1. Emozioni e apprendimento 49
1.6 Sulla plasticità cerebrale 62
Molto interessante, in questa visione, è l’idea che durante lo sviluppo dell’essere umano, dall’infanzia all’età adulta, il disegno dei circuiti cerebrali che rappresentano il nostro corpo in evoluzione e le sue interazioni con il mondo, sembra dipendere dalle attività nelle quali l’organismo è impegnato e dall’azione di circuiti innati di bioregolazione. Pertanto cervello, mente e comportamento sembrano interagire e influenzarsi reciprocamente lungo tutto il corso dell’esistenza. La stessa struttura del cervello risulta quindi plastica e modificabile dall’esperienza, grazie alla variazione della forza delle sinapsi attraverso molti sistemi neurali. Ovviamente, non tutti i circuiti sono mutevoli nello stesso modo: ce ne sono alcuni che vengono rimodellati più volte nel corso della vita, mentre altri sono più resistenti al cambiamento (altrimenti avremmo difficoltà anche nel riconoscerci). Diciamo che il cervello ha bisogno di un equilibrio tra il cambiamento e la conservazione dei circuiti cerebrali.
L’idea della plasticità del cervello, ovvero la sua disponibilità a modificare l’organizzazione delle proprie sinapsi sulla base di eventi interni ed esterni rispetto a esso, ci offre alcune considerazioni importanti per la ricaduta in ambito didattico e formativo. Innanzitutto ci conferma l’idea dell’unicità di ogni individuo: ciascuno ha le proprie esperienze, la propria storia personale, i propri incontri e le proprie relazioni, ha sviluppato i propri sentimenti e le proprie emozioni. Su questa storia personale si è “costruito” e modellato il proprio cervello. Da qui la necessità che l’esperienza didattica e formativa, si ponga in ascolto e in relazione di ciascun soggetto in formazione. Non si può prescindere da tale consapevolezza, pertanto occorre attuare percorsi didattici il più possibile personalizzati. Ogni insegnante dovrebbe iniziare la programmazione del proprio lavoro, proprio cercando di capire il punto di vista dei propri alunni, il loro modo
di porsi e di ragionare su un determinato argomento, evitando di dare per scontato un punto di partenza comune (quasi una “tabula rasa”). Importante sarebbe che diventasse una modalità consueta il far emergere le diversità di approccio di ciascuno, conferendo dignità ad ogni mente e pensiero. Da questo confronto iniziale, potrebbe prendere avvio una didattica esperienziale, volta a cercare di costruire una conoscenza condivisa e partecipata, in cui l’apporto individuale e unico di ognuno possa trovare il suo spazio e fornire l’arricchimento al gruppo65.
Un altro aspetto di fondamentale importanza che deriva dalla considerazione della plasticità del cervello è la responsabilità, per chi educa, di offrire contesti stimolanti ed esperienze significative, che possano in qualche modo “imprimersi” nella formazione cerebrale e contribuire ad essa, in particolare nei periodi dell’infanzia e dell’adolescenza, considerati “critici” per l’apprendimento. Gli psicologi e i neuroscienziati hanno, infatti, individuato determinati periodi, detti appunto “critici”, durante i quali l’esperienza gioca un ruolo essenziale nel piano di sviluppo cerebrale. Se è vero, infatti, che i geni guidano le prime fasi dello sviluppo cerebrale e la formazione iniziale delle connessioni neurali, sono le interazioni con l’ambiente che consentono di completare in maniera appropriata e individuo-‐specifica la maturazione dei circuiti deputati al controllo della maggior parte delle funzioni cerebrali. Il bambino nasce con una propensione istintiva per realizzare esperienze sensoriali ed emotive, ma necessita di un contesto stimolante in grado di agevolare quelle esperienze. Se queste riflessioni riguardano, in modo particolare, il primo anno di vita di un bambino e le relazioni di attaccamento che può stabilire con la madre o con chi svolge le cure materne, possono comunque essere estese al periodo successivo in cui il cervello dei bambini è particolarmente predisposto al suo sviluppo e all’acquisizione di nuove conoscenze. Pertanto il compito dell’insegnante è quello di fornire agli alunni differenti opportunità di apprendimento, attraverso attività che coinvolgano tutta la persona (compresa la
65 Vi sono innovative esperienze didattiche che hanno dimostrato la validità di questo metodo, come vedremo in maniera più approfondita nella terza parte di questo lavoro.
sfera emozionale, il corpo, la percezione visiva…), aiutandoli in questo modo a riorganizzare e a fissare la propria “architettura neurale”.
Un’ultima riflessione che intendo qui brevemente riportare, sempre in relazione alla plasticità neurale, ovvero ai processi di rimodellamento dei circuiti nervosi guidati dall’esperienza ambientale, riguarda la possibilità di cambiamento e di miglioramento che possediamo. Pur consapevoli che la plasticità è una caratteristica peculiare del sistema nervoso in sviluppo poiché con il passaggio all’età adulta si verifica una riduzione delle potenzialità plastiche dei circuiti nervosi, mentre viene potenziata la capacità di sviluppare le connessioni sinaptiche, recenti studi nel campo delle neuroscienze, hanno evidenziato che un’adeguata stimolazione ambientale è in grado di indurre fenomeni di plasticità anche nel cervello adulto. Come afferma la ricercatrice Laura Baroncelli dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, «una vita ricca di attività cognitive, sociali e motorie (arricchimento ambientale) ha numerosi effetti benefici sul sistema nervoso, stimolando la maturazione delle funzioni cerebrali e ripristinando lo stato di plasticità giovanile del cervello. L’arricchimento ambientale è in grado di ringiovanire il sistema nervoso, arrivando a ritardare l’invecchiamento cerebrale o la comparsa di malattie neurodegenerative, come la malattia di Alzheimer»66. Sebbene come si evince dalla citazione i risultati di tali ricerche vengano impiegati prevalentemente nel campo delle patologie neurologiche, mi sembra importante vederne le implicazioni anche in ambito didattico. Non sono pochi, infatti, gli insegnanti che tendono ad “etichettare” gli alunni che hanno di fronte e a non aspettarsi sostanziali miglioramenti dai meno capaci dal punto di vista scolastico. Le ricerche in campo neuroscientifico, invece, ci dimostrano che sono molto alte le possibilità di cambiamento e di miglioramento, se adulti e bambini vengono messi in un contesto di apprendimento stimolante, in una situazione di formazione permanente, che coinvolga i soggetti non solo come “menti pensanti”, ma anche come “corpi agenti”, quindi anche dal punto di vista motorio e, soprattutto, emozionale. Su questo aspetto torneremo nell’ultimo capitolo del
presente lavoro, nella valutazione di esperienze didattiche che coinvolgono gli alunni anche dal punto di vista motorio ed emozionale, con effetti positivi in particolare per quei ragazzi che normalmente presentano deficit di attenzione e difficoltà specifiche di apprendimento.