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Industrie naturali ad economia nazionale 0>

Questo primo auno di pace è trascorso attraverso le inevitabili gravi difficoltà lasciate in retaggio dal lungo conflitto che per oltre quattro anni sconvolse profondamente il mondo, e si chiude con le preoc-cupazioni di un ingente debito pubblico, di una crescente disoccupa-zione, di un incessante rialzo del costo della vita, cagione di frequente e vivo malcontento, e con le incertezze di una laboriosa ed ardua ripresa economica.

Alla fase di apparente benessere che aveva caratterizzata l'economia nazionale negli anni di guerra, è succeduto un periodo di crisi e di incertezza in tutta la vita del paese. Nè dobbiamo meravigliarci di questo rapido mutamento della situazione generale, quando rammen-tiamo che la prosperità degli anni di guerra era, in realtà, fondata essenzialmente, come è noto, sul consumo di capitali avuti a prestito e di risparmi fatti prima della guerra, mentre in notevole misura la ricchezza veniva assorbita dalle spese belliche, e l'attività umana era sottratta al fecondo lavoro delle fabbriche e dei campi, per una specie di « drenaggio » di energie e di capitali, dovuto alle esigenze della preparazione e delle operazioni militari. A ciò si aggiungano i danni derivanti all'economia nazionale dalle disastrose esperienze dello Stato industriale, dal moltiplicarsi di eccessivi controlli ed ingerenze gover-native, e dello sperpero di ricchezza cagionato dalla non sempre prov-vida amministrazione statale, che non seppe porre in tempo un freno a spese tutt'altro che necessarie, le quali proseguono determinando nel bilancio un grave disavanzo.

Questi fenomeni di depressione economica conseguenti ai grandi conflitti sono in realtà tutt'altro che nuovi; chè, anzi, rileggendo le storie delle memorabili guerre da cui fu travagliata l'umanità — e fra le più notevoli ricordo quella del Tooke, la « Storia dei prezzi e delle (I) Prolusione al corso libero di ecouomia politica, tenuta nella R. Università di Torino, il 12 dicembre 1919.

condizioni della-circolazione », opera veramente fondamentale, che onora tanto le discipline economiche quanto quelle storiche — si scor-gono riprodotte non poche delle ripercussioni avveratesi anche ora in seguito alla guerra europea. Lo studio degli effetti vari dei conflitti era, del resto, tutt'altro che infrequente nei classici dell'economia; e non poche considerazioni adattabili alla situazione presente troviamo in Adamo Smith (1), il quale esamina con acutezza le cause dei con-flitti e gli oneri da questi derivanti; in Malthus (2), òhe studia gli effetti della guerra sulla popolazione; in Ricardo (3), il quale si .sof-ferma a considerare le ripercussioni che la guerra esercita sul com-mercio, e le imposte rese da questa necessarie; ed in molti altri ancora, di cui sarebbe troppo lungo far qui menzione.

Certo, però, l'ultima guerra fu superiore a tutte le precedenti per il numero dei morti, per l'incremento del debito pubblico, per l'am-montare delle spese. Si consideri inoltre la sua estensione che fu tale da involgere una vasta parte dell'umanità e da aggravarne le conse-guenze, limitando la zona immune, capace di fornire immediatamente le risorse per la restaurazione economica. Si aggiunga ancora che, col graduale progredire della civiltà e col perfezionarsi dell'organizzazione industriale, la vita economica diventa più sensibile alle perturbazioni cagionate dalla guerra, come già Ricardo aveva osservato facendo notare che la durata del disagio arrecato da un conflitto è tanto maggiore nelle nazioni moderne, nelle quali il capitale fisso è cresciuto in più vaste proporzioni del capitale circolante, poiché non è tanto facile ritirare e cambiare d'impiego quello come quest'ultimo (4).

Ma, oltre che da queste circostanze di carattere generale, la situa-zione dell'Italia si trova peggiorata pel fatto che essa, come è noto, allorché intervenne nella conflagrazione europea, usciva dalla guerra libica, e partecipava al grande conflitto essendo, purtroppo, impre-parata, e trovandosi in un periodo di depressione economica. Era quindi naturale che il nostro paese risentisse più gravemente le riper-cussioni del grande conflitto che non altre nazioni, le.qtiali avevano più salda consistenza economica e finanziaria, e potevano perciò sop-portare con minore disagio gli oneri da quella lasciati inevitabilmente in retaggio. Ond'è che a favorire il risorgere economico dell'Italia

(1) A. SMITH, Wealth of nationi, libro V, cap. III.

(2) R. MALTHUS, Popolazione, « Biblioteca dell'Economista », serie II, voi. 11 e 12, pag. 552.

(3) D. RICARDO, The principici of politicai economy, cap. XIX. (4) D. RICARDO, The principiti of politicai economy, cap. XIX.

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dovranno essere rivolti le maggiori cure ed i più strenui sforzi, sia delle classi dirigenti, come della nazione intiera.

Ma non è nostro proposito trattare qui di questo arduo e complesso còmpito, l'esame del quale ci indurrebbe a superare i confini che ci siamo proposti. Ci limiteremo invece a considerare il problema della rinascenza industriale dell'Italia, e specialmente quello delle industrie naturali in rapporto all'economia nazionale ; poiché è evidente che uno dei fattori del progresso economico di una nazione risiede nello sviluppo delle industrie, come in genere delle produzioni, ad essa naturali, ossia ad essa adatte dal punto di vista economico. E questo problema, il quale ha suscitato di recente non pochi e vivaci dibattiti, ci proponiamo di prendere qui in esame, considerandone brevemente la base teorica come il lato pratico. Infatti, se è vero che non esiste alcun dubbio sulla necessità di promuovere una rapida ripresa della vita economica del paese, non si può affermare che vi sia lo stesso accordo di opinioni sui mezzi atti a favorire l'incremento ed il progresso delle industrie naturali al nostro paese; chè, anzi, è discusso il concetto stesso di naturalità dell'industria.

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Bisogna, quindi, innanzi tutto determinare quel che si intende per u naturale » quando si parla di industria, per porre il problema in modo chiaro e preciso, poiché non sono infrequenti le incertezze e le ambi-guità della terminologia in economia politica; incertezza ed ambiambi-guità anche di recente lamentate dal Marshall (1), e dal Bagehot (2) come dal Leroy-Beaulieu (3) attribuite al fatto che alcuni dei termini ado-perati sono tolti dalla vita comune, e perciò attinti ad una fonte inesatta.

Quando si parla di industria naturale ad un paese, si intende comu-nemente industria ad esso adatta dal punto di vista economico.

Ma dovrà ritenersi come naturale, ossia economicamente conveniente ad un paese, soltanto l'industria che è adatta alle condizioni fisiche dell'ambiente, come alcuni autori sostennero? oppure quella die risponde alle condizioni varie della nazione? E d'altra parte, nel giudicare della convenienza economica di un'industria, dovrà tenersi conto soltanto della convenienza economica attuale oppure anche di quella futura?

(1) MARSHALL, Induttry and trade, pag. 664.

( 2 ) BAGEHOT, ECONOMIE tludies, p a g . 6 4 .

(3) P. LEROY-BEAULIEU, Trattato teorico-pratico di economia politica, voi. I, in v Biblioteca dell'Econoinieta », serie IV, voi. IX, pag. 73.

di industria che è, o che può diventare adatta alle condizioni varie del paese, non soltanto a quelle fisiche, ma anche a quelle intellettuali, morali, politiche e sociali; ed abbiamo pure un'altra concezione, in con-trapposto alla prima, e, secondo la quale si ritiene come naturale quel-l'industria che si basa essenzialmente su materie prime nazionali e sulle favorevoli condizioni dell'ambiente fisico. Veramente, quest'ultimo con-cetto appare di rado negli scritti degli economisti, ma vogliamo farne qui cenno, perchè venne a torto attribuito ai classici, non soltanto in critiche mosse loro molti anni addietro, come, ad esempio, negli scritti di Giovanni Rae (1), bensì anche in più recenti studi (2) ; ed inoltre perchè questo stesso concetto è rimasto ancora in parte nell'opinione * pubblica, la quale continua a dimostrare una speciale propensione per le industrie che elaborano le materie prime nazionali, quasi come se queste sole fossero veramente naturali, perchè hanno la loro base nella natura. Ma quest'ultima interpretazione della naturalità dell'industria è evidentemente troppo superficiale, come quella che presuppone un con-cetto di produzione ristretto ed unilaterale, ed il concon-cetto di distri-buzione delle varie produzioni determinata quasi irrevocabilmente dalla natura.

Si verrebbe infatti a circoscrivere evidentemente in angusti confini l'azione dei perfezionamenti nella tecnica, delle invenzioni, dei molteplici fattori intellettuali e morali del progresso economico, se essi dovessero venir subordinati alle condizioni dell'esistenza delle materie prime, o delle favorevoli condizioni dell'ambiente fisico.

Non è già che il concetto di naturalità dell'industria, inteso in questo senso, escluda del tutto l'azione del progresso scientifico e del perfe-zionamento della tecnica sull'evolversi di certe forme di attività eco-nomica, poiché si ammette che i ritrovati della scienza come i progressi della tecnica riescano a perfezionare alcune industrie le quali hanno la loro base essenziale nelle materie esistenti nel paese. Ma per quanto, in base a questo principio, si riconosca, sebbene limitatamente, la suscet-tibilità di progresso delle industrie già sòrte in un ambiente fisico ad esse favorevole, tuttavia, poiché si finirebbe per ammettere, secondo questa concezione, esplicitamente espressa dal Rae, che la distribuzione delle varie produzioni sia determinata quasi irrevocabilmente dalla natura, (1) G. RAB, Dimoitrazioni di taluni nuovi principi dell'economia politica, • Biblio-teca dell'Economista », serie I, voi. XI, pag. 828.

(2) F. CARLI, Produzioni naturali e produzioni nazionali, in • Rivista delle Società commerciali», luglio 1914.

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ne conseguirebbe essere vano qualsiasi tentativo di trasferire da un luogo all'altro le produzioni aventi la loro base essenziale nelle materie prime locali. Perciò la tecnica, la scienza, l'organizzazione e vari altri fattori morali, intellettuali e politici avrebbero, è vero, qualche azione sul pro-gresso delle industrie già sòrte, ma non potrebbero creare, o rendere naturali nuove forme di produzione, le quali non avessero già la loro base essenziale nelle favorevoli condizioni dell'ambiente, a meno che, mediante nuovi ritrovati, non si riuscissero ad utilizzare sostanze e materie, prima esistenti nel paese, non potute sfruttare per il passato. Ognuno può vedere come un siffatto concetto di industria naturale sia lungi dal rispecchiare il pensiero degli illustri economisti i quali crearono e perfezionarono la scienza nostra.

Essf ebbero infatti un concetto assai più progredito di produzione, dipendente non soltanto dal fattore « natura », ma anche da quelli extra-fisici, in cui hanno larghissima parte l'azione dell'uomo, l'influenza dei ritrovati scientifici, della tecnica, l'organizzazione, la capacità degli abitanti, l'opera del governo, e gli altri vari fattori di carattere non fisico.

Tra questi due opposti concetti di naturalità dell'industria esistono molte gradazioni, le quali segnano il progressivo evolversi del concetto di industria naturale, come pure di quelli, a questo connessi, di pro-duzione, di convenienza economica e di distribuzione topografica delle industrie in rapporto alla vicinanza delle materie prime.

Se ci rifacciamo col pensiero ai primi economisti italiani — ad Antonio Serra, autore del « Breve trattato delle cause che possono far abbondare i regni d'oro e d'argento », nel quale non soltanto sono svolti i principi fondamentali del corso dei cambi, ma sono pure studiati i fattori prin-cipali della prosperità delle nazioni; al Genovesi, che nella sue « Lezioni di economia civile » esamina il problema dello sviluppo industriale del paese ; al Beccaria, il quale nei suoi u Elementi di economia pubblica » considera in particolar modo il problema delle materie prime ; al Filan-gieri, che nelle « Leggi politiche ed economiche » tratta della questione, anche allora di grande importanza, riguardante l'indipendenza'economica della nazione — vediamo che prevaleva presso questi economisti, come più tardi anche nel Gioja — ad essi affine per il suo pensiero sulla naturalità delle produzioni — una particolare propensione per le industrie che ela-borano le materie prime nazionali, di cui vorrebbero non di rado vietata l'esportazione. Questo, però, non implica che essi considerassero come naturali soltanto quelle industrie, la cui precipua base è nelle materie prime esistenti nel paese; poiché avevano*un concetto ben più vasto di naturalità dell'industria, fondato cioè su quello di produzione

conti-imamente evolventesi per l'efficienza del lavoro, l'indole della popolazione, il contributo delle invenzioni e della scienza. Siano i fattori essenziali del progresso economico gli « artifici », ossia l'opera degli artefici determinata dall'abilità del lavoro, secondo la caratteristica espres-sione del Serra (1), oppure « l'onore » ed « il premio » » le due grandi vette produttrici e perfezionatrici delle arti e delle scienze tutte quante », come scrive il Genovesi (2), od il « comprimere la molla dell'onore », secondo la parola del Filangieri (3), od, in più, le inven-zioni ed il perfezionamento della tecnica, l'associazione e la divisione del lavoro, e l'azione governativa, secondo il pensiero del Gioja (4), è certo che anche negli economisti ora considerati vediamo sin da allora prevalere, pur attraverso ad una speciale propensione per le industrie che elaborano materie prime nazionali, il concetto di industria naturale fondata sulle condizioni favorevoli, non soltanto fisiche, ma anche morali ed intellettuali del paese (5). E questo concetto ci viene pur confermato dalle loro idee sulla localizzazione delle in-dustrie, la quale non deve sempre dipendere dalla vicinanza delle materie prime (6).

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(1) A. SERRA, Breve trattato delle cause che possono far abbondare i regni

d'oro e d'argento, • Biblioteca dcU'EcouomÌBt& » (Custodi, parte antica), voi. I,

pagina 27.

(2) A. GENOVESI, Lesioni di economia civile, • Biblioteca dell'Economista » (Custodi, parte moderna), voi. VII, pag. 349 e seg.

(3) FILANGIERI, Delle leggi politiche ed economiche, « Biblioteca dell'Econo-mista » (Custodi), voi. 32, pag. 208.

(4) M. GIOIA, Nuovo prospetto delle sciente economiche, voi. I, prima serie. (5) Per questi economisti, come per quelli posteriori, del cui concetto di natu-ralità dell'industria mi limito a faro qui un breve accenno, mi permetto di rin-viare il lettore, il quale desiderasse più ampie e più precise notizie al riguardo, alla mia memoria pubblicata negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino (1916-17). Intorno al concetto di industria naturale nella letteratura

eco-nomica, delle conclusioni della quale mi Bono valse in questa parte del presente

studio.

(6) II Gioja nel Nuovo prospetto delle sciente economiche, voi. II, pag. 110 e seg., scriveva: u La vicinanza della manifattura al luogo delle materie prime à vantaggiosissima per tutte le arti, i eui prodotti sono à basso prezzo, ed in cui la mano d'opera è poca cosa». « Ma a misura che cresce il prezzo della mano d'opera, scema il vantaggio della località ». Il Beccaria riteneva più favo-revole la situazione dell'industria nelle campagne » vicino alle strade maestre solide e spedite, ai fiumi ed ai laghi dove le acque ed i trasporti rendono minori le spese di cui è gravata la manifattura », non ritenendo quindi indispensabile che le indastrie si stabiliscano sempre nelle prossimità delle materie prime.

Elementi di eeonomia pubblica, « Biblioteca dell'Economista » (Custodi, parte

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Ma il concetto di naturalità dell'industria, che non era ancora ben determinato negli scritti degli economisti del sec. xvm, appare invece meglio definito e più costante nei classici, i quali ritengono come naturali le industrie che si sviluppano spontaneamente, che sono adatte alle varie condizioni del paese, e la cui naturalità si fonda non soltanto sulla con-venienza presente, ma anche su quella futura.

Un concetto affine sotto certi aspetti a quello dei classici ebbero i fisiocrati, perchè anch'essi ritennero che il progresso economico fosse essenzialmente dipendente dalla libertà di commercio e dalla libera concorrenza, per opera delle quali si dovevano svolgere i perfeziona-menti nella produzione, atti a rendere naturali industrie dapprima non adatte al paese. I fisiocrati, però, davano un diverso fondamento al loro liberismo, in quanto per essi l'argomento principale era costituito dal concetto giuridico del diritto naturale di ogni uomo di scambiare il proprio prodotto, mentre Smith ed altri classici propugnavano la libertà di commercio per considerazioni di utilità economica.

Il concetto di naturalità dell'industria assunse dunque, come abbiamo detto dianzi, un ulteriore grado di evoluzione presso i classici. Nel-l'opera di Adamo Smith, che è il fondamento primo di tutta la scienza economica moderna, vediamo ben definita ed ampiamente svolta l'idea che ogni paese debba dedicarsi alle produzioni meglio adatte alle con-dizioni varie dell'ambiente. Questo concetto, già manifesto negli scritti di uno dei più notevoli fra i precursori immediati della scienza eco-nomica classica, cioè in David Hume, il quale esercitò non poca influenza anche sull'opera dello Smith, ci appare, però, più evidente dallo spirito di tutta l'opera del grande fondatore dell'economia politica. E questo risulta chiaramente, sia da due esplicite affermazioni e dall'importanza attribuita ai vantaggi « acquisiti» da un paese nelle varie produzioni (1), sia dalla concezione di produzione evolventesi continuamente per i pro-gressi della tecnica, i perfezionamenti delle macchine, l'abilità e la divi-l i ) A. SMITH, Inquinj into the nature and causee of weadivi-lth of nations ; libro IV, cip. II.

« Gli abitanti di una città situata vicino, sia alla costa del mare, sia alla sponda di un fiume navigabile, non sono necessariamente obbligati a trarre [le materie prime ed i messi necessari per le loro industrie] dalla vicina cam-pagna. Essi banne un ben più largo campo, e possono trarli dai più remoti angoli del mondo, sia in cambio di manufatti prodotti dalle loro stesse industrie, sia adempiendo alla funsione di vettori tra paesi lontani, e scambiando il pro-dotto dell'uuo con quello dell'altro ». E più oltre scrive: • Che i vantaggi che un paese ha siano naturali od acquisiti non ha nessuna importanza. Finché un paese abbia quei vantaggi, e l'altro ne sia privo, sempre tornerà più vantag-gioso a questo piuttosto comperare che far da sé ».

classica opera. Il concetto di industri^ naturale in Adamo Smith è basato, anziché sulla considerazione della sola convenienza economica attuale ed immediata, come a torto ebbero a dire i suoi oppositori, anche sul concetto di convenienza economica futura, espresso di fre-quente nei suoi scritti, sia quando esamina il problema della protezione delle giovani industrie — problema da lui risolto in senso sfavorevole all'imposizione dei dazi — sia quando tratta delle varie questioni relative alla politica commerciale, come di quelle che implicano la necessità di sacrificare gli interessi presenti a quelli futuri. Egli, infatti, dimostra frequentemente come gli interessi particolari dei singoli individui possano indurre questi ad azioni non sempre favorevoli al benessere dell'umanità; e fu contrario, in genere, all'intervento governativo in considerazione del fatto che questo sarebbe stato molto spesso sfruttato da speculatori intriganti, e che, anche pel governo più intelligente e più previdente, sarebbe stato un còmpito troppo arduo quello di dirigere la vita eco-nomica di un paese in tutti i suoi particolari ed in tutte le sue varie manifestazioni. Ammette bensì che « per mezzo di regolamenti [mer-cantilisti] la produzione di una speciale merce può talora essere intro-dotta più presto di quanto sarebbe altrimenti avvenuto; e dopo un certo tempo questa può venir fabbricata nel paese stesso, ad un costo uguale o minore di quello dei prodotti esteri» (1); ma insiste sul fatto che la perdita immediata è certa, tenendo conto della convenienza eco-nomica che avrebbe la nazione di dedicare capitale e lavoro ad altre produzioni più naturali, mentre il vantaggio futuro è problematico. Nel giudicare della naturalità di una produzione si considera adunque tanto la convenienza presente quanto quella futura, poiché non si esclude che la minor convenienza presente possa essere compensata da quella futura; soltanto si ritiene che questa compensazione, per effetto dei dazi, non si avveri nella pratica.

Il concetto di convenienza futura è manifesto nello Smith anche quando egli considera il problema dell'opportunità di imporre dazi, sia per proteggere produzioni necessarie alla difesa del paese, oppure in-teressi formatisi da lungo tempo, sia per rappresaglia, quando si ha ia speranza di ottenere la revoca del dazio, nei quali casi esiste appunto la convenienza a sopportare i danni derivanti dal dazio, in vista del-l'utilità futura. Il suo pensiero a questo riguardo è stato non di rado travisato dai suoi oppositori e dai suoi critici ; ma, come Adamo Smith