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CAPITOLO 2. INQUADRAMENTO SOCIO-ECONOMICO

2.3 TEORIE DI LOCALIZZAZIONE

Figura 93 A sinistra: matrice di subordinazione. A destra: grafo planare della gerarchia dei centri estratto dalla matrice di subordinazione

Il ricorso alla metodologia dell’analisi dei flussi è diventato molto frequente nel tentativo di risolvere i problemi di pianificazione territoriale. In particolare, esso viene spesso utilizzato nella ricerca della localizzazione ottima di uno o più servizi rispetto ad un’area di influenza data (Scandurra, 1987, pp. 123 - 136).

2.3 TEORIE DI LOCALIZZAZIONE

La teoria della localizzazione costituisce uno strumento di interpretazione delle leggi che regolano la localizzazione di attività produttive sul territorio. Sviluppatasi nel contesto del libero mercato, fa derivare la scelta localizzativa ottimale dalle caratteristiche della singola impresa e dal comportamento del singolo imprenditore, secondo un processo razionale di decisione che minimizza i costi di trasporto. Essa schematizza il contesto reale e stabilisce che l’unico elemento condizionante la localizzazione è la distanza fisica misurabile in linea d’aria su di una superficie piana, secondo le seguenti ipotesi semplificatrici:

- isotropia dello spazio, considerato piano e senza ostacoli, ne consegue che i costi di trasporto sono costanti in ogni direzione e direttamente proporzionali alle sole distanze fisiche;

- uniformità della distribuzione spaziale di beni e risorse come fertilità dei suoli agricoli omogenea e uguale presenza di materie prime per l’industria;

- scelte razionali degli operatori economici secondo il criterio di massimizzazione dei loro profitti in un regime di concorrenza pura e perfetta, dove i consumatori minimizzano gli sforzi per soddisfare i propri bisogni.

Di conseguenza la sola variabile ad avere influenza attiva nella scelta della localizzazione di un’attività produttiva, sia essa agricola od industriale, è costituita dal costo necessario a superare la distanza fisica che separa il luogo di produzione da quello di acquisto dei prodotti. In sostanza, la teoria classica della localizzazione tende ad eliminare gli elementi contingenti che, a qualunque livello, concorrono a determinare il disordine osservabile nella realtà e, al contrario, ad individuare e definire i fattori che creano ordine. È da sottolineare, però, come le forti semplificazioni introdotte non “reggano” di fronte alla complessità ed interdipendenza dei fattori che entrano in gioco ed è necessario analizzare per interpretare i fenomeni di distribuzione spaziale delle diverse attività antropiche. Inoltre, l’ulteriore critica che si può muovere a questa teoria riguarda l’assunzione dell’equilibrio come valore. Come afferma Brian J. Mc Loughlin, la teoria classica della localizzazione, “descrive una situazione statica verso qui il sistema tenderebbe naturalmente se non intervenissero delle perturbazioni; laddove ammette la possibilità di mutamento, tale mutamento risulta semplice e discontinuo” (Scandurra, 1987, p. 203), in altre parole tende all’equilibrio. Tuttavia, “il mutamento è endemico e la definizione di

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una condizione di equilibrio, seppur utile per descrivere fenomeni che si attuano in periodi relativamente brevi, è solamente una comoda astrazione, la quale, non prendendo in considerazione la variabile tempo, trascura il modo in cui essa influenza le decisioni (Mc Loughlin, 1973, pp. 45 - 49). I limiti infatti delle teorie di localizzazione sono le forti semplificazioni delle ipotesi iniziali nei confronti della realità e la considerazione del solo costo di trasporto come elemento determinante la localizzazione di un’unità produttiva.

2.3.1 La teoria classica della localizzazione di Weber

Alfred Weber, con il testo Teoria del costo minimo di trasporto, pone le basi per la ricerca scientifica e sistematica alla base della teoria classica della localizzazione e dà validità generale a ciò che era già stato anticipato venticinque anni prima da Loria nel 1888 cioè l’importanza del costo del trasporto come fattore cruciale dell’ubicazione dell’impresa. Egli sostiene l’influenza quantitativa del costo di trasporto e della natura dei materiali nel determinare la localizzazione ottima di un’unità produttiva e definisce in maniera formalizzata come tale localizzazione si trovi in corrispondenza del punto rispetto al quale si verifica la condizione di minimo costo di trasporto. Con le condizioni fittizie spiegate poch’anzi, secondo Weber, il costo di trasporto è determinato, dalla distanza, dal peso (e dal volume) delle materie prime e del prodotto finito. Perciò il costo minimo di trasporto dipende dalla relazione di uguaglianza o disuguaglianza dei costi di trasporto tra fonte di materia prima e industria e industria e mercato di vendita del bene finito. Se i due costi si equivalgono il punto di costo minimo sarà situato al centro dello schema astratto a triangolo che collega i tre punti. Riassumendo, tra i diversi fattori che concorrono a condizionare la localizzazione ottima di un’unità produttiva, fondamentali sono:

- l’ubicazione della fonte (o delle fonti) di materie prime che concorrono alla produzione del bene finito;

- l’ubicazione del centro di mercato del bene finito;

- i relativi costi di trasporto, ovvero il costo di trasporto delle materie prime dalla fonte all’unità produttiva e il costo di trasporto del bene finito dall’unità produttiva al centro di mercato.

Per capire dove collocare l’impianto industriale, al fine di minimizzare il costo di trasporto, Weber opera delle classificazioni sia per le materie prime che per il mercato di vendita dell’oggetto finito. Relativamente alla fonte di materie prime, Weber classifica i materiali in ubiquitari, ovvero facilmente disponibili e reperibili in qualsiasi luogo, e non ubiquitari o localizzati, ovvero disponibili solamente in località geografiche circoscritte e ben definite. Da tale classificazione consegue che i materiali ubiquitari hanno scarso o nessun effetto sulla scelta della localizzazione ottima; al contrario, i materiali non ubiquitari possono costituire un potente magnete localizzativo ed influenzare la scelta di collocare i luoghi di produzione in prossimità, quanto più possibile, della loro fonte. Un impianto per la produzione del calcestruzzo, ad esempio, dovrebbe essere localizzato nei pressi delle cave di estrazione del calcare (materiale non ubiquitario), essendo praticamente irrilevante l’influenza delle altre materie prime necessarie alla produzione (materiali ubiquitari). Relativamente al centro di mercato, egli confronta, invece, il peso, il volume e quantità del bene finito con i corrispondenti valori delle materie prime impiegate e, a partire da tale confronto, distingue i materiali in lordi, ovvero soggetti a trasformazioni che causano consistenti o comunque sensibili perdite di peso o di volume, e netti, ovvero prodotti da altre unità produttive ed impiegati tali e quali senza alcuna ulteriore trasformazione di peso o volume. Da tale classificazione consegue che i materiali lordi influenzano fortemente la scelta della localizzazione ottima; al contrario, i

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materiali netti hanno scarso o nessun effetto su tale scelta. Una fabbrica di automobili, ad esempio, dovrebbe essere localizzata nei pressi dei luoghi di acquisto, essendo il volume del bene finito superiore a quello delle materie prime necessarie alla sua costruzione (materiali netti). In sostanza, dalle caratteristiche delle materie prime e del bene finito dipende la localizzazione dell’unità produttiva e in base a questa considerazione Weber introduce l’indice dei materiali I dato dal rapporto tra peso dei materiali localizzati impiegati e peso del prodotto terminale, cioè esiste un rapporto di proporzionalità diretta tra il valore di I e il peso dei materiali, per cui ad un alto valore di I le imprese sono orientate verso le fonti di materie prime, mentre esiste un rapporto di proporzionalità inversa tra il valore di I e il peso del prodotto finito, in cui un basso valore di I corrisponde alle imprese orientate verso i marcati.

Nel tentativo di risolvere il problema Weber analizza tre casi di crescente complessità: - unità produttiva con un solo centro di mercato ed una sola fonte di materia prima; - unità produttiva con un solo centro di mercato e più fonti di materie prime; - unità produttiva con più centri di mercato e più fonti di materie prime.

Nel primo caso, in cui esiste una fonte di materia prima e un mercato, il costo complessivo di trasporto (Ct) è pari alla somma tra il costo unitario di raccolta (Cr) necessario a trasportare la materia prima dalla fonte (M) all’unità produttiva (x), moltiplicato per la distanza tra tali luoghi (d), ed il costo unitario di distribuzione (Cd) necessario a trasportare il bene finito dall’unità produttiva (x) al centro di mercato (C), moltiplicato per la distanza tra tali luoghi (D – d).

Ct = Cr · d + Cd · (D – d) L’espressione precedente può essere anche scritta come

Ct = Cr · d + Cd · D – Cd · d = (Cr – Cd) · d + Cd · D Da ciò si ricava che:

se

Cr > Cd

la localizzazione ottimale dell’unità produttiva coincide con la fonte della materia prima; se

Cr < Cd

la localizzazione ottimale dell’unità produttiva coincide con il centro di mercato; se

Cr = Cd

la localizzazione ottimale dell’unità produttiva è indifferente.

In particolare, se Cr = Cd, l’unità produttiva potrà collocarsi in un luogo qualsiasi tra la fonte e il centro di mercato, compresi questi ultimi, in quanto il costo complessivo di trasporto dipenderà unicamente dalla distanza tra essi.

Il grafico in figura 94 mostra che nel caso di unità produttiva con un solo centro di mercato e una sola fonte di materia prima, la localizzazione ottimale sarà presso la fonte della materia prima o presso il centro di mercato a seconda che il costo di raccolta sia rispettivamente maggiore o minore del costo di distribuzione. Se il costo di raccolta è uguale al costo di distribuzione, l’unità produttiva potrà collocarsi in un luogo qualsiasi.

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Figura 94 Localizzazione ottimale con un unico centro di mercato e una sola fonte di materia prima Nel secondo caso in cui esistono più fonti di materie prime e una sola fonte di mercato, Weber usa i metodi tradizionali della statica: dati gli elementi determinanti il costo, peso e distanza, va ad individuare il punto di equilibrio del parallelogramma di forze. La figura 95 illustra lo schema del triangolo localizzatore di Weber secondo il quale i pesi trasportati possono essere assimilati a forze: il punto di equilibrio (A) tra queste corrisponde al punto di minimo costo di trasporto. Il disegno schematizza due fonti di materie prime M1 ed M2 e un unico mercato C, le forze disposte in questi tre vertici esercitano una trazione nei confronti della localizzazione dell’impresa A, che si risolve con i procedimenti della statica classica, come nell’immagine a fianco.

Figura 95 Triangolo localizzatore di Weber

Il modello meccanico di Varignon aiuta a comprendere quanto appena descritto, simulando il problema della localizzazione di un’impresa tra fonti di materie prime: la forza di attrazione dei vertici e la distanza di essi dal luogo di produzione sono simulate da pesi e cavi che scorrono su pulegge. In tale modello, il punto di equilibrio è rappresentato dal punto di giunzione dei cavi, libero di muoversi sul piano orizzontale, e corrisponde alla localizzazione ottimale tra nodi.

La risoluzione al problema è data graficamente anche attraverso procedimenti grafici elaborati da William Alonso nel 1964. Si tracciano le curve degli uguali costi di raccolta e distribuzione (isotime – tratteggiate, sottili) per ogni fonte primaria e per ogni mercato che permettono di individuare le curve isodapane (linee continue e grosse) che restituiscono graficamente la spesa totale del trasporto e sono date dalla congiunzione dei punti con uguale costo di trasporto cioè dalla somma delle isotime. La localizzazione ottimale dell’unità produttiva tra le fonti di materie prime M1 e M2 e il centro di mercato C si trova all’interno dell’isodapana di valore minore, nel punto A.

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Il terzo caso presenta più fonti di materie prime e più centri di mercati, Weber risolve questo caso con gli stessi metodi appena visti: rappresentazioni dei punti di forza, il modello meccanico di Varignon e i grafici di Alonso.

Figura 96 A sinistra: disegno della macchina di Varignon. A destra: grafico di Alonso

2.3.2 La teoria di Thunen e le ipotesi di Loria

L’economista Johann H. von Thünen è considerato l’antesignano della teoria classica della localizzazione, specie in riferimento all’organizzazione della produzione agricola. Nel 1826 egli elabora un modello geometrico, che organizza lo spazio intorno ad un qualsiasi centro di mercato, ovvero ad un qualsiasi centro urbano attraverso una serie di corone circolari ognuna delle quali ospitante un particolare tipo di coltura. Nel dettaglio, l’organizzazione spaziale del modello di von Thünen è conseguente ai valori assunti dalla rendita dei suoli: più elevati in prossimità del centro, più bassi mano a mano che ci si allontana da esso. In altri termini, la rendita è inversamente proporzionale alla distanza tra luogo di produzione e luogo di acquisto dei prodotti.

Le assunzioni teoriche che conducono alla tesi di von Thunen prevedono che:

- le diverse parti di suolo agricolo vengano utilizzate dal produttore in modo da fornire la massima resa per unità di superficie;

- ogni parte di suolo sia caratterizzata da un particolare valore di rendita;

- la rendita (di posizione) sia influenzata da variabili quali il prezzo di mercato del prodotto agricolo e il costo di trasporto necessario a trasferire il prodotto dal luogo di produzione al luogo di acquisto.

Il prezzo di mercato del prodotto (p) è stabilito dal rapporto tra domanda ed offerta secondo un regime di perfetta concorrenza. Una volta definito il prezzo di mercato del prodotto, il profitto del produttore (P) è rappresentato da questo prezzo meno il costo di produzione (c), assunto costante nello spazio, ed il costo unitario di trasporto (t), moltiplicato per la distanza (d) tra luogo di produzione e luogo di acquisto del prodotto.

P = p – c – t · d Che equivale a scrivere:

P = – t · d + (p – c)

e corrisponde all’equazione di una retta con coefficiente angolare negativo che ha valore per ogni coltura:

160 in cui:

K1 = t = coefficiente negativo

K2 = (p – c) = (prezzo di mercato – costo di produzione)

Ogni coltura verrà dunque descritta da una retta come in Figura 97 a sinistra. In quanto caratterizzata da un proprio prezzo di mercato (descritto sull’ordinata al punto di intersezione con la curva di rendita), da un proprio costo di produzione e da un proprio costo unitario di trasporto (dato dalla pendenza della curva di rendita rispetto all’asse delle ascisse). Può essere considerata come curva del prezzo del terreno perché indicazione di quanto gli agricoltori sono disposti a pagare per unità di superficie a una data dsitanza dal mercato.

In Figura 97 a destra le corone concentriche attorno al centro di mercato (origine degli assi cartesiani) rappresentano la relazione tra la produzione dei beni diversi e la distanza del mercato. Nell’esempio von Thünen prende in considerazione tre diversi tipi di colture, denominandole A, B e C, scrive per ciascuna di esse la formula vista in precedenza e traccia le rispettive curve di profitto concentriche sul piano orizzontale. Egli osserva che fino ad una distanza di 7 km dal centro di mercato risulta conveniente la produzione del bene A; ad una distanza compresa tra 7 e 14 km risulta conveniente la produzione del bene B; ad una distanza compresa tra 14 e 37 km risulta conveniente la produzione del bene C. Oltre i 37 km non è più conveniente alcuna coltivazione, in quanto non c’è più alcun profitto.

Figura 97 A sinistra: Curva della rendita di posizione o di profitto. A destra: Curva di rendita. L’altezza dell’intersezione con l’asse delle ordinate dipenderà dal prezzo di mercato del prodotto e la pendenza della retta dipenderà dal costo di trasporto.

Nel passaggio successivo le curve di profitto vengono ruotate attorno all’asse delle ascisse, con perno nell’origine M, ottenendo così le corone circolari alla base del modello geometrico di von Thunen. Esso si compone di sei corone circolari corrispondenti ad altrettante produzioni, che, in ordine di distanza dal centro di mercato, sono l’orticoltura (I), la silvicoltura (II), la cerealicoltura (III), l’avvicendamento pastorale (IV) e triennale (V), l’allevamento del bestiame (VI).

Il suo limite consiste nell’ipotesi di un solo mercato e nel fatto che non contempla la presenza di fattori fisici e artificiali, che alterino lo scenario semplificato del territorio. Ambedue gli aspetti, qualora introdotti, causerebbero infatti alterazioni del modello.

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Figura 98 A sinistra: le sei corone concentriche del modello dello stato isolato di von Thunen. A destra: alteerazione del modello di von Thunen in presenza di elementi orografici, orografici e geomorfologici. Il contributo di von Thunen alla teoria della localizzazione essenzialmente consiste nell’aver riconosciuto l’influenza della rendita sull’uso del suolo agricolo e nell’aver individuato un ordine spaziale nel modello di rendita imposto dalla distanza.

Circa vent’anni dopo, ancor prima di Weber, l’italiano Achille Loria riprende gli studi di von Thunen e li estende alla produzione industriale introducendo i concetti di costo del lavoro e costo di trasporto delle materie prime dalla fonte al luogo di produzione. Egli osserva che il modello precedente sulla produzione agricola è perfettamente adattabile anche alla produzione industriale in quanto, anche per essa, la distanza tra luogo di produzione e luogo di acquisto dei beni costituisce l’elemento fondamentale che influenza il profitto del produttore. Tuttavia, la differenza sostanziale rispetto al modello di von Thünen è quella determinata dalle due variabili del costo del lavoro e del costo di trasporto delle materie prime, le quali dipendono dall’ubicazione delle unità produttive. Pertanto nella produzione industriale, a differenza che in quella agricola, i costi di trasporto incidono anche nella fase della produzione del bene e non solo nei movimenti dei prodotti finiti, come affermava invece von Thunen.

Analizzando nel dettaglio l’influenza del costo del lavoro sul profitto di vendita del prodotto finito, Loria suppone che l’unità produttiva sia localizzata nel punto M di Figura 99, al tempo stesso anche centro di mercato. In corrispondenza di questo punto, essendo nullo il costo di trasporto, il produttore otterrà il massimo valore di rendita (segmento MA in ordinata). Secondo quanto già dimostrato da von Thünen, allontanandosi dal centro di mercato, aumenta progressivamente il costo di trasporto del bene finito tanto che nel punto L tale costo assorbe completamente la rendita del produttore. A questo punto, Loria introduce il costo del lavoro, che viene misurato in funzione del costo di trasporto del bene-salario dal luogo di produzione fino al luogo in cui è collocata l’unità produttiva industriale. Inoltre, egli suppone che il luogo di produzione del bene-salario sia localizzato nella città W e che il costo di trasporto del bene-salario sia una funzione lineare della sola distanza, rappresentata dalle due semirette BW e WC. In corrispondenza del punto C’ ovvero della distanza MC’ dal luogo di mercato, il costo di trasporto del bene-salario CC’ eguaglia il valore della corrispondente rendita in C’ e il profitto del produttore è nullo. Al contrario, nel punto W il costo di trasporto del bene-salario è nullo ed il profitto del produttore è massimo. Il punto di localizzazione ottimo è dunque quello in corrispondenza del luogo di produzione W del bene-salario.

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Figura 99 grafico della localizzazione ottimale in presenza di costo del lavoro secondo Loria La seconda variabile incidente sul profitto è il costo di trasporto delle materie prime in quanto egli fa notare che spesso una parte delle materie prime si consuma nel processo di produzione e ciò si concretizzerebbe nel minor costo del prodotto finito rispetto al costo delle materie prime. Attraverso il grafico riportato egli vuol dimostrare che il luogo di produzione delle materie prime esercita un’attrazione sulla localizzazione dell’unità produttiva “tanto più forte quanto più grande è la quantità (peso) delle materie prime da impiegare per prodotto finito” (Scandurra, 1987, p. 210). Nel punto S, il costo del bene finito si compone di due parti: il costo di trasporto delle materie prime dal punto O al punto Sproduz., pari ad Sproduz.B, ed il costo di trasporto del bene finito dal punto S al punto M, pari a SM. In totale tale costo è pari a Sproduz.C. Spostando l’unità produttiva verso il centro di mercato, da Sproduz. a S’, la somma dei due costi di trasporto cresce fino al valore S’C’. Al contrario, spostando l’unità produttiva verso il luogo di produzione delle materie prime, da Sproduz. a S’’, la somma dei due costi di trasporto diminuisce fino al valore S’’C’’. Il punto di localizzazione ottimo è dunque quello in corrispondenza del luogo di produzione del bene-salario e delle materie prime.

Figura 100 grafico della localizzazione ottimale in presenza di materia prima secondo Loria Il contributo di Loria è stato quello di fornire una continuità nella teoria della localizzazione tra l’attività agricola e l’attività industriale. Weber negli anni Venti del Novecento perfeziona i modelli precedenti e li fissa nella teoria classica della localizzazione.

2.3.3 Una metodologia di ricerca della localizzazione ottima

La questione della ricerca della localizzazione ottimale dei centri di servizio su un territorio è un tipico caso di processo decisionale proprio della pianificazione urbanistica e territoriale. Il metodo spiegato è tratto da un lavoro di Bertuglia e Furxhi svolto nel