La politica della formazione
WELFARE E FORMAZIONE
Il modello di welfare affermatosi nel corso del XX secolo nel campo dell’istruzione, della sanità, della previdenza si è pro- posto come sistema di distribuzione delle ricchezze a com- pensazione delle disuguaglianze proprie della componente capitalistica della società. Rispetto alla formazione questo modello si è realizzato solo in parte e limitatamente ad alcu- ni strati sociali. Da qui l’esigenza di individuare i modi in cui sociali di diversi decenni ed ha visto le prime realizzazioni si-
gnificative in termini di estensione del diritto alla formazione solo nella seconda metà del XX secolo ed ancora per una li- mitata percentuale della popolazione mondiale, visto che nel 2010 saranno ancora più del 15% gli analfabeti nel mon- do (Unesco-UIS).
Nei paesi sviluppati il problema si presenta con nuove connotazioni nel momento in cui, dopo la conquista della scuola di massa, si profilano i limiti di questa politica che, anche quando raggiunge alti livelli di investimenti pubbli- ci, si rivela incapace di assicurare un’uguaglianza formativa reale in termini di competenze possedute – si pensi ai risul- tati delle valutazioni della ricerca PISA che mostra la man- canza delle competenze di base tra almeno un quarto dei quindicenni dei paesi industrializzati (Oecd:2004) – oltre che di effettivo esercizio del diritto (si pensi all’elevato nu- mero di drop out e al persistere di bassi livelli di istruzio- ne). A queste ragioni, si aggiunge l’effetto dell’espandersi dell’utilizzo della formazione quale strumento di competi- zione, di aumento delle differenze e, quindi, di creazione di nuove forme di esclusione formativa a danno di cittadini e di imprese.
Le forme acquisite di diritto alla cittadinanza nella for- mazione non garantiscono i risultati attesi, i cittadini si ri- trovano sempre più costretti ad agire come individui su un mercato della formazione che opera al di fuori di ogni poli- tica e che tende legittimamente alla propria estensione. Tutto questo accade in una fase storica di non espansione dei diritti individuali, di contenimento della spesa pubbli- ca, di abbandono delle politiche di gestione keynesiana dell’espansione della domanda e di diminuzione della par- tecipazione dei lavoratori alla crescita del rendimento del capitale, ora rivolto a realizzare profitti non più attraverso il consumo di massa, ma sui mercati finanziari (Crouch, 2003:15). Una fase in cui esiste il rischio che
dal tipo di regole introdotte. Con la commercializzazione ab- biamo la possibilità da parte dei soggetti economici pubblici e privati di vendere sul mercato beni e servizi educativi (i master universitari, etc.). Anche la commercializzazione non è di per sé destabilizzante a condizione che vi siano misure di informazione e comparazione dei beni posti in vendita, garanzia della loro qualità, di definizione e controllo del va- lore economico del bene, di possibilità di rivalsa da parte de- gli acquirenti, di garanzia di equità rispetto agli esclusi dal consumo.
La riforma del welfare opera su un contesto ricco di con- traddizioni derivanti dalla necessità di estensione del suo campo di copertura, delle modalità di erogazione e dei suoi beneficiari. L’estensione richiede una cultura della po- litica della formazione sostenibile e allo stesso tempo capa- ce di combinare cittadinanza e mercato, ovvero di estende- re il campo dei beni e dei servizi accessibili a quelli com- presi nell’area del mercato e della commercializzazione. L’estensione, d’altra parte, appare come una scelta obbliga- ta onde evitare il rischio della “residualità” dei servizi pub- blici. Se apriamo al mercato ed alla commercializzazione dei beni e dei servizi educativi e contemporaneamente non si assicurano forme di universalizzazione dell’offerta, la conseguenza certa è che le aziende private si concentrano e scelgono le fasce di pubblico più redditizie, lasciando al- la gestione pubblica il resto. La qualità dei servizi pubblici decade e la loro utilizzazione si limita alle fasce di popola- zione a basso reddito.
Il nuovo welfare educativo deve tendere a realizzare li- velli più avanzati di eguaglianza nell’educazione. Avvicinarsi ad un’eguaglianza reale significa realizzarla nelle condizioni per apprendere e nei risultati raggiunti misurati in termini di conoscenze e competenze, o meglio di kunskaps, di kennt-
nis, etc. – a seconda delle lingue – intesa come “creazione”
di “capacità”. L’adozione di un concetto formale di cittadi-
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adeguare il nuovo welfare della formazione per garantire al- la società e alla produzione le risorse e le opportunità di for- mazione necessarie.
Il welfare della formazione è stato concepito e identifica- to con la gestione diretta da parte dello Stato, o per suo con- to, di una serie di servizi e di tipologie di offerta, incluse ap- punto nel campo dei diritti di cittadinanza. In parte al suo in- terno, ma soprattutto al suo esterno, sono iniziate a svilup- parsi altre forme di erogazione dei beni e dei servizi educati- vi, quali gli appalti, le partnership finanziarie, l’apertura al mercato, le privatizzazioni, fino alla commercializzazione, che hanno messo in discussione il modello preesistente.
Ciascuna di queste forme ha un significato e conseguen- ze diverse rispetto alla costruzione di un nuovo concetto di cittadinanza. Con gli appalti di servizi o di loro segmenti, il precedente modello di welfare non è messo in discussione. Con le partnership finanziarie – ad esempio nella costruzio- ne di sedi scolastiche – l’effetto immediato che si ottiene è l’accresciuta disponibilità di risorse per l’espansione del si- stema (su questo torneremo nel capitolo successivo). L’aper- tura al mercato, le privatizzazioni e la commercializzazione introducono, invece, cambiamenti sostanziali nella conce- zione del welfare.
L’apertura al mercato non comporta necessariamente conseguenze negative sul welfare. Il mercato è un mezzo che, se adottato con le sue regole, può aiutare a compiere scelte distributive che servono meglio i nostri scopi (Crou-
ch:96). Questo a condizione che si tratti di un mercato aper-
to, che non vi siano ostacoli alla costante crescita quantitati- va dei soggetti economici in competizione tra loro e che vi siano regole di garanzia. La privatizzazione comporta la ces- sione di proprietà e di diritti dello Stato a privati (ad esempio la vendita di beni pubblici o anche la rinuncia al monopolio dell’intermediazione della domanda e dell’offerta sul merca- to del lavoro). Anche qui gli effetti sul welfare dipendono
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duali. Lo Stato può intervenire per assicurare i livelli minimi essenziali necessari allo sviluppo, che poi coincide con la presenza di una percentuale di popolazione formata suffi- ciente a garantire crescita economica e coesione sociale. Ol- tre questi limiti, la costruzione della riserva di talenti è affida- ta ai progetti personali di investimento. Ma una visione evo- lutiva della democrazia è necessariamente fondata sul rico- noscimento del carattere sociale della conoscenza, ovvero sull’impegno da parte delle istituzioni sociali a sviluppare le conoscenze degli individui fino ad un livello significativo. Questo punto di vista, che Hilary Wainwright ritrova nel pensiero di John Stewart Mill (Wainwright, 1994:146-149) è da lei ulteriormente arricchito nell’analisi dei modi in cui la conoscenza è distribuita ed organizzata e del suo ruolo co- me variabile vitale dell’economia. La crescita dipende anche dalle relazioni sociali tra individui (reti informali, relazioni sociali, sistemi interni alle imprese, etc.) che si concretizzano in istituzioni informali il cui ruolo principale è di condividere la conoscenza rendendo così gli attori economici più com- petenti e quindi più potenti anche nel democratizzare e so- cializzare la conoscenza economica (Wainwright:149). Questo ragionamento evidenzia il ruolo delle politiche pub- bliche anche rispetto allo sviluppo di queste forme di svilup- po della conoscenza e di socializzazione del mercato.
Le necessità di ripensamento delle politiche derivano anche dal fatto che le soluzioni concepite con lo Stato li- berale non corrispondono più a quelle di una società in cui, anche sul terreno della formazione, le prospettive so- no mutate in favore di una decisa accentuazione della di- mensione individuale e di nuovi modi di costruzione so- ciale delle conoscenze.
Tale processo come tendenza non è nuovo. Il soggetto nella società moderna ed ancor più nella società della co- noscenza non è l’“individuo naturale”, posto dalla natura stessa, ma un nuovo individuo, “un individuo che sorge nanza nella formazione, ovvero connesso al numero di anni
di scuola ricevuti, ha avuto la sua importanza nella creazione di nuove condizioni economiche e sociali a supporto dello sviluppo della società industriale e della crescita del settore dei servizi, ma quando i quadri di riferimento sono cambiati anche i diritti di cittadinanza debbono evolvere.
Il passaggio verso un nuovo welfare educativo può esse- re fatto solamente se esiste una capacità di orientamento da parte della politica e degli organi istituzionali sulle opportu- nità attraverso cui ci si educa. Tale capacità è l’elemento fon- dante del ruolo di indirizzo che uno Stato può ragionevol- mente assumere nel campo delle politiche della formazione. Si tratta di un ruolo che non si legittima solamente per la ca- pacità di raccolta di risorse e per l’ammontare degli investi- menti pubblici, ma poggia sul fatto che lo Stato, per il punto di osservazione che gli è proprio rispetto alle esigenze di svi- luppo intellettuale della popolazione e della produzione, ha un livello di conoscenza superiore a quello delle aziende che operano sul mercato della formazione – università e so- cietà di formazione e consulenza, scuole private o pubbli- che. Si tratta di conoscenze che vanno oltre il mercato ed i suoi tempi, che possono permettere di far corrispondere le scelte contingenti e l’interesse dei singoli alle strategie di svi- luppo economico e sociale di breve e lungo periodo.