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CAPITOLO 2. INQUADRAMENTO SOCIO-ECONOMICO

2.2 TEORIE TERRITORIALI E ANALISI DEI SISTEMI URBANI

Prima di approfondire il discorso sui metodi di analisi dei sistemi urbani, è opportuno chiarire i concetti spesso richiamati di struttura, modello e sistema. Nel definire la

struttura e l’analisi strutturale vengono introdotti altri concetti, in primis quelli di modello e sistema. Di sistemi parlava già Ferdinand de Saussure e le strutture, termine

introdotto più tardi, sono le strutture di tali sistemi. Adottare la concezione strutturale significa, allora, concepire la realtà in termini di sistema e ricercarne la struttura mediante l’elaborazione di un modello. Dunque, l’analisi strutturale implica la costruzione di modelli su cui sia possibile operare direttamente a differenza di quanto non avviene con la realtà sulla quale, invece, è quasi sempre impossibile (Pizzutti, 2015).

Per chiarire meglio la definizione di struttura si può affermare che: la struttura non appartiene al campo dei fenomeni della realtà direttamente osservabili; si presenta con i caratteri di un sistema, ovvero un insieme di elementi tra loro interrelati e tali che la modifica di uno di essi comporta la modifica di tutti gli altri e ancora che l’analisi strutturale si fonda sulla costruzione di un modello, il quale deve essere in grado di spiegare la realtà ed i suoi fenomeni. La definizione che ne dà l’antropologo Lévi-Strauss, come “il contenuto stesso colto in un’organizzazione logica concepita come proprietà del

reale” (Scandurra, 1987, p. 28.), permette di cogliere organizzazioni urbane

(insediamenti, città) caratterizzate da rapporti tra forme collettive di vita sociale e forme urbane organizzate in piazze, strade, architetture, permette inoltre di adottare categorie tipologiche quali struttura a pettine, struttura radiale, struttura bipolare per spiegare e confrontare varie realtà. Nei paragrafi seguenti si accenna brevemente alle interpretazioni di Alexander sulla teoria della strutturazione e di McLoughlin sulla teoria dei sistemi, per poi esporre alcune teorie che interpretano i tre diversi filoni teorici che hanno maggiormente condizionato la ricerca nel campo dell’analisi dei sistemi urbani.

Un primo filone teorico identifica la città come un organismo produttore e distributore di beni e servizi. Esso interpreta la città nella sua funzione terziaria in cui l’organizzazione territoriale è costituita da uno o più centri appartenenti ad un unico sistema che forniscano i servizi necessari alla popolazione distribuita sul territorio, nell’area di influenza associata al sistema urbano. Secondo questo pensiero le città madre sono organizzate gerarchicamente per servizi di diversa dimensione, tale gerarchia è garanzia dell’efficienza delle attività urbane secondo il criterio economico dello sforzo minimo evitando localizzazioni inefficienti e duplici. A questo primo filone appartiene la teoria christalleriana delle località centrali.

Il secondo filone teorico interpreta il sistema urbano non solo secondo la funzione terziaria ma si occupa complessivamente dei processi di crescita. Ne è esempio la regola rango-dimensione elaborata da Zipf che conferma la gerarchia nella distribuzione dei centri urbani ma non ammette l’associazione automatica tra sviluppo delle attività di servizio e dimensione demografica del centro. Secondo la lettura allometrica ogni centro si sviluppa di una frazione dello sviluppo dell’intero sistema, tendendo a mantenere costante lo sviluppo relativo, cioè un centro urbano crescerà nel tempo meno di un centro maggiore e più di un centro minore dello stesso sistema urbano.

Il terzo filone interpreta lo sviluppo dei sistemi urbani attraverso il metodo dell’analisi dei flussi territoriali tra i poli del sistema. In questo caso ciascun polo gode di un proprio potenziale di attrazione espresso dalla presenza di popolazione nei dintorni di quel centro rispetto agli altri del sistema. I flussi scambiati tra i poli e le parti del sistema vengono considerati gli indicatori del potenziale dei poli. In particolare il metodo dei grafi planari permette di rappresentare i centri urbani come nodi del sistema e i flussi di scambio come

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le aste che li collegano e nello specifico la grandezza, la direzione e il verso dei flussi forniscono informazioni in merito all’attrazione di alcuni poli su altri.

2.2.1 Teoria della strutturazione di Christopher Alexander

Christopher Alexander è stato il principale divulgatore del metodo strutturale di Lévi-Strauss, nella disciplina urbanistica, soprattutto con il famoso saggio La città non è un

albero scritto nel 1967.

Alexander impiega il metodo investigativo strutturale e la teoria degli insiemi per identificare due tipi di organismi urbani, la città naturale e la città artificiale. Con la teoria degli insiemi egli spiega la differenza: noto che “un insieme è una raccolta di elementi

che per qualche ragione pensiamo si approprino l’un l’altro”, si parla di sistema quando

“gli elementi di un insieme si appartengono perché cooperano e collaborano in qualche

modo” (Scandurra, 1987, p.29). L’immagine della città, per Alexander, è data dalle mutue

relazioni che si stabiliscono fra i molteplici sottoinsiemi fissi (strade, edifici, eccetera) che ne costituiscono la struttura. La differenza tra la città naturale e quella artificiale sta nelle due diverse strutture di insiemi: la prima si organizza in modo reticolare (o a semilattice) e dunque caratterizzata da una certa complessità strutturale di sottoinsiemi con molte interferenze e sovrapposizioni, la seconda ad albero (o dendroforme) ed è caratterizzata da una rigida schematicità di relazioni tra sottoinsiemi data dall’intento di semplificare ogni organizzazione attraverso una progressione di successivi distacchi fra elementi. Nella fattispecie, una struttura è definita a semilattice “se e soltanto se, sovrapponendosi due insiemi che appartengono alla raccolta, l’insieme di elementi comuni ad entrambe appartiene pure alla raccolta”. Al contrario, una struttura è definita dendromorfa “se e soltanto se, considerati due insiemi che appartengono alla raccolta, uno dei due è del tutto contenuto nell’altro oppure ne è del tutto separato”. In altri termini, una struttura a semilattice è caratterizzata da una concatenazione complessa tra elementi, ovvero da ciascun punto è possibile raggiungere gli altri tramite un numero elevatissimo di combinazioni; una struttura dendromorfa è invece caratterizzata da una concatenazione semplice tra elementi, in cui da ciascun punto è possibile raggiungere gli altri tramite una ed una sola combinazione.

Figura 77 A sinistra: organizzazione reticolare delle città naturali. A destra: organizzazione ad albero delle città artificiali

Esempi di città naturali sono le città storiche, evolutesi nel tempo come Roma, Siena, Liverpool, Kyoto, Manhattan e così via; mentre città artificiali, cioè costruite su un piano prestabilito, possono essere Chandigarh, Letchworth, Welwyn, Brasilia ed altre.

A partire da ciò, Alexander sostiene che, ogni qualvolta si è pianificata una nuova città, è stato commesso un errore di fondo consistente nel voler applicare una struttura

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dendromorfa ad un organismo, come è quello urbano, in cui le relazioni tra le parti sono estremamente complesse.

Da qui discendono le forti critiche che egli muove nei confronti di alcune delle scelte operate all’interno di piani e realizzazioni di notevole rilevanza: dall’accentramento di funzioni univoche in un singolo contenitore alla separazione tra traffico veicolare e traffico pedonale.

Nella realtà, dunque, gli organismi urbani sono strutturati in maniera complessa ed è proprio questa struttura che deve essere messa in evidenza, poiché “quando pensiamo in termini di organizzazione dendromorfa, non facciamo che barattare l’umanità e la ricchezza della città vivente con una semplicità concettuale di cui gli unici a trarre benefici sono i pianificatori, i pubblici amministratori, i progettisti e gli urbanisti. Ogni volta che un settore della città viene enucleato dal suo contesto globale e una diramazione dell’albero sostituisce così il legame a semilattice preesistente, la città fa un passo avanti verso la dissociazione” (Alexander C., 1967, pp. 229-230).

2.2.2 Interpretazione della teoria generale dei sistemi applicata alla città

Il maggior sostenitore della prassi sistemica nella disciplina urbanistica è Brian J. Mc Loughlin. Egli riprende la teoria generale dei sistemi, sviluppata da Ludwig von Bertalanffy ed in seguito da Jay W. Forrester e tenta di applicarla alla pianificazione urbana e territoriale. Il sistema viene definito come un complesso di elementi interagenti, dove il termine interazione sta a significare che gli elementi sono connessi da relazioni R, in modo tale che il comportamento di un elemento p in R è differente da quello che sarebbe il suo comportamento rispetto a un’altra relazione R’. In altre parole un sistema è definito da parti e relazioni che a loro volta sono variabili (sistema statico) o invariabili (sistema dinamico) nel tempo. Le attività sono definite quei processi che apportano variazioni al sistema e possono essere esterne ad esso (sistema aperto) o interne (sistema chiuso).

Al proposito, egli afferma che “le parti che costituiscono il nostro sistema sono attività

umane persistenti; soprattutto quelle che tendono ad avvenire e a ripetersi in specifiche

localizzazioni, o all’interno di particolari zone o aree. All’interno dell’ampio campo di attività umane esiste poi una continua gradazione tra le attività che sono strettamente connesse ad un luogo e quelle che sono invece del tutto casuali in termini di luogo. […] I collegamenti tra le parti sono le comunicazioni umane ed ancora una volta il nostro interesse si deve soprattutto centrare su quelle che hanno carattere ricorrente e sono spazialmente aggregate […]. Le comunicazioni permettono alle varie attività di interagire tra loro, di collegarsi ed influenzarsi reciprocamente in modo che si possano verificare i modelli di comportamento umano indispensabili; esse possono naturalmente assumere forme diverse. Le comunicazioni radio rappresentano un buon esempio di interazioni senza collegamenti con un luogo; mentre i trasporti ferroviari sono l’estremo opposto. La comunicazione coinvolge diversi tipi di interazione: la trasmissione di beni materiali, di persone, di messaggi e di impressioni ricevute dagli organi sensori della vista, dell’udito, dell’odorato; il trasporto può essere distinto come un sottosistema di comunicazione relativo all’interazione materiale (di beni e di persone). Così come le attività possono essere più o meno connesse ad un luogo, altrettanto avviene per le comunicazioni”. Inoltre, egli procede sottolineando che “il nostro sistema assume una precisa forma fisica. Le attività avvengono all’interno di spazi adattati, che includono edifici, stadi, parchi,

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spiagge, laghi, case, foreste, aeroporti e così via. L’aggettivo "adattato" non implica necessariamente l’esistenza di una costruzione fisica o di uno sviluppo fisico […]. È nel loro uso cosciente e regolare che essi assumono la definizione di spazi adattati; analoghe osservazioni possono essere applicate alle forme fisiche delle comunicazioni: i canali. Anche questi ultimi possono essere deliberatamente costruiti: le strade, i sentieri, le ferrovie, le condotte, i cavi telefonici e gli ski-lift; oppure presi direttamente dalla natura: i fiumi, i corridoi aerei, la sommità delle montagne o il fondo delle valli”. Infine, egli conclude riconoscendo che le maggiori difficoltà che si hanno nel comprendere la complessità di un sistema urbano deriva “dal peso eccessivo che viene attualmente attribuito all’aspetto fisico degli spazi e dei canali” (Mc Loughlin, 1973, pp. 60 - 61). Se dunque si assimila la città ad un sistema dinamico allora la pianificazione può essere considerata come il modo per controllare il processo di mutamento di un sistema costituito da quell’attività umana e da quelle forme di comunicazione che hanno un elemento locazionale o spaziale (Scandurra, 1987, p.40). Ne deriva che gli strumenti di pianificazione devono essere elaborati in modo coerente a tale interpretazione. Come scrive Robert B. Mitchell, essi “saranno i piani relativi alla natura, ai valori, alla quantità e alla qualità del mutamento urbano: cioè piani per un processo di sviluppo. Essi saranno espressi in termini dinamici, piuttosto che statici; partiranno dalle condizioni presenti per puntare nella direzione del mutamento” (Mc Loughlin, 1973, p. 67).

Figura 78 A sinistra: Rappresentazione di un sistema per McLoughlin. A destra: Schema di controllo del processo di pianificazione

McLoughlin sottolinea che l’interpretazione della città come un sistema in continua evoluzione determina profonde conseguenze su molti aspetti teorici e pratici della pianificazione. Anzitutto rende necessario il tentativo di previsione dell’evoluzione di tale sistema dinamico, ovvero come esso si svilupperebbe in assenza di un qualsiasi intervento e quali potrebbero essere gli esiti dei diversi interventi. Quanto detto è possibile solamente mediante l’elaborazione di un modello rappresentativo del sistema stesso. Esso è lo strumento che aiuta il pianificatore ad elaborare i piani e ad attuarli. A tal proposito, Mc Loughlin afferma che, solo mediante una serie di sperimentazioni relative agli stati attraverso cui i piani si dovrebbero sviluppare, si riuscirebbe a mettere in luce le fasi attraverso cui la città stessa dovrebbe passare, conoscendo il livello di benessere raggiunto da essa in un qualsiasi momento e non semplicemente rispetto ad una data futura molto distante. Elemento fondamentale dei piani, dunque, dovrebbe essere un programma, articolato in una sequenza precisa di fasi temporali, in cui siano definite le modalità con cui la città evolve. Tale programma, insieme al modello rappresentativo del sistema, dovrebbe premettere di confrontare, per ogni singola fase temporale, lo stato effettivo del sistema e lo stato desiderato espresso dai piani.

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In altri termini, i piani devono essere costruiti come una sequenza cinematografica, in cui ciascun fotogramma riporta l’immagine che la città dovrebbe avere in un certo momento del futuro. L’intero rullo illustra, invece, il processo di mutamento che deve verificarsi nella città, ovvero la traiettoria che essa deve seguire per raggiungere gli obiettivi alla base degli stessi piani.

Nel suo testo, Mc Loughlin si spinge fino a descrivere tutte le fasi della pianificazione, ovvero la formulazione degli obiettivi, la descrizione del sistema, l’elaborazione del modello e la sua simulazione, la formulazione del piano e la scelta tra le sue ipotesi alternative, contribuendo a favorire l’applicazione concreta dell’approccio sistemico all’urbanistica (Scandurra, 1987, pp. 39 - 42).

2.2.3 Teoria della polarizzazione

Secondo la teoria della polarizzazione, gli insediamenti urbani vanno classificati non in base a considerazioni di natura morfologica o demografica, ma in base alla misurazione del rango (ruolo) o meglio della funzione terziaria che ciascuno di essi svolge sul territorio. Ogni insediamento esercita, infatti, un effetto “diffusivo” nel contesto territoriale circostante: la parte di quest’ultimo investita da tale effetto costituisce l’area di influenza o di gravitazione dell’insediamento stesso. In base a tale approccio, il territorio può essere suddiviso in regioni ognuna delle quali è definita in base all’omogeneità del complesso di aree gravitazionali che contiene al suo interno. Secondo il paradigma funzionalista il termine omogeneità non è da intendersi in termini di territorio caratterizzato dalle stesse proprietà in ogni suo punto, bensì di territorio composto da aree di gravitazione, che, pur avendo differente natura, sono interconnesse da precise relazioni funzionali, che, nel loro complesso, costituiscono un’unica regione polarizzata che può essere definita come uno spazio eterogeneo le cui parti, tra loro contigue, presentano relazioni funzionali privilegiate con uno o più poli dominanti. Dunque, le categorie di omogeneità e polarizzazione, introdotte dalla teoria della polarizzazione, non risultano antitetiche, ma complementari e connesse. “L’interpretazione funzionale dell’organizzazione del territorio identifica livelli in cui prevalgono relazioni parallele della stessa natura (e quindi è in evidenza l’omogeneità) e livelli in cui prevalgono relazioni di dipendenza tra periferia e centro (e quindi sono in evidenza fenomeni di polarizzazione e di nodalità)” (Scandurra, 1987, p. 73). In altri termini nell’insieme emerge la polarizzazione nella scomposizione in di aree emerge invece l’omogeneità.

Un ulteriore categoria teorica a cui la teoria della polarizzazione si rifà è il concetto di gerarchia che viene utilizzato come criterio per la costruzione di modelli descrittivi (central-places, rango-dimensione) e aiuta ad interpretare gli effetti che lo sviluppo delle attività terziarie producono sull’organizzazione del territorio. Il concetto di gerarchia territoriale indica i legami che si formano tra le parti del territorio a seguito di processi di concentrazione spaziale, ne è esempio il processo di urbanizzazione nel quale la città appare luogo di ubicazione ottimale di un certo numero e tipo di attività economiche. La teoria della polarizzazione terziaria afferma che le attività dei servizi e del commercio condizionano l’organizzazione dei centri sul territorio per le loro aree d’influenza che rendono i centri urbani interdipendenti tra loro. Dal concetto di interdipendenza consegue quello di gerarchia per il quale gli insiemi urbani diventano sistemi gravitazionali.

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2.2.4 Teoria delle località centrali di Christaller

Storicamente la formulazione della teoria dei central-places, pubblicata in Germania nel 1933, corrisponde allo sviluppo delle teorie territoriali e dell’analisi territoriale che hanno fatto capo all’elaborazione empirica di Christaller.

L’obiettivo di Walter Christaller è quello di capire se esistano e come possono essere rappresentate delle leggi economico-geografiche che spieghino e regolino il numero, la dimensione e la distribuzione dei vari tipi di città. Egli indica la centralità come la vocazione principale che caratterizza il fenomeno generale di città, come funzione di centro del circondario e mediatrice tra commercio locale e mondo esterno, mentre sceglie la parola località per definire tutti gli insediamenti i cui abitanti esercitano attività di tipo urbano. Christaller si pone il problema in questi termini: “in una stessa regione troviamo città grandi e piccole d’ogni genere, a volte ammassate, senza alcun apparente motivo logico, in una certa zona, mentre vi sono ampi spazi in cui non esiste alcuna località che porti il nome di città, e nemmeno quello di mercato. Si tende a sottolineare che la relazione esistente fra la città e l’attività lavorativa dei suoi abitanti non è casuale, bensì motivata dalla loro stessa natura; ma allora perché esistono città grandi e città piccole e perché la loro distribuzione è così irregolare? Noi cerchiamo di dare una risposta a tale interrogativo e cerchiamo anche il motivo per il quale una città è grande o piccola, poiché riteniamo che la distribuzione debba comunque essere regolata da un qualche principio ordinatore che ancora non abbiamo individuato” (Scandurra, 1987, p. 67).

Varrà la pena fare riportare qualche considerazione sui rapporti tra sistemi urbani prima di proseguire con la teoria. L’elemento alla base delle considerazioni sopra riportate è che la città viene considerata per le sue funzioni terziarie, come un luogo di influenza sul territorio circostante e di aggregazione urbana, in accordo con la teoria della polarizzazione. Come abbiamo visto, essa considera l’importanza di una città in relazione all’estensione del territorio soggetto alla sua influenza, ad esempio a partire dal numero di abitanti distribuiti entro tale area. Scandurra spiega che “le aree di influenza della città associate alle particolari funzioni terziarie svolte da quest’ultima si sovrappongono tra loro fino a costituire regioni complesse e interrelate (regioni nodali) determinando sistemi urbani costituiti da agglomerati e centri dominanti e agglomerati e centri dominati (formazione dei poli)” (Scandurra, 1987, p. 68).

Ogni sistema urbano subisce al suo interno un processo di gerarchizzazione tra centri produttori di beni e servizi più elevati e centri produttori di beni e servizi più comuni e frequenti, quindi con area d’influenza più limitata rispetto al primo caso. Per il principio di subordinazione le funzioni dominanti di un centro urbano inducono, a loro volta, un carattere dominante ad alcune porzioni di territorio vicine, su altre del circondario. Detto ciò, si può chiaramente osservare che su un territorio sufficientemente esteso, gli insediamenti urbani non sono distribuiti in modo uniforme, bensì tendono a svilupparsi con dimensioni e velocità di crescita differenti passando stadi di “quasi-equilibrio territoriale” (Scandurra, 1987, p. 68).

Il proposito dell’analisi territoriale, che ha la sua origine negli studi di Christaller, è indagare i mutamenti territoriali e le fasi di crescita, descrivendo le variazioni di dimensione, distribuzione e localizzazione dei centri del sistema territoriale.

Christaller sviluppa una sequenza di fasi così descritta da Scandurra:

- definizione di un paesaggio economico semplificato che permetta di applicare la regola dei central places;

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- definizione dei concetti di base: località centrale, bene centrale, territorio complementare, distanza economica, portata di un bene;

- costruzione e organizzazione del modello spaziale; - definizione delle variabili del modello;

- definizione delle relazioni simbolico-matematiche tra le variabili utilizzate;

- verifica e calibratura del modello tramite applicazione sul territorio della Germania meridionale.

Le ipotesi semplificatrici della teoria sono: - isotropia dello spazio;

- indifferenza spaziale dei costi di trasporto, i quali sono proporzionali alla sola distanza fisica;

- distribuzione uniforme sul territorio della popolazione;

- perfetta razionalità nel comportamento di produttori e consumatori di beni e servizi, ovvero ricerca del normale profitto da parte dei primi e minimizzazione degli sforzi per soddisfare i bisogni da parte dei secondi;

- distribuzione uniforme sul territorio del potere d’acquisto. I concetti di base sono definibili come segue: