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PARTE II La ricerca empirica

CAPITOLO 6. Come si diventa scommettitori e pokeristi? La costruzione

1. Un inizio quasi per errore: il gioco a portata di mano

In questa prima parte dell’analisi empirica mi sono proposta di trattare quale sia il processo che le persone devono affrontare per diventare scommettitori e pokeristi. Becker a suo tempo aveva fatto lo stesso ragionamento per i consumatori di marijuana (1963). L’autore partiva dalla consapevolezza che il consumo di marijuana avesse ricevuto attenzione specialmente dal mondo degli psichiatri e dalla legge. La domanda che questi campi di indagine si ponevano era: come: come mai lo fanno? Come mai le persone pongono in essere questi comportamenti? Gran parte delle spiegazioni dell’epoca muovevano dalla premessa che un particolare tipo di comportamento fosse il risultato di determinate caratteristiche che predisponevano la persona o la motivavano ad assumere quel comportamento. Per Becker invece le motivazioni non andavano cercate dentro il soggetto, come intrinseche alla persona, ma rispondevano a fattori sociali e contestuali che assumevano nel corso del tempo un grosso peso nella scelta di prendere parte o meno a queste pratiche. In questo lavoro sostengo

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il medesimo punto di vista. Anche nel campo del gioco d’azzardo l’individuazione di fattori predisponenti propone senza dubbio elementi interessanti che possono essere tenuti in considerazione, tuttavia si rischia in questo modo di cadere nell’equazione forzata “giocatore uguale costruzione dell’identità del giocatore patologico” (Valleur 2001; Valleur e Bucher, 1997), perdendo di vista in questo modo la maggior parte dei giocatori.

Attualmente esiste poca comprensione di come le persone percepiscano il gioco d'azzardo, i contesti sociali in cui si svolge, le dinamiche in esso coinvolte e come avvengono i processi di apprendimento: in breve “l’esperienza del gioco d’azzardo” (Reith, 1999: 123).

In accordo con gli studi interazionisti sostengo che la motivazione a un comportamento è qualcosa che emerge gradualmente, non è già presente dentro gli individui come fattore eziologico, ma si rinforza e cresce nella persona in relazione costante con il contesto sociale. Come sottolinea Binde motivazione e coinvolgimento sono due concetti differenti. La motivazione rappresenta “la ragione per cui una persona deve impegnarsi in una particolare attività o comportarsi in un modo specifico (Binde, 2009: 5). Mentre il termine "coinvolgimento" si riferisce all'intensità dell'impegno nelle attività di gioco.

Per poter sviluppare una pratica di gioco stabile non è necessario solo provare. Nel tempo questa pratica deve “riuscire a continuare”.

Gli approcci cognitivo-comportamentali al gioco d'azzardo presumono che gli individui scommettano per impulsività o siano motivati dal desiderio di vincere denaro, partendo da cognizioni errate sulle proprie possibilità di vincita e da fallace cognitive (Ladouceur & Walker, 1998).

Tuttavia le motivazioni che spingono a giocare d’azzardo la popolazione generale non sono così differenti da quelle della popolazione considerata problematica. In uno studio sui giocatori sociali nella popolazione degli studenti universitari canadesi, Neighnbors ha illustrato come i giovani intervistati non adducessero alla base del proprio comportamento né il bisogno di fuga né fallace cognitive (Neighnbors et al., 2002), ma motivazioni che si legano a bisogni del tutto legittimi all’interno della società come bisogno di confronto, eccitamento e riconoscimento all’interno del gruppo.

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Allo stesso tempo nella visione della Labeling Theory la motivazione non è qualcosa di intrinseco alla persona, ma si crea nel tempo. A partire dall’esperienza viene costruito un graduale coinvolgimento nelle pratiche di gioco. Tra i ragazzi intervistati molti hanno affermato che non sapevano spiegare perché avessero continuato a giocare e che spesso “lì per lì” non gli fosse piaciuto. Il fatto di non provare nulla non rappresenta per i ragazzi una motivazione sufficiente per interrompere la pratica. Questo passaggio appare molto chiaro nelle parole di Stefano:

La prima volta non mi è piaciuta e non non mi è nemmeno ...diciamo non mi ha dato nulla

I: Perché hai continuato?

Perché una cosa che non ti dà nulla non è una spiegazione. Perché te vieni da me e chiedi [Stefano] ti è piaciuta la scommessa? No! Ma quindi non ti piace? No. E tu dici quindi nel senso o è l’uno o l’altra [...] non ho provato nessun emozione né nel perdere forse l’avrei provata nel vincere, e allora ho voluto riprovare per darmi una spiegazione e la spiegazione è venuta più pian piano (Stefano_scommesse)

Come afferma Stefano è solo nel tempo che da un semplice coinvolgimento si costruisce la motivazione necessaria ad andare avanti.

Nel loro studio sui processi di socializzazione a gioco d’azzardo nel contesto inglese, Reith e Dobbie (2011) mettono in luce come gli intervistati non siano nati giocatori d'azzardo, ma piuttosto lo "diventino" attraverso complessi passaggi di osservazione, facilitazione e apprendimento che ne favoriscono il progressivo coinvolgimento nella pratica. Le persone non giocano d'azzardo in maniera isolata, ma crescono in un ambiente sempre soggetto a queste pratiche, lì le imparano attraverso interazioni con le loro reti sociali che sono a loro volta radicate in una particolare cultura favorevole al gioco.

L’avere a disposizione un campione di intervistati giovani ha permesso loro di ricordare in maniera abbastanza particolareggiata quale sia stato il proprio vissuto in relazione all’avvicinamento al gioco d’azzardo. Dalle loro parole risulta centrale la possibilità di accesso.

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Blaszczynski e Nower (2002), suggeriscono che la disponibilità e l'accessibilità al gioco d'azzardo sono "blocchi di partenza" necessari (ibidem:491) per l'inizio di tutti i giochi d'azzardo.

Nella letteratura il tema dell’accesso ai giochi è stato ampiamente dibattuto. Alcuni studi in maniera specifica si concentrano sull’accessibilità in senso fisico55 come disponibilità alla fornitura materiale di giochi e apparecchi

da intrattenimento. In termini geografici (come ad esempio il numero di luoghi e opportunità di gioco pro capite o la distanza o il tempo di viaggio da un luogo di gioco a casa) le persone che vivono in regioni con concentrazioni più elevate di EGM56 pro-capite hanno maggiori probabilità di giocare e si

stima che abbiano una prevalenza maggiore di problemi di gioco rispetto a quelle in regioni che ne hanno un numero inferiore (Marshall 2005).

Alcuni autori sostengono come sia necessario problematizzare in maniera maggiore il tema dell’accessibilità, non facendo unicamente riferimento unicamente ai luoghi istituzionalizzati preposti al gioco (Moore et al., 2011; Thomas et al., 2011).

Se dalla letteratura viene evidenziata la dimensione formale dell’accessibilità come possibilità di ingresso fisico a certi luoghi in determinati modi tempi e spazi, dalle parole dei ragazzi sembrerebbe invece emergere l’importanza della dimensione informale di questa accessibilità. Infatti una grande varietà di attività per il tempo libero dei giovani sono relativamente spontanee, si svolgono senza regole formali e presentano pochi obiettivi legati allo sviluppo di abilità (Mahoney e Stattin, 2000). Come queste, anche alcune forme di fioco d’azzardo si prestano più di altre a un’organizzazione spontanea che non transita per i canali formali (DiCicco - Bloom & Romer 2011).

L’accessibilità iniziale è frequentemente associata alle parole “caso” e “accostamento quasi involontario”. La maggior parte delle prime esperienze di gioco d'azzardo qui riportate possono essere ricondotte ad eventi

55 Numerosi lavori che si sono concentrati sull’accessibilità del gioco hanno guardato in maniera specifica alla fornitura di gioco legale. Ad esempio la struttura della Productivity Commission (1999) dell'accessibilità del gioco d'azzardo identifica numerose dimensioni, comprendenti il numero di opportunità di gioco, la distribuzione spaziale delle sedi, il numero di luoghi, le opportunità di gioco per luogo, orari di apertura delle sedi, condizioni di accesso alle sedi, facilità d'uso dei diversi prodotti di gioco d'azzardo, accessibilità finanziaria del gioco d'azzardo e l’accessibilità sociale dei luoghi e dei prodotti di gioco (Hing, et al. 2009).

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caratterizzati dalla volontà di provare qualcosa di nuovo e insieme alla convinzione che le opportunità di gioco si trovino vicine ai partecipanti. Secondo le parole degli intervistati per molti il primo contatto col gioco è avvenuto spesso in situazioni in cui “si stava facendo altro”, a volte anche per noia. Un esempio è quello che fa Lucio parlando della sua prima partita a poker, avvenuta in un pomeriggio in cui, come tanti altri giorni, si trovava a casa di un suo amico:

La prima volta è stata semplicemente un caso perché noi ci troviamo a casa di un mio amico, Dani. Di solito noi ci trovavamo e giocavamo alla play station, era più un modo per trovarsi e basta. Dani [...] all’epoca delle superiori andava un po’ a giocare a poker nelle bische, a casa di gente e ha detto dai giochiamo a poker (Lucio_poker)

Con le parole “trovarsi e basta” Lucio vuole esprimere il fatto che il gioco d’azzardo non era il fine ma era il modo, rappresentava quindi l’occasione, per poter stare con gli amici era più un mezzo di condivisione.

Dalle sue parole si può desumere anche il ruolo chiave svolto dalle altre persone nel contribuire a creare un interesse per il poker. In questo senso, come per numerose altre pratiche a cui i giovani prendono parte, come può essere ad esempio il consumo di alcool o di droghe (Beccaria, 2010), il ruolo degli altri significativi risulta determinante. Proprio perché il gioco d’azzardo è considerato un’attività sociale (Reith e Dobbie, 2011; Kristiansen, 2014), nel processo di socializzazione il gruppo dei pari ha un ruolo cruciale.

Le scienze sociali concordano nel considerare il gruppo dei coetanei come una realtà fondamentale per i ragazzi, costituendo per loro un punto di riferimento primario. Nel gruppo si crea senso di appartenenza, attraverso la facilitazione dell’aggregazione e il riconoscimento reciproco dei suoi membri. Il legame solidale e di reciprocità che caratterizza i pari si contraddistingue da quello dei gruppi formali. Nella relazione reciproca i ragazzi sono in grado di operare scelte importanti riguardo la propria identità, attraverso relazioni faccia-a-faccia costanti. Alcuni autori definiscono il gruppo dei pari come un “laboratorio sociale” (Pombeni, 1993) nel quale gli adolescenti possono sperimentare scelte e comportamenti autonomi attraverso l’accesso a un repertorio di strategie per affrontare il loro percorso, lo scambio di esperienze e il confronto coi loro coetanei (Buzzi, 1980).

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La presenza di un amico o di qualcuno in grado di spiegare come si faccia a giocare è quindi fondamentale per iniziare. I ragazzi spesso hanno sentito parlare di un gioco, magari l’hanno anche visto fare, ma finché qualcuno non glielo introduce non pensano che praticarlo potrebbe essere una possibilità: lo vedono come qualcosa che semplicemente non avevano mai preso in considerazione e per questo distante da loro.

Un altro aspetto che risulta da questa socializzazione al gioco è il ruolo chiave delle persone più grandi. L’ amico più grande ha la funzione non solo di spiegare le regole a quelli più piccoli ma permette di giocare anche a coloro che sono minorenn, ne fornisce quindi anche un accesso materiale.

Come evidenziato anche in precedenti ricerche (Messerlian et al, 2005; Del fabbro et al. 2011) e confermato anche dalle parole degli intervistati, la maggior parte di loro ammette di aver iniziato a giocare da minorenne e nessuno dei partecipanti sembra porsi dei problemi sul fatto che quanto compiuto fosse illegale o potesse rappresentare un qualche problema57.

Alla domanda su quando abbiano iniziato a scommettere o a giocare a poker risposte come quella riportata hanno rappresentato la maggioranza:

Io ne ho 24 [anni] quindi fai poker con gli amici da quando ho 15 anni (Leonardo_poker)

Il giocare da minorenni non è riconosciuto dagli intervistati come qualcosa di sbagliato o pericoloso né per sé stessi né per gli altri tanto che uno dei ragazzi mi spiega tranquillamente come uno dei motivi per cui ha creato un account on line era per permettere di giocare anche al fratello minorenne, che non avrebbe avuto altro modo di scommettere in sua assenza:

“[A]llo stesso modo avendo le credenziali facevo giocare anche mio fratello che non era nella stessa città, mio fratello più piccolo che era ancora minorenne e quindi non avrebbe potuto giocare altrimenti. (Edoardo_scommesse)

Dalle parole di Edoardo si capisce come generalmente la presenza della persona più grande abbia proprio questa funzione pratica di “permettere il gioco”: consente di far giocare anche chi altrimenti non avrebbe un facile

57 Per completezza bisogna sottolineare come lo stesso atteggiamento non è avvenuto verso altre pratiche illegali. Molto spesso durante le interviste è stato chiesto di spegnere il registratore quando si faceva accenno riferimento ad altre pratiche illegali o le si trattava in maniera elusiva.

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accesso al mondo dell’azzardo, controllato e non permesso ai non maggiorenni ma che in questo modo diventa possibile e facilmente accessibile sia nel web che nel gioco dal vivo.

Un altro elemento che si può desumere dalle parole dell’intervistato è che questo atteggiamento è presente non solo tra gli amici e il mondo dei pari ma ciò accade anche col consenso famigliare dei genitori o di un adulto di riferimento.

Questa constatazione è stata rafforzata durante una serata di osservazione nella sala poker. A un certo punto della serata mi trovo fuori con alcuni dei giocatori presenti per il torneo a fumare una sigaretta. Tra le tante cose di cui parlano mi colpisce molto quello che dice un ragazzo intento a giocare a poker su un tablet:

[...] “io gioco da quando ho 13 anni” Gli chiedo come ha fatto a iniziare così presto,

quasi incredula e pensando lo dicesse per fare lo sbruffone con me. “Con l’account di mio padre”. Ma glielo prendevi di nascosto? No, no, me lo ha dato lui. Faccio una faccia stranita e i ragazzi intorno a lui confermano che è comunissimo iniziare con l’account di un genitore (osservazione sala poker_1.4.2017)

Questo esempio denota un’accettazione sociale interna non solo al gruppo dei pari ma anche alle reti famigliari58, importanza già riscontrata in letteratura

(Gupta e Derevensky 1997; Kalischuk et al.; 2006). I ricercatori hanno notato che molte persone sono introdotte al gioco d'azzardo nel contesto della famiglia e che spesso sono proprio i membri più anziani che offrono ai più giovani opportunità di gioco (Orford et al. 2003). La maggior parte di queste ricerche tuttavia ha finito per guardare alle sole implicazioni negative che le pratiche di gioco di un adulto hanno sulla rete famigliare (Kalischuk, et al 2006) e di come queste possano costituire un elemento di pericolo e come porta di accesso al gioco d’azzardo problematico.

Dalle parole dei giovani si vede come in realtà la trasmissione che avviene all’interno della famiglia non si limiti a un passaggio di mera conoscenza, ma

58 Accettazione che, a dirla tutta, non è sempre presente all’interno della famiglia. Non sono mancati esempi di ragazzi che nascondevano alla famiglia il fatto di giocare

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anche di significazione. Infatti il coinvolgimento dei giovani avviene attraverso una partecipazione degli adulti (genitori, fratelli, nonni e zii) ai giochi che mostra una legittimazione che normalizza le condotte di gambling, accomunandolo ad esempio ai giochi di carte (o al calcio nel caso delle scommesse) e fornendo un ambiente in cui il gioco può essere appreso più facilmente. Questo traspare dalle parole di uno dei ragazzi, il giovane ha la percezione del poker come di una passione familiare prima ancora di essere un gioco d’azzardo:

Dipende, a me è sempre piaciuto un po’ perché con la famiglia; sai mia zia tipo giocava a poker e raccontava e mi piaceva già allora. Poi giochi a briscola col nonno e ti piace. Già la famiglia ti trasmette la passione per le carte da subito, fin da bambino (Gabriele_poker)

Gabriele parla del poker relazionandolo non ai giochi d’azzardo ma agli altri giochi di carte come appunto la briscola e i giochi non a soldi. In questo senso si può far riferimento al poker come a una forma di capitale culturale appreso e condiviso all’interno della famiglia in cui la significazione culturale data non è riferita al mondo dell’azzardo ma appunto a quella dei giochi come spazio di competizione ma anche di socializzazione mediato dalle reti relazionali primarie.

Per quanto riguarda gli intervistati ho notato inoltre che i ragazzi che rispondevano di aver imparato a giocare in famiglia spesso fornivano un età di inizio molto più bassa (8-13 anni) rispetto a quelli che si erano avvicinati al gioco grazie agli amici (15-19 anni).

In maniera particolare questa percezione del poker come di un’attività ludica porta con sé l’idea che la fase di inizio del gioco non coincida per forza con il momento in cui si è speso del denaro. I ragazzi qui intervistati hanno spesso fatto riferimento a un “inizio senza soldi”. Rebecca Cassidy (2013) analizzando i social gaming on line59 mette in luce come i giochi non a soldi

possano costituire “spazi di anticipazione” al mondo più specifico dell’azzardo con posta in palio di natura economica (Cassidy, 2013:79) grazie alla natura fluida e non definita concessa dall’esperienza di gioco on line.

Dal modo in cui fanno riferimento al loro inizio con il gioco d’azzardo sembrerebbe che questa “a-monetarietà” della posta in palio non sia

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prerogativa dell’offerta di gioco on line ma anche dei giochi dal vivo. Dal lato pratico questa assenza di denaro fa sì che tra i giovani le fiches possano essere qualsiasi cosa: carte, piccole monetine, anche dei cereali per la colazione, come lo è stato nel caso di Jack:

Col poker invece c’è stato una presentazione diversa, non a livello monetario. Non avendo monete ci fu presentato a mo’ di cereali. Ci presentarono il poker a me e un mio amico che non lo conoscevamo con i cereali che rappresentavano i nostri soldi. Quindi io ricordo questi cereali: riso soffiato e cioccolato. (Jack_poker)

Il vantaggio di un gioco senza soldi è che può essere praticato ovunque: a casa, a scuola così come in un luogo pubblico, rendendone possibile e facilitandone la fruizione in qualsiasi momento. Contesti come la ricreazione o un pomeriggio al parco vengono ritenuti dai ragazzi occasioni di gioco tanto quanto una sala poker o un sito internet. Durante i mesi di interviste e di osservazione è capitato più di una volta che i ragazzi mi mostrassero la facilità con cui è possibile giocare d’azzardo: dal gruppo che estrae dall’auto una valigetta da poker professionale nel parco sotto casa, alla partita al circolo in una sera in cui non si sa cosa fare con gli amici. Da questi esempi emerge come secondo il vissuto degli intervistati la disponibilità del gioco non rappresenta una specificità delle agenzie formali preposte per legge alla loro fornitura ma anche del mondo informale e della vita di tutti i giorni; ciò contribuisce a ridefinire quella ubiquità di gioco considerata pericolosa negli spazi di accesso formali ma che in questo modo appare avere contorni ancora meno rigidi e difficilmente controllabili.

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