La politica della formazione
LO STATO ETICO E LA FILOSOFIA COMUNITARIA DELL’EDUCAZIONE
A questo punto abbiamo chiarito un altro elemento del com- pito che ci siamo proposti. Siamo partiti dall’individuazione dell’obiettivo di definire le politiche che possano incremen- tare il consumo e l’offerta di ogni tipo di educazione da par- te dei cittadini e delle imprese ed abbiamo poi individuato la risposta nella costruzione di un nuovo welfare educativo che risponda alle condizioni di “non identità radicale”, po- tenzialmente altruistica dell’uomo contemporaneo. Ora si tratta di comprendere quale modello regolativo può meglio rispondere alla realizzazione di questi obiettivi, per poi pas- sare nel capitolo successivo alla analisi dei tipi di politiche più adeguate allo sviluppo della domanda di formazione.
La legittimazione di leggi adottate da una concreta comunità legale debbono essere almeno compatibili con principi mo- rali di validità universale che travalicano la stessa comunità legale (Habermas:25). Gli interessi politici ed i valori che so- no in contrasto tra loro – ad esempio in una società multiet- nica e multireligiosa – e senza prospettive di consenso han- no bisogno di una mediazione che non può essere raggiunta attraverso il discorso etico, ma attraverso accordi tra parti che possono accettare parziali rinunce.
Nello Stato etico l’offerta e la domanda di formazione hanno limitate possibilità di sviluppo, soprattutto in senso qualitativo. Nei modelli repubblicani – ad eccezione delle versioni più elitarie – il lifelong learning può svilupparsi an- che in termini quantitativi ed in misure rilevanti nei limiti della sua utilizzazione come strumento di riproduzione del- la comunità etica. Essa può anche essere incentivata e diret- tamente finanziata dallo Stato, la partecipazione alle attività può divenire se non un obbligo un valore, ma i margini di autonomia reale per l’individuo nel caso di pensiero o vo- lontà o cultura differente stanno al di fuori degli strumenti di cui lo Stato ha dotato la società, debbono affidarsi alle re- ti sociali autonome. Il mercato quando si muova al di fuori dei valori dominanti diviene esso stesso un ostacolo alla ri- produzione dello Stato etico perché potenziale fonte di dif- ferenziazione. Tutto questo aiuta a comprendere anche le enormi difficoltà e reticenze degli Stati europei a porre in comune le politiche sull’educazione ed a non ostacolare la mobilità – per ragioni di formazione e di lavoro – degli indi- vidui a livello transnazionale e globale.
Lo Stato etico costituisce dunque un modello in cui la concentrazione dei poteri etici nello Stato si traduce anche nell’assunzione, da parte dello Stato, di gran parte dei costi della formazione e possibilmente nella sua gestione diretta o indiretta, affidata alle diverse organizzazioni pubbliche, quasi-pubbliche o private, ma sempre comprese nella strut-
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Si tratta, come vedremo, di una questione di estremo rilie- vo per le politiche formative sia relative alla scuola che al li-
felong learning. Nel contesto di uno Stato etico, infatti, la
scuola avrà come funzione centrale la conferma e riprodu- zione del modello etico prevalente ed il lifelong learning, in- teso come liberi percorsi individuali di sviluppo intellettuale, non potrà svilupparsi se non nel quadro di una sottomissio- ne ai valori etici predeterminati dallo Stato.
Nel modello “repubblicano”, infatti, lo stato di cittadi- nanza è determinato – a differenza di quello liberale – dal diritto positivo, ovvero da diritti espressi in termini di diritti di partecipazione e di comunicazione che garantiscono non la libertà da influenze o obblighi esterni (come nel diritto negativo, volto a proteggere l’individuo dall’intervento del- lo Stato, a definire i campi in cui esso non può intervenire), ma la possibilità di partecipare ad una prassi comune, attra- verso cui i cittadini possono trasformarsi in autonomi autori politici di una comunità di persone libere ed eguali. In que- sto quadro, il ruolo dello Stato e la sua autorità trova la sua legittimazione nel fatto che esso protegge questa prassi at- traverso l’istituzionalizzazione della libertà pubblica. In tal modo la ragion d’essere dello Stato è connessa non tanto al- l’eguaglianza dei diritti dei privati, ma alla garanzia di una opinione inclusiva ed alla formazione di una volontà in cui liberi ed eguali cittadini raggiungono una intesa sui cui fini e norme si fonda l’eguale interesse di tutti (Habermas:22).
Ma, come rileva Habermas, la insostenibilità di questo modello è legata proprio ad una questione morale, ovvero di giustizia:
La questione che ha priorità nelle politiche legislative concerne il come una materia può essere regolata nel rispetto dell’inte- resse di tutti. (…) A differenza delle questioni etiche, le que- stioni di giustizia non sono il prodotto di una specifica colletti- vità e delle sue forme di vita.
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È all’interno di questo paradigma che all’educazione ven- gono attribuite due funzioni fondamentali
rendere possibile al popolo di seguire la guida degli uomini colti, che sono necessariamente pochi e che hanno il compito di promuovere il progresso scientifico. (Borghi:58)
e di
privare le classi inferiori di ogni possibilità di dar prova delle loro capacità umane sotto il pretesto di tutelarne la natura sen- sibile e fantastica,
ma assicurando in tal modo all’economia forza lavoro – anche minorile – a bassa qualificazione ed a basso costo (Borghi:69).
La teoria dei due popoli è il corollario delle teorie, stra- tegie e politiche antiegualitarie e coinvolge anche quegli approcci che affidano a lenti processi evolutivi il migliora- mento delle condizioni educative dei singoli e che invita- no a non
preoccuparsi utopisticamente dell’ideale remoto dell’abolizio- ne della disuguaglianza presente. (Borghi:241-242)
Analoghe considerazioni valgono per quelle che potrebbero essere definite come le “teorie dei diversi popoli”, ovvero modelli – qui Borghi fa riferimento a quello delineato dal Giuliano per il governo Mussolini nel 1924 – che, fondati su un concetto etico di Stato, propongono ai cittadini una loro stratificazione (in quattro strati nel caso del Giuliano)
in cui ogni classe doveva attendere ad un compito diverso affi- dato a una educazione diversa. (Borghi:240)
La teoria dei due popoli non riguarda, dunque, solamente la distribuzione delle opportunità formative, ma più in genera- tura amministrativa allargata. Si tratta perciò di un modello
che oltre a limitare la democrazia nell’educazione ha un basso livello di sostenibilità e di espansione e che, per di più, tende a contenere lo sviluppo dell’offerta formativa nei limiti di quella legittimata.