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L’integrazione verticale dei processi produttivi e la stima delle “footprint ambientali” attraverso l’analisi delle interdipendenze

socio-economico: i conti dei flussi di materia a livello di sistema (EW-MFA)

6.4 L’integrazione verticale dei processi produttivi e la stima delle “footprint ambientali” attraverso l’analisi delle interdipendenze

Le matrici input/output (sia monetarie – MIOT –, che fisiche – PIOT) si prestano immediatamente all’uso analitico, ed in particolare all’analisi in- put/output (IOA) estesa alle pressioni ambientali (Environmentally Exten- ded IOA - EEIOA). L’analisi I/O è un filone di ricerca ampiamente presente

7 Per approfondimenti si rinvia p.es. a Dietzenbacher et al. (2004) e European Commission

Joint Research Centre (2006).

nella letteratura di analisi economico-ambientale, basata più spesso, grazie alla loro maggiore disponibilità, su matrici monetarie. Nella EEIOA le matri- ci monetarie sono integrate con un vettore di altre grandezze, rilevanti sotto il profilo ambientale – p.es. le emissioni in atmosfera o l’uso di territorio di singole branche produttive – per determinare il contributo a quella pressio- ne generato dall’utilizzo finale di ogni specifica classe di prodotti, quantifi- cando non solo le pressioni dirette delle singole attività umane ma anche le pressioni indirette, calcolate sull’intera filiera trasformativa – in altri termini sull’intera “rete metabolica” del sistema antropico.

Va evidenziato sin da subito come la rappresentazione in termini fisici dei rapporti tra i diversi comparti della produzione sia superiore, a fini di utilizzo analitico, a quella monetaria in tutti i casi in cui una misurazione in termini fisici sia ragionevolmente fattibile, e vi sia sufficiente omogeneità tra i pro- dotti raggruppati in una stessa classe (diversamente, gli effetti di composi- zione interna delle classi falserebbero troppo le analisi). Ad esempio, in tutti i casi in cui un prodotto immateriale (un servizio, ad esempio, di trasporto) è utilizzato come input per realizzare un altro prodotto, il flusso fisico osserva- bile è nullo. Una lettura poco accorta della PIOT potrebbe portare in questo caso a ignorare il fatto che per produrre quel servizio è stato consumato un bene materiale (ad esempio, la benzina utilizzata per il trasporto) trasformato poi in emissioni atmosferiche o rifiuti, che sono sì registrate nella PIOT (che è completa) ma rimangono interamente in capo al prodotto “servizio”. In tali casi, la letteratura suggerisce la formulazione di tavole in unità ibride in cui la massa sia affiancata dagli euro e/o da altre unità appropriate per descrivere gli specifici flussi non esprimibili in peso.

Avendo a disposizione matrici come quelle sin qui descritte è possibile ef- fettuare un’ampia varietà di analisi: sul fabbisogno fisico (quantità e qualità) di input immediatamente necessari allo svolgimento di una determinata at- tività, o alla realizzazione di un determinato prodotto; sul valore economico di tali input; su come un determinato prodotto, o risorsa naturale o residuo, si distribuisca tra le diverse attività utilizzatrici; sul flusso fisico (quantità e qualità) di residui direttamente connesso ad una data attività o prodotto; o altro ancora.

Per quanto interessanti, queste analisi rimangono confinate all’esame di ciascuna attività o prodotto “per sé”, in isolamento dal resto del sistema uma- no, o al massimo in rapporto con le attività o prodotti cui sono direttamente collegati. Esse non si avvalgono appieno delle potenzialità dello schema IO, la cui peculiarità e valore sta nel quantificare in maniera sistematica e simul- tanea tutte le interdipendenze tra tutte le parti dell’economia. Un tale schema permette, in particolare, di percorrere le catene del sistema della produzione al fine di comprendere in che misura la disponibilità di un qualsiasi prodotto dipenda da quella un qualsiasi altro prodotto. Ciò è permesso dall’analisi IO, ideata nella seconda metà degli anni 1930 dallo stesso economista, Was- sily Leontiev, che ha sistematizzato le tavole delle interdipendenze settoriali.

Questo a sua volta permette di comprendere – ed è quel che qui più ci preme – in che maniera la generazione di pressioni ambientali da parte della produ- zione dipenda dalla domanda di prodotti per usi finali, evidenziando come le pressioni funzionali alla soddisfazione di tale domanda siano, a livello siste- mico, decisamente superiori a quelle immediatamente dipendenti dagli stessi prodotti finali. Si parla in questo caso di estensione ambientale dell’analisi IO, anche questa ideata dallo stesso Leontiev.

L’applicazione del metodo leontieviano può essere vista come una ri- costruzione virtuale della catena delle attivazioni, tale da permettere di ri- salire dalla domanda di prodotti per usi finali alle produzioni “di base” e, nell’estensione del metodo alle pressioni ambientali, alle quantità di risorse naturali utilizzate, di energia dissipata, di rifiuti generati, di inquinanti at- mosferici emessi, di sostanze restituite con le acque reflue... insomma, della natura utilizzata e degradata nel sistema della produzione (restano escluse le pressioni generate nella fase del consumo).

Punto di partenza dell’analisi è il riconoscimento dell’esistenza di rela- zioni di dipendenza funzionale tra le parti del sistema della produzione di grado superiore al primo (dipendenze indirette). Se, ad esempio, il prodotto

a ha come input il prodotto b ma non il prodotto c, potrebbe comunque di-

pendere da quest’ultimo per via indiretta: è sufficiente infatti che il prodotto

c sia richiesto per la realizzazione del prodotto b. Si dice in questo caso che

il prodotto b è direttamente attivato dal prodotto a, mentre il prodotto c è at- tivato da a solo indirettamente. È opportuno qui un chiarimento del concetto, cruciale, di “attivazione” di un prodotto da parte di un altro: questo termine ha un significato diverso da quello fisico di “contenuto”. Questo è più facil- mente intuibile nel caso dell’attivazione indiretta, ma vale anche nel caso di attivazione diretta. Il fatto che un prodotto sia input diretto per un altro non implica quasi mai il trasferimento fisico di tutta la materia che compone il primo nel secondo. In genere, man mano che l’insieme dei prodotti materiali progredisce nel sistema produttivo, nell’acquistare valore esso perde massa: la trasformazione delle materie prime e dei semilavorati comporta infatti dal punto di vista fisico una sottrazione di materia agli input corrispondente alla generazione di rifiuti, emissioni e reflui. Si pensi, quali casi estremi, alla pro- duzione di energia elettrica mediante combustione di carbone, o all’insieme dei “servizi” che, pur utilizzando quali input correnti dei beni materiali (e.g. carta per stampare), trasferiscono una parte minima di tali input agli utiliz- zatori dei servizi.

Sebbene le dipendenze tra prodotti seguano in buona parte percorsi li- neari di trasformazione delle risorse naturali in materie prime, di queste in prodotti intermedi e di questi ultimi in prodotti finali, nel sistema produtti- vo (e di conseguenza nella parte dello schema IO che lo rappresenta) sono presenti anche loop che impediscono di risolverlo senza tenere conto di tut- te le interdipendenze simultaneamente. Per dipanare queste catene e loop è necessario formulare e risolvere un semplice sistema di equazioni lineari

simultanee facendo uso dell’algebra matriciale, per giungere alla “matrice inversa di Leontiev”, i cui elementi hanno un’interpretazione di fondamen- tale interesse, anche per le applicazioni in campo ambientale. Tale matrice rappresenta infatti, per ciascun bene finale, le quantità dirette e indirette di quello e di ciascun altro bene necessari a produrre un’unità di quel bene per

la domanda finale. Da tali quantità, disponendo dell’informazione necessa-

ria (fornita dei flussi di materia delle singole attività economiche), si passa a quelle delle pressioni ambientali connesse al soddisfacimento della domanda finale. Queste offrono una misura più completa del costo ambientale dei pro- dotti messi a disposizione degli utilizzatori finali, che cumula quello di tutti i prodotti necessari “a monte”.

Va menzionato come le strategie di ricerca di stima delle footprint più avanzate utilizzino una combinazione di Life Cycle Analysis (LCA) e IOA. Per l’Italia risulta una sola applicazione di queste strategie, nella quale il focus del dettaglio LCA è sui minerali (Femia and Marra, 2014). Purtroppo però, in genere i tentativi di affinare le applicazioni con l’utilizzo di risultati della LCA – e in particolare delle inventories – naufragano sullo scoglio del- la difficoltà di reperimento di tali dati.

Le analisi basate sull’IOA, estese all’utilizzo di altri set di dati fisici e monetari sviluppati nell’ambito della più ampia disciplina statistica della contabilità ambientale, permettono inoltre di accedere a una migliore cono- scenza della connessione tra i fenomeni, ad esempio del ruolo della fiscalità ambientale nell’influenzare i consumi energetici e le emissioni, oppure di quello del commercio internazionale e delle delocalizzazioni nella deindu- strializzazione dei sistemi economici “maturi” e della conseguente riduzione dei flussi di materia diretti complessivi (non necessariamente corrispondente a un contributo alla riduzione a livello globale; si veda in proposito Marra e Femia, 2013).

7. Il metabolismo socio-economico dell’Antropocene

“La faccia della Terra è da sempre in lento ma continuo mutamento: scavata da corsi d’acqua e ghiacciai, erosa da venti, sconvolta dalla formazione delle montagne e dalle eruzioni vulcaniche, soggetta a cambiamenti della copertura vegetale e del clima. Dal 20° secolo però si è affermata una nuova forza della na- tura: l’azione della specie umana. Per la quantità dei materiali che movimenta la specie umana è, infatti, ormai in grado di competere con le più importanti cause di cambiamento geomorfologico. Gli esseri umani spostano intenzionalmente ogni anno tra i 50 e i 60 miliardi di tonnellate di roccia, pietre, sabbia e ghiaia (compresi i minerali di scarto), di cui un terzo circa per il prelievo di minerali per l’industria metallifera e due terzi per altre industrie e per le costruzioni. Si tratta di una quantità pari al doppio di quella eruttata dai vulcani oceanici, al triplo di quella portata al mare da tutti i fiumi del mondo, al quadruplo di quella

che sposta la formazione di montagne, a dodici volte quella trascinata dai ghiac- ciai e a sessanta volte quella dovuta all’erosione eolica. Persino maggiore è lo spostamento di terra involontario ma comunque dovuto all’azione umana, e in particolare all’erosione indotta dalle pratiche agricole: 80 miliardi di tonnellate. La nostra sete di combustibili fossili comporta poi il prelievo annuo di circa 45 miliardi di tonnellate di materia dormiente in natura, di cui 14 miliardi sono i combustibili effettivamente utilizzati. L’appropriazione umana di biomasse è arrivata invece a 27 miliardi di tonnellate, di cui 5,5 miliardi non utilizzati. Nei processi di produzione e consumo questi materiali vengono raffinati, combi- nati tra loro, mescolati con l’acqua e gli elementi atmosferici. Il consumo di acqua a livello globale è stato quantificato: siamo ad almeno 4.000 km cubici. Quanto agli input dall’atmosfera, si può stimare in almeno una trentina di miliardi di ton- nellate la quantità di ossigeno, azoto e altri elementi prelevati” (Femia, 2015).

La figura seguente, pubblicata nel 2015 dalla Agenzia Europea dell’Am- biente, illustra molto bene la dinamica attraverso la quale si è arrivati alla situazione sopra descritta.

Figura 4: fonte http://www.eea.europa.eu/soer-2015/global/competition; si veda anche Krausmann e altri 2009

Queste enormi quantità definiscono in buona parte il rapporto che oggi la nostra specie intrattiene con il resto della natura. La loro misura, basata sulla EW-MFA, è in molti casi necessariamente approssimativa, ma sufficiente a intuire l’insostenibilità del corrente modello di sviluppo. L’altra faccia della medaglia del prelievo di questi materiali è il loro “consumo”, cioè la trasfor- mazione di risorse vergini, solo in parte rinnovabili, in “stock” (edifici, in- frastrutture) che insistono sul territorio e nel paesaggio modificandone radi- calmente le proprietà e la funzionalità, o in residui da gestire. “Gestire” oggi vuol dire soprattutto restituire all’ambiente come emissione (la quasi totalità dei combustibili fossili e la maggior parte di tutto ciò che viene bruciato)

o accumulare in discariche; solo in minima misura vuol dire recuperare e reimmettere nel circuito di utilizzo economico. A causa dei limiti biofisici, peraltro, nonostante la corrente enfasi sulla “economia circolare”, la quota di materia “rigenerata” è destinata a rimanere piuttosto bassa. A seconda dei modi d’impiego e di gestione dei materiali, infatti, un dato materiale vergine può trasformarsi, una volta prelevato, in residuo immediatamente o dopo millenni, ma inevitabilmente prima o poi l’uomo ne perderà il controllo, con conseguenze quasi sempre negative per gli equilibri naturali.