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INQUADRAMENTO SU ALCUNI STRUMENTI E METODI DI ANALISI STATISTICA (UTILI AI FINI DELLA TESI) ANALISI STATISTICA (UTILI AI FINI DELLA TESI)

CAPITOLO 2. INQUADRAMENTO SOCIO-ECONOMICO

2.1 INQUADRAMENTO SU ALCUNI STRUMENTI E METODI DI ANALISI STATISTICA (UTILI AI FINI DELLA TESI) ANALISI STATISTICA (UTILI AI FINI DELLA TESI)

2.1.1 Le check-lists

Le check-lists o liste di controllo sono una delle metodologie di identificazione delle trasformazioni e vengono usate in diversi ambiti disciplinari, soprattutto nel settore ambientale, ma anche nella lettura delle trasformazioni urbane e territoriali. Le check-lists sono costituite da elenchi di componenti, attività connesse alla trasformazione ed azioni generatrici di effetti. Tali elenchi costituiscono uno strumento di riferimento per l’individuazione degli effetti, consentendo di predisporre un quadro informativo sulle principali interrelazioni che devono essere analizzate.

Nel dettaglio, si possono distinguere cinque tipi principali di check-lists:

- le check-lists semplici sono elenchi di componenti standardizzati per tipo di trasformazione od ambito territoriale di riferimento;

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- le check-lists descrittive sono elenchi che, per ognuna delle componenti considerate, forniscono anche i criteri metodologici necessari all’identificazione degli effetti che la trasformazione può provocare su di essa;

- le check-lists di quesiti sono elenchi di domande relativi alle attività connesse con la trasformazione e agli effetti che esse possono provocare;

- le scaling check-lists sono elenchi che forniscono i criteri metodologici necessari alla formazione di graduatorie delle alternative progettuali proposte in relazione agli impatti stimati per ognuna delle componenti;

- le weighting check-lists sono elenchi che forniscono i criteri metodologici per la stima, la ponderazione e l’aggregazione degli impatti in indici sintetici di impatto. Le prime tre categorie rientrano nell’insieme delle check-lists qualitative. Esse hanno lo scopo di facilitare l’individuazione degli effetti, impedendo che vengano trascurati o sottovalutati aspetti problematici importanti. Un esempio classico di check-list qualitativa è costituito dall’elenco di quesiti facente parte integrante del metodo di stima e valutazione degli impatti sviluppato dal Project Appraisal for Development Control

Research Team. Tale elenco è formato da 180 domande inerenti sei categorie di effetti

(effetti sulle caratteristiche fisiche, sulle caratteristiche ecologiche, sul modello di antropizzazione, sulle infrastrutture, sui servizi sociali e sull’inquinamento) e 23 sottocategorie (effetti sul suolo, sull’acqua, sul clima, sugli aspetti demografici, sull’occupazione, sull’offerta di lavoro e così via).

Le ultime due categorie rientrano, invece, nell’insieme delle check-lists quantitative. Esse permettono di stimare un impatto e di valutarlo rispetto agli altri impatti determinati dallo stesso progetto o agli impatti determinati dalle soluzioni progettuali alternative. Gli elenchi di questo tipo diventano, dunque, strumenti utili anche per lo svolgimento delle successive fasi di stima e valutazione degli impatti.

In generale, a causa dell’elevato numero di variabili da considerare, la difficoltà maggiore in cui si incorre operando con le check-lists consiste nello stabilire quali sono le relazioni di causa-effetto più importanti ed attuare una valutazione più approfondita delle medesime. In altri termini, il limite delle check-lists consiste nell’impossibilità di approfondire in maniera adeguata i diversi aspetti problematici. Ciò è dovuto ad una certa rigidità della stessa metodologia, la quale, nel tentativo di offrire un risultato esente da lacune o dimenticanze, finisce per perdere parte della sua flessibilità di adattamento a realtà complesse o ad aspetti particolari e fortemente variabili.

Le check-lists si rivelano comunque sempre molto utili per avere una prima visione generale degli effetti che possono essere prodotti da una trasformazione (Cacciaguerra S., 1989, pp. 29 - 30).

2.1.2 Le matrici e le matrici coassiali

Per il largo utilizzo che viene fatto nelle teorie della pianificazione territoriale, si ritiene utile riprendere brevemente la definizione di matrice.

La matrice è uno strumento matematico di calcolo in cui gli elementi sono ordinati in una griglia su cui sono applicabili determinate proprietà algebriche. In sostanza sono tabelle a doppia entrata, nelle cui righe e colonne vengono riportate, rispettivamente, le componenti di interesse, opportunamente disaggregate, e gli elementi connessi con la trasformazione. Ogni incrocio tra righe e colonne rappresenta una situazione conseguente all’incrocio stesso delle entità in esame.

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Una generalizzazione del concetto di matrice è costruita prendendo due insiemi M e N parametrizzanti le righe e le colonne e definendo la matrice come un’applicazione A per cui:

A: M x N → I dove:

I è l’insieme dei numeri compresi in M e dei numeri compresi in N.

M = 2 1 M 0 0 M ,

In modo analogo a quanto accade per le check-lists, anche le matrici possono essere suddivise in matrici qualitative e matrici quantitative. Le matrici qualitative si limitano ad evidenziare se esiste o meno una qualche interazione tra componenti ed elementi connesse con la trasformazione, ovvero sono strumenti utili nella sola fase di identificazione degli effetti. Le matrici quantitative permettono di valutare sia gli impatti sulle singole componenti che l’impatto complessivo della trasformazione, attribuendo ad ogni incrocio un coefficiente di ponderazione, che esprime l’importanza di quella interazione rispetto a tutte altre. In questo caso specifico, le matrici divengono strumenti utili anche nella fase di stima e valutazione degli impatti.

L’esempio più conosciuto di questa metodologia è costituito dalla matrice di Leopold, che incrocia 88 componenti ambientali e 100 azioni, per un totale di 8.800 possibili interazioni.

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Figura 54 Una parte della matrice di Leopold (Cecchini, Fulici, 1994)

Gli impatti previsti vengono indicati nell’apposita casella, specificando, per ciascuno di essi, l’entità e l’importanza relativa mediante scale omogenee.

Oltre alle matrici causa-effetto, denominate anche matrici componenti-azioni, esistono poi applicazioni più complesse tra cui le matrici in sequenza e le matrici coassiali. Le matrici in sequenza permettono la relazione tra effetti diretti ed effetti indotti, Un esempio classico lo si ritrova nel metodo sviluppato dal Central New York Regional Planning and

Development Board, CNYRPDB per la gestione dei sistemi idrici. Esso si basa su due

matrici in sequenza: la prima permette di identificare gli effetti diretti, mettendo in relazione le condizioni ambientali e le azioni connesse con la trasformazione; la seconda permette di identificare gli effetti indotti, mettendo in relazione tra loro gli effetti diretti ricavati dalla prima matrice. Le matrici coassiali di cui si farà uso in seguito sono delle matrici multiple, legate tra loro per mezzo di uno dei due parametri descritti in riga o in colonna. Esse costituiscono lo strumento operativo più comunemente impiegato per la definizione delle interazioni causa-condizione, condizione e

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effetto, le quali sono alla base del metodo CCE, Cause-Condizioni-Effetti. In particolare

per l’analisi ambientale, le modalità di applicazione di questo metodo prevedono, innanzitutto, la ricerca di ogni possibile relazione di causa-effetto tra le attività umane e l’ambiente, non tralasciando gli effetti indotti. Tale metodo si basa, infatti, sull’assunzione che le trasformazioni introdotte dall’uomo creino variazioni nel sistema ambiente in modo da influenzare le stesse attività che le hanno prodotte, dando luogo a fenomeni di retroazione tra le cause delle modificazioni dell’ambiente e gli effetti prodotti da queste.

In seguito, tutte le relazioni di causa-effetto individuate vanno aggregate, per ricavare le interazioni tra i fattori causali e le condizioni ambientali influenzate, tra queste ed i cambiamenti delle condizioni ambientali e tra questi e le attività umane influenzabili. Si può così constatare che ogni fattore causale influenza più condizioni ambientali, le quali, a loro volta provocano un numero ancora maggiore di cambiamenti delle condizioni ambientali e delle attività umane.

Con questo metodo, si dovrebbe riuscire a comporre un quadro significativo di ciò che il progetto in generale ed ogni sua variante in particolare causano sull’ambiente e sulle attività umane che in esso si svolgono. Il quadro informativo che si deriva da queste relazioni di causa-effetto risulta, però, quanto mai complesso e diversificato nei suoi aspetti e nei suoi contenuti, il che, nel caso dei sistemi complessi, costituisce uno dei maggiori vincoli alla corretta applicazione dello stesso metodo CCE.

Figura 55 Schematizzazione delle matrici coassiali e delle interazioni causa-condizione, condizione-condizione, condizione-effetto, alla base del metodo CCE, Causa-Condizioni-Effetti. (Verdesca 2003). I difetti di questa metodologia, sottolineati da diversi autori sono principalmente: il rischio di non disaggregare a sufficienza le componenti e/o di non esplicare in maniera soddisfacente le azioni connesse con la trasformazione, perdendo così in precisione e significatività e la difficoltà di mettere in rilevo l’eventuale concatenazione di effetti, ovvero di rendere evidente il fatto che alcuni effetti possono costituire la condizione per il verificarsi di molti altri.

Le matrici rimangono comunque gli strumenti operativi maggiormente utilizzati per l’identificazione degli effetti e ciò in virtù della loro capacità di fornire un quadro di

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immediata comprensione degli aspetti problematici del progetto. Inoltre, evidenziando il rapporto che esiste tra componenti ambientali e specifiche azioni, esse possono essere utilizzate per elaborare alternative o varianti progettuali, in grado di eliminare o attenuare gli impatti negativi del progetto (Pizzutti, 2016, pag. 179).

2.1.3 L’analisi multicriteriale

Il processo di pianificazione del territorio, nella definizione degli usi e delle trasformazioni, si serve delle tecniche di valutazione per verificare la coerenza degli obiettivi e la compatibilità delle strategie attuate per operare sul territorio ragionevolmente e con lungimiranza.

La valutazione è definita da Nijkamp come l’insieme delle attività necessarie ad organizzare le informazioni utili alle scelte, in modo tale che ciascun attore del processo decisionale sia in grado di prendere decisioni più bilanciate possibili. De Montis si sofferma su questa nota e formula alcune considerazioni tra cui emergono alcuni questioni utili a capire le tecniche di valutazione: egli sostiene che la valutazione va intesa come un processo che aiuta gli attori nell’accrescimento della conoscenza attraverso anche l’interazione tra loro e con gli analisti; sostiene anche che la decisione finale è sempre esito di un processo di mediazione tra le parti, nel quale non si giunge al completo soddisfacimento di una parte. In altri termini le tecniche di valutazione introducono il confronto tra attori mediante una dimensione discorsiva, dialogica e dinamica. Le attività mirano alla prefigurazione di scenari alternativi futuri e in questo senso la valutazione ex

ante mira a descrivere gli effetti di ogni alternativa e costituisce una sorta di test di verifica

preventiva delle conseguenze.

Nell’ambito della costruzione del piano territoriale, tra le tecniche più diffuse di valutazione si inserisce l’analisi multicriteriale. Essa si è confermata utile in contesti come quelli di pianificazione territoriale in cui gli interessi sono spesso in antitesi e gli obiettivi conflittuali, per cui risulta pressoché impossibile l’applicazione del paradigma dell’ottimizzazione. Il che significa la non dominanza di un alternativa sulle altre, se confrontata con tutti i parametri. (Deplano, 2001, pag.11). Voogd spiega, nel suo testo

Multicriteria Evaluation for Urban and Regional Planning, il motivo per cui le tecniche

multicriteri sono maggiormente utilizzate. Esse assolvono, meglio di altre, alle funzioni dei metodi di pianificazione e, anziché avere un sistema rigido di regole fisse, usano uno schema flessibile e dunque adattabile a varie circostanze, senza modificare la natura dell’approccio. Voogd ritiene che l’analisi multicriteri sia un vero e proprio metodo di piano, più che di sola valutazione, in quanto non è individuabile il confine tra valutazione e pianificazione. La costruzione degli assetti futuri avviene in base alle indicazioni date dalla valutazione e viceversa le valutazioni condizionano le scelte di piano per nuovi scenari. Nijkamp, a favore dell’approccio multicriteri, aggiunge la flessibilità del metodo adatto a favorire processi di mediazione politica nell’attività decisionale. Tali tecniche sembrano inoltre essere in grado di affrontare la variabilità delle situazioni di conflitto tra comunità locali ed amministrazioni pubbliche.

La pianificazione urbana e territoriale si basa anche sulla ricerca della valorizzazione ottimale del territorio. Uno degli aspetti fondamentali è “la sistematizzazione di un corretto processo di valutazione della domanda che possa agevolare sia l’operato degli attori incaricati della gestione del territorio sia le istanze e le richieste del più ampio novero di coloro che ne fruiscono”(Pupillo, 2012, p.197). Nel processo di pianificazione urbanistica un’attività centrale è l’esame della domanda, in tale contesto vengono

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considerate le metodologie di stima e valutazione degli impatti delle trasformazioni, usate come strumento di supporto decisionale e per la razionalizzazione dei processi di piano. I gradi di difficoltà dei processi decisionali sono svariati, pertanto esistono problemi in cui le scelte si basano su di un unico criterio (analisi unicriteriale) e problemi in cui i criteri da considerare sono molti (analisi multicriteriale).

Le analisi unicriteriali riconducono la qualificazione degli impatti ad una analisi costi-benefici, che si basa sulla monetizzazione dei danni e dei vantaggi delle trasformazioni. Vengono assegnati valori monetari all’insieme degli impatti di una trasformazione, considerati come costi o come vantaggi, a seconda dei casi; il valore del progetto e delle sue alternative si ricava sommando i valori monetari attribuiti a tutte le componenti positive o negative del progetto stesso e confrontando i valori così determinati si perviene alla scelta della variante migliore.

Il limite di questo metodo consiste nel quantificare in termini economici gli aspetti non misurabili, come l’estetica, il paesaggio, la salute umana la cui valutazione rimane aleatoria e soggettiva. In letteratura sono state proposte alcune soluzioni per quantificare tali aspetti, ad esempio in funzione del costo necessario a ripristinare la condizione ambiente iniziale o in funzione della somma che il cittadino è disposto a spendere per non subire determinati danni. Tuttavia per ridurre gli inconvenienti connessi alla soggettività di tali criteri è possibile suddividere i criteri e applicare l’analisi costi-benefici solo agli aspetti monetizzabili, mentre per altri criteri di carattere soggettivo rifarsi a valutazioni di giudizio.

Le analisi multicriteriali possono essere disaggregate e aggregate.

L’analisi multicriteriale disaggregata coincide con l’analisi costi-efficacia e limita lo spettro decisionale con delle soglie critiche che non devono essere superate dagli impatti previsti, ciò porta alla scelta dell’alternativa economicamente più vantaggiosa entro tali soglie, eliminando di volta in volta le varianti che non rispettano anche una sola norma imposta. Questo metodo, seppur comodo perché si riferisce agli standard di legge e lavora con dati oggettivi e reperibili, riduce però la scelta all’alternativa più economicamente realizzabile, tralasciando aspetti estetico-paesaggistici, di difficile codificazione.

Le analisi multicriteriali aggregate, per definizione, raccolgono più pareri, anche in disaccordo tra loro, per giungere alla decisione conclusiva. Al fine di ottenere un giudizio sintetico, l’analisi viene condotta con criteri diversi per ciascuna delle grandezze soggette a trasformazione, che vengono poi ponderate con opportuni coefficienti di omogeneizzazione. In altri termini, per ottenere una valutazione oggettiva si introducono i pesi degli impatti attraverso i coefficienti di omogeneizzazione che sono dei differenziali trasformativi di ogni grandezza trasformabile considerata nell’ambito del caso studio. La ponderazione dei diversi criteri viene fatta talvolta rifacendosi alla valutazione esplicita dell’analisi costi-benefici o più soggettivamente basandosi sull’importanza attribuita a specifiche esigenze di diversi gruppi sociali o attribuita ad elementi ambientali da tutelare. A tal proposito il metodo di Odum, elaborato per la valutazione di progetti stradali mediante il confronto tra diverse varianti, prevede l’uso di una matrice che organizza 56 indicatori di impatto, cui vengono attribuiti diversi valori, secondo un preciso criterio ponderale.

Il difetto di questo metodo consiste nella sua eccessiva cardinalità: la scelta tra le varianti è demandata alla graduatoria numerica definita dai risultati della matrice, trascurando la possibilità che possa nascondersi l’arbitrarietà e la soggettività, implicita nell’attribuzione iniziale dei pesi agli indicatori.

Un metodo alternativo, meno matematico ma più credibile nell’impostazione generale e che dà risultati controllabili, viene elaborato da Virginio Bettini, Enrico Falqui e Marina

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Alberti, i quali propongono il metodo della variante vincente. In questa elaborazione, i dati di ingresso sono prodotti, dalle varianti, nella fase di esame, sotto forma di una serie di valutazioni delle varianti nei loro diversi aspetti, secondo vari criteri e con indicatori propri per ogni criterio. Evitando di ricondurre tutte le valutazioni ad una comparazione cardinale, i tre autori stabiliscono un ordine decrescente di importanza dei criteri, i quali vengono confrontati solamente in base alle loro reciproche dimensioni, secondo principi di questo tipo: “più importante di...”, “meno importante di...”, “importante tanto quanto...” e così via.

In seguito, per ogni criterio, si stabiliscono le graduatorie tra le varianti: utilizzando il metodo cardinale per gli indicatori numerici ed il metodo ordinale quando i criteri sono espressi da giudizi. Così facendo, si ottengono matrici in cui i criteri sono ordinati in diverse classi di importanza, per esaminare un certo numero di varianti. Può accadere che più varianti siano prime a pari merito, secondo più criteri. La variante vincente risulta essere quella che ha più primi posti nei criteri di primo livello. La graduatoria finale viene infatti stilata con riferimento ai soli criteri di primo e secondo livello, poiché, come sottolineato dai tre autori, sembra inammissibile che una variante che si comporta bene rispetto a criteri secondari possa essere preferita ad una con prestazioni negative rispetto ai criteri principali. È comunque utile conoscere il comportamento delle varianti anche rispetto ai criteri secondari, per avere un quadro completo della situazione e per attingervi in caso di parità delle varianti ai primi livelli dei criteri.

Naturalmente, le variazioni al metodo possono essere più d’una, ma deve rimanere ben chiaro il principio che lo ha ispirato, il quale, se opportunamente seguito, consente di evitare il rischio o la tentazione di alterare i risultati, utilizzando criteri di un tipo a scapito di altri e spostando l’interesse della valutazione verso tali criteri (Cacciaguerra S., 1989, pp. 53 - 56).

Secondo gli studiosi Hwang e Yoon tutti i problemi multicriteriali, a prescindere dalla loro natura, hanno delle caratteristiche comuni:

- gli obiettivi/attributi multipli (analisi multiobiettivi - AMO e multiattributi - AMA) che il decisore deve individuare per la messa a fuoco del problema;

- possibili conflitti fra criteri;

- unità di misura incommensurabili ovvero indicatori nominali o discorsivi o qualitativi al fianco di indicatori cardinali;

- ideare o selezionare l’alternativa decisionale più soddisfacente, a seconda del tipo di analisi AMO AMA.

Generalmente i problemi decisionali sono governati da una pluralità di attori, ciascuno dei quali si rende portavoce di propri obiettivi e delle proprie priorità, inoltre gli impatti su tali obiettivi sono necessariamente espressi in unità di misura diverse. Si tratta, pertanto, di problemi decisionali in cui ci sono una molteplicità di decisori, di obiettivi e di unità di misura; le informazioni disponibili sono rappresentate da una matrice di dati mista, con valori quantitativi e qualitativi rappresentati su scale differenti. I problemi di valutazione a criteri multipli vengono analizzati individuando ed inserendo in un modello decisionale i seguenti elementi fondamentali:

- l’obiettivo o gli obiettivi generali, detti goal, che rappresentano le finalità da raggiungere col processo decisionale;

- un decisore o un gruppo di decisori, coinvolti nel processo di scelta, che sono i soggetti interessati alla valutazione. Anche se la responsabilità finale di una decisione solitamente ricade su un singolo individuo, in realtà spesso è la risultante di interazioni tra molteplici attori nel corso di un processo di decisione;

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- le preferenze dei decisori, che sono espresse in termini di pesi assegnati ai criteri di valutazione;

- un insieme di criteri di valutazione sulla base dei quali i decisori valutano le alternative; il termine criterio include il concetto di obiettivo e di attributo, nel senso che un obiettivo è una dichiarazione sulla condizione che vorrebbe essere raggiunta dal sistema, mentre gli attributi assegnati all’obiettivo, lo fanno diventare operazionale, nel senso che rendono i criteri misurabili qualitativamente e/o quantitativamente;

- un insieme di alternative decisionali che devono essere ordinate; esse rappresentano gli oggetti della valutazione e della scelta;

- un insieme di punteggi (outcomes/scores) che esprimono il valore dell’alternativa i-esima rispetto all’attributo j-esimo e che costituiscono gli elementi di una matrice detta matrice di valutazione.

Figura 56 Elementi del processo decisionale

Il processo viene affidato ad un valutatore, che assume la funzione di fornire al decisore, cioè a colui che sceglie “cosa fare”, il quadro delle alternative possibili e, se necessario, lo guida nella identificazione di nuovi possibili scenari attraverso la modifica delle variabili che influiscono sul progetto. Egli può anche aiutare il decisore a costruire una