4. Declinazioni dell’io narrante
4.3. Zorn e gli altri
Fin qui, la parola di Zorn. Una parola, come si è sottolineato, fortemente connotata e a cui si deve la peculiarità del narratore di Mars, che si è tentato di far emergere limitando al minimo le intrusioni interpretative connesse all’analisi testuale. La lettura proposta, infatti, ha inteso delineare i mutamenti di tono, il repertorio lessicale, le selezioni del materiale narrativo che rivelano elementi utili alla definizione di una voce narrante, che nel caso di
Mars ci è ora possibile associare ad alcuni attributi, per giunta non applicabili al racconto nella sua interezza: monologica, ripetitiva, fredda, ironica, reticente, analitica, non empatica, rabbiosa, esaltata.
Lo stile espositivo di Zorn risente dell’isolamento e della solitudine da cui scaturisce la narrazione, la quale è dominata dall’unico punto di vista onnicomprensivo, ridondante e ossessivo. A respingere quel lettore che pure Zorn evoca non è tanto la vicenda indiscutibilmente triste al centro di Mars, bensì il modo in cui è raccontata. Più che al suo fianco, il narratore vuole che l’altro gli stia di fronte. Più che la sua partecipazione, desidera che sia testimone, osservatore dunque, del suo infelice destino e della sua ultima, disperata ribellione. Zorn dispiega davanti a sé e al pubblico, al fine di chiarirla e comprenderne il funzionamento, la propria esistenza. Memorialista l’autore svizzero lo è solo nella misura in cui la rievocazione è preludio all’analisi. Nell’oggettivare la propria vita, Zorn chiede al lettore di cogliere i legami di causa ed effetto che vengono rintracciati e spiegati, e di prendere atto di come la propria vita sia sfociata in un irrimediabile fallimento.
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Che sia virulento, freddamente analitico o ironicamente disincantato, Zorn non fa sconti a nessuno, men che meno a se stesso. Non cerca né assoluzione né compassione, la quale, difatti, non è la reazione che Mars immediatamente suscita. Con la sua esasperata prosa argomentativa, il vocabolario stinto e ristretto, le ellissi in cui resta relegata quel poco di vita che, se narrata, avrebbe potuto avvicinare il lettore, Mars allontana e disturba. Non resta da chiederci se questa presa di distanza sia da imputare a una ricezione del testo meramente critica, che si focalizza sull’assetto formale attraverso cui il contenuto viene reso. Una simile lettura di Mars dà, in ogni caso, torto all’idea che sia impossibile valutare l’opera di un sofferente perché il giudizio ‘obiettivo’ verrebbe ottenebrato dalla compassione per lo sventurato, come sostenuto da Arlene Croce. Con Mars, ciò evidentemente non avviene, perché la narrazione è impostata in senso contrario, ovvero scoraggiando tale risposta. Al contempo, tuttavia, si potrebbe contestare, in linea con i sostenitori di una «umiltà narrativa», un approccio al testo che non tiene conto della drammaticità delle circostanze che racconta e a cui si deve. Tale lontananza dalla vicenda umana, infatti, avvalorerebbe la difficoltà, da parte dei narratori malati, di farsi ascoltare e comprendere da chi malato non è.
Per mettere alla prova la validità di questa seconda ipotesi ci accingiamo a esaminare i modi in cui alcuni autori malati si sono confrontati con Mars. Sarà scattata in loro, alle prese con una situazione analoga, quell’empatia ritenuta da molti studiosi imprescindibile per una corretta considerazione della scrittura patografica? Oltre a rispondere a questa domanda, si coglierà l’occasione per delineare la portata ricettiva del testo di Zorn e per metterlo in relazione con le patografie che gli hanno fatto seguito.
Seguiamo, per incominciare, lo sguardo di Hervé Guibert:
En même temps nous prenions la maladie sur le corps de l’autre (ces croûtes sur son visage, ces plaies sur ses jambes): je crois que nous aurions pris la lèpre, volontiers, si nous l’avions pu (il n’en allait pas que de l’amour, mais de la contamination).
Le livre de Fritz Zorn (Mars) est une démonstration lente, alambiquée, fastidieusement infaillible: il sait où il va, le mouvement de l’écriture suit de près le mouvement qui ronge son corps, la métastase.
La maladie d’avoir toujours à dire quelque chose de quelque chose, à écrire, comme pour ne rien perdre (une maladie de la mesquinerie, ou de la postérité?). Le risque aussi, à un moment de l’écriture, d’un empoisonnement subit, inconscient, peut-être pire que la perte totale (→ Rimbaud), ici la peur de l’intellectualisme (posé sur le sentiment). (La mausolée des amants p.123)25
25 Viene qui mantenuto lo spazio bianco che separa i due passi del diario, a segnalare il loro riferirsi,
probabilmente, a due momenti di redazione differenti. Guibert, infatti, ha compilato i quaderni senza apporvi date.
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Queste annotazioni sono estratte dal diario che Guibert ha tenuto dal 1976 al 1991 e che è stato pubblicato postumo nel 2001 con il titolo Le mausolée des amants. Raccogliendo impressioni, riflessioni di ordine estetico, progetti di scrittura e solo occasionalmente eventi pregnanti nella vita dell’autore, il diario è composto da brani eterogenei e non datati. Nella loro frammentarietà e autonomia, quelli riportati risultano pertanto di difficile collocazione temporale, sebbene un confronto con le opere di Guibert, a cui il diario è servito da serbatoio di materia narrativa e da testo preparatorio, permette di orientarsi più facilmente. Dunque è ignoto quando esattamente Guibert abbia letto Mars e se quando ha scritto le righe citate la malattia facesse già parte della sua vita. In realtà, è più avanti nel diario che le allusioni all’Aids fanno la loro comparsa, mentre a questa altezza tutto pare riconducibile, per ora, al fascino che il morboso e la morte, accostati all’erotismo, hanno sempre esercitato su Guibert, sebbene il nous e l’accostamento di amore e contaminazione si prestino a configurare anche l’Aids, la sua modalità di contrazione e la sua estensione.
Nella porzione di testo selezionata, Guibert commenta l’opera di Zorn definendola una dimostrazione lenta e inesorabile, che ricalca il diffondersi della malattia nel corpo dell’autore. Procede poi, per associazione tematica, concependo la scrittura stessa come malattia, chiedendosi se avere sempre di che alimentarla non sia una patologia al servizio della meschina registrazione del tempo. Qui la preoccupazione sembra riguardare Guibert stesso, alla ricerca di una voce personale come scrittore, che non venga avvelenata dall’influsso di autori ammirati, come la menzione di Rimbaud lascia intendere. D’altronde, Guibert è un lettore accanito e gli autori che predilige sono resi noti all’interno delle sue opere: basti pensare ai pastiche ispirati alla scrittura di Thomas Bernhard inseriti in À l’ami
qui ne m’a pas sauvé la vie, in cui, per altro, l’influenza dell’autore austriaco viene per l’appunto paragonata a un’intossicazione e a una metastasi, ovvero a una contaminazione della prosa di Guibert (cfr. À l’ami pp.12;162-163;214-217). Se si considerano complessivamente i pensieri formulati da quest’ultimo intorno a Mars, è lecito considerarli come il giudizio di uno scrittore: malato o meno, Guibert si dimostra sensibile alla forma e preoccupato di darne una definita e riconoscibile alla propria prosa, come per preservarla, attraverso la sua caratterizzazione, dal rischio di farsi mera, meschina rimembranza.
Il legame con la malattia non è diretto e appurato, se riferito al momento in cui Guibert redige questa pagina di diario, mentre il richiamo a Zorn appare isolato nell’opera omnia dell’autore francese e Zorn non può essere annoverato, pertanto, tra le penne da cui Guibert
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è influenzato e con cui aspira a gareggiare.26 Resta significativo che un autore comunque non indifferente alla tematica patologica e affascinato dalla morte veda nel testo di Zorn una fastidiosa esattezza che non concede deviazioni rispetto al punto di arrivo fissato dall’inizio. Una ricezione, quella di Guibert, che si gioca tutta sul piano della scrittura.
Dalla datazione più certa è invece un’altra lettura di Mars, avvenuta a pochi anni dalla sua uscita e sullo stesso suolo elvetico:
Heute nachmittag habe ich das Buch von Fritz Zorn, «Mars», gekauft und sehr schnell durchgelesen. Mich interessiert vor allem die Schilderung des fortschreitendes Krebses. Ich habe darüber wenig erfahren, ausser dass man sich in der Metastase windet vor Schmerzen, an die Wände schlägt, brüllt, schreit und weint. Das Buch ist voll von Hass; mit Hass kämpft Zorn um sein Leben, mit Hass gegen seine neurotische Vergangenheit, mit wütendem Hass verfolgt er seine Eltern und die bürgerliche Gesellschaft, aus der er stammt. Gott möchte er in die Fresse hauen, und Jesus möchte er ständig neu ans Kreuz nageln. Zu alldem gibt ihm seine tödliche Krankheit und sein Alter (Tod bei 32 Jahren) das Recht.
Bei mir hat der Tod seine Jugendfrische auch verloren. Ich bin ein ganz anderer Fall, und meine Diktate werden nie zu einem Bestseller. Dass man Gott hassen kann, kann ich verstehen, aber Jesus zu hassen, dazu bedarf es wirklich einer Neurose. Natürlich werde ich damit dem Bericht Zorns nicht Gerecht. Ich versuche es auch nicht, weil es nicht kann.
Völlig klar ist mir geworden, dass eine bestimmte Seite der Zürcher Jugendbewegung ohne das Buch Zorns nicht denkbar gewesen wäre: der hassende, nihilistische Protest, ohne Alternative. (Noll p.50)27
Questo commento è inserito in Diktate über Sterben und Tod (1984), del zurighese Peter Noll. L’opera si presta a fare da contrappunto a quella di Zorn, con il quale Noll condivide la nazionalità, la diagnosi di cancro e il fatto che la pubblicazione del proprio testo sia accompagnata da uno scritto firmato da un autore più celebre. Al contrario di Zorn, tuttavia,
26 Coleen Even identifica un legame sostanzioso tra la scrittura di Guibert e l’opera di Zorn, malgrado lo
svizzero venga citato solo in questo passo del diario di Guibert e non compaia altrove e in nessuna altra opera. L’accostamento risulta pertanto azzardato e giustificato solo dal fatto che entrambi gli autori abbiano fatto esperienza della malattia (cfr. Even p.73;84). Il rischio di stabilire connessioni poco pertinenti, dettate da somiglianze biografiche, è forte quando la scrittura è sensibilmente influenzata dall’infermità. Talvolta, il binomio letteratura e malattia appare così affermato da essere dato per scontato anche dove in realtà è del tutto assente: Carolina Diglio, nella sua monografia dedicata a Guibert, giunge infatti ad affermare che Camus e Barthes sono morti a causa di una patologia, mentre è noto che entrambi sono deceduti per un incidente stradale – Camus al volante, Barthes investito come pedone (cfr. Diglio p.134).
27 «Oggi pomeriggio ho acquistato il libro di Fritz Zorn, Il cavaliere, la morte e il diavolo, l’ho scorso molto
rapidamente. Mi interessava soprattutto la raffigurazione dell’avanzare del cancro. Non sono venuto a sapere molto, tranne che nello stadio metastatico ci si torce dal dolore, si picchia contro le pareti, si urla, si grida e si piange. Il libro è pieno di odio; con odio Zorn lotta per la propria vita, con odio lotta contro il proprio passato nevrotico, con odio perseguita i genitori e la società borghese da cui proviene. Vorrebbe tirare un pugno in faccia a Dio, e Gesù vorrebbe costantemente riconfiggerlo alla croce. Il diritto a tutto ciò gli viene dalla sua malattia mortale e dalla sua età (morire a 32 anni).
Nel mio caso anche la morte ha perduto la sua freschezza giovanile. È un caso completamente diverso, e i miei dettati non saranno mai un bestseller. Posso capire che si possa odiare Dio, ma per odiare Gesù ci vuole davvero una nevrosi. Naturalmente non sto rendendo giustizia al resoconto di Zorn. Neppure ci provo, perché non posso.
Mi è apparso del tutto chiaro che un particolare aspetto del movimento giovanile di Zurigo non sarebbe pensabile senza il libro di Zorn: la protesta nichilista, piena di odio, senza alternativa» (trad. it. pp.43-44).
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Noll si avvale della forma diaristica e racconta i mesi della malattia, con scarse possibilità di guarigione, con un tono di serena consapevolezza e, soprattutto, restando immerso nella vita che ancora gli resta e che decide di dedicare all’attività intellettuale. Noll, infatti, è giurista, docente universitario, autore di alcuni saggi di diritto e appassionato di letteratura, nonché grande amico di Max Frisch, che cura la pubblicazione postuma dei Diktate.28
Nella citazione riportata, Noll, che è affetto da un tumore alla vescica, ricerca in Mars la rappresentazione della patologia nel suo decorso, in modo da essere istruito su ciò con cui dovrà fare i conti. Ma come altri lettori, è deluso dall’omissione delle manifestazioni e degli effetti concreti del cancro.29 Mars si rivela un’opera insoddisfacente ed estremamente lontana dall’esperienza che il giurista sta vivendo. La sua attenzione si sofferma su due aspetti dell’invettiva di Zorn: il violento ateismo e la spietata critica sociale.
La religione e la dimensione collettiva sono questioni che occupano uno spazio considerevole nei Diktate, in cui vengono affrontate con una serena pacatezza estranea a
Mars. Anche la biografia autoriale non è confrontabile con quella di Zorn: Noll è un uomo di mezza età dalla vita attiva e circondato, durante la malattia, da diversi sostegni morali e relazionali. Di conseguenza, lungi dall’essere monotematici, i Diktate trattano argomenti che esulano dalla malattia e dal come ogni giornata sia trascorsa, contenuto a cui si presta, in ogni caso, la redazione quotidiana a cui Noll si sottopone con il suo diario. In particolare, le due riflessioni portate avanti a più riprese nel corso dei Diktate fanno capo alle interpretazioni cristiane della morte e della sofferenza, su cui Noll, figlio di un pastore protestante, si interroga, e ai meccanismi del potere.
28 Ci serviremo d’ora in avanti di questa abbreviazione del titolo. Aggiungiamo che non è esatto dire che Noll scrisse i pensieri che compongono la sua opera, sebbene continueremo a farlo per praticità e perché testuale è la configurazione ultima assunta da questa narrazione. In realtà, come il titolo segnala, le annotazioni raccolte sono state dettate dall’autore e trascritte da una altra persona. Questa procedura, menzionata nel diario, non viene tuttavia motivata, sebbene Noll si riferisca invariabilmente al suo testo impiegando il termine «dettati» (che però sparisce nel titolo dell’edizione italiana Sul morire e la morte). Se sappiamo che Alice James dettò le ultime pagine del suo diario perché nella fase terminale della malattia non era più in grado di scrivere, non possiamo affermare lo stesso di Noll, il quale intraprende la redazione quando è ancora nel pieno delle forze. Non è noto, pertanto, quale motivo sia alla base della registrazione vocale dei suoi pensieri, anche se è lecito considerare questa pratica come un supporto per la successiva dattilografia di appunti scritti che dovevano essere l’originale forma delle riflessioni di Noll. La prefazione ai Mémoires d’un
jeune homme devenu vieux (1993) di Gilles Barbedette rende noto che l’autore, sapendo di non avere ancora molto da vivere, aveva iniziato a registrare la lettura dei suoi manoscritti per facilitare il compito di chi avrebbe dattilografato il testo al suo posto.
29 Italo Alighiero Chiusano, nella sua prefazione all’edizione italiana di Mars, si rammarica di non poter
leggere della prima infanzia di Zorn, che il critico riconosce come poco interessato ai fatti concreti. Analogamente Muschg, introducendo originariamente Mars, aveva messo in luce questo aspetto, indicando, come esempio, il fatto che Zorn non conferisca spessore all’eccezionale, perché unico, litigio tra i suoi genitori, di cui non viene svelata la causa. Stéphane Grisi rintraccia la singolarità dell’opera proprio nelle assenze di cui è costellata e in particolare nella minima rappresentazione medica, in termini di descrizione dei sintomi e dei trattamenti, del problema di Zorn (cfr. Grisi p.140).
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Queste parti saggistiche incluse nei Diktate risentono della scrittura accademica a cui Noll era certamente avvezzo, ma che non costituisce l’ambito in cui si inserisce il progetto in cui è ora impegnato. Quella di una narrazione intimistica è un tipo di pubblicazione in cui il giurista non si era ancora cimentato, per cui il disincanto con cui, nella nostra citazione, prevede che il suo diario, al contrario di Mars, non sarà un bestseller, si deve forse al sottile disagio di non trovarsi nell’abituale perimetro testuale rappresentato dalla saggistica.
Vi è, nella prospettiva offerta da Noll, un forte radicamento nel presente, non stretto, come invece avviene in Mars, tra la morsa di un passato ossessionante e un futuro angosciante. Il presente di Noll non è portato in primo piano semplicemente dalla prosa diaristica che parcellizza il tempo e affronta un giorno alla volta. Né il futuro incerto viene escluso dal pensiero, poiché Noll intende integrarlo, nelle vesti della consapevolezza della morte, nel presente, allo scopo di prepararsi alla fine, sia psicologicamente, prendendo a concepirla come processo naturale e non spaventoso, sia concretamente, predisponendo i dettagli testamentari e relativi al funerale.30 Del fatto che Noll non si estranei dal mondo di cui fa parte, nelle diverse accezioni del termine (come pianeta, come nazione, come città, come comunità professionale e come cerchia affettiva), sono segno le sezioni del testo dedicate all’analisi dell’attualità nei suoi risvolti geopolitici, in cui emerge il permanente interesse di Noll per le sorti della società, una partecipazione che non viene né intaccata né circoscritta dalla malattia. Si noti infatti che nel passo citato Noll non si limita a ricondurre l’opera di Zorn alla propria esperienza, bensì la ricollega, parallelamente, alla protesta dei giovani zurighesi in corso in quel periodo, rintracciandovi un identico odio motivante.
Anche Alain Emmanuel Dreuilhe nel suo Corps à corps (1987) include l’impressione ricevuta dalla lettura di Mars, esprimendo, al pari di Noll, una netta divergenza dal sentire del trentaduenne svizzero. Francese, sebbene trasferitosi da tempo a New York, dove lavora come traduttore, Dreuilhe espone in Corps à corps la sua personale visione dell’Aids, da cui è affetto e di cui presto morirà. Nell’opera viene presa in considerazione sia la prospettiva individuale sulla malattia, basata sulla propria esperienza, sia l’Aids come fenomeno sociale, che contrappone la comunità dei sani a quella degli infettati di cui Dreuilhe fa e si sente parte. Infatti, il nous largamente impiegato, e sin dall’inizio, nel corso
30 Sebbene Noll affermi che sia impossibile vivere nel presente e che, anche di fronte a un evento che accorcia
il futuro, si sia ugualmente legati al passato e all’avvenire, la sua narrazione non si attiene a questa premessa. Infatti, le digressioni sono assai ridotte e il futuro non si traduce solo nell’evocazione di piani e desideri da realizzarsi in un tempo indefiniti, ma maggiormente in atti concreti che Noll mette in pratica di giorno in giorno (cfr. Noll p.18; trad. it. p.16).
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dell’esposizione, esprime il senso di condivisione e la connessione con una catastrofe che non coinvolge solamente il singolo destino individuale. Una simile consapevolezza traspare anche in Zorn, che però la evoca senza svilupparla in un discorso che si allarghi oltre il suo vissuto. Nonostante le velleità rivoluzionarie, Zorn non si fa portavoce degli altri sofferenti che possono aver avuto la sua stessa sorte e si dichiara incapace, di fatto, di preoccuparsi di disgrazie all’infuori della sua. Il «noi» impiegato occasionalmente da Zorn è quello in cui insieme a lui sono compresi i genitori e in cui il suo io viene inglobato in maniera indistinta, poiché conformato al loro modo di essere. Esattamente come la prima persona singolare, anche quella plurale risulta quindi non soggetta a significati prestabiliti e immutabili.31 Oltre che per il soggetto plurale, l’interpretazione che Dreuilhe dà di Mars è all’insegna della metafora bellica che permea interamente il testo sull’Aids:
Fritz Zorn, l’auteur de Mars, a tenu son journal de cancéreux en pacifiste déçu. La guerre qu’il a perdue n’est pas la mienne. Je ne me reconnais pas dans ses luttes d’enfant gâté ni dans son acceptation défaitiste de la maladie: «J’ai perdu la guerre, guerre contre qui au fait? C’est difficile à dire, bien que les mots ne manquent pas: mes parents, ma famille, le milieu où j’ai grandi, la société bourgeoise, la Suisse, le système. Un peu de tout cela est contenu dans ce que j’appellerai