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INDIVIDUO E POLITICHE DELLA FORMAZIONE

Nel documento Liberare la domanda di formazione (pagine 51-53)

La politica della formazione

INDIVIDUO E POLITICHE DELLA FORMAZIONE

Il fatto stesso che esistano o debbano esistere le politiche della formazione costituisce il risultato di una evoluzione frutto di due secoli di conflitti sociali e delle aspirazioni delle classi lavoratrici. La costruzione del welfare della formazione originariamente è stata ostacolata dalle politiche dello Stato liberale che tendevano a ridurre al minimo le sue interferen- ze nella vita economica e sociale dal momento che conside- ravano la formazione come parte delle responsabilità indivi-

imposte risulta poi responsabile del proprio itinerario di vita. Da qui anche l’importanza del livello di risorse istituzionali (diritti umani, formazione e welfare in generale) che possa- no compensare le contraddizioni della società moderna. La nostra condanna ad essere costantemente attivi, a prendere nelle nostre mani il nostro futuro, ad assumere ogni sorta di responsabilità è il frutto del fatto che in questo quadro ogni fallimento diviene, comunque, un fallimento personale, un rischio della nostra vita: la povertà (anche se endemica), la disoccupazione (anche se strutturale), l’insuccesso scolasti- co (anche se generalizzato all’interno di alcuni strati di po- polazione), etc. Gli eventi della nostra vita sono attribuiti non a cause esterne, ma alle nostre decisioni o indecisioni, alle omissioni, alle capacità o incapacità, ai pregi o difetti. Non più il fato o interpretazioni religiose liberano l’individuo dalla piena responsabilità delle proprie azioni. Non ci aiuta- no neppure precedenti modelli storici di vita, la nostra vita è una vita che obbliga a sperimentare le soluzioni che ci ten- gano lontani dai rischi. Una vita riflessiva – la gestione di informazioni contraddittorie, il dialogo, la negoziazione, etc. – l’autorealizzazione e l’autodeterminazione non sono sola- mente fini individuali, ma sociali. La distinzione individuale appare per la prima volta attraverso la combinazione delle crisi sociali in cui gli individui sono forzati a pensare, ad agi- re a vivere. La stessa struttura sociale appare assieme ad una continua differenziazione e individualizzazione. Anche le più tradizionali condizioni di vita divengono dipendenti dal- le decisioni adottate, difese e giustificate contro altre opinio- ni e vissute come rischio personale (Beck:170). La nuova “essenza dell’individualità” si profila così in termini di “non- identità radicale”, di vite non identiche. Tutto questo rende inadeguato il concetto ed il modello di democrazia costitui- tosi nella prima modernità, nuove prospettive di partecipa- zione e auto organizzazione si profilano. Se nel vecchio si- stema di valori il sé doveva essere subordinato ai disegni

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storicamente”. Già nei Grundrisse Marx (Marx, 1976:6) aveva notato come:

Più torniamo indietro nella storia, e più l’individuo, e quindi anche l’individuo che produce, ci appare non autonomo, parte di una totalità più vasta: dapprima ancora in modo del tutto na- turale nella famiglia e nella famiglia allargata a tribù; più tardi nella comunità, sorta dal contrasto e dalla fusione delle tribù, nelle sue diverse forme. Solo nel XVIII secolo, nella “società ci- vile”, le differenti forme dei nessi sociali si presentano al singo- lo come un puro mezzo per i suoi fini privati, come una neces- sità esteriore. Ma l’epoca che crea questo modo di vedere, il modo di vedere del singolo isolato, è proprio quella dei rap- porti sociali (generali per questo modo di vedere) finora più sviluppati. L’uomo è nel senso più letterale del termine (...) un animale che può isolarsi solo nella società.

Dal disprezzo dell’individuo – considerato come compor- tamento deviante o da evitare – si è passati a guardare al- l’individualizzazione come condizione dell’esistenza uma- na (Beck:2000). La società moderna non integra più le per- sone nel loro insieme, ma solo nei loro aspetti parziali, co- me consumatori, elettori, automobilisti, pazienti, etc. e solo temporaneamente. La continuità fra i diversi momenti della vita è posta nelle mani degli individui (Beck, 2000:165). Al- lo stesso tempo però la vita degli individui è in modo estensivo sottoposta ad un’enorme e crescente giungla di norme tendenti a regolare ed a standardizzare le vite perso- nali. Ma si tratta di regole e norme che puntano sempre più sulla domanda agli individui o l’obbligo di organizzare e di gestire in modo autonomo la propria esistenza, regole e norme che rispecchiano una nuova forma di “individuali- smo istituzionale” (Beck:166).

Pertanto, le biografie standardizzate, determinate dal- l’“individualismo istituzionale” divengono biografie elettive dal momento che è l’individuo, che nel rispetto delle regole

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Il modello di democrazia ha un peso sul valore e l’utilità di ogni ulteriore riflessione. Se i concetti chiave della demo- crazia: libertà e autonomia, eguaglianza, rappresentanza, re- gole della maggioranza, cittadinanza non sono implementati le condizioni di ogni politica dell’educazione necessaria- mente ne risentono.

Lo stesso va detto rispetto alle forme generali di Stato attra- verso cui gli interessi collettivi sono impersonati, diretti e am- ministrati. Le soluzioni che stiamo ricercando con questo stu- dio variano notevolmente a seconda che ci muoviamo all’in- terno del paradigma “liberale” o di quello “repubblicano”, op- pure, se, come anche Habermas ha cercato di fare (1996:21 e segg), ci spingiamo alla ricerca di nuove concezioni.

Nel modello liberale il processo democratico si traduce nell’attribuzione al governo ed allo Stato dei compiti di pro- grammazione degli interessi di una società intesa come mer- cato di reti di interazioni tra privati. In quello repubblicano, accompagnato da una filosofia dell’educazione di tipo co- munitario, la politica va oltre le funzioni di mediazione, essa incarna il processo costitutivo della società nel suo insieme.

La politica è concepita come la forma riflessiva di una sostan- ziale vita etica, mezzo attraverso cui i membri di qualunque co- munità isolata divengono consapevoli della loro dipendenza reciproca e, agendo deliberatamente come cittadini, formano e sviluppano le relazioni esistenti in una associazione di conso- ciati liberi ed eguali nel rispetto delle leggi. (ivi)

In entrambi i modelli la visione della società è centrata sul ruolo dello Stato visto come guardiano della economia di mercato nel modello liberale, o come autocoscienza istitu- zionalizzata di una comunità etica nel modello “repubblica- no”. È all’interno di questo modello, e delle sue ibridazioni con il modello liberale, che in termini più integrali si svilup- pa la concezione e la pratica di uno Stato etico, al cui servi- zio è sottoposto ogni individuo.

della collettività, il nuovo “noi” può avvicinarsi invece ad un individualismo altruistico e cooperativo.

Vivere da soli significa vivere socialmente: “Living alone means living socially” è la conclusione di Beck (171), apren- do così anche il problema della definizione dei modi del vi- vere sociale degli individui e, in particolare, delle nuove for- me di rappresentanza nella democrazia della seconda mo- dernità, di quelle che la Wainwright definisce istituzioni informali. Senza queste, come mostra Putnam a conclusio- ne della sua analisi del processo di declino del capitale so- ciale degli USA, le persone sono costrette a “bowling alone” (Putnam, 1998:290).

Si pone dunque il problema dell’adeguamento delle po- litiche educative, nate nella prima modernità, alle nuove condizioni di vita delle persone e del loro riorientamento verso la piena autorealizzazione individuale, in una pro- spettiva che può tradursi nell’individualismo altruistico e solidale di Beck, ovvero nella gramsciana società organiz- zata che si educa.

LO STATO ETICO E LA FILOSOFIA COMUNITARIA

Nel documento Liberare la domanda di formazione (pagine 51-53)