4. Declinazioni dell’io narrante
4.2. In principio fu Mars
Lo sguardo rivolto esclusivamente al tessuto testuale patografico consente ora di mettere in evidenza l’esistenza di connessioni intertestuali, tra le stesse narrazioni della malattia, che giustificano ulteriormente la coesione di un corpus seppur vario. Artefici di queste comunanze testuali sono autori che si dichiarano ispirati da chi ha scritto di esperienze analoghe e altri che rimarcano ciò che li distanzia dai predecessori: rimandi, citazioni e reazioni legate a testi coevi o anteriori segnalano così la ricerca di una voce
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sufficientemente autonoma e al contempo inseribile in una continuità. Inoltre, questa dinamica suggerisce a quale ricezione siano soggetti i testi patografici presso autori che si confrontano con la stessa forma di scrittura.
In questo senso, Mars dello zurighese Fritz Zorn offre un esempio efficace per più di una ragione. Definita come «certainement l’autopathographie la plus célèbre sur le cancer» (Grisi p.144), questa opera ha suscitato un clamore tale, al momento della sua uscita nel 1977, da non passare inosservata, soprattutto tra quei lettori che, come Zorn, erano minacciati da una grave malattia. Mars viene pubblicato postumo con la prefazione di Adolf Muschg e per la veemenza dell’atto di accusa contenuto nel testo e per le condizioni estreme in cui aveva visto la luce, dato che l’autore aveva scritto all’ombra di una morte incombente, diventa un caso letterario internazionale. Gli viene riconosciuta un’originalità che nemmeno oggi, in un panorama sommerso dalla narrativa autobiografica sulla malattia, viene meno. Merito anche dell’essere stato tra i primi malati a esporsi come narratori, l’eco di Zorn, pseudonimo di Angst, il vero cognome dell’autore, non si è del tutto spenta e ha continuato a risuonare, quasi come rappresentazione paradigmatica, nelle pagine di autori che successivamente hanno scritto dei propri mali.4
La scrittura memorialistica di Zorn scaturisce dalla scoperta di avere un tumore, diagnosi che lo scuote dal torpore in cui ha trascorso la sua giovinezza e che lo spinge ad affidarsi alla psicoterapia per curare la profonda depressione che lo affligge da anni. Il tumore gli appare come la naturale conseguenza dell’artificiosamente impeccabile, e per questo malsano, ambiente sociale in cui egli è cresciuto e che lo ha educato a un vuoto conformismo, ponendolo al riparo da qualsiasi emozione, gradevole o sgradevole che fosse. La sua famiglia, appartenente all’altolocata borghesia di Zurigo, è colpevole, ai suoi occhi, di averlo privato di ogni slancio vitale, di averlo reso incapace di provare alcunché e, portandolo a reprimere desideri e preoccupazioni, di averlo fatto ammalare, di depressione e infine di cancro, di cui morirà a 32 anni.
Mars è suddiviso in tre sezioni: la prima, intitolata “Mars im Exil”, è la più estesa e coincide con la narrazione, ripartita in capitoli numerati, della vicenda di Zorn; “Ultima necat” e “Rittel, Tod und Teufel” sono invece due aggiunte di ridotta lunghezza, contenenti
4 Perlomeno in parte del contesto europeo, in cui si inseriscono le traduzioni in francese, italiano e inglese.
La fortuna di Mars, al di là dell’ambito patografico, non è tuttavia uniforme e costante nel tempo: se l’edizione tedesca continua ad oggi a venire ristampata, registrando in Svizzera vendite significative, quella italiana del 1978 e intitolata Il cavaliere, la morte e il diavolo, ad opera di Mondadori, è caduta presto in oblio dopo la risonanza iniziale. Nel 2007 viene ristampata dal piccolo editore svizzero Capelli con il titolo leggermente variato Marte. Il cavaliere, la morte e il diavolo.
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aggiornamenti sullo stato di salute dell’autore e porzioni saggistiche.5 Gli scritti che fungono da coda a Mars non aggiungono molto al sentire espresso da Zorn nella parte propriamente narrativa, motivo per cui ci concentreremo maggiormente su quest’ultima.
Zorn interpreta, evidentemente, la propria patologia in chiave psicosomatica, secondo una concezione del cancro alquanto comune e che considera la malattia una sorta di sfogo del corpo come reazione a impulsi repressi. Il cancro si colloca nel presente della scrittura e fa di Zorn, rispetto all’evento della malattia, un narratore simultaneo, incerto sull’esito della patologia da cui è affetto e nella quale è immerso mentre compone il testo. Infatti, sebbene la diagnosi evochi la possibilità di una morte ravvicinata, la guarigione non è categoricamente esclusa: «Ob ich diese Krankheit überleben werde, weiß ich heute nicht. Falls ich daran sterben sollte, wird man von mir sagen können, daß ich zu Tode erzogen worden bin» (p.44).6
La storia su cui tuttavia si concentra, e che appartiene ad un passato concluso, configurando Zorn come narratore prevalentemente ulteriore, consiste nella rievocazione degli anni dall’infanzia fino alla scoperta della malattia, seguendo una cronologia lineare. Il criterio selettivo applicato ai ricordi è l’attinenza con la nevrosi, la sua nascita e il suo sviluppo culminante nel cancro. La patografia è, per così dire, rispettata, in quanto Zorn punta a ricostruire la genealogia di un profondo malessere (psichico, in questo caso, e non fisico) e non a compilare semplicemente le sue memorie, sebbene la malattia gli conferisca, di fatto, l’impulso a rileggere, e a scrivere, l’intera sua vita, adottando, nel presente, una prospettiva drasticamente diversa da quella con cui aveva vissuto gli eventi trascorsi: «Wenn ich aber nun bedenke, wie ich bis heute mein Leben bewältigt oder vielmehr nicht bewältigt habe, so kann ich nur vermuten, daß auch meine Kindheit nicht glücklich gewesen sein kann» (p.26).7
Il cancro viene immediatamente reso noto, ma bisogna attendere svariate pagine prima di vederlo nominare di nuovo, come punto di arrivo di una situazione durata molti anni. La
5 L’edizione italiana chiama l’intera opera come la terza sezione che la compone, Il cavaliere, la morte e il diavolo e muta la denominazione della prima parte in “L’io in esilio”, doppiamente eludendo così quel «Marte» in cui Zorn si identifica e che eppure doveva sembrare un titolo troppo criptico. Occorre osservare, però, che il richiamo al dio della guerra viene introdotto e spiegato in un punto circoscritto dell’opera, di cui non costituisce quindi un leitmotiv. Zorn si appella all’astrologia e associa il proprio segno zodiacale a Marte, figura mitologica associata all’aggressività, intesa non come violenza, ma come intraprendenza, capacità di affrontare qualunque cosa. Tuttavia, essendo il segno di Zorn caduto sotto l’influenza di quello del cancro, che rimanda, come vocabolo, anche alla malattia, l’energia vitale dell’autore viene annientata.
6 «Oggi non posso dire se sopravviverò a questa malattia. Se ne dovessi morire, di me si potrà dire che sono
stato educato alla morte» (trad. it. p.25).
7 «Ma se penso a come io sono, o meglio non sono affatto, venuto a capo della mia esistenza, almeno fino a
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patologia è, nella prima parte della narrazione, fusa con la normalità ciecamente e assurdamente perseguita dai genitori di Zorn e risulta a lungo latente in un racconto che non indulge in episodi di cure e incontri medici a cui tante patografie ci hanno abituato.
Indistinguibile dal punto di vista dei genitori è anche l’io dell’autore da bambino, reso attraverso la narrazione al plurale: «Ich schreibe hier immer, daß »wir« etwas taten oder nicht taten. Mit diesem Plural will ich aussagen, daß ich eben in allen Stücken meinen Eltern und ihrem Beispiel folgte, so wie ich von ihnen geprägt worden war» (p.80).8 Se Zorn insiste sulla ricorrenza di alcuni vocaboli in apparenza innocui, è perché questi acquisiscono all’interno della sua famiglia significati specifici che necessitano di essere identificati e tradotti da parte del narratore. Il ‘lessico famigliare’ dispiegato è privo di colore e basato su concetti semplificati e grezzi, il cui scopo è quello di delimitare e suddividere la realtà in zone sicure e zone da evitare. «Buono», «giusto», «inconfrontabile», «difficile», «infelice» sono tra le parole il cui uso Zorn illustra con numerosi esempi, senza, tuttavia, che la prosa ne risulti arricchita, ma anzi, replicando lo svuotamento di senso e la semplificazione a cui il linguaggio dei genitori era sottoposto, impoverita e priva di inventiva. Invece di affidarsi alla parafrasi e alla variazione, Zorn si serve continuamente delle medesime parole esaminate e riproduce, in questo frangente efficacemente, la sterilità dell’ambiente da cui quelle parole provengono. Questo per i primi capitoli, la cui finalità è per l’appunto di introdurre alla visione distorta della famiglia di Zorn, anche se il narratore manterrà la predilezione per espressioni, attributi e sostantivi circoscritti, ribaditi e messi in rilievo dalle virgolette.
Zorn è da subito alle prese con un’operazione di chiarificazione compiuta innanzitutto nei propri riguardi, come parte, evidentemente, della psicoterapia, ma anche rivolgendosi a un lettore previsto. La presenza di quest’ultimo è segnalata eloquentemente dall’atto stesso di decodificazione, ancor prima che il lettore venga esplicitamente chiamato in causa quando Zorn confida, dopo aver offerto i preliminari elementi di comprensione della sua vicenda, in coloro a cui non sfuggirà, date le premesse, la naturalezza degli esiti deleteri: «Dem verständigen Leser wird es nach dieser Bemerkung sogleich einleuchten, daß dann die Sache notwendigerweise schief herauskommen mußte» (p.26).9 Essere chiaro è l’obiettivo primario di Zorn, come si evince dalla ripetizione, che questa volta non sembra
8 «Continuo a scrivere noi, noi facevamo, noi non facevamo. Il plurale significa che io seguivo i miei genitori
e il loro esempio in tutto e per tutto, esattamente come mi era stato insegnato di fare» (trad. it. p.64).
9 «Da questa affermazione il lettore attento capirà subito che la cosa doveva necessariamente finire male»
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voluta e comunque non messa in rilievo dal virgolettato. Il susseguirsi di «Heute» e «Ich meine damit» («oggi» e «voglio dire») esprimono fortemente quanto sia impellente il bisogno di precisione (e precisazione) e imponente lo scarto tra la lucidità del presente e la cecità, nonché l’inafferrabilità attuale, del passato.
Zorn espone e riespone i fatti, per accertarne il significato e mettere a punto la propria interpretazione degli stessi, mentre tramite la prospettiva dell’oggi si distanzia da ciò che ha, o può avere, provato allora, affermando ora quanto il suo giudizio odierno sia attendibile, ora l’impossibilità di pervenire, a distanza di anni, alle ragioni del passato.10
Oltre che dal diverso grado di consapevolezza e di conoscenza, la divergenza tra i due piani temporali risulta nell’amara ironia con cui Zorn osserva l’evoluzione della propria vita (o, meglio, involuzione, per imitare un altro procedimento caro all’autore, che tende a correggere punti di vista e impressioni con definizioni significativamente all’insegna della sottrazione e della negazione): «Eine wunderliche Welt entstand daraus für mich, über die ich heute lachen könnte, wenn ich nicht wüßte, wie verderblich sie mir später geworden ist» (p.32).11
Rilevante è anche la messa a nudo dell’atto narrativo tramite l’anticipazione delle considerazioni a cui l’autore si propone di dedicarsi e l’introduzione di ricordi come se facessero la loro comparsa sul momento, con un accenno di oralità: «Eine andere zweifelhafte Jugendvorliebe wird mir in diesem Zusammenhang wieder gegenwärtig: die für »das Höhere«, von dem hier auch noch ausgiebig die Rede sein wird» (p.30).12 Anche le aspettative e le convenzioni narrative vengono discusse per essere disattese: «Man könnte nun an diesem Punkt meiner Erinnerungen den großen Moment erwarten, in dem ich aus dieser Scheinwelt meines Elternhauses erwacht und mir gesagt hätte: Halt! Das kann doch nicht so weitergehen. Dieser Moment kam aber nicht» (p.42).13 La svolta tarda ad arrivare, gli episodi recuperati dalla memoria si susseguono e la minuteria quotidiana, senza grande peso narrativo di per sé, assume valore solo perché correlata al precario
10 Come campione testuale delle ripetizioni che popolano l’esposizione di Zorn si vedano pp.28-29, mentre
per l’edizione italiana pp.6-7. Si noti che la traduzione si mantiene fedele a questo difetto di scrittura e non opta per soluzioni migliorative.
11 «Da tutto ciò nacque per me un mondo singolare di cui oggi potrei anche ridere, se non sapessi quanto è
stato in seguito rovinoso per me» (trad. it. p.10).
12 «A questo proposito mi viene in mente un’altra mia assai dubbia propensione giovanile: quella per tutto
ciò che era “elevato” e di questo avrò qui ancora largamente occasione di parlare» (trad. it. p.8).
13 «A questo punto dei miei ricordi si potrebbe immaginare si presenti il grande momento in cui io mi risveglio
alla realtà della illusoria fallacia della mia vita familiare e dico: alt! Così non si può andare avanti. Questo momento invece non venne» (trad. it. p.22).
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presente di Zorn, il quale è cosciente, tuttavia, che soffermandosi su fatti relativamente insignificanti rischia di perdere il lettore.
È forse per trattenerlo, allora, che Zorn torna continuamente sulle premesse, e promesse, iniziali, suggerendo così molteplici funzioni per la sua ‘strategia’ della ripetizione, da cui in ogni caso traspare il costante dialogo intrattenuto con il lettore:
Solche kleinen Kindheitserinnerungen mögen freilich unbedeutend und lächerlich anmuten, und ich gebe gerne zu, daß sie an sich noch nicht viel aussagen. Aber ich bin überzeugt davon, daß solche kleinen anekdotischen Beispiele schon das ganze Verderben, das später über mich hereinbrechen sollte, in sich enthalten. Ich meine damit […]. (p.32)14
In generale, tuttavia, il riuso ostinato, a tratti ossessivo, della stessa terminologia e le spiegazioni riproposte denotano lo sforzo esasperante del narratore nel voler pervenire a un quadro dall’assoluta nitidezza.15 La dichiarata esigenza di Zorn è quella di rintracciare gli stadi di formazione della propria coscienza, il che dovrebbe coincidere con una narrazione non fondata sulla cronologia:
Hier will ich noch einen Hinweis zum chronologischen Aufbau meiner Jugenderinnerungen einschieben: ich fürchte, die zeitliche Aufteilung wird in diesem Bericht fast ganz fehlen. Ich werde nämlich weniger von einzelnen Erlebnissen erzählen (die man ja ohne weiteres in einer chronologischen Reihe aufeinander folgen lassen könnte), sondern mire her über verschiedene Bewußtseinsstufen klar zu werden zu versuchen. (p.27)16
In effetti, la ricostruzione di Zorn non contiene date, ma si attiene comunque alle tappe successive di una tradizionale formazione che passa dalla scuola elementare al liceo, fino all’università. La giovinezza descritta scorre senza intoppi, colpi di scena, eventi destabilizzanti o gioie memorabili. Nel resoconto di Zorn queste assenze si traducono in vuoti narrativi che in sede di lettura vengono percepiti come un’occasione di umanizzazione non colta: il racconto, nella sua tensione verso l’essenziale, astrae e devitalizza riducendo la portata letteraria di un testo che, nonostante la rinuncia alla datazione, assume una forma documentaria. Identificando il proprio caso come non isolato
14 «Piccoli ricordi infantili come questi possono naturalmente apparire insignificanti e ridicoli e non ho
difficoltà ad ammettere che in sé non dicono ancora molto. Sono convinto però che questi piccoli esempi di carattere aneddotico contengano già tutta la rovina che doveva poi abbattersi su di me. Voglio dire […]» (trad. it. p.11).
15 Si veda il passo in cui le conclusioni dell’autore si esauriscono intorno al sostantivo «Welt», insieme a
«Glück», «Harmonie» e i loro derivati (cfr. p.27; trad. it. p.5).
16 «A proposito dei miei racconti infantili vorrei dire ancora una cosa: temo che nel mio racconto mancherà
quasi completamente una ricostruzione cronologica dei fatti. Non cercherò cioè tanto di raccontare singoli eventi (che sarebbe assai facile annotare in ordine cronologico), quanto piuttosto di chiarire a me stesso i diversi stadi della mia presa di coscienza» (trad. it. p.5).
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e considerando i genitori vittime anch’essi di un sistema radicato che hanno ereditato dai loro padri, Zorn si appresta pertanto a portare all’attenzione una condizione deleteria che riguarda una intera società e conferisce al suo racconto una valenza politica. Questa chiave di lettura resta però intenzionalmente secondaria, poiché Zorn permane imprigionato in un’ottica individualistica che sembrerebbe negare l’avvicinamento empatico all’esperienza di sofferenza altrui. Zorn riconosce e sostiene apertamente i limiti di una prospettiva ripiegata su di sé e l’impossibilità di provare il dolore dell’altro, motivo per cui ciascuno deve attenersi alla storia personalmente vissuta, della quale ci si aspetta che venga a capo prima di occuparsi del malessere altrui (cfr. p.168; trad. it. p.156).
L’ultimo terzo della narrazione affronta direttamente la presenza via via più tangibile e distruttiva della malattia nella sua doppia natura, psichica e fisica. Assistiamo a come gli studi brillanti e una reputazione eccellente abbiano dotato Zorn di un involucro esteriore diametralmente opposto alla solitudine e allo sconforto con cui il giovane convive con sempre maggiore difficoltà. Manifesta all’ingresso in università, la depressione viene da Zorn negata e nascosta, fino a quando la comparsa di un gonfiore sul collo, diagnosticato come tumore, lo sprona ad affidarsi a uno psicoterapeuta per cercare finalmente una soluzione anche alla malattia interiore. Riguardo al tumore, il responso medico viene oscurato, sostanzialmente sostituito dalla personale diagnosi di Zorn, che paragona la massa estranea all’accumulo di lacrime mai piante: «Ich glaube, daß der Krebs eine seelische Krankheit ist, die darin besteht, daß ein Mensch, der alles Leid in sich hineinfrißt, nach einer gewissen Zeit von diesem in ihm steckenden Leid selbst aufgefressen wird» (p.132).17 I riferimenti all’operato medico sono minimi e la rimozione del tumore per la sua esaminazione viene presentata nella veste simbolica che Zorn le assegna, ovvero come l’occasione di una morte, per mezzo della narcosi, seguita da una rinascita: la distruzione del vecchio, torturato io in favore dell’avvento di una vita migliore, più felice.
Al di là della metafora, è la minaccia della morte concreta, che il cancro porta con sé a far desiderare a Zorn di sfuggirle per avere una seconda possibilità, una resurrezione in terra come persona dalla vita completamente diversa. La psicoterapia viene inaugurata con l’intento di mettere in pratica il disegno di morte e rinascita che diventa così la cornice operativa entro cui prende forma la reazione, tardivamente giunta, di Zorn.18 Il cancro è
17 «Io credo che il cancro sia una malattia psichica dovuta al fatto che l’individuo che ingoia tutta la sua
sofferenza, dopo un certo tempo viene a sua volta ingoiato dal dolore che è dentro di lui» (trad. it. p.120).
18 Del mito di morte e rinascita in relazione alle narrazioni della malattia si ha già avuto modo di parlare. Si
tratta di una delle concettualizzazioni analizzate da Hawkins e di cui il testo di Zorn offre un esempio calzante, anche perché nella sua esperienza questa costruzione di significato incentiva e plasma la sua risposta alla
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accolto con relativo favore poiché è il solo evento che abbia avuto il potere di destare Zorn dalla rassegnazione della e all’infelicità. Eppure, l’aspettativa del lettore viene nuovamente smentita:
Jetzt sollte natürlich der interessanteste Teil dieses Berichtes folgen, nämlich die Beschreibung meiner Psychotherapie. Aber gerade diesen Teil will ich nun nicht beschreiben. Nicht nur deshalb, weil diese Psychotherapie noch nicht abgeschlossen – und vielleicht auch nicht gelungen – ist; ich kann mit der Aufzeichnung meiner Erinnerungen aber auch nicht mehr warten, bis meine Therapie wirklich einmal abgeschlossen sein sollte, den vorderhand kann ich ja noch nicht wissen, ob die Therapie abgeschlossen werden wird, bevor ich an Krebs sterbe. Da ich diesen Bericht aber auf jeden Fall schreiben will, muß ich es tun, solange ich noch lebe; da ich einstweilen noch am Leben bin, will ich diesen Bericht jetzt schreiben, obwohl die Psychotherapie noch nicht zu Ende ist und ich noch nicht als »geheilt« entlassen worden bin. (p.136)19
Introducendo lo snodo cruciale della vicenda, Zorn avrebbe la possibilità di mutare scenari e toni, ma si attiene al suo consueto procedere. Subentra, tuttavia, una accelerazione che corrisponde all’urgenza di una scrittura che non può più assecondare il tempo indolente di una passiva e silenziosa sofferenza. Insieme al desiderio di guarire la psiche, affinché il corpo possa trovare energia con cui reagire e sconfiggere il cancro, si impone la necessità di un ripristino mentale celere, proprio perché indispensabile, nell’ottica di Zorn, per sconfiggere il male del corpo. Ma la metastasi si diffonde più velocemente dei progressi