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CAPITOLO 2 – IL CONSUMO IDRICO IN AGRICOLTURA

2.1 Interazioni tra agricoltura ed ambiente

L’agricoltura si è sviluppata dal dopo guerra ad oggi con una crescita fortissima dell’offerta aggregata sostenuta da un incremento della produttività senza precedenti, soprattutto nei paesi occidentali.

A questo processo di trasformazione si fa spesso riferimento in termini di “Rivoluzione verde”, ed è anche stato definito (Romano, 2003) come “modernizzazione” dell’agricoltura, riferendo con questo termine alle pratiche agricole dominanti nelle economie industrializzate, in contrapposizione con l’agricoltura “tradizionale”, o “classica” (Iacoponi, 1995).

L’evoluzione delle caratteristiche strutturali del settore agricolo dei paesi industrializzati è stata influenzata fortemente dal sostegno politico per l’introduzione di mezzi tecnici innovativi nelle pratiche agricole e per la promozione di una finalità eminentemente produttivistica dell’attività volto a garantire la sicurezza alimentare.

Le strutture produttive definite “tradizionali“ sono state plasmate su una dimensione rivolta al benessere della famiglia, sostenuta mediante pratiche agricole rivolte all’autoconsumo gestite mediante l’integrazione nell’azienda di produzioni vegetali ed animali con biotipi adatti alle caratteristiche del territorio e fortemente dipendenti dall’incertezza dei fenomeni naturali come l’andamento climatico e l’insorgenza di patologie. Le materie prime e prodotti erano venduti su mercati di dimensioni ridotte, rivolte ad una domanda locale. La necessità di rispondere ad un cambiamento della domanda quantitativa e qualitativa dei prodotti agro-alimentari ha determinato un’apertura ed interazione sempre maggiore dell’azienda agricola con gli orientamenti del mercato dei prodotti e dei fattori, comportando risvolti importanti sulla società rurale e sul territorio.

La professionalità degli operatori del settore, oggi, richiede il confronto con le esigenze gestionali di aziende più grandi, qualifiche specialistiche avanzate e coordinarsi con la sostituzione del lavoro manuale con lavoro meccanico. Si sono stabilite relazioni d’integrazione verticale con i settori a monte dell’azienda agricola per l’approvvigionamento degli input e a valle per la fornitura di prodotti che corrispondano alle esigenze delle industrie di trasformazione, al fine di regolare e coordinare l’offerta di prodotti agroalimentari. Questo processo ha comportato una forte specializzazione produttiva e concentrazione geografica delle aziende economicamente più efficienti.

La struttura produttiva dell’agricoltura “moderna”, definita anche “produttivistica” (De Benedictis 1996), “intensiva” (Merlo e Boscolo 1994), “omologata” (Basile e Cecchi 1994) o “tecnologica” (Iacoponi 1995), comporta anche un impatto notevole e diffuso sulla quantità e qualità delle risorse del territorio rurale a causa dell’intenso ricorso a misure atte alla riduzione dei

La necessità di garantire una stabilità quantitativa e qualitativa delle produzioni ha provocato un’accelerazione dell’evoluzione degli ecosistemi naturali o semi-naturali verso agro-ecosistemi sempre più artificiali, facendo emergere un evidente trade-off tra produzione agricola ed ambiente.

Come schematizzato da Romano (2003) le interazioni agricoltura-ambiente implicite nella modernizzazione dell’agricoltura sono la conseguenza di due differenti meccanismi che caratterizzano la dinamica evolutiva dell’agricoltura degli ultimi cinquanta anni (Fig. 2.1):

l’intensificazione delle pratiche agricole tradizionali: la modernizzazione agricola dal punto di vista ecologico si configura come un passaggio da un sistema chiuso, sostanzialmente in equilibrio dal punto di vista energetico, ad un sistema aperto, per il cui funzionamento sono necessari apporti energetici dall’esterno sotto forma di fertilizzanti chimici, pesticidi, macchinari e materiale geneticamente migliorato;

l’abbandono di territori prima destinati all’agricoltura: l’agricoltura più competitiva si concentra in alcune aree geografiche strategiche per quanto riguarda le condizioni di produzione ed il trasporto, il che comporta una progressiva marginalizzazione dei sistemi agricoli non competitivi4. Questa situazione obbliga spesso l’uscita dal circuito produttivo di aziende, senza la possibilità per questi agro-ecosistemi abbandonati di riuscire spontaneamente a rinaturalizzarsi, manifestando fenomeni di degrado ambientale.

Inoltre, la specializzazione e la concentrazione delle produzioni agricole comportano modifiche dettate dalle esigenze dell’uso efficiente dei mezzi meccanici: l’aumento delle dimensioni degli appezzamenti, il modellamento, la bonifica ed il condizionamento dei terreni hanno plasmato i paesaggi rurali moderni.

La crescita della meccanizzazione dell’agricoltura ha migliorato sensibilmente la qualità della vita degli operatori e permesso notevoli miglioramenti della produttività per unità di terreno, ma ha comportato un impatto negativo per l’ambiente rurale. Ad esempio, il compattamento dei suoli per effetto dell’impiego di mezzi meccanici pesanti modifica la permeabilità e struttura del terreno, causando aumenti dello scorrimento superficiale, fenomeni di erosione, maggiori polveri nell’aria e la sedimentazione di fanghi nei corpi idrici.

Anche la rimozione della vegetazione naturale (siepi, filari d’alberi, ecc) ed elementi separatori ( fossi, muretti a secco etc..) sono dettati dalle necessità di migliorare l’efficienza tecnica delle pratiche agricole meccanizzate, comportando una omologazione del paesaggio e diminuzione della biodiversità.

4 La non competitività delle aree descritte può dipendere sia dalle condizioni

territoriali, inadatte alla trasformazione in strutture produttive moderne, sia sistemi produttivi moderni in aree che non consentono più un accesso competivo al mercato.

Figura 2.1 Schematizzazione della dinamica evolutiva agricola (fonte Romano 2005)

Queste strutture semi-naturali, infatti, costituiscono un elemento importante per la permanenza sul territorio di diverse specie animali e vegetali selvatici e detengono perciò un grande valore ecologico, ma la presenza di tali strutture comportano inefficienze e rischi (diffusione di piante infestanti, ostacoli al passaggio dei mezzi per la lavorazione del terreno, etc) incompatibili con la struttura produttiva “intensiva”.

Il cambiamento delle dinamiche del ciclo dell’acqua indotto dalle pratiche di irrigazione, dal prelievo di acque dalle falde acquifere e dal drenaggio ha provocato l’alterazione delle caratteristiche edafiche dei terreni (salinizzazione, alcalinizzazione e acidificazione) e ha determinato effetti importanti sulla qualità delle acque, e su alcuni habitat e sistemi idrogeologici particolari (ad esempio, le zone umide).

La riduzione della biodiversità rurale si manifesta anche con la modifica delle scelte agronomiche in favore di numero ridotto di specie e varietà d’interesse agricolo nell’ambito di pacchetti tecnologici ad alta produttività calibrati sulle esigenze del mercato.

L’applicazione di pesticidi sulle colture provoca l’emissione di sostanze tossiche nell’aria, nel suolo (con accumulo di pesticidi non degradabili) e nell’acqua (con inquinamento delle falde). Questa pratica è responsabile della riduzione della biodiversità in maniera diretta (effetti di pesticidi ad ampio spettro su microflora e microfauna, avvelenamento della fauna) ed indiretta (alterazione delle catene alimentari). L’uso di principi attivi in maniera diffusa

di quantità maggiori di trattamenti e/o di nuovi formulati e la selezione di varietà geneticamente maggiormente resistenti ai patogeni stessi.

Lo stesso accade per le produzioni zootecniche intensive, laddove un incremento drastico del numero di animali per unità territoriale determina una forte pressione sull’ambiente interno ed esterno degli allevamenti.

Il numero elevato di animali allevati comporta la stabulazione in strutture e spazi più ristretti rispetto agli allevamenti estensivi, esponendo gli animali ad una maggiore vulnerabilità alla trasmissione di patogeni e rendendo necessaria l’adozione di interventi strategici di prevenzione e profilassi che si ripercuotono sulla gestione aziendale e sulla qualità della vita degli animali. Le deiezioni, che dapprima era possibile utilizzare e smaltire nelle aziende stesse, ora superano le capacità di carico territoriali, determinando un eccesso di ammoniaca, fosforo e metalli pesanti che si accumulano nel suolo ed inquinano le falde acquifere.

Gli allevamenti producono elevate emissioni di metano ed ammoniaca nell’atmosfera, contribuendo ad incrementare l’effetto serra e l’acidificazione delle piogge, come verrà evidenziato in seguito a proposito del ciclo dell’azoto agricolo.

È opportuno ricordare che l’agricoltura, oltre ad avere effetti sull’ambiente, è a sua volta influenzata dalla qualità ambientale. Ad esempio, possono essere

citati gli effetti dell’alterazione della qualità e struttura dei suoli esausti sulla produttività delle colture, della mancanza di biodiversità sul controllo delle patologie vegetali ed animali, della qualità idrica sulla qualità dei prodotti, etc… Risulta, quindi, fondamentale riformulare alcuni concetti portanti tale modello di sviluppo per attenuare questi disequilibri.

La qualità ambientale è necessaria per la continuazione stessa dell’agricoltura in futuro visto che la qualità delle risorse naturali ed il mantenimento di determinati paesaggi agrari sono la precondizione per lo sviluppo rurale anche a livello economico, tecnologico e produttivo.

Infatti, la schematizzazione delle dinamiche evolutive dell’agricoltura proposta da Romano include una indicazione dove specifica la “riconversione” di “agricoltura moderna marginale” in “agricoltura eco-compatibile”.

Si tratta di un fenomeno sempre più ampio, proporzionale all’aumento del numero di aziende che non hanno potuto seguire il processo di modernizzazione e che per la propria competitività hanno assunto un’ottica che conferisce un ruolo principale alla qualità del prodotto e del contesto produttivo. L’Unione Europea sostiene fortemente questo tipo di attività al fine di preservarne l’esistenza e promuoverne la funzionalità sociale ed ambientale(CE, 1992).

In queste situazioni, infatti, si esplica in massimo grado la multifunzionalità dell’agricoltura, rivolta all’offerta di prodotti agro-alimentari, ma anche a servizi di fruibilità del mondo rurale da chi non ne fa parte in maniera diretta. Si è assistito così alla nascita di aziende, definite “biologiche”, che operano con pratiche agricole più rispettose dell’ambiente, degli animali e delle persone. Queste aziende hanno come obbiettivo mantenere le eredità culturali del territorio attraverso l’utilizzo delle materie prime, biotipi e manodopera locale e

sostenere la permanenza di aziende in zone “marginali”. Tali attività sono spesso accompagnate da iniziative di “agriturismo” che permettono un accesso ai sevizi naturali degli ecosistemi rurali e la promozione di prodotti eno-gastronomici tipici locali.

Queste aziende generalmente non sono economicamente efficienti e dipendono in larga misura dal sostegno offerto dalle politiche di sviluppo rurale nazionali ed Europee, però trovano un largo consenso nella domanda di prodotti salubri ottenuti nel rispetto dell’etica di sostenibilità.

Queste forme di produzione, quindi, superano la contrapposizione tra il modello tradizionale produttivista e costituiscono una porta verso la “modernità sostenibile” in cui vengano introdotte tecnologie innovative a sostegno di pratiche produttive rivolte anche al rispetto dell’ambiente e della società rurale.

2.1.a Struttura dell’agricoltura italiana

Dal censimento INEA pubblicato nel 2003, riferito alla struttura agricola italiana tra 2001 e 2002, si evince che il settore è soggetto ad un profondo mutamento a diversi livelli: nelle caratteristiche strutturali rilevate dal nuovo Censimento, nell’organizzazione e nel ruolo del Ministero delle politiche agricole, nell’evoluzione dei rapporti Stato-Regioni, nel rapporto tra agricoltura e società civile, nelle linee di politica agraria tracciate dalla Commissione e fatte proprie dagli Stati Membri.

La scomparsa in Italia, tra il 1990 e il 2000 di circa 500.000 aziende, concentrata soprattutto nelle regioni del Nord-Ovest (-39,5%)e del Nord-Est (- 20,5%), e di circa 1.8 milioni di ettari di SAU mette in evidenza che nell’agricoltura italiana oggi ci sono due tipi di aziende: quelle piccole destinate a luogo di residenzadella famiglia e ad integrazione del suo reddito (la grande maggioranza) e quelle professionali, efficienti o che vogliono diventarlo, proiettate verso il mercato. Quanto osservato non sembra, a prima vista, molto diverso da prima, ma la drastica riduzione del numero delle aziende e altri dati circa la distribuzione, la dimensione, la forma di conduzione, l’attività svolta dai componenti della famiglia e le produzioni attuate permettono di dire che la maggioranza delle piccole aziende rimaste o che rimarranno, vengono condotte in equilibrio con le scelte della famiglia pluriattiva e con le attività multifunzionali.

Se si leggono i dati del Censimento si può trovare una conferma a quanto osservato. Tra il 1990 e il 2000 le aziende sotto l’ettaro (ben 1 milione e 160 mila), quelle che si potrebbero chiamare le “non aziende”, sono rimaste quasi invariate; le classi fino a 20 ettari hanno registrato invece riduzioni del numero e della superficie fino al 25%, mentre le classi superiori hanno subito riduzioni molto inferiori (–4%) tanto che, a fronte della contrazione del totale delle aziende attorno al 14%, si potrebbe leggere come un consolidamento di queste ultime classi. In conclusione, il Censimento del 2000 mette in evidenza che su 2.594.825 aziende rilevate per 13.206.297 ettari di superficie agricola utilizzata, circa 340 mila tra 5 e 20 ettari si estendono per 3 milioni e 300 mila ettari e altre 120 mila, oltre i 20 ettari, interessano altri 7 milioni e 300 mila

organizzative, di investimento e di reddito che non sono diverse tra impresa a conduzione diretta del coltivatore o a conduzione a salariati (in economia). Come indicato in precedenza, il concetto tradizionale di interesse generale alla base delle sovvenzioni al sostegno dell’attività agricola necessita una revisione dal punto di vista della sostenibilità.

In questa ottica, l’agricoltura irrigua intensiva o “agri-business”, che causa gravi impatti ambientali e fornisce poca utilità alle comunità rurali in termini sociali non dovrebbe essere accettata come attività di interesse generale senza considerare il particolare modello operativo in questione o l’impatto ambientale che produce.

Una parte significativa di aziende a conduzione familiare può essere considerata come attività produttiva di interesse generale perchè esplica una funzione di mantenimento dei paesaggi ed ambienti rurali. In questi casi tali attività potrebbero meritare misure di sostegno pubblico, sebbene questa attività non costituisca fonte di reddito principale. Infatti, in europa, meno di ¼ degli agricoltori prendono il loro reddito esclusivamente da questa attività. Per contrasto, le aziende tradizionali che rappresentano il sostentamento di base delle comunità rurali, specialmente nelle zone montane, devono essere considerate attività legate agli interessi collettivi ed individuali di quelle comunità.

Perciò è fondamentale per una gestione sostenibile dello sviluppo del settore agricolo identificare le attività agricole che meritano di essere considerate di interesse generale, evitando l’assegnazione dei fondi pubblici per sovvenzionare gli affari privati, che non sono svolte nell’interesse della società nel suo insieme (FNCA, 2005).

Non si può, quindi, parlare di agricoltura come fosse un settore omogeneo. Inoltre le interattività tra il settore agricolo e il territorio in cui si attua sono complessi ed i disequilibri che si possono instaurare dipendono da innumerevoli parametri d’ordine economico, tecnologico, sociale ed ecologico. La problematica deve essere affrontata in maniera sistemica ed intersettoriale, intervenendo tenendo conto dell’interattività di tutti i parametri coinvolti.