2. Emozioni e scuola 85
2.3 L’“intelligenza emotiva” di Goleman 89
Per Goleman l’intelligenza emotiva è proprio la capacità di ascoltare le emozioni, componenti fondamentali del processo conoscitivo. Egli così la definisce: «Si tratta […] della capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; e, ancora, la capacità di essere empatici e di
sperare»95. Saper comprendere chi ci sta parlando, saper riconoscere i messaggi non verbali che ci giungono, saper leggere il linguaggio del corpo, nostro e altrui, saper cogliere espressioni e reazioni emotive del nostro interlocutore e contemporaneamente saper riconoscere e gestire le proprie emozioni e i propri atteggiamenti: questa, secondo Goleman, dovrebbe essere la via per migliorare se stessi, il nostro rapporto con gli altri, la nostra vita e, di riflesso, quella di chi ci sta vicino. Molti malesseri sociali, infatti, derivano da difficoltà nell’autocontrollo, dalla incapacità di gestire la propria collera, dalla scarsa fiducia in sé e negli altri. E Goleman riconduce tutto questo soprattutto all’insufficiente valorizzazione data fino ad oggi alle emozioni, sia in ambito familiare che scolastico. «La capacità di accantonare gli impulsi egoistici presenta benefici sociali: apre la strada all’empatia, all’ascolto degli altri, all’assunzione della prospettiva altrui. L’empatia […] porta alla benevolenza, all’altruismo e alla compassione. Vedere le cose dal punto di vista altrui infrange gli stereotipi e i pregiudizi e alimenta […] l’accettazione delle differenze».96
Non solo Goleman, ma anche altri psicologi statunitensi come Sternberg e Salovey,97 hanno fatto propria una concezione più ampia dell’intelligenza, che va oltre le specifiche abilità linguistiche e matematiche; queste, infatti, se possono costituire un fattore determinante per il successo scolastico, non è detto che lo siano per il successo nella vita. Salovey in particolare è stato colui che per primo ha definito in modo dettagliato il modello dell’intelligenza emotiva:98 egli ha rintracciato cinque ambiti principali in cui sono contenute capacità specifiche che ci supportano nelle nostre azioni, determinano il modo in cui controlliamo noi stessi (ambito personale) e gestiamo le relazioni con gli altri (ambito sociale). Vediamoli più nel dettaglio.99
95 D. Goleman, op. cit., p. 54. 96 D. Goleman, op. cit., p. 167.
97 R. J. Sternberg, Beyond I. Q., Cambridge University Press, New York 1985; P. Salovey, J. D. Mayer, “Emotional Intelligence” in “Imagination, Cognition and Personality”, 9, Baywood Publishing Co., New York 1990.
98 P. Salovey, op. cit.
1) La conoscenza delle proprie emozioni. È l’ambito dell’autoconsapevolezza, dominato dalla capacità che ci permette di riconoscere i sentimenti nel momento in cui emergono. Ciò ci consente di gestire al meglio la propria vita, le proprie scelte e le relazioni con gli altri. Senza questa abilità difficilmente riusciremo a comprendere anche le emozioni altrui.
2) Il controllo delle proprie emozioni. La capacità di controllare le proprie emozioni è strettamente legata alla consapevolezza di sé. Il controllo emotivo comprende la capacità di calmarsi, di minimizzare l’ansia, di ridurre la tristezza e di non cadere negli accessi d’ira. Questa abilità ci consente di fronteggiare le situazioni più avverse nelle quali ci possiamo trovare e di stabilire relazioni positive con gli altri.
3) La motivazione di se stessi. Il controllo emozionale favorisce la motivazione personale al fine di raggiungere determinati obiettivi. Esso, infatti, consente una maggiore attenzione e concentrazione sul proprio compito e quindi determina più produttività ed efficienza. In tal modo possono sprigionarsi quelle energie positive che lo psicologo ungherese Csikszentmihalyi definisce “stato di flusso”, in cui il corpo e la mente sono impegnati al massimo, in cui vi è il pieno coinvolgimento delle migliori abilità della persona.
4) Il riconoscimento delle emozioni altrui. Un’altra capacità basata sulla consapevolezza delle proprie emozioni è l’empatia: essa rappresenta anche la percezione dei sentimenti e degli stati d’animo degli altri, la loro presa in considerazione, il loro riconoscimento sulla base dei più sensibili segnali non verbali. L’empatia ci permette di adottare la prospettiva degli altri, di sintonizzarci con essi, producendo comportamenti di solidarietà e di altruismo. In tutte le professioni di tipo relazionale, come l’insegnamento, risulta un’abilità fondamentale. 5) La gestione delle relazioni. È l’ambito delle competenze sociali e delle
capacità specifiche a loro connesse, che permettono a chi ne è in possesso di gestire al meglio i rapporti interpersonali e di tarare i propri interventi con gli altri in modo adeguato, disinvolto ed efficace.
Chi è dotato di intelligenza sociale riesce ad entrare in relazione con gli altri in modo naturale, attento e positivo; riesce inoltre a coordinare e a guidare le persone, a mantenere l’equilibrio e a ricomporre contrasti o situazioni di imbarazzo e tensione, assumendo un ruolo spontaneo di leader naturale.
Le competenze che caratterizzano l’intelligenza emotiva ora delineate, non è detto che appartengano tutte ad una persona nella stessa misura: vi possono essere, infatti, persone molto abili nel controllo delle proprie emozioni e al tempo stesso non pienamente in grado di entrare in empatia con gli altri. Goleman ritiene che se alcune capacità hanno una base neurale, è comunque possibile in buona parte apprenderle attraverso un percorso di “alfabetizzazione emozionale”.
Occorre constatare che la formazione occidentale nei sistemi di educazione e di istruzione, generalmente non si preoccupa, anzi semmai evita, di farsi carico dei saperi emozionali, seguendo l’antica idea che considera le emozioni come pericolose o dannose per la conoscenza. Le nostre scuole, infatti, generalmente attuano il lavoro istruttivo, mirando soprattutto alla formazione contenutistica degli alunni, che poi saranno valutati secondo una tipica “mentalità da QI”, che misura principalmente le competenze scolastiche e le quantità dei saperi acquisiti, anziché la formazione complessiva della persona. L’intelligenza scolastica ha generalmente ben poco a che fare con la vita emotiva e con la vita in senso lato.100 Molto spesso coloro che sono stati ottimi studenti hanno, per questo motivo, gratificato i propri genitori, motivando in loro gioia e soddisfazione ma, nello stesso tempo, il peso della responsabilità, l’ansia di non sentirsi all’altezza, insieme ad altre molteplici variabili hanno reso queste persone insicure e non serene nell’affrontare la vita. Al contrario un quoziente emotivo ben sviluppato influisce positivamente sulla riuscita nel lavoro, nella vita e nei rapporti interpersonali.
A scuola l’aspetto emozionale viene ancora troppo spesso sottovalutato e non sempre sono considerate adeguatamente l’autostima e la fiducia in sé,
aspetti invece indispensabili per vivere consapevolmente e per sapersi relazionare in modo appropriato. Solo recentemente sta emergendo anche nelle scuole la consapevolezza che la formazione non può non gestire anche la conoscenza emozionale, in una società dove il successo, nella vita e nel lavoro, ha bisogno di utilizzare soprattutto il quoziente dell’intelligenza emozionale, piuttosto che non il solo quoziente intellettivo del dominio razionale. Le ricerche di Goleman rilevano proprio che le persone che hanno compiuto un percorso scolastico conseguendo ottime valutazioni, non raggiungono necessariamente un’ottima riuscita in campo lavorativo o sociale. Egli ritiene che al massimo il QI contribuisce in ragione del 20 per cento ai fattori che determinano il successo nella vita; tra questi invece emerge come fondamentale l’intelligenza emotiva. Le persone più brillanti e con elevato QI, infatti, possono arenarsi di fronte a semplici situazioni del vivere quotidiano o possono rivelarsi totalmente incapaci di gestire la propria vita privata. Per questo egli riflette sull’importanza non solo di apprendere con intelligenza emotiva, ma anche di lavorare con intelligenza
emotiva.101 Non a caso negli ambienti di lavoro, sempre più spesso vengono richieste, oltre alle specifiche competenze lavorative, anche capacità di flessibilità e di relazionalità sociale. Afferma Orefice: «Le regole del lavoro stanno cambiando. Oggi siamo giudicati secondo un nuovo criterio: non solo in base a quanto siamo intelligenti, preparati ed esperti, ma anche prendendo in considerazione il nostro modo di comportarci verso noi stessi e di trattare con gli altri».102 Anche Isabelle Filliozat sostiene che nella complessa realtà odierna non ci si può limitare a valutare oggettivamente le persone in base al loro “quoziente intellettivo”, perché molteplici sono le intelligenze da coltivare che influiscono sulla qualità della vita: «Ciò che ci permette di fare la differenza non sono solo le competenze, ma anche e soprattutto la capacità di gestire le nostre emozioni e di
101 Cfr. D. Goleman, Lavorare con intelligenza emotiva. Come inventare un nuovo rapporto con il
lavoro, BUR, Milano 2006.
102 P. Orefice, La formazione di specie. Per la liberazione del potenziale di conoscenza del sentire e
comunicare»103. Il “quoziente emotivo” o QE, che si sta sempre più affermando negli Stati Uniti, è indice dell’emergere di una nuova coscienza protesa allo sviluppo del potenziale umano. Il QE non è come il QI la risultante numerica di un test, ma uno strumento per invitare a riflettere maggiormente sulla nostra vita emotiva, ponendo delle domande e non dando delle valutazioni. Il test che valuta il QE si compone di frasi da completare, di domande aperte o a scelta multipla, il cui fine non è appunto quello di avere un punteggio finale indicativo di quanta intelligenza emotiva abbiamo, piuttosto è quello di raggiungere una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni e la capacità di gestione delle stesse.