• Non ci sono risultati.

IV. MOVIMENTO DEL 20 FEBBRAIO IN FRANCIA: I CASI STUDIO DELLE CITTÀ DI MONTPELLIER, PARIGI E LILLE

IV.4. L’individuo nella militanza in seno al Movimento del 20 febbraio dei tre casi studio

Come sembrano mettere in rilievo i profili individuali delle persone militanti all’interno dei tre gruppi osservati durante lo studio sul campo, il percorso personale intrapreso singolarmente verso l’impegno giocherebbe un ruolo fondamentale. Accanto ai vettori tradizionali di educazione e di socializzazione (prima di tutto la famiglia e il sistema educativo, ma anche i media), l’iniziativa e l’inclinazione personale sembrano avere un ruolo preponderante nella formazione militante dei soggetti incontrati. Allo stesso modo, tali persorsi di vita, nonostante la dimensione relativamente ridotta del campione coinvolto nella ricerca empirica e le tensioni esistenti al suo interno, hanno permesso di portare alla luce alcune questioni ideologiche e politiche, di militanza e di formazione.

Tornando al primo aspetto, accanto al percorso formativo prescelto e all’ambiente famigliare in cui ci si è inizialmente confrontati con determinate questioni ideologiche e politiche, sembra che l’impegno e la militanza non siano delle caratteristiche né innate, né tantomeno “praticate” in maniera costante nell’arco della vita. Se nella frase riportata da B. Hibou: «I “dissidenti” in effeti non sono niente di più né di meno che delle persone cui il destino, il caso, la logica delle cose e del loro mestiere, del loro carattere, hanno portato a dire ad alta voce ciò che gli altri di certo non ignorano, ma che non osano affermare»114, si lascia trasparire che

l’essere “dissidente” spesso non è intenzionale, ma deriva dalla presa di posizione individuale, parallelamente si potrebbe affirmare che il militante sia una persona che, una volta riconosciuta l’inadeguatezza di una certa condizione o l’ingiustizia di una data realtà pur condivisa e conosciuta “dagli altri”, agisca per cambiarla. Al destino, al lavoro e al carattere si affiancherebbe dunque la volontà di agire in favore di una determinata causa.

L’aspetto dell’intenzionalità sembra importante da sottolineare in quanto, sebbene sia difficile affermare di scegliere nettamente e ben coscientemente un campo (come dimostrano alcune riflessioni sull’intenzionalismo delle imprese nella Germania nazista e nella Tunisia di Z. El‐ Abidine Ben Ali115), sembrerebbe che ogni azione e decisione quotidiana abbia in fine una

ricaduta politica che rispecchierebbe quindi il posizionamento ideologico prescelto. Come ribadisce la ricercatrice francese B. Hibou, le ragioni che determinano una data presa di posizione sono molteplici: «...i comportamenti sono ampiamente sottomessi agli alea del

114 HIBOU, Béatrice, Anatomie politique de la domination, op. cit., p. 167. Originale in francese : «Les “dissidents” en effet ne sont ni plus ni moins que des gens que le destin, le hasard, la logique des choses et de leur travail, de leur caractère, ont conduit à dire tout haut ce que les autres n’ignorent certe pas mais n’osent pas affirmer». 115 Cfr. ivi, pp. 155‐169.

tempo e della progressività degli obblighi, al funzionamento abituale della vita in società e ai suoi slittamenti impercettibili, negli obblighi come nelle norme in vigore, alle differenze d’interpretazione, al contesto, all’interazione con gli altri, ai conflitti e ai rapporti di forza, a degli avvenimenti della vita privata, al peso diverso degli obblighi politici e sociali, al desiderio di far bene»116.

L’impegno attivista dimostrato dalle persone incontrate nei tre gruppi militanti del M20F in Francia, sarebbe dunque dovuto sia a delle convinzioni ideologiche, sia a delle possibilità “utilitaristiche”di acquisizione pratica di competenze così come ad una cultura alternativa appresa e intrattenuta attraverso l’iniziativa personale di frequentare determinati ambienti e di consumare un certo tipo di produzione culturale (libri, giornali, riviste, ecc.) pur tuttavia restando sottomesso alla variabilità del vissuto personale.

La loro posizione rispetto al regime marocchino e le opinioni critiche rispetto a certi partiti o a determinate ideologie sembra quindi essersi formata non solo attraverso i canali di formazione tradizionali (università in primo luogo), ma soprattutto grazie alla decisione di frequentare alcune strutture informali come sindacati studenteschi, circoli culturali, associazioni militanti, ecc.

Riguardo al secondo aspetto emerso durante l’analisi dei tre gruppi militanti e dei percorsi di vita individuali qui presentati, nonostante il loro numero sia relativamente ristretto, sembrerebbe che l’impatto delle loro azioni sia concreto e incisivo. Come porta alla luce lo studio sul campo di B. Hibou sulla repressione e sulla dominazione in Tunisia attraverso la politica economica117, le politiche attraverso cui lo stato attua il controllo sulla popolazione ed

esercita il proprio potere non sono esterne alla società e imposte da un’amministrazione unica e compatta, ma regolano e interferiscono nella vita quotidiana attraverso le pratiche sociali e l’azione dei numerosi intermediari di tale potere. Sia che quest’ultimi siano consapevoli o meno di agire come mezzi del regime o che gli siano favorevoli o meno, essi ammettono l’esistenza di un determinato formalismo legato alla rappresentazione dell’ideologia (per esempio l’illegalismo, il clientelismo o la celebrazione simbolica del presidente nel caso della Tunisia di Z. El‐Abidine Ben Ali)118.

116 HIBOU, Béatrice, Anatomie politique de la domination, op. cit., pp. 166‐167. Originale in francese: «...les comportements sont largement soumis aux aléas du temps et de la progressivité des contraintes, au fonctionnement routinier de la vie en societé et à ses glissements imperceptibles, dans les contraintes comme dans les normes en vigueur, aux différences d’interprétation, au contexte, à l’interaction avec les autres, aux conflits et aux rapports de forces, à des événements qui adviennent dans la vie privée, au poids différencié des contraintes politiques et sociales, au désir de bien faire».

117 HIBOU, Béatrice, La force de l’obéissance. Économie politique de la répression en Tunisie, Paris, la Découverte, 2006.

Partendo da tale considerazione ed estendendola alla resistenza o all’attivismo, le pratiche giornalirere apparentemente banali, sarebbero cariche di un potenziale politico e sovversivo. Ogni presa di posizione (così come una non‐presa di posizione) dimostrerebbe la comprensione da parte dell’individuo dell’esistenza del formalismo ideologico del potere. Che sia d’accordo o meno con tale potere, anche esprimendo un atto di protesta, l’individuo accetterebbe l’esistenza della realtà del potere e il suo formalismo119. Nel caso del Marocco, la

semplice esposizione della bandiera nazionale sul balcone di casa può dimostrare appoggio alla monarchia, al contrario, le scelte letterario o musicali possono lasciare trasparire una certa ostilità a quest’ultima. Per rivenire ai casi studio del M20F osservato nelle città francesi della ricerca sul campo, i militanti impegnati nei tre gruppi, sebbene relativamente pochi e talvolta in disaccordo tra loro, esprimerebbero tali centralità dell’individuo e importanza delle singole azioni del quotidiano.

Allo stesso modo, i profili esposti supra, lascerebbero trasparire la riproduzione dei rapporti di forza esistenti in Marocco. A prescindere dalle diverse formazioni, esperienze professionali, approcci alla militanza e provenienze sociali, il transnazionalismo dei militanti incontrati avrebbe come effetto la trasposizione all’interno della propria cerchia di conoscenze dei conflitti ideologici esistenti in Marocco. Alcuni dei militanti stessi, durante le interviste, hanno ammesso di sentirsi parte dei dibattiti e degli scontri politici del proprio paese pur essendo da esso partiti120. Anche le posizioni ideologiche di coloro che non appartengono ad alcun partito

lasciano indirettamente trasparire un certo pensiero politico riguardo alla situazione in Marocco.

Tramite l’impegno parallelo in altre organizzazioni transnazionali (AMDH e ATMF) e al Web 2.0 (giornali on‐line, blog, social network, ecc.) l’azione dei militanti incontrati in Francia sembrerebbe avere delle ricadute in Marocco. I dibattiti sono seguiti e alimentati anche dalla Francia (per esempio attraverso Mamfakinch o altri giornali on‐line come Lakome) da alcuni degli attivisti incontrati (Lounis, Nassim, Souhail). L’eco e la risonanza data all’estero attraverso tali gruppi di sostegno o coordinamenti del M20F stesso, sembrano inoltre mantenere una pressione sul regime in Marocco così come sugli agenti di tale potere presenti nelle sedi consolari, nelle ambasciate o nelle associazioni ufficiali (Amicales).

Infine, sebbene poco numerosi, i perscorsi individuali che hanno portato alla militanza osservata in favore al M20F, ma espressasi in passato attraverso l’impegno associativo o tramite la formazione di una certa coscienza critica, sembrerebbero far eco all’importanza

119 Cfr. HIBOU, Béatrice, Anatomie politique de la domination, op. cit., 66‐67. 120 Cfr. allegato n°2, p. 201 e allegato n°6, p. 282.

dell’individuo già emersa nello studio sulle politiche repressive tunisine di B. Hibou, ma riferita in questi casi studio alla trasmissione di una consapevolezza della realtà e di una certa cultura “alternativa” a quella ufficiale necessarie alla militanza per un cambiamento in Marocco.

CONCLUSIONI

Dopo quasi tre anni dalla “primavera araba” e dalla prima manifestazione organizzata il giorno 20 febbraio 2011 dal movimento eponimo, restano ancora da capire la portata e le ripercussioni sociali e politiche di tali eventi. In Marocco, alcuni1 hanno salutato

favorevolmente la nuova costituzione come prova ulteriore del processo di transizione democratica intrapreso dal re Hassan II negli anni '90 e continuato dal successore Mohammed VI, mentre altri2, nei limiti in essa contenuti (primo fra tutti la mancanza di una separazione

dei poteri ancora accentrati nella figura del re), vi vedono la conferma della perpetuazione della logica makhzeniana, essenzialmente anti democratica.

Nel corso della ricerca sul campo e della stesura del presente lavoro si è tentato di analizzare alcuni degli effetti del movimento contestatario marocchino ritenuti rilevanti, ovvero sia la coscientizzazione e il passaggio all'azione militante per una parte della gioventù la quale, non avendo vissuto gli anni ’70‐’80 particolarmente caratterizzati dalla contestazione3, ha

approfittato dell'opportunità della “primavera araba” marocchina per esprimere il proprio scontento, sia il rinnovo della militanza in favore del Marocco per quella generazione partita dal regno maghrebino negli anni ’70‐’80 e stabilitasi nelle città dei casi studio qui presentati la quale aveva rivolto il proprio attivismo a cause più locali. Questo nuovo impulso all'azione militante rappresentato dal M20F sembra essere andato ugualmente a favore di alcune delle associazioni presenti in Francia in cui i militanti si sono ripiegati nella fase decrescente del Movimento, nello specifico dei casi studio presentati sembra aver provocato un certo ricambio generazionale all'interno dell'AMDH (Association Marocaine des Droits Humains). Un terzo aspetto del M20F ipotizzato poi emerso durante l'elaborazione di questa tesi di laurea è il transnazionalismo come caratteristica imprescindibile dell'universo sociale contemporaneo ormai sempre più globalizzato in cui il movimento sociale marocchino si è strutturato. 1 Cfr. FERRIÉ, Jean‐Noël, DUPRET, Badouin, La nouvelle architecture constitutionnelle et les trois désamorçages de la vie politique marocaine, op. cit., pp. 25‐34.

2 Cfr. TOURABI, Abdellah, Réforme constitutionnelle au Maroc: une évolution au temps des révolutions, «Arab Reform Iniziative», novembre 2011; http://www.arab‐reform.net/constitutional‐reform‐morocco‐reform‐times‐ revolution.

3 Si pensi all'anno 1975, caratterizzato dalla scissione UNFP/USFP e dal caso M. Ben Barka o alla repressione dei vari gruppuscoli di esterma sinistra gravitanti attorno alla sfera nazionalista e socialista oppure ai “moti del pane” di Casablanca del 1981. Sebbene anche negli anni ’90 o 2000 si sia assistito a delle mobilitazioni massive, per esempio contro l'intervento militare in Iraq, in favore della causa palerstinese o le manifestazioni dei diplômés chômeurs, il ventennio precedente è contraddistinto da una repressione del regime particolarmente violenta (vedi processi di Kenitra – 1973 – o di Marrakech – 1970 e 1973 – e le conseguenti condanne a morte o a perpetuità o le “disparizioni” dei dissidenti politici).

La problematica principale che ha stimolato il lavoro attorno ai casi studio esposti, ossia quali sono le motivazioni che hanno portato all'organizzazione di gruppi di sostegno o coordinamenti veri e propri del movimento marocchino all'esterno del confine nazionale, ha richiesto, nel corso dell'avanzamento dell'indagine, la formulazione di due ipotesi principali come il fatto che la militanza per il paese di origine agisca, perlomeno nei casi studio affrontati, come strategia di socializzazione all'interno della rete di militanti (attivandosi per la causa marocchina si rinnovano i legami culturali con il paese d'origine e si rinforzano le relazioni con gli altri compatrioti presenti nella città di residenza con i quali si condividono gli stessi valori) e che le esperienze estere del M20F ne rivelino il transnazionalismo piuttosto che essere manifestazioni di un sostegno ad un movimento strettamente nazionale.

I primi interrogativi sollevati per cercare di comprendere le ragioni della mobilitazione in seno al M20F dalla Francia riguardano il contesto di potere entro cui le proteste hanno preso forma. La motivazione primordiale è stata infatti ricercata nell'oggetto verso cui la contestazione è stata diretta per poter successivamente trovare in tale bersaglio il movente della militanza dei marocchini residenti all'estero. Piuttosto che focalizzare lo scontento contro una persona o un'istituzione in particolare, i manifestanti del M20F hanno rivolto il proprio scontento contro un intero sistema. Gli slogan ad personam (per esempio contro F. el‐ Himma, M. el‐Majidi o la famiglia el‐Fassi Fihri) così come le critiche rivolte indirettamente al sovrano (attraverso la condanna delle sacralità)4 fanno riferimento al makhzen come visione e

modo di amministrare il potere. Come esposto nel primo capitolo di questo lavoro, tale termine definisce in Marocco una concezione ed una forma di potere storicamente incompatibile con i valori democratici in quanto derivante dalla pratica tribale in cui il potere è basato sulla lealtà ed il rispetto piuttosto che sulla volontà popolare ed è legittimato dal sacro e dalla dominazione fisica (i conflitti nel territorio dissidente sono risolti attraverso le

harka, ةكرح, spedizioni punitive) come economica (il territorio assoggettato era tenuto a

pagare un tributo all'amministrazione centrale) piuttosto che essere basato sul diritto positivo.

Intrattenuta dalle potenze straniere durante il periodo del protettorato e salvaguardata attraverso l'imposizione della figura del sovrano rispetto ai partiti politici (primo fra tutti l'Istiqlal) nel Marocco indipendente5, la logica makhzeniana rappresenterebbe l'oggetto delle proteste del M20F. 4 Cfr. CHAPOULY, Romain, op. cit., pp. 90‐91. 5 Cfr. CATUSSE, Myriam, Au‐delà de «l’opposition à Sa Majesté»: mobilisations, contestations et conflits politiques au Maroc, op. cit., pp. 33‐35.

In quanto elemento astratto, seppur concretizzato spazialmente, il makhzen stesso è indipendente da un dato territorio. La lotta dei militanti fevrieristi all'esterno del regno maghrebino è dunque diretta contro tale mentalità che, come tale, è radicata in delle pratiche sociali e necessita di tempo e di un lavoro di sensibilizzazione per evolvere. Come è stato messo in risalto nel terzo capitolo, alcune delle azioni militanti organizzate in Francia hanno avuto luogo proprio nei posti dove tale concezione è simbolicamente rappresentata, ossia le sedi extra‐territoriali del potere come i consolati presenti a Montpellier e Lille o l'ambasciata marocchina a Parigi o Bruxelles. Il sistema makhzeniano persisterebbe anche nella visione trasmessa all'estero dalle emanazioni di tali organi ufficiali, prime fra tutte le associazioni culturali legate ai consolati (le Amicales), ma anche da altre associazioni o gruppi sociali che condividerebbero l'immagine di un Marocco plurale, in via di democratizzazione e stabile sia economicamente che politicamente diffusa dalla propaganda marocchina e contestata dal M20F in quanto evoca una rappresentazione del regno da “cartolina”6 in netto contrasto con

la realtà.

Questo primo elemento permetterebbe di comprendere le ragioni di una mobilitazione esterna ai confini nazionali. Durante l'elaborazione del soggetto della presente tesi di laurea, uno degli interrogativi posti riguardava le motivazioni che spingono ad un impegno per una causa delle cui ricadute “geografiche” non si beneficerà direttamente. La lotta ideologica contro il makhzen, concentrata verso tale concezione riscontrabile al di fuori dei confini nazionali piuttosto che contro la persona del re o un'istituzione particolare e locale, sembrerebbe chiarire un primo punto riguardo alla militanza nelle forme prese dal M20F in Francia.

La nozione di transnazionalismo dei migranti concepita da N. Glick Schiller, L. Basch e C. Zanton Blanc7 è stata applicata ai casi studiati relativamente al campo del movimento sociale

M20F e a quello associativo dell'AMDH e dell'ATMF in quanto spazi sociali della militanza nei quali i migranti incontrati esercitano il legame fra paese di provenienza e paese di accoglienza e in cui i migranti negoziano e ricostruiscono la propria identità (di migrante, di militante,

6 Cfr. la presentazione del M20F messa a disposizione sullo stand durante il convegno della coalizione Front de

Gauche a Montepellier l'11 aprile 2013, volantino n°1, p. 437: «Loin de la carte postale “Maroc pays du Soleil et des plages dorées”, les marocains se soulèvent pour réclamer leurs droits à la Dignité, Liberté et Justice sociale: Le mouvement du 20 février est né!».

7 Cfr. GLICK SCHILLER, Nina, BASCH, Linda, SZANTON BLANC, Cristina, op. cit., p. 1: «We have defined transnationalism as the processes by which immigrants build social fields that link together their country of origin and their country of settlement. Immigrants who build such social fields are designated “transmigrants.” Transmigrants develop and maintain multiple relations – familial, economic, social, organizational, religious, and political that span borders».

incentrata sulla professione o sul paese di origine, ecc.) e appartenenza culturale (marocchina, berbera, franco‐marocchina o francese, marxista‐leninista, democratica, “umanista”, ecc.). L'ipotesi del transnazionalismo è stata ugualmente confermata nell'attivismo rilevato nei militanti durante la ricerca qualitativa, anch'esso transnazionale secondo la teorizzazione di S. Tarrow8 e di J. Dahinden9. Il vissuto migratorio e l'esperienza militante di una parte delle

persone intervistate (soprattutto i più giovani, ma anche Omar e Jamil fra i “vecchi” militanti) sarebbero infatti caratterizzati da una mobilità geografica piuttosto regolare sia all'interno dei confini francesi che diretta all'esterno, nello specifico verso Belgio e Marocco. La mobilitazione massiva iniziale, inoltre, è stata fatta attorno a delle rivendicazioni riguardanti la situazione del Marocco così come dei valori universali. Il fatto che le richieste siano state in seguito decostruite e adattate ai contesti locali di Montpellier, Lille e Parigi secondo il processo dello scale shift10, farebbe del M20F un movimento sociale con delle caratteristiche

transnazionali.

Tali aspetti riscontrati nei soggetti intervistati e durante l'analisi del M20F sarebbero fondamentali per capire le motivazioni dell'attivismo per il Marocco dalla Francia. Se gli individui impegnati sono dei militanti transnazionali, attivisti di una causa che contiene rivendicazioni universali dunque potenzialmente transnazionale e contro una concezione astratta concretizzata in Marocco come in una certa mentalità riscontrabile dovunque ci sia una comunità diasporica marocchina e, infine, tenuto conto dell'organizzazione della prima manifestazione e della nascita stessa del Movimento avvenuta in rete (spazio sopranazionale) grazie ai contributi di marocchini basati in Marocco come all’estero (dimensione transnazionale), allora il fattore geografico in cui concretizzare l'impegno in favore del M20F sarebbe irrilevante.

Attraverso le interviste qualitative e la partecipazione in seno ai tre gruppi di militanti è stato possibile riscontrare che anche coloro che si sono trasferiti in Francia stabilmente mantengono un legame forte con il Marocco sia tramite viaggi abbastanza regolari che sul piano affettivo e sentimentale e fanno prova, soprattutto nella militanza all'interno del M20F, di una forte identità e appartenenza culturale marocchina. Le politiche migratorie restrittive e l'ascesa ciclica dell'intolleranza verso gli “stranieri” causata dal periodo attuale di relativa

8 Cfr. TARROW, Sidney, op. cit., p. 29: «Transnational activists are a subgroup of rooted cosmopolitans, whom I define as people and groups who are rooted in specific national contexts, but who engage in contentious political activities that involve them in transnational networks of contacts and conflicts. What makes them different from their domestic counterparts is their ability to shift their activities among levels, taking advantage of the expanded nodes of opportunity of a complex international society».

9 DAHINDEN, Janine, op. cit., pp. 51‐71. 10 Cfr. TARROW, Sidney, op. cit., p. 121.

recessione economica associata ad un governo socialista11, come illustrato nel terzo capitolo

di questa tesi, sembrerebbero provocare un maggiore attaccamento al proprio paese d'origine. Il fatto che, stimolato dagli eventi tunisino ed egiziano, il M20F abbia dato l'impressione che «Il sogno di un Marocco democratico, moderno e prosperoso, non [sia] più un'utopia»12, sembrerebbe favorire il senso di appartenenza marocchina e dargli più valore. I

militanti, in particolare quelli di Montpellier e Parigi, hanno riportato nel corso delle interviste che nel 2011 sono stati sollecitati dalle associazioni, dai partiti e da altre organizzazioni francesi e straniere presenti nelle rispettive città, riguardo all'evoluzione delle contestazioni marocchine13. Nonostante il M20F nel corso del 2012 abbia perso d'intensità (e

dunque in parte d'interesse), la rete di contatti delle organizzazioni che hanno seguito gli sviluppi del Movimento potrebbe aver giocato da stimolo sia al proseguimento delle attività militanti (l'interessamento di un'organizzazione esterna stimolerebbe le azioni) che per quanto riguarda l'acquisizione di certe competenze pratiche che la relazione con tali strutture esterne comporta (presentare il M20F in pubblico, redigere un comunicato di sostegno,