1. Emozioni e apprendimento 49
1.11 Il ruolo dei “neuroni specchio” 76
La scoperta dei “neuroni specchio” (“mirror neurons”), agli inizi degli anni Novanta ad opera di un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma coordinato da Giacomo Rizzolatti, ha modificato il nostro modo di concepire i meccanismi alla base della comprensione delle azioni osservate. Per molto tempo aveva dominato l’idea che le aree motorie della corteccia cerebrale fossero destinate a compiti meramente esecutivi e quindi prive di valenza sia percettiva che tanto meno cognitiva. Il modello classico di riferimento era il seguente: percezione -‐> cognizione -‐> movimento. Si pensava, infatti, che le aree sensoriali e quelle motorie fossero nettamente distinte anche dal punto di vista della loro collocazione corticale e che fosse compito delle “aree associative” ricevere gli stimoli elaborati dalle aree sensoriali per ricavarne i comandi da inviare alle aree motorie perché ne discendessero movimenti ed azioni coerenti. Da questa idea discendeva un modello della cognizione come un processo autonomo, logico e disincarnato. Oggi, invece, grazie alle numerose scoperte neuroscientifiche, tra cui quelle dei “neuroni specchio”, la percezione e la cognizione risultano far parte della dinamica dell’azione. Il sistema motorio, non appare in alcun modo
periferico e isolato dal resto delle attività cerebrali, bensì consiste di una complessa trama di aree corticali differenziate per localizzazioni e per funzioni. Come affermano Rizzolatti e Sinigaglia, «il cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende»82. Ovviamente si tratta di una comprensione pragmatica, “preconcettuale e prelinguistica”, che non implica la consapevolezza esplicita o riflessiva da parte dell’osservatore. Tuttavia riveste un ruolo decisivo nella costituzione del significato degli oggetti e quindi anche nelle capacità cognitive superiori. In pratica, gli oggetti vengono percepiti in base alle loro “affordances”83, suggerendo un determinato tipo di uso e il nostro cervello riconosce quella situazione e sceglie l’azione che ritiene più adeguata. Dunque la nostra attività percettiva sarebbe un’attività attraverso la quale il nostro organismo si prepara a rispondere alle situazioni ambientali attraverso scelte di azione. Uno studioso si è spinto ad affermare che «i neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia»84. Non sappiamo ancora se sarà così, tuttavia è certo che tale scoperta ha riabilitato il primato dell’azione rispetto alla percezione e al pensiero e questo è di notevole importanza sia dal punto di vista neuroscientifico che filosofico, che per le ricadute formative.
Senza entrare nello specifico della spiegazione del funzionamento dei “neuroni specchio”, possiamo dire che la loro attività è alla base del riconoscimento e della comprensione degli atti motori degli altri. Inizialmente la loro esistenza è stata riconosciuta nelle scimmie: ad esempio, se una scimmia ne vedeva un’altra mentre stava compiendo il gesto di strappare la carta (informazione visiva), le si attivavano gli stessi neuroni implicati quando l’azione veniva compiuta dalla scimmia stessa. Questa scoperta ha indotto i ricercatori a pensare che i neuroni specchio codifichino concetti astratti per azioni, come quella dello strappare la carta, sia quando l’azione è compiuta direttamente, sia
82 G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, p. 3.
83 Per il concetto di “affordance”, qualità fisica di un oggetto che suggerisce a un essere umano le azioni appropriate per manipolarlo, si rimanda a J. J. Gibson (1979), Un approccio ecologico alla percezione visiva, tr. it., Il Mulino, Bologna 1999.
quando l’informazione giunge dall’osservazione di altri che compiono quell’azione. Successivamente, grazie allo sviluppo delle tecniche di indagine di
brain imaging, (come la PET e la fMRI), sono stati individuati i neuroni specchio
anche nell’uomo, nel quale appaiono addirittura più estesi: sono stati riconosciuti, infatti, non soltanto nell’area di Broca, ma anche in larghe parti della corteccia premotoria e del lobo parietale inferiore. Questi funzionano in maniera più complessa rispetto a quelli individuati nelle scimmie: ad esempio, nell’uomo il sistema dei neuroni specchio è in grado di codificare sia il tipo di azione che la sequenza dei movimenti di cui essa è composta; inoltre, nell’essere umano i neuroni specchio si attivano anche quando l’azione è semplicemente mimata.
Ma che cosa comporta questa scoperta per l’apprendimento? La scoperta dei neuroni specchio nell’uomo è rilevante per il primato che riconosce all’azione e al coinvolgimento del corpo nella comprensione. Prima della comprensione attraverso processi intellettivi basati su un’elaborazione più o meno sofisticata dell’informazione sensoriale, vi è una comprensione più immediata e coinvolgente data dal corpo. In qualche modo il primato non è più del “logos”, ma dell’azione: la “praxis”, l’agire, precede il pensiero, di cui rappresenta il supporto. Il cervello che agisce comprende pragmaticamente il mondo prima ancora che intervenga l’attività simbolica. L’evento motorio osservato, infatti, implica un coinvolgimento in prima persona da parte dell’osservatore che gli consente di averne un’immediata esperienza “come se” fosse lui stesso a compierlo, e questo gli permette di coglierne appieno il significato. Da ciò ne consegue che maggiori sono le esperienze corporee vissute dall’osservatore e maggiori sono per lui le possibilità di comprensione.
Sappiamo, inoltre, che il sistema dei neuroni specchio svolge un ruolo fondamentale nell’imitazione, codificando l’azione osservata in termini motori e rendendo in tal modo possibile una sua replica. Attraverso l’imitazione, quindi, esso influenza notevolmente l’apprendimento. Secondo Rizzolatti e Sinigaglia, la funzionalità dei neuroni specchio andrebbe ancora oltre la semplice imitazione dei comportamenti altrui a scopo di apprendimento: essi servirebbero a comprendere il significato dell’agire degli altri soggetti, ovvero a intuirne le intenzioni, con il risultato di poter adottare le strategie più adatte ad agire di
conseguenza. Dunque imitazione intesa non tanto come capacità dell’individuo di ripetere esattamente azioni che ha osservato e che appartengono al suo repertorio motorio, quanto piuttosto come capacità di apprendere “pattern di azione”, che non appartengono al suo repertorio, imparando ad agirli.
Il sistema dei neuroni specchio, oltre a svolgere una funzione fondamentale in relazione alla possibilità di apprendere dall’esperienza e dal comportamento degli altri, appare un processo determinante anche nell’ambito della vita emotiva e, in particolare, per lo sviluppo dell’empatia. Numerose ricerche85 hanno infatti dimostrato che la percezione di alcune emozioni negli altri, come ad esempio il dolore o il disgusto, attivano le stesse aree della corteccia cerebrale che sono coinvolte quando siamo noi a provare quelle emozioni di dolore o di disgusto. Pertanto, al pari delle azioni, anche le emozioni risultano immediatamente condivise attraverso un meccanismo di “simulazione incarnata”86. Dunque il sistema dei neuroni specchio sembra deputato a promuovere l’identificazione empatica dell’altro. Ciò mostra quanto sia radicato e profondo il legame che ci unisce agli altri e questa potrebbe essere la prova che l’intersoggettività sia una dimensione intrinseca del cervello e della mente. In qualche modo possiamo essere portati a pensare al cervello come ad un organo strutturato originariamente per stabilire rapporti significativi con il mondo: aperto ad una manipolazione intenzionale degli oggetti e all’identificazione empatica con l’altro, prima ancora dell’intervento delle capacità cognitive e delle funzioni psichiche superiori.
Le ricerche sui neuroni specchio hanno anche portato ad ipotizzare che le origini del linguaggio andrebbero ricercate, prima ancora che nelle primitive forme di comunicazione vocale, nell’evoluzione di un sistema di comunicazione gestuale: lo sviluppo progressivo del sistema dei neuroni specchio potrebbe aver costituito una componente fondamentale nella capacità umana di comunicare, prima a gesti e poi a parole. Se quest’ipotesi fosse valida, allora i concetti non
85 Cfr. i risultati delle ricerche citati da G. Rizzolatti e C. Sinigaglia, in op. cit., p. 170 e ss.
86 Cfr. l’articolo di V. Gallese, P. Migone, M. N. Eagle, “La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività ed alcune implicazioni per la psicoanalisi” in “Psicoterapia e scienze umane”, 3, Franco Angeli, Milano 2006.
sorgono nella mente solitaria di un individuo, ma grazie all’interazione e alla comunicazione con gli altri. La stessa comprensione linguistica, secondo alcuni ricercatori87, si fonderebbe principalmente su meccanismi “incarnati” (embodied), cioè legati al corpo, anziché sull’attivazione di rappresentazioni mentali simboliche. Le strutture nervose che presiedono all’organizzazione dell’esecuzione motoria delle azioni, svolgerebbero un ruolo anche nella comprensione semantica delle espressioni linguistiche che le descrivono. Sebbene le ricerche in questo settore abbiano bisogno di approfondimenti maggiori, al momento numerosi esperimenti confermano l’ipotesi che il sistema dei neuroni specchio sia coinvolto non soltanto nella comprensione del significato delle azioni osservate, ma anche nella comprensione di espressioni linguistiche descriventi le stesse azioni88.
La scoperta delle basi neurologiche delle nostre azioni, soprattutto della natura specchio della nostra capacità di sviluppare empatia nei confronti degli altri, riveste una particolare importanza in educazione. Martha Nussbaum, da anni impegnata nello studio della relazione tra educazione e sviluppo dei valori di cittadinanza, riconosce che l’uomo è naturalmente predisposto ad attivare comportamenti pro sociali. Al tempo stesso, siccome la pressione sociale e la leadership possono intervenire su questa naturale disposizione e distorcerla, all’educazione spetta l’importante compito di assecondare gli istinti empatetici e minimizzare così l’impatto dei condizionamenti sociali. Un’educazione all’empatia dovrà favorire la naturale disposizione che, grazie ai neuroni specchio, ci fa mettere al posto degli altri provando quello che loro provano in determinate circostanze. Ciò consentirà di comprendere i comportamenti altrui e convivere con le proprie e le altrui debolezze. Lo scopo sarà quello di sviluppare
87 Tra questi, oltre al neuroscienziato Vittorio Gallese, posso citare i linguisti George Lakoff e Mark Johnson: V. Gallese e G. Lakoff, The brain’s concepts: The Role of the Sensory-‐Motor System in Reason and Language. Cognitive Neuropsychology, 22, 2005; G. Lakoff e M. Johnson (1980), tr. it.
Metafora e vita quotidiana, Bompiani, Milano 1998.
88 Cfr. l’articolo di V. Gallese, P. Migone, M. N. Eagle, “La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività ed alcune implicazioni per la psicoanalisi”, op. cit.
un’educazione alla cittadinanza, attraverso la promozione di responsabilità e di pensiero critico. Per questo per Nussbaum la filosofia morale e tutte le sue applicazioni, per capire aspetti importanti del nostro agire e modificarne altri problematici, dovrà analizzare i giudizi caratteristici di ogni singola emozione e decidere quali “coltivare” e quali trattare con estrema cautela, per costruire una società democratica in cui l’umanità e i fini importanti per ogni singolo individuo possano “fiorire” liberamente.