• Non ci sono risultati.

Capitolo 4. Chi nel Faust ha visto una vera e propria opera filosofica

4.2. L’interpretazione di Freschi

Alla domanda con cui abbiamo terminato la precedente sezione,

Marino Freschi risponde asserendo che il Faust non esprime tutto un

sistema filosofico, bensì la concezione cosmologica goethiana. Questa

tesi viene espressa nell’articolo Alcuni spunti nichilistici nel Faust di

Goethe146.

146 M. Freschi, Alcuni spunti nichilistici nel Faust di Goethe, in “AION- Filologia

107

Il testo prende le mosse da una riflessione riguardo la nascita del

concetto di nichilismo in Europa, che, secondo Freschi, va individuata

negli ultimi decenni del settecento tedesco, epoca che l’autore chiama

Goethezeit. Questo tema offre lo spunto all’autore per interrogarsi su

un’altra questione, strettamente connessa alla prima: il concetto di nulla per Goethe. Ecco che qui già arriviamo al Faust: chi altri, se non

Mefistofele, potrebbe rappresentare lo spirito negatore per eccellenza?

Freschi, attraverso alcune citazioni attinte dalla prima parte, ci

mostra come questo demonio descriva al protagonista, sia la sua natura

che la sua origine. Egli ci viene mostrato non solo come “lo spirito che nega sempre”147

, ma anche come, parafrasando, la parte che in principio

era tutto, figlio della tenebra che partorì la luce, figlio di Madre notte148.

Queste definizioni di Mefistofele, oltre che ad illuminare il lettore

sulla sua natura, contengono anche una precisa concezione cosmologica:

è proprio qui che Goethe ci illustra le sue teorie sull’ordine e l’origine del mondo.

Freschi in queste idee trova un’evidente relazione con le teorie alchemiche:

Il poeta avrebbe dunque espresso tramite la figura di Mefistofele una delle sue più intime concezioni del mondo e della sua origine. Il suo aderire alla tensione faustiana verso il continuo superamento gli avrebbe suggerito una visione estremamente dinamica della

147

G. W. Goethe, Faust Urfaust, cit., v. 1338.

148

108

cosmologia, per cui, dall’arcaica divinità notturna del caos, sarebbe stata generata la luce. Un siffatto modello cosmogonico trovava cospicue somiglianze con l’impianto mentale che sottende la cultura dell’alchimia, incentrata sul mito della creazione perenne. In quanto scienza sacra, essa si fondeva su operazioni coinvolgenti l’ipotetica unità di macrocosmo e microcosmo. La rigogliosa filosofia ermetica del Settecento aveva assorbito tali dottrine anche attraverso la feconda mediazione di elementi gnostici mutuati dagli scrittori pietisti più indipendenti ed autonomi che, come Gottfried Arnold -ben noto a Goethe-, si erano proposti di rivisitare criticamente le eresie spiritualistiche degli entusiasti e delle correnti esoteriche del passato149.

Questa descrizione dataci da Freschi ci lascia con delle importanti

domande in sospeso. Se prendiamo per buono il discorso appena

riportato (come noi faremo), mancano ancora le risposte alle seguenti

domande per avere un quadro completo della situazione: Goethe era

religioso? Se sì, di che tipo era la sua religione? Seguiva un culto

ortodosso o un culto suo personale? La sua visione cosmologica non

assomiglia in maniera spiccata ad un credo religioso?

Ovviamente anche l’autore dell’articolo si rende conto della necessità di queste precisazioni e ci risponde direttamente con le parole di

Goethe. Il pensiero del poeta viene espresso attraverso un lungo passo

della sua autobiografia, che anche noi preferiamo riportare, in quanto

estremamente chiarificatore del pensiero goethiano:

149

109

Poiché avevo sentito dire abbastanza spesso che ogni uomo in sostanza ha la sua religione personale, nulla mi sembrò più naturale che potermi costruire anch’io la mia; e lo feci con molta soddisfazione. Fondamento ne era il neoplatonismo, mentre l’elemento ermetico, mistico e cabalistico, vi davano il loro contributo. Così edificai un mondo il cui aspetto era abbastanza strano. Cercavo di raffigurarmi una divinità che fin dall’eterno produce sé stessa; ma poiché la produzione non può pensarsi senza molteplicità, essa doveva necessariamente comparire a sé stessa come un secondo essere, che noi riconosciamo sotto il nome di Figlio; entrambi ora dovevano continuare l’atto della creazione e tornavano quindi a comparire a sé stessi nel Terzo, che era altrettanto esistente vivo ed eterno quanto il Tutto. Con questo però il circolo delle divinità era chiuso, e nemmeno ad essi sarebbe stato possibile produrre un’altra volta chi fosse completamente uguale a loro. Tuttavia, persistendo l’impulso alla produzione, essi creavano un Quarto, che però racchiudeva già in sé una contraddizione, dovendo essere, come essi, incondizionato, eppure insieme contenuto e delimitato da loro. Era questi Lucifero, al quale veniva trasferita d’ora in poi tutta la forza della creazione e dal quale doveva procedere ogni altra esistenza. Egli dimostrava subito la sua attività infinita creando tutti gli Angeli, tutti a sua immagine e somiglianza, incondizionati, ma contenuti e limitati da lui […]. Da questo concentrarsi (dopo la caduta di Lucifero) di tutta la creazione, perché essa era uscita da Lucifero e doveva anche seguirlo, sorse dunque tutto ciò che percepiamo sotto forma di materia, ciò che ci raffiguriamo come pesante, solido ed oscuro, e che invece, derivando sia pure non direttamente ma per filiazione dall’Essere divino, è altrettanto incondizionato, potente ed eterno quanto il padre e gli avi […]. Gli Elohim stettero a guardare per un certo tempo questa situazione, avendo la scelta tra attendere quegli eoni nei quali ci fosse di nuovo campo libero e rimanesse loro spazio per una nuova creazione, oppure intervenire nella presente e venire in aiuto al difetto con la loro infinitezza. Scelsero il secondo modo e con la

110

loro sola volontà supplirono in un momento a tutto l’eroe che portava in sé il successo dell’impresa di Lucifero. Diedero all’essere infinito la capacità di estendersi e muoversi verso di loro; così fu ricostruito il vero ritorno della vita e Lucifero stesso non poté sottrarsi a tale influsso. Questa è l’epoca in cui appare ciò che chiamiamo luce, ed in cui cominciò quel che siamo soliti indicare con la parola creazione150.

Sapendo che Goethe già pensava queste cose ai tempi in cui ha

scritto la prima parte del Faust, tutte le domande che ci siamo posti prima

hanno trovato risposta. Risulta ben chiaro che la concezione cosmologica

di Goethe assomiglia ad un credo perché è una delle componenti facenti

parte della sua personale fede religiosa, fabbricata, da sé stesso, dopo la

miracolosa guarigione operata dal dottor Metz.

Come spesso accade, rispondere ad alcune domande ne fa

sorgere subito delle altre. Ora che abbiamo inteso in maniera accettabile

la concezione cosmologica di Goethe, ci viene da chiederci: è vero che la

concezione cosmologica di Goethe faceva parte della sua particolare fede,

ma perché per noi è così importante conoscerla? Ci può aiutare ad avere

una nuova chiave di lettura utile a comprendere meglio il Faust?

Fortunatamente, anche in questo nostro ulteriore dubbio, l’articolo di Freschi ci illumina la via: “Nel Faust siffatta visione (cosmologica) si inseriva in una dimensione morale; la cosmologia si faceva etica,

dilatandosi in un’accezione particolarmente intensificata nei suoi emblemi,

150

J. W. Goethe, Dalla mia vita. Poesia e verità, A. Cori (a cura di), UTET, Torino 1966, pp. 482 ss.

111

mentre il demiurgo si trasformava in principe del male, in forza di

distruzione e di corruzione sia organica che spirituale”151

.

Da ciò si evince che è fondamentale conoscere la visione

cosmologica di Goethe in quanto egli la pone come base di tutte le sue

interpretazioni riguardanti i fatti del mondo: diventa una chiave

interpretativa, sia per le azioni materiali, che morali, che spirituali.

Freschi conclude, riprendendo il tema iniziale riguardante il

nichilismo, che il personaggio di Faust trascende i modelli culturali coevi,

assurgendosi a simbolo della convinta fiducia di Goethe nell’umanità: non è ancora detto che il nichilismo diventerà l’atteggiamento preponderante del futuro. Il protagonista della tragedia, non rappresenta, quindi, lo spirito

del suo tempo, bensì viene innalzato ad un modello antropologico, quasi

mitologico, per tutta la specie umana.

Concludendo l’analisi dell’interpretazione di Freschi, ci sentiamo di notare che sicuramente Goethe ha affidato alle pagine della sua tragedia

la sua concezione cosmologica, ma, se non si considerano le necessarie

integrazioni riportate dalla sua autobiografia, egli non si è particolarmente

preoccupato di rendere esplicita la sua teoria riguardo l’ordine e l’origine del mondo.

Siamo più propensi a considerare i passi riguardanti questo

specifico argomento come un assaggio per il lettore, mirato sì ad

esprimere una colonna portante del pensiero dell’autore, ma, anche, tesi

151

112

ad invogliarlo ad approfondire in separata sede quello specifico

argomento, e non come la dichiarazione di una “precisa concezione cosmologica”152

.

Se così fosse, si spiegherebbe anche come mai Goethe non torna

più sull’argomento nella seconda parte del libro. Sicuramente la sua concezione cosmologica è importante per poter comprendere dell’opera goethiana, ma non è di certo l’unica chiave di lettura.

Alla luce di quest’ultima considerazione possiamo dichiarare che sicuramente l’interpretazione di Freschi è illuminante riguardo la natura del

Faust, ma che, probabilmente, essa coglie solo una delle facce di quella

complicatissima figura tridimensionale che è la tragedia del poeta tedesco.

Dopotutto è risaputo che l’attività intellettuale di Goethe si è sempre sviluppata su due vie che spesso andavano ad incrociarsi: la poesia e la

scienza. Quindi, è naturale che si trovino reminiscenze letterarie nelle sue

opere scientifiche e viceversa: sarebbe riduttivo analizzare ogni opera di

questo autore, specialmente il Faust che lo occupò tutta la vita,

scordandosi la duplice natura del sistema di studi e di pensiero goethiani.

Dopo aver ascoltato una voce italiana nel mezzo di questo “coro” di interpreti del Faust, siamo pronti, tornando a seguire le indicazioni di

D’Angelo, ad affrontare l’ultimo autore della nostra rassegna: il contemporaneo Böhme.

152

113

Documenti correlati