in L. n. 248

32

La formulazione originaria dell’articolo 80 prevedeva che: “ alla formazione del reddito

complessivo, per il periodo di imposta e nella misura in cui è stato percepito, (…) ogni altro reddito diverso da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente decreto”.

33

Sentenza 2 maggio 1996 (20 marzo 1996), n. 408 – Cassazione, Sez. III pen., in banca dati

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del 2006, ha introdotto il principio della tassabilità di tutti i redditi provenienti da attività illecita poiché rientranti in una delle categorie dei redditi diversi da assoggettare ad imposta34.

2.1. Carattere della disposizione

Altro dubbio interpretativo di non poco rilievo è stato capire se l’articolo 14 dovesse intendersi come norma di interpretazione autentica della normativa previgente o se, invece, ad essa dovesse riconoscersi esclusivamente un valore di regola innovativa. 35

Qualora si attribuisse alla norma valore interpretativo, si dovrebbe riconoscere che tutti i proventi illeciti non sottoposti a sequestro o confisca siano assoggettabili a tassazione. Da tale ricostruzione, tuttavia, deriverebbe l’obbligo, penalmente sanzionato dall’articolo 1 del D.L. n. 429 del 1982, per colui che ha percepito proventi illeciti di denunciarli come reddito imponibile.

Pertanto, attribuire all’articolo 14 valore di interpretazione autentica provocherebbe un duplice effetto; da un lato, si ipotizzerebbe l’esistenza di un’obbligazione tributaria avente efficacia retroattiva con la conseguenza che i profitti di reato, precedenti all’entrata in vigore della norma, non sottoposti a sequestro o confisca, verrebbero tassati; la seconda conseguenza comporterebbe la qualificazione di reato anche l’omessa indicazione della percezione dei proventi da illecito in tutte le dichiarazione dei redditi anche precedenti al 1993.

34

B. LO GIUDICE, Relazione “Le imposte dirette” al seminario di diritto tributario “Oltre e dopo

l’abuso di diritto. Le tendenze della giurisprudenza tributaria interna e comunitaria”, tenuto a V

Congresso giuridico forense per aggiornamento professionale, Roma, 13 marzo 2010. 35

S. GUADALUPI, Questioni controverse sulla tassazione dei proventi illeciti, in Corriere

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13

Qualora fosse attribuito alla norma un valore innovativo, invece, sarebbe opportuno riconoscere, a partire dall’entrata in vigore dell’articolo 14 un mutamento del regime fiscale relativo alle somme derivanti da reato non sottoposte a sequestro o confisca.

La giurisprudenza36, sul punto, ha attribuito alla norma valore interpretativo, seppur ampiamente criticato in quanto l’interpretazione autentica è attività di carattere eccezionale che il legislatore deve esplicitamente mostrare di voler utilizzare. D'altronde anche l’efficacia retroattiva di una norma costituisce un fatto di natura eccezionale e derogatoria 37, tale per cui il carattere di retroattività deve essere specificatamente e chiaramente indicato nella norma stessa.

Inoltre, qualora fosse attribuito all’articolo 14 valore interpretativo, sorgerebbero dei problemi sulla base dell’articolo 1 del D.L. n. 429/1982, convertito dalla L. n. 516/1982, in ordine alle dichiarazioni dei redditi precedenti al 1994, in cui non figurano i proventi da illecito penale. In questo specifico caso, infatti, verrebbe violato il principio costituzionale sancito dall’articolo 25, secondo comma della Costituzione38 in relazione alla irretroattività della legge penale attraverso una disposizione, alla quale si attribuisce la funzione di definire la portata, oltre che della legislazione tributaria, anche di quella penale.

L’articolo 14 al quarto comma, concorre a definire il tipo di illecito penale, previsto dall’articolo 1 del D.L. n. 429/1982. L’articolo 14, infatti, individuando le fonti di ricchezza che devono essere obbligatoriamente inserite nella dichiarazione

36

Cass. Civ., I sez., 19 aprile 1995, n. 4381,in banca dati Fisconline; in dottrina è commentata da G. FERRAÙ, È retroattiva l’imponibilità dei proventi derivanti da attività illecita, in Corr. Trib., 1995, n. 25, p. 1765 .

37

Articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale denominato Efficacia della legge nel tempo “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo (Cost. 25) … “

38

Articolo 25 Costituzione, comma 2: “ Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che

(14)

14

annuale dei redditi, contribuisce a determinare l’elemento oggettivo del reato, essenziale per la configurazione della fattispecie. Di conseguenza, un mutamento di tale norma tributaria, che intenda ampliare gli obblighi del contribuente, penalmente sanzionati, comporta un cambiamento strutturale della fattispecie penale.

Tuttavia, in caso di accoglimento della qualificazione dell’articolo 14 come norma di interpretazione autentica, occorre circoscrivere la sua retroattività solo all’ambito tributario ed, escluderla da quello penale per evitare dubbi di costituzionalità. L’articolo 14, potrà rendere tassabili i proventi di reato precedenti alla sua entrata in vigore, ma non potrà contribuire a configurare retroattivamente il reato di cui all’art. 1 del D.L. n. 429/1982 per omesse o infedeli dichiarazioni dei redditi.

La tesi della natura interpretativa della norma è sostenuta, tra l’altro, nella relazione di accompagnamento al provvedimento legislativo 39 la quale afferma che “per quanto attiene all’efficacia temporale della norma è indubbio che essa debba avere portata retroattiva, in quanto il principio della tassabilità dei proventi derivanti da attività illecita è già insito nell’ordinamento tributario”.

Tale indirizzo non è mutato neppur successivamente, con l’entrata in vigore della Legge 27 luglio 2000, n. 212, il cui articolo 3, comma 1 cita che le disposizioni tributarie non possono avere effetto retroattivo, fatti salvi i casi eccezionali in cui una legge ordinaria le qualifichi espressamente come norme interpretative 40.

La Suprema Corte 41 si è pronunciata sul punto stabilendo che “l’articolo 1, comma secondo, della legge 27 luglio 2000, n.212, che in materia tributaria limita a

39

Relazione ministeriale di accompagnamento alla legge 24 dicembre 1993, n. 537, in banca dati

Fisconline. 40

Rinvio ad articolo 1 comma 2, L. 27 luglio 2000, n.212 41

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casi eccezionali l’emanazione di norme d’interpretazione autentica, richiedendo inoltre che la natura interpretativa delle disposizioni risulti da un’espressa qualificazione legislativa, è norma rivolta al legislatore e valevole per il futuro, onde, non avendo carattere retroattivo, non può incidere sulle norme di interpretazione autentica emanate dal legislatore in precedenza”.

Negli anni successivi l’intervento legislativo a riguardo è riscontrabile nell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 37 del 5 gennaio 2010 42, nella quale viene attribuito all’articolo 36, comma 34-bis del D.L. n. 223 del 2006 43 un effetto retroattivo ed è dunque applicabile anche ai rapporti sorti antecedentemente alla sua entrata in vigore. Ciò perche si tratta di una “norma introduttiva di un principio di carattere generale” che ha efficacia retroattiva in quanto “risulta diretta precipuamente a fornire una esegesi della norma interpretata, la quale esclude ogni altra lettura applicativa” 44.

Resta comunque il fatto dell’applicabilità retroattiva delle norme, affermata con la Sentenza n. 18111 del 7 agosto 2009 45 che, ha ribadito l’irrilevanza delle vicende successive alla percezione del provento illecito. Su tale aspetto la Corte di Cassazione ha definito che ciò che rileva è l’entità della somma trovata in sede di accertamento, essendo del tutto ininfluente tutto ciò che accade dopo.

42

M. LEO, “Le imposte sui redditi nel Testo Unico. Edizione aggiornata al 15 maggio 2010”, Giuffrè Editore, 2010, p. 41

43

Convertito in Legge n. 248 del 2006. Con tale norma il legislatore ha definitivamente introdotto il principio di tassabilità di tutti i redditi provenienti da attività illecita perché costituenti, comunque, una delle categorie dei redditi diversi da assoggettare ad imposta.

44

Corte Suprema di Cass., 6 giugno 2007, n. 13213 in banca dati Fisconline e riscontrabile in M. LEO, “Le imposte sui redditi nel Testo Unico. Edizione aggiornata al 15 maggio 2010”, Giuffrè Editore, 2010, p. 39

45

B. LO GIUDICE, Relazione “Le imposte dirette” al seminario di diritto tributario “Oltre e dopo

l’abuso di diritto. Le tendenze della giurisprudenza tributaria interna e comunitaria”, tenuto a V

(16)

16

In altre parole, il periodo di imposta in cui viene percepito il provento illecito non può essere influenzato da fatti e accadimenti intervenuti in un diverso e successivo periodo di imposta. Questo perché, come affermato con la Sentenza n. 7337 del 13 maggio 2003 della Sezione tributaria della Corte di Cassazione 46, occorre che il provvedimento ablatorio sia intervenuto entro lo stesso periodo di imposta cui il provento si riferisce, tanto che è irrilevante il venir meno del presupposto impositivo in un periodo successivo a quello di riferimento del prelievo tributario 47. Tale conclusione non pone dubbi di legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, in quanto, altrimenti si creerebbe una disparità di trattamento con i possessori di redditi leciti, i quali secondo il sistema tributario vigente, sono esclusi dall’imposizione solo se perduti nello stesso periodo di imposta considerato.

Ciò viene confermato anche dalla successiva Sentenza n. 19078 del 29 settembre 2005 48 “l’obbligazione tributaria, riproducendosi come autonoma in ogni periodo d’imposta 49, presenta una ineliminabile connotazione d’ordine

temporale, poiché, oltrepassato quel periodo, la fattispecie rinasce come diversa”; di conseguenza “come il periodo dell’imposta consiste nel possesso di redditi 50

nel periodo considerato, cosi eventuali vicende di quel possesso, oltre lo stesso arco temporale, saranno per risultare irrilevanti sulla fattispecie tributaria” in quanto “secondo il sistema dell’imposizione diretta la perdita del reddito, verificatasi

46

G. RISPOLI – C. BUSATO, “Reati tributari. Percorsi giurisprudenziali”, Giuffrè Editore, 2007, p. 12-13

47

E. GRASSI, “Alcuni spunti di riflessione sulla tassazione dei proventi illeciti, alla luce della

disposizione di cui al comma 34-bis dell’art. 36 del D.L. n. 223/2006” in Il Fisco, 2009, n. 1, p. 2416. 48

B. LO GIUDICE, Relazione “Le imposte dirette” al seminario di diritto tributario “Oltre e dopo

l’abuso di diritto. Le tendenze della giurisprudenza tributaria interna e comunitaria”, tenuto a V

Congresso giuridico forense per aggiornamento professionale, Roma, 13 marzo 2010. 49

Articolo 7 T.U.I.R. 50

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17

successivamente al periodo considerato, non viene ad incidere sulla obbligazione tributaria ormai perfetta”.

2.2. Profili di costituzionalità

Dopo oltre due anni dall’entrata in vigore della legge n. 537/1993, la Suprema Corte di Cassazione ritorna sul tema con la Sentenza 20 marzo 1996 n. 408 della Sezione III penale51.

Le Sezioni Unite avevano osservato che, se per le ricchezze derivanti da reato è stato previsto un trattamento (risarcimento del danno, restituzione e confisca) totalmente opposto nella logica a quello previsto per i proventi delle altre attività, assoggettate a prelievo fiscale, esse dovranno essere considerate come attività lecite, valutate dall’ordinamento giuridico a diversi fini, fra cui anche il prelievo fiscale.52

. A sostegno di tale osservazione, inoltre le Sezioni Unite avevano richiamato alcune norme della Costituzione per concludere che il principio dettato dall’articolo 53, primo comma, della Costituzione, secondo il quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, non potrà essere indifferente rispetto alla fonte della ricchezza se viene collegato ad altri principi, in particolare a quelli enunciati dagli articoli 1, 41, 2 del testo costituzionale. 53

La Sentenza della Sezione III, conviene sull’importanza della Costituzione come testo di riferimento, ma discorda la lettura interpretativa.

51

Cassazione, Sez. III pen., Sentenza 2 maggio 1996 (20 marzo 1996), n. 408, in banca dati

Fisconline e riscontrabile nel commento di P. CORSO, “Tassazione dei proventi illeciti: ancora una pronuncia della Cassazione”, in Corr. Trib., 1996, n. 30, p. 2381 – 2396.

52

Cassazione, SS.UU. pen. - Sentenza 7 marzo 1994 (12 novembre 1993), n. 2798, punto 8, V), in

Corr. Trib. , 1994, n. 13, p. 823 53

Cassazione, SS.UU. pen. - Sentenza 7 marzo 1994 (12 novembre 1993), n. 2798, punto 8, VI), in

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18

Con riferimento all’articolo 1 della Costituzione54

il fatto di aver tutelato il lavoro lecito non significa aver escluso dalla contribuzione quei redditi che non provengano dal lavoro, ma dalla commissione di atti illeciti.

Relativamente agli articoli 2 e 41 della Costituzione la sentenza in esame, sostiene che, poiché l’ordinamento giuridico ha la possibilità di chiedere l’adempimento del dovere di solidarietà a chi ha dimostrato, con la propria attività economica di essere in contrasto con l’utilità sociale o tale da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, la nostra Carta Costituzionale pare rafforzare, e non indebolire il significato dell’art. 2 Cost. quando prevede la partecipazione al sistema tributario di qualsiasi provento, comunque conseguito. La Sezione III ritiene che, i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale sono anche alla base dell’obbligo di partecipare alle spese pubbliche e non possono essere oggetto di esclusione con riferimento al fatto che il soggetto, ponga in essere, in modo occasionale oppure organizzato attività contrarie alla legge.

Ne deriva che la tassazione dei proventi derivanti da attività illecite non è incostituzionale, ma trova riscontro nei principi della Carta Costituzionale.

Tale conclusione della Sezione III della Cassazione, tuttavia, non risolve il dubbio circa l’eventuale incostituzionalità della non tassazione dei proventi da illecito. La sentenza in esame afferma solamente che “i principi costituzionali rappresentano un essenziale momento di riferimento nell’analisi esegetica ed in particolare nella cosiddetta interpretazione adeguatrice, in base alla quale tra due ermeneusi in astratto possibili occorre scegliere quella che non fa sorgere dubbi di costituzionalità”.

54

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19

Tale inciso fa ipotizzare che la scelta per la non tassazione dei proventi da illecito possa, quantomeno, far sorgere “dubbi di costituzionalità”; tuttavia sostenere tale orientamento metterebbe in discussione l’esistenza di quei redditi leciti, per esempio esenti da tassazione, rispetto ai quali si potrebbe contestare un eccesso di tutela di una violazione del principio di solidarietà. Infatti, il reddito esente rimane al possessore, mentre quello derivante da illecito, è da restituire alla vittima del reato o da assoggettare a confisca55.

Però, poiché la tassazione dei proventi da illecito non si risolve in un favor per l’autore dell’illecito, in quanto quest’ultimo dovrà subire la sanzione prevista per la commissione di tale atto, dovrà provvedere alle restituzioni e risarcire il danno, si esclude che il reddito da illecito risulti assoggettato ad un trattamento migliore di quello riservato al percettore di un reddito lecito di pari entità.

La sentenza, infatti puntualizza che “dimostrata la piena compatibilità costituzionale della tassazione dei proventi illeciti, non sembra che la puntuale elencazione della normativa e delle ipotesi in cui alla commissione di un reato consegua una confisca obbligatoria o facoltativa possa dimostrare la scelta legislativa per la non tassabilità dei predetti redditi, che sarebbero soltanto confiscabili”.

Inoltre, anche parte della dottrina 56 ha ritenuto che sarebbe assolutamente incostituzionale57 una norma che considerasse i proventi illeciti, per qualsiasi motivo non confiscati, immuni anche alla pretesa tributaria.

55

P. CORSO, Tassazione dei proventi illeciti: ancora una pronuncia della Cassazione, in Corr.

Trib., 1996, n. 30, p. 2394 56

P. CELENTANO, La tassazione dei proventi illeciti, in Riv. Pen. Econ., 1994 57

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20

3. Modifiche intervenute con il comma 34- bis, articolo 36 del D.L. n. 223/2006

Prima del 2006, come già affermato in precedenza, sulla base dell’articolo 14, comma 4, della L. 537 del 1993, le singole fattispecie di provento illecito dovevano, per poter essere soggette a tassazione, essere inquadrate nelle categorie di reddito definite dal legislatore nell’articolo 6, comma 1 del T.U.I.R. Per eliminare gli ostacoli all’inquadramento giuridico di tali proventi, il legislatore ha introdotto il comma 34-bis nell’articolo 36 del D.L. 4 luglio 2006 58 , il quale indica espressamente la sua portata derogatoria rispetto all’articolo 3 della L. 27 luglio 2000, n. 21259. Infatti la disposizione ha previsto che, in deroga al suddetto articolo 3, la norma di cui al comma 4 dell’articolo 14 della L. 24 dicembre 1993, n. 537, deve essere interpretata nel senso che i proventi derivanti da attività illecite, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6 T.U.I.R. sono comunque considerati come redditi diversi.

La disposizione conferma la pregressa normativa circa l’imponibilità dei proventi illeciti, però con la consapevolezza dell’impossibilità di ricondurre alle categorie ordinarie di reddito, i proventi che derivano da reati, come furti, rapine, estorsioni e cosi via, i quali saranno classificati come redditi diversi. Ciò rende agevole la comprensione di quanto la norma “emendata” fosse stata inutiler data in quanto se i proventi fossero classificabili in una delle categorie reddituali di cui all’articolo 6 T.U.I.R. sarebbero stati soggetti a tassazione secondo le regole ordinarie60.

58

Convertito in L. 248 del 4 agosto 2006. C.d. Decreto Bersani - Visco 59

E. GRASSI, Alcuni spunti di riflessione sulla tassazione dei proventi illeciti, alla luce della

disposizione di cui al comma 34-bis dell’art. 36 del D.L. n. 223/2006 in Il Fisco, 2009, n. 1, p. 2418. 60

(21)

21 L’Amministrazione Finanziaria61

è intervenuta con la circolare 28/E del 4 agosto 2006 precisando che qualora i proventi illeciti non siano inquadrabili nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6 T.U.I.R., rientrano nella categoria dei redditi diversi di cui agli articoli 67 e seguenti del T.U.I.R.

Ne consegue che possono derivare redditi imponibili da attività illecite non ricomprese nell’articolo 2195 62

del Codice Civile ed emerge una novità assoluta in materia tale per cui qualsiasi entrata, derivante da attività illecita anche non avente carattere di corrispettivo, deve poter essere tassabile.

Facendo un passo indietro, l’articolo 2, comma 8 della L. 27 dicembre 2002, n. 289 aveva inserito nell’articolo 14 della L. n. 537/1993 il comma 4-bis, il quale recita che nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1 del T.U.I.R., “non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti”.

In altre parole, ferma restando l’imponibilità dei proventi derivanti da attività illecite, i relativi costi sono assoggettati ad un regime differenziato rispetto alla tipologia di illecito commesso: se sono riconducibili ad illeciti civili o amministrativi, allora saranno deducibili secondo le regole ordinarie; se si tratta di illeciti penalmente rilevanti allora saranno indeducibili 63.

61

Ag. Delle Entrate, Circolare 28/E del 4 agosto 2006, “Decreto – legge n. 223 del 4 luglio 2006 – Primi chiarimenti”, p.to 43 “Norma di interpretazione autentica sulla qualificazione dei proventi

illeciti (Art. 36, comma 34 bis)”. 62

Art. 2195 C.C. “ Imprenditori soggetti a registrazione” 63

Agenzia delle Entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso – Circolare 26 settembre 2005, n. 42/E, in Corr. Trib. , 2005, n. 40, p. 3188

(22)

22

Autorevole dottrina 64 ha ritenuto che la volontà del legislatore sia esplicabile in un’ “amplificazione della sanzione” con una tassazione del provento al lordo dei relativi costi. Tuttavia prevedendo l’indeducibilità dei costi riconducibili a reato vengono derogate le regole di determinazione del reddito che prevedono la decurtazione dall’entrata dei costi necessari alla produzione dell’entrata stessa. Inoltre, sarebbe in contraddizione con la natura solidaristica del tributo, il quale incide ogni volta che si manifesta capacità contributiva e non dove si palesa un illecito 65.

Ad ogni modo, nonostante non sia dotata dei caratteri di una norma sanzionatoria, gli effetti dalla quale scaturiscono sono assimilabili ad una sanzione impropria la cui qualificazione maggiormente adatta risulta essere quella che la definisce una norma derogatoria ad effetti punitivi: derogatoria rispetto ai principi generali che regolano la determinazione del reddito e sanzionatoria della riduzione di valore che si accompagna ad un costo da reato 66

L’espressione “fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti” è ripresa dalle schede di lettura n. 266/5 del Servizio Studi della Camera dei deputati, relative all’atto A.C. 3200 67

che evidenziano le difficoltà di configurare, in presenza di reati, l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti.

Per dare un senso alla clausola l’Agenzia delle entrate 68

è intervenuta interpretandola come autorizzazione a dedurre i costi della difesa nel giudizio penale;

64

R. LUPI, Redditi illeciti, costi illeciti, inerenza ai ricavi e inerenza all’attività, in Rass. Trib., 2004, n. 6, p. 1935 e ss.

65

F. TUNDO, Ancora dubbi di costituzionalità sulla indeducibilità dei costi da reato, in Corr. Trib., 2011, n. 34, p. 2842.

66

F. TUNDO, Ancora dubbi di costituzionalità sulla indeducibilità dei costi da reato, in Corr. Trib., 2011, n. 34, p. 2843.

67

E. GRASSI, Alcuni spunti di riflessione sulla tassazione dei proventi illeciti, alla luce della

disposizione di cui al comma 34-bis dell’art. 36 del D.L. n. 223/2006 in Il Fisco, 2009, n. 1, p. 2417. 68

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23

questi, però, sono costi che sono sostenuti dopo aver sostenuto quelli illeciti e quindi sono estranei alla produzione del reddito cui si riferisce il comma 4-bis.

Tra i diritti costituzionalmente garantiti vi è la presunzione di innocenza ai sensi dell’articolo 27 della Costituzione in base al quale vige il diritto di non subire le conseguenze di un reato, prima della condanna definitiva 69. L’esecuzione dell’effetto di un reato, se non è preceduto da un giudicato di condanna, viola l’articolo 27.

Sarebbe ragionevole far discendere l’applicazione della norma sull’indeducibilità dei costi derivanti da fatti o atti che realizzano un reato, dall’accertamento giudiziale di quest’ultimo con sentenza passata in giudicato. Tuttavia, se cosi fosse, risulterebbe molto spesso inapplicata in quanto, generalmente, nella pratica la condanna definitiva avviene dopo la scadenza del termine per la notifica degli avvisi di accertamento.

Per l’applicazione del comma 4-bis, poiché non è possibile attendere il giudicato penale, l’Agenzia delle entrate 70 ritiene che l’indeducibilità disciplinata dal comma 4-bis si realizza già alla trasmissione del pubblico ministero della notizia di reato a carico del contribuente ai sensi dell’articolo 331 e 347 del codice di procedura penale: in particolare l’articolo 331 prevede l’obbligo di denuncia penale ai pubblici ufficiali e agli addetti al pubblico servizio, mentre l’articolo 347 disciplina l’obbligo della polizia giudiziaria di trasmettere le notizie di reato al pubblico ministero. La circolare dell’Agenzia osserva che la norma non richiede

69

F. TESAURO, Indeducibilità dei costi illeciti: profili critici di una norma di assai dubbia

costituzionalità, in Corr. Trib., 2012, n. 6, p. 429. L’autore afferma che, seppur, possa essere

emanato un avviso di accertamento che presuppone un reato prima della condanna definitiva, non è possibile che esso possa essere portato ad esecuzione.

70

(24)

24

“che il fatto penalmente rilevante sia oggetto di un’azione penale già avviata o sia già stato accertato con sentenza di condanna”, ma prevede solo che qualsiasi pubblico ufficiale, o incaricato di pubblico servizio, o agente di polizia giudiziaria attribuisca la qualifica di reato al fatto, atto o attività ai quali sono riferibili i costi e le spese.

È quindi la stessa Agenzia delle entrate che nell’avviso di accertamento, prima di stabilire il quantum di imposta da pagare, deve definire un giudizio di illiceità penale, tale per cui dovrà recare una doppia motivazione: sul reato e sul tributo.

Come già visto nei paragrafi precedenti in merito alla retroattività della disposizione del comma 4 dell’articolo 14 della L. 537 del 1993, è stata adottata la tesi della natura interpretativa; poiché il comma 34-bis dell’articolo 36 del D.L. 223/2006 si pone testualmente come deroga all’articolo 3 della L. 212/2000 che, sappiamo statuire il principio di irretroattività delle norme tributarie, allora sicuramente anche tale disposizione avrà natura interpretativa ed efficacia retroattiva71.

4. Obblighi dell’inadempimento e stabilità nel possesso del reddito

È opportuno fare una speciale osservazione in merito agli obblighi incombenti in capo al precettore dei proventi derivanti da attività illecita.

In particolare, qualora un soggetto abbia commesso un illecito penale e da tale reddito abbia conseguito dei proventi, la considerazione verte sul fatto se sia

71

E. GRASSI, Alcuni spunti di riflessione sulla tassazione dei proventi illeciti, alla luce della

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25

possibile o meno, pretendere che egli dichiari tali redditi, finendo per denunciare se stesso.

Tale interrogativo ha fatto che si che la Suprema Corte sia intervenuta criticamente sul punto con sentenze discordanti; in un primo momento con la sentenza della Cassazione del 19 aprile 1995, n. 4381 72, ha mostrato un approccio più indulgente nei confronti del colpevole non dichiarante ed ha previsto l’esclusione a carico del contribuente della dichiarazione omessa o infedele nella parte in cui non è reso noto il provento da attività illecita.

Tale indirizzo giurisprudenziale ha marcato l’adesione dei giudici di legittimità all’orientamento secondo cui il principio nemo teneur se detergere avrebbe portata extraprocessuale; ritengono, infatti che esso derivi da norme di carattere sostanziale come l’articolo 384 del codice civile e dall’articolo 24 della Costituzione in forza dei quali colui che commette l’illecito non può mettere in atto una condotta attiva attraverso un’autodenuncia sul piano penale73

.

Inoltre nella motivazione della sentenza sopra citata emerge la critica verso l’argomento opposto, secondo il quale il principio nemo teneur se detergere ha natura meramente processuale e sulla base del quale esistono comportamenti che autonomamente considerati non costituiscono confessione di reati ma adempimenti di obblighi tributari; infine, l’argomento opposto si fonda sulla previsione di una specifica aggravante ai sensi dell’articolo 61 del codice di procedura penale 74

in relazione a condotte criminose volte a coprire precedente reato o a conseguirne il profitto. Tali argomentazioni risultano essere contrastanti all’articolo 24 del testo

72

Cassazione, 19 aprile 1995, n. 4381, in Riv. Giur. Trib., 1995, p. 871 73

I. CHERCHI, La tassazione dei proventi illeciti (1990-2005), in Dir. Pr. Trib., 2005, n. 76, p. 422. 74

Articolo 61 del codice di procedura penale recita che “I diritti e le garanzie dell’imputato si

estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari. Alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all’imputato, salvo che sia diversamente stabilito.”

(26)

26

costituzionale che definisce la difesa come un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e a tutela dei propri diritti ed interessi legittimi tutti possono agire in giudizio.

In merito, la Corte precisa che qualsiasi condotta delittuosa ulteriore e diversa da una precedente che si mira a coprire debba essere sanzionata penalmente, e che generalmente essa emerge da comportamenti commissivi rispetto ai quali non è pensabile un’esenzione di responsabilità; per i giudici di legittimità appare diverso il reato che emerge da una semplice omessa dichiarazione e confessione dell’illecito già compiuto.

La giurisprudenza75 ha ritenuto impensabile pretendere da parte di un usuraio la tenuta delle scritture contabili con l’iscrizione delle entrate, concludendo che il contribuente sarà soggetto a prelievo attraverso la tassazione dei proventi illeciti, ma non potrà essere sanzionata la mancata indicazione degli stessi nella dichiarazione dei redditi.

Vi è un’ ulteriore sentenza 76 che pone le sue basi sui precetti penalistici, in particolare il concetto di ignoranza inevitabile del precetto penale, ai sensi dell’articolo 5 del codice penale; per tale ragione, nel periodo 77

in cui era pacifico che i proventi da attività illecita non fossero tassabili, un soggetto che non li aveva contabilizzati e dichiarati al fisco non sarebbe potuto essere sanzionato.

La Cassazione 78, tuttavia, ha negli anni cambiato opinione ritenendo che il provento illecito non sequestrato, né confiscato costituisce reddito tassabile tale per cui dovrà comportare al titolare tutti gli obblighi consequenziali fra cui la tenuta

75

Trib. Teramo, 21 novembre 1997, in banca dati Fisconline. 76

Trib. Napoli, 12 marzo 1997, in banca dati Fisconline e riscontrabile in A. PERINI, Tassabilità

dei proventi illeciti e scusabilità dell’ignoranza, in Il Fisco, 1997, n. 46, p. 13652-13655 77

Anteriore all’entrata in vigore della L. 537/1993 78

(27)

27

delle scritture contabili e, la mancata annotazione può dare luogo ad accertamento di ufficio o a rettifica della dichiarazione del contribuente.

Tale impostazione comporta l’applicazione anche di sanzioni di tipo amministrativo quali per omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, omessa fatturazione, omesso versamento dell’imposta, e cosi via.

La tassabilità di un provento e la sua qualificazione come reddito dipende dalla sussistenza di un requisito essenziale, individuabile nella stabilità del suo possesso. Il possesso esprime la relazione giuridica fra il soggetto passivo e il reddito stesso. Affinché quest’ultimo possa configurarsi e possa dirsi posseduto sulla base dell’articolo 1 del D.P.R. n.917/1986 non è sufficiente un incremento patrimoniale in capo al soggetto passivo, ma occorre che tali arricchimenti siano analizzati sulla base delle singole categorie reddituali.

Emerge un dubbio in merito alla sottoposizione a tassazione nei confronti di chi è stato solo temporaneamente destinatario del provento. In merito è riscontrabile una pronuncia della Cassazione79 riguardante l’incasso da parte di un persona fisica di tangenti destinate ad un partito politico. Stando alla sentenza, si tratta di somme entrate nella disponibilità del soggetto e destinate a rimanervi, temporaneamente, fino al momento dell’integrale versamento al destinatario. Per la Suprema Corte, ai sensi dell’articolo 14 della legge 537/1993 si tratterebbe di proventi illeciti classificabili tra i redditi diversi, riconducibili all’attuale articolo 67, comma 1, lett. l) del T.U.I.R. La mera disponibilità provvisoria di proventi derivanti da attività illecite esprime, per la Suprema Corte il presupposto di imposizione diretta e la

79

Cassazione, Sez. Trib., Sent. 18 gennaio 2008 (23 novembre 2007), n. 1058, in Corr. Trib., 2008, n. 14, p. 1131-1133

(28)

28

persona coinvolta nel “passamano” corrisponde al soggetto passivo di imposta relativamente a quelle somme 80.

Tale sentenza ha, tuttavia riscontrato una certa ostilità da parte della dottrina 81

poiché la Suprema Corte non distingue il possesso dalla disponibilità e detenzione, ma rileva solo il fatto che tali tangenti siano state incassate da una persona fisica, indipendentemente dalla loro destinazione. L’obiezione risiede nel fatto che non sono prese in considerazione le singole categorie reddituali e quindi non emerge differenza fra il politico che incassa le tangenti per se stesso o colui che le abbia percepite per inoltrarle all’ente.

Diverso è il caso in cui, cosi come previsto dal’articolo 14, comma 4, L. 537/1993, il provento, pur riconducibile in una delle categorie indicate dall’articolo 6 del T.U.I.R., sia stato già sottoposto a sequestro o confisca penale. Tali provvedimenti, infatti, ostano al conseguimento del possesso del reddito 82 e, quindi al verificarsi del presupposto di imposta 83

Per quanto riguarda la quantificazione dell’imponibile e dell’imposta concernente i redditi illeciti occorre, se applicabile in via preliminare, ispirarsi ad una metodologia generale, relativa ai criteri dettati del testo unico e dal decreto sull’accertamento, oppure utilizzare parametri differenti 84

. Infatti, considerata la natura “celata” di tali attività, la determinazione del reddito potrà avvenire attraverso la ricostruzione dei ricavi sulla base di presunzioni i cui dati saranno ricavati da documentazione extracontabile riferita al soggetto o da elementi di fatto indicativi,

80

D. MURARO – M. BEGHIN, Tassabili ai fini IRPEF le “tangenti” destinate ai partiti politici, in Corr. Trib., 2008, n. 14, p. 1135

81

D. MURARO – M. BEGHIN, Tassabili ai fini IRPEF le “tangenti” destinate ai partiti politici, in Corr. Trib., 2008, n. 14, p. 1140

82

Ai sensi dell’articolo 1 T.U.I.R. e dell’articolo 1 del D.P.R. n. 597/1993 83

I. CHERCHI , La tassazione dei proventi illeciti (1990-2005), in Dir. e Pr. Trib., 2005, Vol. 76 p. 425-426.

84

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29

in mancanza di altro. Tuttavia, una ricostruzione di questo tipo appare molto difficile, in quanto occorrerebbe rinvenire attività lecite che siano collegabili ad attività illecite 85.

5. Rapporti con i provvedimenti ablatori

Come più volte accennato in precedenza l’articolo 14 della legge 537/1993 prevede espressamente la tassazione dei proventi illeciti “se non già sottoposti a sequestro o confisca penale”. Nel nostro ordinamento la confisca è una misura di sicurezza applicabile sia obbligatoriamente, che facoltativamente: è facoltativa quando riguarda la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato ed è rimessa alla volontà del giudice che dovrà disporla con provvedimento motivato; è obbligatoria se si riferisce alla confisca delle cose che ne realizzano il prezzo del reato, di cui è vietata la fabbricazione o la circolazione, che costituiscono oggetto di contrabbando o appartengono a soggetti condannati per associazione di stampo mafioso 86.

In giurisprudenza 87 sono emersi numerosi contrasti in relazione al rapporto fra la tassazione dei proventi illeciti e le misure ablatorie: la Cassazione, aveva in passato osservato che un illecito penale, costituendo il prodotto o il profitto del reato, sulla base dell’articolo 240 del c.p., possa essere confiscato per intero dallo Stato, a meno che non venga disposta la restituzione alla vittima del reato, ai sensi dell’articolo 185 del c.p.. Di conseguenza non potrà mai essere assoggettato ad imposta come reddito del colpevole.

85

N. POLLARI – G. GRAZIANO, La tassazione dei proventi da attività illecite tra etica, diritto,

economia e fenomenologia sociale, in Il Fisco, 1996, n. 18, p. 4485 86

Ai sensi dell’art. 240 c.p. 87

(30)

30

Le Sezioni Unite 88 con la sentenza n. 2798 del 1993, avevano disposto l’esclusione da tassazione dei proventi da reato stabilendo che la tassazione sorgerebbe solo qualora tali proventi fossero soggetti a confisca facoltativa e non venissero confiscati 89. In quest’ultimo caso il profitto da reato perderebbe la sua natura illecita diventando una ricchezza lecita tassabile, mentre non sarebbero mai tassabili i proventi da reato che devono essere obbligatoriamente confiscati 90.

Il legislatore intervenendo con l’articolo 14, comma 4, della legge n. 537/1993 ha cercato di chiarire il dibattito individuando esclusivamente nella confisca o nel sequestro penale i provvedimenti atti ad evitare la tassazione nei confronti del soggetto colpevole del reato.

Di fronte alla commissione di un reato di natura penale, il nostro ordinamento prevede che siano applicate sanzioni in grado di colpire la sfera personale ed economica del reo. Per fare ciò occorre adottare strumenti in grado di intervenire sulla manifestazione dell’illecito in diverse fasi: in via preventiva e in via di attuazione della condanna. Nel primo caso sono comprese le diverse forme di sequestro e confisca aventi carattere preventivo definite da leggi speciali; nel secondo caso è ricompresa la confisca di cui all’articolo 240 c.p. e le diverse forme di sequestro previste dal codice di procedura penale 91.

L’articolo 14 della legge 537 del 1993 esprime testualmente la volontà di considerare il sequestro e la confisca in riferimento all’ambito penale, operando una semplificazione interpretativa in quanto saranno esclusi quei provvedimenti che

88

Cassazione, SS.UU. - Sentenza 7 marzo 1994 (12 novembre 1993), n. 2798, in Corr. Trib. , 1994, n. 13, p. 823.

89

Per esempio nel caso in cui il processo penale si concluda con il patteggiamento. 90

I. CHERCHI , La tassazione dei proventi illeciti (1990-2005), in Dir. e Pr. Trib., 2005, Vol. 76 p. 426.

91

I. CHERCHI , La tassazione dei proventi illeciti (1990-2005), in Dir. e Pr. Trib., 2005, Vol. 76 p. 427.

(31)

31

oltrepassano la sfera penalistica. Di fronte a tale tesi, tuttavia, in dottrina 92 si sono manifestate obiezioni in merito all’esclusione di altri tipi di confisca, come ad esempio quella amministrativa: poiché prevede lo spossessamento della ricchezza imponibile, è stata ritenuta equivalente a quella penale.

Sono sorti dei problemi interpretativi in ordine all’istituto del sequestro in quanto occorre distinguerlo fra quello penale 93, preventivo 94, conservativo 95 e le altre fattispecie previste dalle leggi speciali. È necessario analizzare gli effetti sul possesso della ricchezza del soggetto, in quanto successivamente al sequestro potrebbe seguire un obbligo di restituzione o una conferma attraverso la confisca.

In dottrina 96 è ritenuta troppo restrittiva la tesi in base alla quale l’applicazione dell’articolo 14 sia circoscritto solamente al sequestro penale, quindi è ritenuta più opportuna l’ipotesi di estendere all’ambito applicativo anche il sequestro preventivo, destinato a risolversi in confisca.

Per individuare il momento in cui la tassazione del provento illecito non può più operare a seguito del provvedimento ablatorio può essere individuato in tre circostanze alternative: a) al decorrere del periodo di imposta; b) al momento della dichiarazione; c) al momento dell’accertamento.

La Cassazione 97 è intervenuta in merito con più pronunce stabilendo che il provvedimento ablatorio, per poter essere ostativo della tassazione deve intervenire entro il periodo di imposta al quale il provento è riferibile, risultando irrilevante il

92

A. GIOVANNINI, Provento illecito e presupposto dell’imposta personale, Giuffré, Milano, 2000. 93 Ai sensi dell’art. 253 c.p.p. 94 Ai sensi dell’art. 321 c.p.p. 95 Ai sensi dell’art. 316 c.p.p. 96

I.CHERCHI , La tassazione dei proventi illeciti (1990-2005), in Dir. e Pr. Trib., 2005, Vol. 76 p. 429.

97

Cass., 23 dicembre 2000, n. 16176; Cass., 13 maggio 2003, n. 7337; entrambe in banca dati

(32)

32

successivo intervento di provvedimenti di sequestro o confisca, anche se anteriore alla presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno entro cui i proventi illeciti sono stati percepiti o all’emanazione dell’avviso di accertamento.

Secondo la Cassazione, tale interpretazione è conforme con il principio di capacità contributiva di cui all’articolo 53 della Costituzione e con il principio di uguaglianza dell’articolo 3 della Costituzione: infatti “da un lato il principio di cui all’art. 53 non risulta violato nell’arco temporale in cui è chiamato ad operare e dal quale non è dato prescindere, dall’altro si evitano ingiustificate disparità di trattamento tra i percettori di proventi illeciti ed i possessori di redditi leciti, per i quali – secondo i principi generali del sistema tributario – i redditi medesimi sono esclusi da imposizione solo se perduti nello stesso periodo di imposta considerato”98.

La Cassazione ha ritenuto di escludere l’ipotesi che privilegia il momento della dichiarazione, in quanto riguarda la posizione del contribuente ed essa viene influenzata dall’obbligazione tributaria fissata nel periodo d’imposta.

Ritiene, inoltre di escludere anche il momento dell’accertamento in quanto contrario al principio di autonomia dell’obbligazione tributaria nei singoli periodi di imposta, ai sensi dell’articolo 7 T.U.I.R. 99

. Ne consegue che se l’accertamento riguarda proventi illeciti relativi a più annualità, il sequestro o la confisca saranno opponibili al Fisco solo con riferimento all’annualità in cui tali provvedimenti sono stati posti in essere e non per i periodi di imposta precedenti.

98

Cass., 13 maggio 2003, n. 7337, in banca dati Fisconline 99

I. CHERCHI , La tassazione dei proventi illeciti (1990-2005), in Dir. e Pr. Trib., 2005, Vol. 76 p. 430. In merito l’autrice specifica il legame “ineliminabile” fra l’obbligazione tributaria e il periodo di imposta in cui sorge che, se oltrepassato un periodo, la fattispecie rinasce come diversa.

(33)

33

Inoltre, il fatto che il presupposto dell’imposizione sui redditi sia il possesso dei redditi nel periodo considerato, il possesso oltre quell’arco temporale sarà da considerare irrilevante per la fattispecie tributaria.

5.1. Obblighi successivi ai provvedimenti ablatori

È opportuno fare una breve analisi in merito all’individuazione del soggetto su cui ricadono gli obblighi formali e sostanziali relativamente ai beni sequestrati o confiscati a seguito di provvedimenti non definitivi. In tal senso la giurisprudenza 100 ha ritenuto che il soggetto sottoposto a misure di “prevenzione patrimoniale”, pur conservando la titolarità giuridica su tali beni non ne deterrebbe il possesso, giacché gli obblighi verrebbero a ricadere sull’amministratore giudiziario.

Tale previsione, tuttavia, non trova riscontro pacifico ed è emerso un dibattito101 circa l’individuazione del soggetto passivo dell’obbligazione tributaria o dell’Amministrazione giudiziaria di beni nel periodo che intercorre fra il sequestro o la confisca non definitiva e quella definitiva, legati anche alla mancanza di una disciplina chiara ed univoca.

Tale scontro dottrinale parte dal presupposto che l’ordinamento tributario non adotta una nozione civilistica 102 di possesso, per la determinazione del reddito, ma considera la concreta disponibilità del reddito complessivo netto.

Il soggetto, i cui beni siano stati oggetto di provvedimento ablativo non definitivo, dovrebbe dichiarare tutti i redditi conseguiti dall’inizio del periodo

100

Trib. Taranto, Ufficio misure di prevenzione P.S., 29 luglio 2002, in banca dati Fisconline. 101

G. ANTONIO MICHELI, Corso di diritto tributario, UTET, Torino, 1989 ; A. FANTOZZI,

Diritto tributario, UTET, Torino, 1991; M. MICCINESI, L’imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, GIUFFRÉ, Milano, 1992.

102

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