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LE MISURE DELLA POLITICA

Nel documento Liberare la domanda di formazione (pagine 69-72)

per la liberazione della domanda di formazione

LE MISURE DELLA POLITICA

Una politica della formazione – della domanda e dell’offerta – definisce gli obiettivi, i compiti e le misure attraverso cui at- tuarli. Le misure hanno per oggetto i diversi fattori su cui la politica ha deciso di agire (il ruolo dei diversi attori, i costi della formazione, l’attività, le sedi, i contenuti, etc.). La politi- ca oltre a disporre le misure da attivare, le loro componenti ed il loro dimensionamento, definisce anche il modello di interazione tra le diverse componenti (soggetti – istituzioni, organizzazioni, individui – e risorse – umane, finanziarie, materiali). Il modello di interazione si traduce poi in concreti strumenti – normativi, finanziari, etc. – attraverso cui una po- litica viene attuata. È attraverso questi strumenti che poi si dà luogo a progetti e azioni indotti dalla politica, i veri e propri interventi.

Il concetto di misura è ampiamente utilizzato nel campo delle politiche del lavoro per identificare i dispositivi attra- verso cui si attuano interventi finalizzati ad accrescere la fles- sibilità del mercato del lavoro, il sostegno al reddito dei di- soccupati, etc. Esso è stato utilizzato anche nei Regolamenti e nei documenti di programmazione del FSE, dove la “misu- ra” è considerata come “lo strumento tramite il quale (una priorità) trova attuazione su un arco di tempo pluriennale e che consente il finanziamento delle operazioni”.

Le misure possono essere distinte a seconda delle fun- zioni principali loro attribuite. Le funzioni di una singola mi- sura sono determinate dalla politica da cui essa è adottata: ciò significa che, ad esempio, il voucher non è una misura oligopolio, perché nessuna di queste forme di mercato può

favorire l’espansione della domanda e dell’offerta. In questi regimi, è noto, la quantità offerta è sempre minore rispetto a quella che si può incontrare in regimi di libera concorrenza ed i costi per unità di prodotto sono di norma più elevati.

Le politiche di orientamento del mercato della formazio- ne possono essere distinte a seconda che operino – princi- palmente – su una delle due componenti fondamentali: la domanda o l’offerta di formazione.

La politica dell’offerta mira ad influenzare il livello della produzione di beni e servizi formativi. Essa è costituita dal- l’insieme delle misure volte, ad esempio, a dinamizzare l’ini- ziativa di scuole, agenzie, imprese formative accrescendone la redditività attraverso la riduzione delle spese a loro carico (finanziamenti, accesso al credito, riduzione delle tasse, etc.) e attraverso regolamentazioni loro indirizzate.

Con la politica della domanda di formazione si cerca di influenzare il livello di spesa nel mercato della formazione sia da parte delle istituzioni che dei privati. Ciò si ottiene agendo su più fattori e condizioni: il danaro, i tempi, i pote- ri, etc. Attraverso la politica della domanda si può agire più direttamente per la correzione dei difetti del mercato, per la progressiva creazione di maggiori livelli di equità e per il perfezionamento del sistema formativo. Essa ha anche la funzione di garantire condizioni di sviluppo dell’offerta for- mativa e di sostenibilità, ovvero di equilibrio all’interno del mercato della formazione ed ancora di equilibrio tra gli in- vestimenti in questo bene e gli altri beni e settori dell’eco- nomia.

Anche se possiamo analizzare distintamente la politica dell’offerta e la politica della domanda, va tenuto presente che esse sono complementari: ogni politica dell’offerta ha il suo tipo di politica della domanda e viceversa. Se attuiamo una politica dell’offerta volta al rilancio degli investimenti ed

zioni tra le diverse componenti di un contesto (persone, se- di, testi, etc.). Le regole che hanno peso determinante sulle altre sono quelle di tipo distributivo. Con le regole distributi- ve si determina chi può trasmettere cosa, a chi ed a quali condizioni e, inoltre, chi può avere l’accesso al “pensabile” ed all’“impensabile”, ovvero tra quanto è già riprodotto e prevedibile nei suoi effetti e quanto invece ha il carattere del probabile ed implica processi innovativi all’interno dell’im- presa, di una associazione, di un qualunque contesto. In ulti- ma analisi, le regole distributive, oltre all’accesso, “controlla- no le possibilità dell’impensabile e chi può pensarlo”.

Vi sono poi le regole di ricontestualizzazione attraverso cui si determina il processo di acquisizione di conoscenze, competenze, saperi, ovvero le caratteristiche del contesto in cui un soggetto può entrare in rapporto con i contenuti del- la propria formazione. Tale processo presiede ad una fun- zione essenziale: l’innesto del contenuto formativo “su un discorso regolativo che lo domina, lo ricontestualizza all’in- terno di un ordine, di relazioni e identità prestabilite”. Ap- prendere a fare il falegname in una bottega artigiana o in un laboratorio scolastico è altra cosa. La differenza qui è identi- ficabile nel sistema di ruoli e poteri che sovrintendono il processo di acquisizione di competenze (che “non sono una funzione di questa logica di trasmissione, ma qualche cosa essenzialmente creato per l’ordine morale, per il di- scorso regolativo”). Le misure definiscono quindi le regole in base alle quali si determina cosa un soggetto può ap- prendere ed il tipo di relazioni cui deve sottostare per rice- vere quel bene o servizio (accettazione di determinate rela- zioni di autorità, di regole connesse ai luoghi o alle infra- strutture utilizzate, etc.).

Infine, il dispositivo è composto dalle regole valutative che sono identificabili con i principi che regolano la pratica formativa. Esse assolvono alla definizione di:

• modi di elaborazione dei contenuti formativi;

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“neo liberale” di per sé, ma la sua funzione dipende dalla politica, ovvero dall’insieme di misure cui essa è collegata. In questo senso, pare più corretto rinviare alle funzioni che una politica tende a svolgere e che secondo Musgrave (Greffe, 1997:126) possono essere ridotte alle seguenti: 1. allocazione di risorse, volte a correggere equilibri parzia-

li, laddove si verifichi l’inesistenza di allocazioni private (ad esempio la mancanza di una offerta formativa ade- guata in risposta ad una domanda potenziale esistente); 2. stabilizzazione, ovvero di correzione dell’equilibrio gene-

rale (insufficienza di skilled workers, bassi livelli di com- petenza della popolazione, deficit di competenze scienti- fiche, etc.);

3. re-distribuzione, volte a correggere la dinamica del mer- cato ed evitare il cumulo ingiustificato delle ineguaglian- ze di partenza (l’esclusione dalla formazione di soggetti meritevoli, etc.).

La necessità di combinare i diversi tipi di interventi dà luogo all’aggregazione di più misure. Una borsa di studio è una mi- sura semplice, ma essa è aggregata quando, ad esempio, è inserita in un complesso di misure coerenti e correlate (pre- stiti di studio, alloggi, etc.) che assieme compongono la poli- tica del diritto allo studio universitario. Gli effetti specifici di una misura sono determinati dalle correlazioni che essa ha con le altre misure.

Come dicevamo, una misura va a determinare il modello di interazione tra le diverse componenti di una situazione: la formazione del top management di un’impresa o di disoccu- pati. Per svolgere queste funzioni le misure intervengono su il dispositivo formativo agente all’interno di ogni tipo di con- testo formale, non formale e informale: luogo di lavoro, cen- tro di formazione, centro per l’impiego (Bernstein:1990).

Con il concetto di dispositivo formativo identifichiamo le regole esplicite ed implicite che regolano, appunto, le rela-

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economica nazionale con cui si valuta il benessere econo- mico di una nazione è stata introdotta solamente verso la metà del XX secolo). In alcuni Stati il governo della materia si realizza ancora attraverso la definizione di orientamenti generali, l’enunciazione di auspici la cui correttezza non è mai empiricamente dimostrata – anche per responsabilità del colpevole ritardo della ricerca in materia di economia e di politiche dell’educazione. È solamente grazie all’opera di organismi internazionali che si sono introdotte prassi di

benchmarking tra Stati, strutturate, ad esempio, nel Metodo

aperto di coordinamento tra i paesi dell’Unione Europea, che ha iniziato ad aprire nuove prospettive alla gestione ra- zionale delle politiche della formazione (European Com-

mission:2005). E ciò è avvenuto sulla scia di quanto già av-

viato prima dall’Unesco (Unesco, 1980 e 1990; Bélanger, Fe-

derighi:2000) e poi dall’Ocde (1996 e 2005), dalla Banca

Mondiale (World Bank:2002) e dall’Ilo (2003).

In conclusione, vista la complessità della materia, in que- sta sede ci limiteremo alla presentazione di una politica di sviluppo della propensione al consumo, assumendo l’ipote- si che essa possa essere realizzata se accompagnata da misu- re che intervengano sulle diverse fasi del processo di consu- mo (cfr. Capitolo 2) ed agiscano quindi sui fattori che deter- minano per gli individui e le imprese le possibilità di: • espressione della domanda di formazione;

• accesso all’offerta formativa; • permanenza nella formazione;

• garanzia dei benefici della formazione stessa.

Lasciamo, invece, agli studi di economia della formazione il compito di misurarne la rispondenza rispetto ai criteri sopra enunciati, un compito difficile, ma utile se affrontato tenen- do conto di tutte le variabili e di tutte le prospettive e se svol- to con continuità accumulando nel tempo dati provenienti da un numero sempre più esteso di realtà nazionali e locali. • tempi in cui i processi debbono svolgersi e gli spazi adibi-

ti a tale scopo;

• condizioni di acquisizione del bene formativo; • criteri, oggetti e modalità di valutazione.

Si badi bene, queste norme si riscontrano con facilità all’in- terno dell’educazione formale, ma esse operano allo stesso modo anche nell’educazione informale, nei processi educa- tivi che si sviluppano nel rapporto medico-paziente all’inter- no di un ambulatorio medico per quanto concerne l’educa- zione alla cura della propria salute (rapporto con l’autorità, accesso alle informazioni relative alla propria salute, com- prensione delle ragioni connesse all’uso dei farmaci, rappor- ti con il personale ausiliario, etc.).

Una misura è, dunque, una componente delicata e com- plessa delle politiche al cui interno si ritrovano, di norma, tutte o gran parte di queste regole e delle loro componenti (dai destinatari, agli obiettivi, alle responsabilità di attuazio- ne, alle procedure, ai tempi di attuazione, alle sedi incarica- te, agli investimenti, alle modalità di monitoraggio e valuta- zione).

Assumere la misura come unità minima per la costruzio- ne di una politica ci aiuta ad isolare le singole regole del di- spositivo che essa va a costruire e dovrebbe facilitarne la va- lutazione degli effetti, sia a livello di specifiche misure che di loro combinazioni.

Adottare questa ottica significa prepararsi a compiere un salto epocale visto che ancora oggi quello che prevale nel

policy making è la logica dello “spray and pray”, del co-

spargi risorse e regole e prega, nella speranza – anche sin- cera – che prima o poi si raccolgano risultati di qualche na- tura. Ad eccezione di pochi paesi al mondo, nei più non c’è una valutazione ex ante dell’impatto delle politiche e la va- lutazione ex post è rimandata ai posteri, manca la contabilità educativa nazionale (ma è anche vero che la contabilità

di educazione informale che agiscono in tali ambiti al fine di ridurre l’azione dei fattori che danneggiano la crescita intel- lettuale delle persone e che riducono le potenzialità degli in- dividui di esprimere una domanda di formazione. In senso lato, rientrano tra tali politiche tutte quelle che sono volte al- la umanizzazione del lavoro e della vita quotidiana (compre- se le politiche di genere, di razza, etc.). In senso stretto, si può far riferimento anche a quelle politiche che introducono misure tese a gestire la dimensione educativa dei diversi tipi di contesto.

Le misure relative possono essere distinte a seconda che riguardino:

• la gestione delle relazioni educative nel luogo di lavoro (ad esempio i percorsi di ingresso dei nuovi assunti, le re- lazioni gerarchiche, la partecipazione alle decisioni, op- pure, la partecipazione allo sviluppo delle carriere indivi- duali, etc.) o nella società (ad esempio l’accessibilità e la qualità educativa delle reti sociali);

• il controllo collettivo delle dinamiche educative in atto al- l’interno dei contesti affidato agli stessi partecipanti (le commissioni miste, oppure, come nel caso della salute nei luoghi di lavoro o dell’apprendistato, o delle pari op- portunità, a particolari figure “specializzate”: il Responsa- bile alla sicurezza, il Tutor aziendale, la Commissione per le pari opportunità). Talvolta è prevista anche la presenza di soggetti esterni rappresentanti delle istituzioni pubbli- che (le ispezioni delle autorità sanitarie nel caso della si- curezza nei luoghi di lavoro che dovrebbero intervenire per valutare non solo il rispetto degli adempimenti for- mali, ma l’effettivo raggiungimento di un adeguato livello di cultura della sicurezza tra i lavoratori dipendenti). In al- tri casi ancora è previsto il controllo di un soggetto indi- pendente cui le organizzazioni di ogni tipo aderiscono su base volontaria ed a cui è affidata la certificazione del ri- spetto di alcuni standard. Ci riferiamo, ad esempio, al mo-

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LE MISURE PER L’ESPRESSIONE

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