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Individuazione della dominante

“La dominante può essere definita come la componente sulla quale si focalizza l’opera d’arte: governa, determina e trasforma le varie componenti. È la dominante a garantire l’integrità della struttura.”36

Bruno Osimo definisce la dominante come “una componente fondamentale dell’analisi traduttologica, poiché sulla sua individuazione si basano la strategia traduttiva e la decisione di cosa tradurre nel testo e cosa nel metatesto. La dominante del metatesto è scelta anche in funzione del lettore modello”.37

Dalle precedenti citazioni, si intuisce che all’interno del prototesto ci debba essere una sorta di trama o di elemento fondante che deve essere necessariamente mantenuto, in quanto costituisce ciò che riassume il testo e ne dà la ragion d’essere. Detto in altre parole, la dominante è la componente più importante dell’opera, senza la quale tutto il resto perde significato. È inevitabile che traducendo un qualsiasi prodottoci siano alcuni fattori che il traduttore non può assolutamente ignorare e altri che possono essere considerati secondari o trascurabili: i primi costituiscono la dominante o le sottodominanti del prototesto, mentre i secondi formano quello che viene chiamato “residuo traduttivo”.

Leggendo Il racconto del teatro cinese mi sono trovata concorde con Nicola Savarese nel ritenere che

Nonostante l’aspetto visivo e spettacolare non sia affatto trascurato, per lo spettatore cinese l’elemento principale della rappresentazione non riguarda né la messinscena né la perizia mimica degli interpreti: l’aspetto più ammirato, e oggetto di discussione critica, è infatti il canto ed è attraverso il canto che passa anche l’apprezzamento delle altre qualità che pure un attore deve

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Angelo Cardillo, Il linguaggio verbale, Nozioni di metrica italiana, Le figure retoriche, in Strumenti per lo studio della

letteratura italiana, Edisud, Salerno 2003

36 Romàn Jakobsón, The Dominant, 1987 cit. p. 41 37

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possedere, dalla buona presenza scenica all’abilità mimica e acrobatica. In Cina si dice “andare a sentire”, più che “andare a vedere” un’opera.38

Ritengo quindi che la dominante de La sconfinata prateria stia nell’aderenza alla composizione musicale e nel rispetto del ritmo e dei toni. Per quanto riguarda la traduzione delle opere teatrali o di qualsiasi testo musicale, le possibili vie da intraprendere sono tre: la traduzione in prosa, la traduzione in prosa e la sua versificazione oppure la resa di una versione ritmica.

Il primo caso è il più semplice e il più conveniente in termini di tempo e di energie: il traduttore deve cercare per quanto possibile di riproporre la musicalità del testo, ma non deve adattarsi ad esigenze metriche o ritmiche né seguire la musica o la lunghezza dei versi. L’aspetto positivo di questa modalità traduttiva sta nell’esaustività del testo di arrivo, nella maggiore aderenza ai concetti espressi nell’opera originale e nella possibilità di usufruire di un lessico molto più vasto ed adeguato. Tuttavia bisogna tener conto anche dei fattori negativi: come si è detto, l’elemento distintivo dell’opera sta proprio nel canto; ma come potrebbe un pubblico italiano riuscire ad apprezzare la rappresentazione non capendo ciò che viene detto se non seguendo attentamente il libretto e rischiando così di perdere completamente ciò che avviene in scena? Come potrebbero gli attori trasmettere la stessa drammaticità, ritrovandosi davanti un pubblico impegnato più a “trovare la riga giusta” che ad ascoltare il canto? Da un punto di vista musicale, l’opera da me scelta è estremamente interessante in quanto, utilizzando uno stile che unisce le tecniche polifoniche cinesi, le basi delle composizioni musicali europee e il folclore orientale, crea una sinfonia unica che può essere apprezzata solo se eseguita in una lingua che l’audience può comprendere. Allo stesso modo trovo riduttivo optare per la traduzione in prosa pensata solo all’interno di un’antologia: essa perderebbe tutte le importanti caratteristiche musicali e scenografiche che hanno regalato un così grande successo a La sconfinata prateria.

Produrre una cosiddetta “versione ritmica”, come si faceva nel secolo scorso per rappresentare in italiano opere scritte in altre lingue europee, è una pratica ormai vetusta; le ultime traduzioni ritmiche risalgono agli anni Ottanta. Si tratta di un lavoro molto complesso: un gioco ad incastro che deve da un lato tener conto della corrispondenza degli accenti tonici fra musica e parola e dall’altro, ancora più insidioso, l’enfasi che una parola riceve se

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applicata a certe note piuttosto che ad altre. Seguendo questa modalità il traduttore si ritroverà spesso a dover ribaltare la sintassi di una frase affinché una certa parola (e non un’altra) venga a cadere con appropriatezza su una nota specifica; capiterà anche che egli dovrà sdoppiare due note o unirne due sotto un’unica sillaba. Quello che ne risulterà alla fine trasferendo il testo verbale così creato dallo spartito musicale al foglio di carta bianca, saranno però tutt’altro che dei versi.

L’ultima modalità traduttiva, quella adottata, è la versificazione della traduzione in prosa, cioè un adattamento della traduzione allo spartito musicale; è un compromesso tra le due soluzioni proposte in quanto da un lato è musicabile e dall’altro può essere letto anche all’interno di un’antologia. Affinché il metatesto sia corretto ed eseguibile da una compagnia di opera lirica, è necessario che il traduttore confronti il proprio lavoro con lo spartito originale, cercando di piegare il verso da lui proposto alle esigenze ritmiche e modificandolo qualora non rientrasse nella struttura prevista dai compositori. Risulta immediato intuire che questa aderenza alle regole formali crei dei residui traduttologici notevoli dovuti al fatto che la lingua cinese, specie grazie all’utilizzo di espressioni a quattro caratteri, riesce ad esprimere con formule davvero brevi concetti che necessitano di una traduzione particolarmente lunga che, se non adeguatamente modificata o accorciata, sfora la battuta rompendo il ritmo e l’equilibrio musicale. In alcuni esempi che verranno forniti nei paragrafi successivi, si potrà notare che in alcuni casi è stata necessaria una contaminazione tra la strategia appena illustrata e la precedente: di norma ho applicato la versificazione della traduzione in prosa, ma in alcuni punti sono dovuta ricorrere allo sdoppiamento della nota in due valori o all’unione di due sillabe sotto la stessa nota: questa scelta traduttiva è tipica delle versioni ritmiche, tuttavia è risultata necessaria per evitare il rischio di perdere la completezza delle immagini fornite dal prototesto. Ho cercato di ridurre più possibile il residuo traduttologico all’interno delle sezioni parlate dell’opera nelle quali ho potuto mantenere una maggiore aderenza al prototesto.