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LA GOVERNANCE DELLA FORMAZIONE: LO STATO REGOLATIVO

Nel documento Liberare la domanda di formazione (pagine 56-58)

La politica della formazione

LA GOVERNANCE DELLA FORMAZIONE: LO STATO REGOLATIVO

La declinazione della governance sulle due dimensioni della sussidiarietà verticale (tra i diversi livelli di governo: dal Co- mune alle Istituzioni sopranazionali) e della sussidiarietà orizzontale (tra i diversi attori sociali) costituisce un impor- tante punto di riferimento che tuttavia richiede ulteriori ap- profondimenti in termini di modelli. Il governo dei processi formativi nella società non può essere rappresentato solo in termini di potere dal basso e neppure può essere fatto di- pendere solamente dalle leggi dello Stato. Esso deriva anche da quelle norme di tipo non strumentale adottate dai diversi soggetti economici (i dispositivi formativi delle imprese, ad esempio, oppure quelli adottati dalle infrastrutture culturali pubbliche e private, etc.).

Si tratta allora di vedere se e come la funzione regolati- va dello Stato può essere supportata dall’esercizio di effet-

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le la distribuzione del potere di governo e di gestione dell’e- ducazione all’interno dello Stato.

Ogni governo, quando non è controllato dall’opinione pub- blica e non è aperto alla critica continua e all’afflusso di nuo- vi elementi da tutti gli strati di popolazione, finisce col consi- derare la propria continuità ed espansione come i suoi unici scopi

in assenza di queste condizioni il sistema educativo non può

non divenire uno strumento di indottrinamento nei principi na- zionalistici della classe dirigente e un mezzo per perseguire i fi- ni della politica del governo. (Borghi:13-14)

Da qui nascono, almeno storicamente, le resistenze all’attua- zione nell’educazione di forme di governance della forma- zione fondate sulla “sussidiarietà verticale” – la cooperazio- ne tra i diversi livelli di governo: locale, regionale, nazionale, internazionale – e sulla “sussidiarietà orizzontale” – la coo- perazione tra i diversi attori pubblici e privati.

In Italia queste resistenze hanno le loro radici in modelli centralistici – ereditati dal modello monarchico piemontese – che fino dal secolo XIX hanno prodotto falsi processi di democratizzazione affidati alla “libertà amministrativa”, ov- vero forme autoritarie di decentramento prefettizio e alla at- tribuzione di competenze ai Comuni, senza però provveder- li di risorse.

A questo la tradizione pedagogica e democratica italia- na opponeva, fin dal XIX secolo, la concezione di un mo- dello federalistico ispirato all’autogoverno ed all’autono- mia. Questo sia a livello istituzionale, attraverso un decen- tramento istituzionale effettivo, sia per quanto concerne il ruolo dei cittadini singoli e organizzati. Con il Cattaneo,

Borghi afferma che

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molti Stati l’erogazione, ad esempio, dei prestiti di studio è demandata a soggetti indipendenti);

• la separazione tra acquirenti e fornitori di servizi pubblici (attraverso forme di contrattazione e di gara, etc.), per cui l’acquisizione di beni e servizi per la comunità non può essere effettuata attraverso il finanziamento diretto di aziende di proprietà pubblica, ma attraverso l’acquisizio- ne di beni e servizi da loro prestati se offerti a migliori condizioni di quelle presenti sul mercato;

• la separazione delle funzioni politiche da quelle operati- ve distribuendole tra diversi dipartimenti dell’amministra- zione pubblica e attraverso la creazione di agenzie esecu- tive, per cui, ad esempio, i Ministeri dell’educazione di di- versi paesi non hanno più al loro interno la gestione delle attività di ispezione e di sviluppo della qualità, passate ad una Agenzia pubblica indipendente (Scott:5).

Ma anche questo modello ha effetti circoscritti se poggia la sua azione essenzialmente sull’utilizzo di strumenti legislati- vi in ragione delle seguenti considerazioni:

• la limitata capacità delle leggi di esercitare un controllo reale sui fenomeni sociali e, per quanto ci concerne, sulla complessità dei campi e delle modalità formative;

• il controllo fondato sulle leggi è marginale rispetto ai pro- cessi contemporanei di ordinamento e regolazione, nel campo dell’educazione esse non possono agire diretta- mente, ad esempio, sui dispositivi che nelle aziende re- golano l’accesso alle conoscenze;

• una legge dello Stato può essere efficace solamente quando è collegata ad altri processi di ordinamento e re- golazione propri degli altri attori sociali su cui interviene (Scott:8).

In sostanza, il superamento dei limiti del welfare state non si realizza solamente attraverso le pur necessarie forme di se- tive funzioni di controllo e di orientamento che favorisca-

no “la libera e spontanea iniziativa” e l’“autoemancipazione”. A questo proposito, dopo avere fatto i conti con lo Stato etico, si tratta di riflettere sui modi in cui superare il vecchio modello di welfare esaminando prima le caratteristiche della risposta “regolativa” e poi di quella “non regolativa”.

La definizione e messa in pratica di un modello di Stato regolativo nasce dalla critica alle distorsioni del welfare state, come ben dimostra in un eccellente studio Colin Scott, del

Centre for Analysis of Risk and Regulation della London School of Economics (2002:5-6) alle cui conclusioni qui ci ri-

feriamo adattandole al campo della formazione.

La critica al welfare state è legata alle distorsioni prodotte dal fatto di posizionarsi su:

• strumenti di proprietà pubblica, ovvero su strutture produttive, organizzazioni appartenenti allo Stato ed al- le sue articolazioni;

• beni e servizi forniti direttamente dallo Stato, ovvero la formazione professionale pubblica e non quella priva- ta, etc.;

• la sovrapposizione di funzioni di policy making con funzioni di gestione, ovvero la definizione delle politi- che formative ed allo stesso tempo la loro gestione at- traverso le scuole statali.

La critica si fonda sulla convinzione che i livelli di efficien- za e di equità possano essere accresciuti modificando que- ste distorsioni. Da qui il modello di Stato regolativo che comporta un insieme di cambiamenti che possono essere riassunti nei seguenti punti:

• la separazione, almeno in alcuni ambiti, delle funzioni gestionali da quelle regolative, per cui chi detta le regole di erogazione di un servizio non può avocare a sé anche la funzione della sua erogazione (anche per questo in

pio, classifica gli stimoli in base ad un codice binario che li distingue in ragione del loro carattere legale o illegale, del ri- spetto della legge o meno (Luhmann:145-6).

L’incontro tra due sistemi regolativi diversi (politica e mercato dell’educazione, ad esempio) può produrre solo conflitti o effetti indesiderabili per entrambi se le strutture normative non sono in grado di dialogare. Per questo Teub-

ner, considerato tra i padri della “Teoria Legale dell’Auto-

poiesi”, sostiene che la legge può essere irrilevante o non avere alcun effetto sui subsistemi su cui intende agire (“reci- proca indifferenza”). Il problema per essere risolto richiede l’adozione di modalità capaci di ridurre o minimizzare le dif- ferenze tra diversi subsistemi e campi di azione assicurando forme di structural coupling (Paterson, Teubner, 1998:457). In risposta a questa esigenza, la “Teoria Legale dell’Au- topoiesi” propugna un modello di Stato post regolativo in cui il sistema legislativo è connesso agli altri subsistemi non attraverso leggi di dettaglio o di puntuale regolamen- tazione, ma piuttosto lavorando sul terreno dell’accordo tra diversi ordinamenti e regole proprie dei diversi sub sistemi. In altri termini, il successo dell’implementazione di una legge regolativa dipende dalla capacità di attuare misure di

structural coupling ed il control of self-regulation (Teub- ner, 1998:415).

Ai fini del nostro studio, questa Teoria per un verso met- te a fuoco un approccio che rende possibile e più efficace l’orientamento dei sistemi sociali (e tra questi il mercato del- l’educazione) attraverso la legge dello Stato, purché basata sulla comunicazione tra sub sistemi e sul riconoscimento delle strutture normative esistenti negli altri subsistemi. Essa allo stesso tempo pone in evidenza il ruolo modesto della legge per il controllo di quelle attività formative su cui è possibile operare solo in modo indiretto e solo per iniziati- va degli stessi attori. Le modalità più efficaci di intervento derivanti da questa teoria poggiano sull’allineamento nor-

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parazione e di trasparenza rispetto ai compiti di indirizzo e di gestione, ma richiede allo Stato di non rimanere centrato sull’area delle attività pubbliche e di non escludere altri atto- ri e in particolare quelli non statali (Gunningham, Grabo-

sky:1998; Scott:2002). Nel campo della formazione, ad esem-

pio, ciò spinge ad individuare i modi in cui costruire politi- che e processi di attuazione che includano le singole impre- se e le singole agenzie formative. L’obiettivo sarà di introdur- re forme spontanee di regolazione del mercato, di autorego- lazione che riguardano sia la materia contrattuale (i diritti in- dividuali alla formazione), che le esternalità (ad esempio l’u- tilizzo dei vantaggi derivanti dalla formazione), che la prote- zione dei consumatori (standard di qualità) etc. Queste le ra- gioni che spingono ad immaginare modelli che superino i li- miti dello Stato regolativo.

Nel documento Liberare la domanda di formazione (pagine 56-58)