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Riassunto

Quest’articolo discute il fatto che ogni periodizzazione della storia è un fenomeno politico, soprattutto quando, nel dibattito sulla categoria di An- tropocene, la storia naturale sembra precipitare in una periodizzazione del- la storia umana. Lo sviluppo dell’agricoltura 10.000 anni fa, l’estinzione di forme di vita indigene nel Nuovo Mondo, l’invenzione della macchina a va- pore e il primo test nucleare nel deserto del Nuovo Messico sono eventi che rispondono a una documentazione geologica (Maslin&Lewis, 2013), ma con implicazioni e ordini di senso completamente diversi. Quali sono le implica- zioni politiche nel definire la specie umana a partire da una certa datazione, piuttosto che un’altra? In che modo le diverse proposte di periodizzare la crisi ambientale diventano priorità politiche? Come evitare di naturalizzare quei racconti della fine che scaturiscono da rapporti di potere disuguali? I due principi, universalismo negativo (Chakrabarty, 1997) da una parte, ed emergenza della specie umana (Eldredge, 1997) dall’altra, sono riesamina- ti attraverso il marxismo sistemico (Jason W. Moore, 2016) in quanto non considerano differenze nei modi di produzione e consumo all’interno della specie per delineare, infine, un’esperienza postumana della crisi, a partire dalla nozione di zoe (Braidotti, 2016).

Parole chiave: etica ambientale, periodizzazione, geologic time scale,

Antropocene, filosofia della storia.

Abstract

This article argues that any periodization of environmental crisis is also a political process. The specific choice of a time model always implies cer- tain priorities for political action. The development of agriculture 10,000 years ago, the extinction of indigenous human forms of life in the New World, the invention of the steam engine or the first nuclear test in the desert

of New Mexico are all events that are attested by geological documentation (Maslin&Lewis, 2013). But every one of them determines a different political subject that would be responsible for the environmental crisis and represent humans as a species. Still, these models of time are strongly anchored to an ideology of human emergence and a unity of the Earth System, namely, the two columns of modern anthropos, who is the subject of a negative universal history (Chakrabarty, 1997). As Stengers (2013), Fressoz-Bonneuil (2014) and Haraway (2016) have claimed, universalism in the history of ecology avoids considering differences in modes of biopolitical production and con- sumption. Following their objections to the theories of emergence (Eldredge, 1997), by means of Marxist holism (Jason W. Moore, 2016) this paper will move toward the feminist, non-anthropic notion of post-human zoe designed by Spinozian philosopher Rosi Braidotti.

Key words: environmental ethics, periodization, geologic time scale, An-

thropocene, philosophy of history.

Introduzione

La tesi qui affermata è che, per le discipline filosofiche, la rilevanza del dibattito sulla categoria di Antropocene sia di ordine etico-politico, più che di ordine epistemologico.

Il dibattito sull’epoca dell’uomo, infatti, è un dibattito sul modo in cui si racconta il presente: una lotta tra diversi modi per raccontare la storia del tempo presente, in cui “epoca dell’uomo” è solo uno dei modi possibili e forse neanche il più adatto (Haraway, 2016). Si cerca da vent’anni a questa parte di misurare l’impatto sull’ambiente di alcune caratteristiche assegnate alla specie umane e il risultato di queste misurazioni sarebbe l’anthropos, il soggetto di questa storia. Ma urgenza, priorità, misure e azioni non designa- no forse il luogo del pensiero politico? Com’è accaduto che l’asse della filo- sofia del vivente si spostasse dalla questione dell’emergenza umana all’in- clusione di tutto il vivente come prodotto esclusivo di questa emergenza? (Stengers 2011, pp. 206-233) E come mai questa storia dell’Antropocene sembra ritrarre così da vicino un’altra fine della storia, come quella raccon- tata secondo il neoliberismo repubblicano di Francis Fukuyama? Le risposte a queste domande possono venire dal metodo storico, e allora si può fare una storia del sistema intellettuale in cui la specie appare come soggetto econo- mico-politico contemporano (Foucault, 2008). Dovremmo chiederci allora, chi è la specie? E chi decide cosa sia, ma soprattutto come dovrebbe essere quell’artefatto chiamato ambiente? (Leonardi, 2013) E si può fare anche una filosofia politica attraverso genealogie, come nel caso dell’ecologia politica

marxista di Jason W. Moore (2015), o degli storici della scienza Bonneuil e Fressoz (2015)2. Ma si può anche raccogliere materia per una storia fem-

minista dell’ecologia politica radicale, che non è ancora stata scritta3. Come

primo passo per realizzare questo progetto si mostrano qui le contraddizioni insite in un pensiero politico che designa l’anthropos come soggetto della politica ambientale. Sono contraddizioni relative alla periodizzazione del- la storia della specie umana, contraddizioni relative alla descrizione della specie umana in termini di emergenza, contraddizioni relative al principio (moderno) della libertà come primo valore etico-politico della specie.

1.

Nel marzo del 2015, per la prima volta, vengo a conoscenza di una

notizia riguardante la nascita di una nuova epoca geologica, contrassegnata, diversamente dalle precedenti, da un evento politico. Era una notizia nel senso proprio del termine: un breve articolo sul Corriere della Sera. L’articolo ne riportava un altro, apparso sulla rivista Nature il 12 marzo 2015, a firma dei due geologi Mark Maslin e Simon Lewis e aveva un punto di vista singolare sulla questione del declino della biodiversità sul pianeta.

La novità di quest’articolo, rispetto alle lacrime di coccodrillo versate nei testi sul declino della biodiversità, è che per i due geologi si poteva datare un’epoca della storia della Terra anche attraverso fatti della storia umana, come il mercato degli schiavi in età moderna (1610). Non c’erano solo artefatti. C’erano relazioni politiche e la “rivoluzione scientifica”, qualcosa che la stori- ca della scienza Carolyn Merchant (1988), nella sua lettura dell’industrializza- zione inglese, cominciata nello stesso intorno temporale designato dall’ipotesi schiavile, ha chiamato morte della natura. Non c’erano solo artefatti. Nella datazione proposta da Maslin e Lewis c’era un ordine del mondo che andava ben oltre i modelli prometeici di datazione come la costruzione della macchina

2 Per una panoramica dei metodi filosoficamente più produttivi che, a mio giudizio,

hanno esaminato la categoria di antropocene da una prospettiva materialista cfr. http:// effimera.org/anthropop-filosofie-non-tristi-per-pensare-il-cambiamento-climatico-di- mariaenrica-giannuzzi/

3 Nella rubrica Ecologia Politica della rivista on-line effimera. Materiali per la ricerca

sociale, la filosofa Tiziana Villani pubblicava un testo in cui chiedeva come mai, in un dibattito contemporaneo tra scienza e ambientalismo venissero marginalizzate le tradizioni di filosofia radicale: “restano in tal modo marginalizzate, e non casualmente, le teorie di Stengers-Prigogine (La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, 1981), le analisi queer, (ad es. M. Gandy, Écologie Queer, 2015), e a mio parere anche il versante femminista (Haraway, Braidotti, Butler, etc) e con esso tutti i temi dei percorsi di soggettivazione, delle tecnologie, del gender, e l’intero asse dell’Ecosofia di Guattari (Le tre ecologie, 1989; Cartographies schizoanalitiques, 1989), Gorz (Ecologica, 2008) e altri. A ben guardare un ambito rilevante di pensiero critico viene recuperato più in termini di slogan che di proposta politica, come mai?” http://effimera.org/politicizzare- lecologia-politica-di-tiziana-villani/. Per rispondere a questo desiderio di pensiero condiviso nel gennaio 2016 si è istituito a Roma l’atelier di ricercazione EcoPol di Iaph- Italia http://www.iaphitalia.org/bibliografia-iniziale-ecopol-in-val-camonica/.

a vapore, o l’esplosione della prima bomba nucleare nel deserto del New Me- xico. Anche la circolazione di uomini e merci in età moderna, anche la politica, può essere annoverata tra i segni della storia naturale4. Come accade questo?

A distanza di quasi un anno e mezzo, c’è una crescita esponenziale di arti- coli in rete che danno per certa un’altra datazione. Si tratta dell’ipotesi nucle- are, discussa nella conferenza di Città del Capo ad agosto 2016. Sembra, così, che l’ipotesi schiavile sia stata accantonata del tutto, in favore di un’ipotesi nucleare. Ma niente ancora è stato deciso5. A Città del Capo si è semplice-

mente riunito l’Anthropocene Working Group (il manipolo di circa quaranta uomini tra oceaonografi, geologi, stratigrafisti, paleontologi, metereologi), dal 2009 incaricato dall’International Commission of Stratigraphy - ramo della Geological Society of London - di dar seguito al progetto di ricerca del geo- logo Jan Zalasiewicz6. Zalasiewicz proponeva, infatti, di verificare, attraverso

una documentazione stratigrafica, l’esistenza di prove per giustificare l’uso crescente del termine antropocene, coniato negli anni ’90 come una boutade dal chimico Paul Crutzen7. Il problema della commissione, e di ogni tentati-

vo di mettere in discussione l’operazione complessiva, come quello fatto da Maslin&Lewis resta, quindi, se ci siano prove significative della storia umana a un livello geologico; prove riscontrabili nella documentazione rocciosa, allo stesso titolo dei cambiamenti climatici del passato, che erano documentati non attraverso tracce dell’attività umana, ma attraverso documentazioni fossili di specie scomparse. E questo problema di cosa sia significativo per una storia contemporanea è il nodo etico-politico che resta filosoficamente rilevante. In primo luogo, significa riconoscere che la stratigrafia mostra un certo tipo di se- mantica e che questa semantica, a sua volta, è riconoscibile da un lettore medio globalizzato. Questa semantica si può riassumere come un punto di vista sulla storia per cui la specie è già estinta. Un punto di vista che si può chiamare, con

4 Tra le letture non politiche ma solo descrittive del fenomeno antropocene si conta

anche la tempestiva pubblicazione di Telmo Pievani, The Sixth Mass Extinction: Anthropocene and the human impact on biodiversity, In Rend. Fis. Acc. Lincei (2014) 25:85–93 Published online on 17th, November 2013.

5 Ringrazio per questa informazione il sociologo Bruno Latour, che ha seguito con

attenzione tutta la vicenda e che nel discorso del 25 Ottobre 2016 alla Cornell University ha chiarito che il gruppo di “esperti” autorizzati a decidere la storia più adeguata per il tempo presente ha ufficialmente rinviato la propria decisione a data da stabilirsi. Bruno Latour, “Is Geo-logy the New Umbrella for All Sciences?”, Tuesday October 25, Klarmen Hall Auditorium, Cornell University, Ithaca. In luogo di “Antropocene”, “Capitalocene”, o “post-moderno” (che sembrano i nomi più affermati), per la storia ambientale del tempo presente, Latour preferisce parlare di “regime climatico”. cfr. in particolare Bruno Latour, Face à Gaia, Huit conférence sur le nouveau régime climatique, Paris La Découverte, 2015.

6 Elizabeth Kolbert, La sesta estinzione. Una storia innaturale, (trad. it. Cristiano Peddis)

Neri Pozza, Vicenza 2014

7 cfr. Christof. Bonneuil, Jean-Baptiste Fressoz, op. cit.; Donna Haraway riporta un’altra

inventio del nome, dovuta a Eugen Stoemener. Cfr. Donna Haraway, op. cit..

il titolo del best-seller di Alan Weisman, The world without us8. Non abbiamo

di fronte una specie che continua a diversificarsi, un vivente che siamo e le sue varietà possibili, ma un esercizio mentale in cui siamo l’unica forma di vita sopravvissuta al Diluvio.

In secondo luogo, l’ipotesi schiavile proposta da Maslin&Lewis, datando la storia naturale attraverso un ordine politico, riafferma invece la questio- ne centrale del dibattito sulla globalizzazione: qual è l’ordine del mondo scaturito dalla fine della Guerra Fredda? Come si costituiscono i poteri so- pranazionali? Ma anche, quali sono le narrazioni più adatte per descivere le organizzazioni politiche e sociali di questo nuovo ordine?

Nel contrasto tra ipotesi schiavile e ipotesi nucleare c’è, in generale, un’indicazione sul modo in cui si parla del rapporto tra permanenza e con- tingenza, necessità e divenire; c’è un’indicazione della percezione collettiva di questi vecchi temi e c’è il modo in cui si parla della capacità che avrebbe (o non avrebbe più) una storia naturale di sopravanzare la storia umana; e questa indicazione sta nel fatto che s’invertono i termini usati nelle storie moderne della filosofia in cui la natura era permanente e la storia umana era contingente (per cui si poteva cambiare!), la natura era trascendente, la sto- ria immanente. Senza grande fiducia nella capacità di cambiamento sociale, tanto da naturalizzare la storia umana attraverso una disciplina che misura i cambiamenti più lenti ch’esistano sotto il sole, nell’ipotesi nucleare la specie avrebbe origine nell’ordine mondiale del 1950. E il Dopoguerra coincide con una certa produzione di Grandi Narrazioni, ad esempio La grande trasfor-

mazione di Karl Polany o Capitalismo, Socialismo, e Democrazia di Joseph

A. Schumpeter, solo a citare i più famosi, che di fatto s’interrogavano sul trionfo del capitalismo americano. E così, più che aver aperto la porta a un ripensamento dei rapporti di produzione e consumo, o a una ridefinizione del pianeta in termini di conflitti ambientali (che sarebbe stato l’ultimo approdo della formulazione di Maslin e Lewis sul commercio di schiavi), la datazione recente dell’Antropocene, legata all’energia nucleare, ha piuttosto riaffer- mato il dovere di raccontare la genesi del neo liberismo e del suo trionfo.

8 Alain Weisman. (2007). The World Without Us. New York: Thomas Dunne Books-St.

Martin’s Press. Il libro ha avuto un successo enorme nel mondo anglosassone, dove, con il declino della science fiction dagli anni 2000 prolifera il genere popolare dell’eco- thriller, che ha dei precedenti, come i best-seller firmati da Rachel Carson negli anni ’60, e un buon vicinato nel cinema: ad esempio il film del 2009 The Road, tratto dal romanzo premio Pulitzer di Cormac McCarthy. Un particolare interesse per le icone della fine sembra venire in Italia dalla scena teatrale indipendente. Nell’edizione 2016 del festival di Sant’Arcangelo di Romagna la compagnia Cosmesi (Eva Geatti e Nicola Toffolini) mette in scena la performance Di natura violenta, un’architettura teatrale con testi di Una Bomber e Henry D. Thoreau, singolarmente convergenti in una visione tetra e nichilista della specie umana. Di fronte al disprezzo per l’ordine politico, con questi due personaggi si profila una scelta impossibile: accelerare una fine collettiva o difendere un rifugio individuale. Altre suggestioni in questo senso vengono dalle produzioni coreografiche di Enzo Cosimi come Fear Party e Dopo di me il diluvio.

In effetti, insieme al termine antropocene si sono moltiplicate le discussioni sul Capitalocene, e questo neologismo ha sostituito, con una parola anche più brutta, il buon vecchio capitalismo neoliberista, che almeno, prima che la storia finisse, aveva una rossa bandiera in cima al suo business as usual.