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Capitolo 3. Chi nell’opera ha visto solo filosofemi

3.3. L’interpretazione di Watt

Come già anticipato nell’introduzione, abbiamo deciso di aggiungere l’interpretazione che Ian Watt dà in Miti dell’individualismo

moderno128, in quanto sembra utile allo scopo di fornire un quadro,

abbastanza esaustivo, delle interpretazioni filosofiche avute dal Faust di

Goethe. Questo lavoro casca a pennello visto che è stato pubblicato

proprio alla fine degli anni ’90 del ‘900, e, quindi, ci è utile come esempio di interpretazione recente dell’opera tedesca.

Anche in questo saggio troviamo il Faust in buona compagnia.

L’autore lo classifica, insieme a don Chisciotte, don Giovanni e Robinson Crusoe, come un mito dell’individualismo moderno129

.

Egli inizia l’introduzione dichiarando: “Continuo a vedere don Chisciotte, don Giovanni, Faust e Robinson come miti potenti, ricchi di una

risonanza particolare per la nostra società individualista”130

. Dopo aver

notato che sono tutti personaggi letterari nati in relazione alla

controriforma (i primi tre, concepiti nel periodo ad essa subito seguente,

128 I. Watt, Miti dell’individualismo moderno, Donzelli editore, Roma 1998. 129

Ormai non dovrebbero più sembrare strani gli accostamenti di Faust con altri personaggi letterari, quale ad esempio don Giovanni e don Chisciotte. Vedi supra sezioni 3.1. e 3.2.

130

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che va dal 1587 al 1630; l’ultimo, invece, può essere considerato come una conseguenza delle idee nate in seguito a quel particolare evento

religioso), egli spiega in che senso queste figure possono essere

considerate “miti”: “La definizione operativa di mito che propongo è dunque quella di ‘una storia tradizionale con una straordinaria e vastissima diffusione culturale, cui si attribuisce una verità quasi storica e

che incarna o simbolizza alcuni dei valori fondamentali della società’”131

.

Detto ciò si capisce come Watt veda in queste figure letterarie delle

specifiche attitudini individuali che sono diventati i pilastri comportamentali

della società moderna, sviluppatasi dopo la controriforma.

Il libro si sviluppa mostrando la genesi storica dei quattro

personaggi letterari; è dopo questa descrizione che ci appare subito chiara

l’idea che dà corpo al testo: tutti questi personaggi, al momento del concepimento, sono soggetti negativi da disprezzare che, alla fine,

vengono adeguatamente puniti per la loro vita immorale.

È stato il Romanticismo a donar loro quel carattere eroico con cui ci

sono pervenuti. Questo ripensamento è dovuto al fatto che le azioni di

questi non vengono più considerate peccaminose ma bensì audaci e in

linea con lo spirito del tempo, per maggiore chiarezza facciamo parlare

l’autore:

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Faust, don Chisciotte e don Giovanni sono tutti caratterizzati dall’impulso positivo e individualistico del Rinascimento, vogliono andare avanti sulla loro strada, senza curarsi degli altri. Ma si trovano in conflitto, ideologico e politico, con le forze della Controriforma e per questo sono puniti. I peccatori, si sa, sono sempre più interessanti dei santi. Robinson Crusoe può essere visto come il portavoce articolato delle nuove tendenze economiche, religiose e sociali successive alla Controriforma. Nel contesto dello sviluppo dell’individualismo il fatto che sia venuto molto dopo, nel 1719, rafforza la tesi generale di questo saggio. La totale trasformazione della percezione dei nostri quattro miti verificatasi in epoca romantica fornisce una doppia conferma. Con l’affermazione crescente dell’individualismo furono eliminati gli elementi punitivi contenuti nelle narrazioni controriformistiche e una visione più simbolica, anzi più trascendente, dei miti portò a modificare la percezione stessa dei personaggi. Nel XIX secolo la loro fama si diffuse in tutto il mondo occidentale raggiungendo uno

status universale e internazionale132.

Dopo questo chiarimento preliminare, andiamo ad analizzare nello

specifico come l’autore si relaziona al Faust di Goethe.

Dopo una lunga disquisizione sull’unità dell’opera goethiana (che non c’è) e dopo aver ammesso di non essere un grande fan di Goethe, Watt asserisce che, nonostante tutto, il Faust è la massima espressione

letteraria dell’individualismo moderno.

Ovviamente l’individualismo moderno ha varie sfaccettature e, come stile di vita, comporta decisioni difficili e rinunce spiacevoli. Secondo

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l’autore, Faust racchiude nel suo comportamento sia gli aspetti negativi che positivi dell’individualismo moderno.

La sua analisi inizia dagli aspetti negativi: subito ci viene fatto

notare come Faust non abbia alcun tipo di legami famigliari e ciò gli rende

più semplice seguire la sua inclinazione a non prendere fissa dimora in

nessun luogo né fisico né temporale. Questo lo rende un prototipo di

cosmopolitismo: è cittadino del mondo, non si lega ideologicamente a

nessuna nazione.

Un’altra caratteristica che completamente manca a Faust è l’interesse per la religione. Egli dà prova durante tutta l’opera di non preoccuparsi minimamente per il destino che subirà la sua anima una

volta compiuti i termini del contratto con Mefistofele. In questa prospettiva

riusciamo a capire meglio l’omaggio che gli angeli gli cantano mentre lo salvano: “Chi sempre faticò a cercare/ noi possiamo redimerlo”133

.

In questo “omaggio” non si fa nessuna menzione alla religiosità di Faust, egli è stato salvato non come ricompensa per la sua vita pia, bensì

per il suo continuo tentativo di ricerca della verità.

L’ultima caratteristica negativa del personaggio che ci viene illustrata è la natura del suo individualismo: anche se accetta l’accordo con Mefistofele con l’intenzione di provare tutte le esperienze umane possibili (cosa che non è riuscito a fare nella sua vita di studioso), egli in

realtà disprezza il resto dell’umanità.

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91

Pur mischiandosi con gli altri esseri umani, lui non solo non

dimostra mai un vero interesse per il bene di qualcuno in particolare, si

limita a pensare alla razza umana in forma astratta e non a qualche

persona nello specifico. Si può quasi asserire che la sua filantropia

dell’ultimo atto è una conseguenza indesiderata della sua continua ricerca di nuove esperienze.

Successivamente agli aspetti negativi, Watt ci mostra anche i lati

positivi dell’individualismo faustiano.

Questi, in realtà, sono facilmente sintetizzabili in uno: l’incredibile tenacia di Faust. Watt mostra come sia una dote positiva del personaggio

la sua capacità di mantenere le sue idee, continuando incessantemente la

sua ricerca, per tutta la durata del dramma, senza mai arrendersi o cadere

in ripensamenti. Questo modus operandi diventerà il mantra della società

romantica ottocentesca. L’unico modo di comportarsi valido è costringersi in uno stato di moto perpetuo, solo così è permesso vivere.

Per concludere la descrizione del pensiero di Watt sul Faust,

leggiamo la chiusa del capitolo che tratta il libro goethiano:

L’individualismo di Faust è una ricerca di azione, di esperienza incessante e attiva; sa che non c’è prospettiva finale di pace, e apparentemente accetta questa triste situazione. (…) Alla fine Faust viene accolto in paradiso in un’apoteosi trascendentale, in un’agitazione ancora tutta da esaminare. E non è forse questo il giudizio finale su tutto l’individualismo moderno? La nostra cultura non opera forse in base al principio: “Anche se il campo non è

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segnato e non c’è traguardo finale, continua a correre che alla fine vincerai qualcosa”. Ma che cosa?134.

Risulta chiaro come l’autore identifichi il comportamento di Faust con il comportamento individualista moderno. Nella sua interpretazione, lo

spirito ottocentesco ha modellato questo mito rinascimentale togliendoli

ogni alone negativo e, anzi, trasformandolo in un mito positivo. Di

conseguenza il modo di vivere faustiano è visto come la rappresentazione

perfetta della mentalità individualista, che ha assunto la sua forma

definitiva nel XIX secolo.

Dalla parte di testo che abbiamo riportato sopra, si deduce come

Watt non sia assolutamente d’accordo con quel tipo di mentalità. Traspare il suo disappunto nel vedere elevato a ideale più importante non un

principio morale, ma un principio di moto fine a sé stesso. Siamo sicuri

che, se interpellato sull’ipotetico confronto di interpretazioni che abbiamo affrontato nella sezione precedente, egli non dubiterebbe nemmeno un

secondo a schierarsi con la visione spengleriana.

Ora che siamo giunti alla fine di questo capitolo, possiamo tirare le

prime somme dei risultati a cui siamo pervenuti.

Per prima cosa si può notare come tutte le interpretazioni che

abbiamo toccato riguardino una lettura del comportamento di vita di Faust.

Tale comportamento è contraddistinto da una propensione al movimento

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ininterrotto e da una voglia indomabili di superare ogni limite imposto dalla

società, il tutto mirato ad ottenere la vera conoscenza del mondo.

Questo atteggiamento è stato visto da Kierkegaard come un

esempio di particolare stile di vita teso alla seduzione, mentre gli altri tre

filosofi sono arrivati ad identificare il comportamento faustiano come

descrittivo della società occidentale. Tra questi solo Watt –il più giovane tra loro– ha asserito che la società ha avuto un ulteriore cambiamento e che non è più descritta solamente da questo tipo di ideali.

Una seconda particolarità rilevante è il giudizio che questi pensatori

danno del comportamento di Faust, l’unico che vede nel suo modo di vivere un qualcosa di veramente positivo è Bloch: questo desiderio di

oltrepassamento del limite, anche se per strade tortuose, porta, in

conclusione, a dei risultati positivi per tutto il genere umano. Kierkegaard e

Watt vedono invece solo un comportamento deleterio per l’individuo (nella lettura del danese) e per la società (nella lettura di Watt).

Un discorso a parte merita la lettura Spengler. Egli asserisce come

tutta la civiltà occidentale moderna sia faustiana e come questa

caratterizzazione abbia contribuito al suo sviluppo. Aggiunge, però, che

ormai questo modo di essere ha esaurito le sue possibilità e che è

necessario un cambiamento per non far continuare il declino che, secondo

lui, l’Occidente sta avendo.

A parere nostro, è proprio quest’ultima lettura la più profonda e la filosoficamente più proficua, in quanto non solo fornisce una visione

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interdisciplinare della civiltà occidentale in relazione al Faust, ma anche

perché questa interpretazione dà origine a riflessioni dalle conseguenze

rilevanti. Tra quelle trattate nella sezione 3.2, vogliamo riattirare

l’attenzione su una in particolare: è nella società faustiana che si acuisce ai massimi termini un comportamento altamente deleterio per il vivere

comune, l’indifferenza verso il prossimo.

Questo atteggiamento, inconcepibile prima del secolo XIX,

scaturisce dal disinteresse che ogni individuo prova per le conseguenze,

verso altri, delle sue azioni.

Tra le varie implicazioni che ha questo trend comportamentale va

considerata la più grave, a parere nostro, la mancanza di un

atteggiamento fondamentale per la sopravvivenza della società, così

come è stata concepita ai suoi primordi: la mancanza di solidarietà.

Il culto, tipicamente faustiano, della propria personalità a discapito

di tutto e tutti comporta, anche, un progressivo ignorare i bisogni di tutti gli

altri esseri viventi, non identificabili o collegabili con sé stessi.

A questo riguardo ci tornano alle mente le parole di Faust riguardo

a Filemone e Bauci, la coppia di anziani vecchietti che occupavano un

piccolo appezzamento dello sconfinato terreno di proprietà del

protagonista:

Faust: È proprio questo che mi affligge. A te, al molto esperto, debbo dirlo,

95 mi dà ogni volta una fitta al cuore, mi è impossibile da sopportare! Eppure a dirlo mi vergogno.

Quei due vecchi dovrebbero andar via, i tigli li vorrei per me,

quei pochi alberi non miei

mi rovinano il possesso del mondo. Lassù vorrei, per spaziare lontano, alzare palchi di ramo in ramo, aprire alla mia vista l’orizzonte,

per contemplare tutto ciò che ho fatto, per abbracciare con un solo sguardo questo capolavoro dello spirito umano, che ha aperto con lavoro intelligente nuove vaste dimore per la gente. È questo il più duro dei tormenti, nella ricchezza sentire ciò che manca. Quel suono di campana, quel profumo di tigli mi avvolge come in chiesa e al cimitero. L’arbitrio dell’uomo onnipotente

si spezza qui, su questa sabbia. Come levarmelo di testa!

Lo squillo suona, e vado in bestia135.

Ecco un esempio lampante di come l’egoismo di Faust non si fermi davanti a niente. Pur di crogiolarsi dei suoi successi personali, non è

disposto a tollerare una minuscola casa in una zona remota dei suoi

territori. Purtroppo questo sue disturbo costerà la vita della povera coppia

di anziani.

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Questo particolare episodio assume una rilevanza ancora maggiore

se si osserva che la coppia viene dipinta come un’allegoria degli ideali del mondo antico. Riprendendo i nomi da due dei personaggi delle

Metamorfosi136 di Ovidio, essi ci vengono presentati come due persone che conducono una vita rurale e ritirata, sempre pronti ad offrire un piatto

di minestra, e un tetto per la notte ai viandanti in difficoltà che bussano alla

loro porta. Tra gli ideali di questo mondo antico che sta andando

scomparendo vi è sicuramente la solidarietà verso chi è in difficoltà.

Faust, facendo cacciare l’anziana coppia dai suoi territori, non ha solo causato due morti ingiuste, ha anche contribuito a seppellire l’antico, per fare spazio alla egoistica modernità. Poco importa che egli non sia

d’accordo con i metodi con cui Mefistofele esegue i suoi ordini, già il pensiero di voler cacciare due persone da casa propria, solo per il proprio

gusto personale, è un’azione talmente esecrabile da non ammettere giustificazioni.

Non siamo i primi a notare e stigmatizzare questa particolare

carenza, tra i molti che prima di noi hanno trattato questo argomento

vogliamo menzionare Stefano Rodotà.

136 Cfr. Ovidio, Metamorfosi, Rizzoli, Milano 2014. Filemone e Bauci appaiono nell’ottavo

libro di questo poema. Zeus ed Ermes vagano per la regione della Frigia, nascondendosi sotto forma umana, chiedendo assistenza a tutte le case della regione. Nessuno gli offre assistenza tranne l’anziana coppia. Quando i due dei decidono di vendicarsi dell’intera regione radendola al suolo, risparmiano solo i due vecchietti e chiedono loro cosa desiderano come ricompensa. Essi esprimono solo la richiesta di poter diventare sacerdoti di Zeus e di poter morire uniti, così come hanno vissuto. Quando furono prossimi alla morte, Zeus li trasformò in una quercia e un tiglio uniti per il tronco, e quell’albero, che si trovava davanti al tempio, fu venerato per molti anni.

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Egli arriva a dedicare uno dei suoi ultimi lavori saggistici,

Solidarietà137, proprio alla crisi che questo principio sta avendo nella nostra epoca. Le prime pagine di questo saggio sono molto utili per

mostrare come egli imposta la questione:

Parole che sembravano perdute tornano nel discorso pubblico, e gli imprimono nuova forza. «Solidarietà» è tra queste e, pur immersa nel presente, non è immemore del passato e impone di contemplare il futuro.

Era divenuta parola proscritta. Di essa, infatti, ci si voleva liberare o se ne cancellava ogni senso positivo, capovolgendola nel suo opposto. Non più tratto che lega benevolmente le persone, ma delitto: delitto, appunto, di solidarietà, quando i comportamenti di accettazione dell’altro, dell’immigrato irregolare ad esempio, vengono considerati illegittimi e si prevedono addirittura sanzioni penali per chi vuole garantirgli diritti fondamentali, come la salute o l’istruzione. Il fatto che oggi quella parola si pronunci con intensità, dunque, non può velare le continue rotture della solidarietà, non scioglie le ambiguità che possono accompagnarla, e l’hanno accompagnata, quando la solidarietà viene invocata per chiudersi in cerchie ristrette […]. Ma la ragione che consente di andare oltre queste ostilità risiede nel suo essere un principio volto proprio a scardinare barriere, a congiungere, a esigere quasi il ricongiungimento reciproco, e così a permettere la costruzione di legami sociali nella dimensione propria dell’universalismo. […] Nei tempi difficili è la forza delle cose a far avvertire come un bisogno ineliminabile il riferimento a principi che consentano di sottrarsi alla contingenza e alla nuda logica del potere, riscoprendo una radice

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profonda della solidarietà «come segnale di non aggressione tra gli uomini»138.

Dopo questo bell’inizio, in cui vengono problematizzate subito le conseguenze della crisi del principio di solidarietà, egli prosegue

effettuando una lucida analisi della società moderna individuando la

matrice economica come chiave di ogni decisione politico-sociale.

Concentrandosi soprattutto sulle questioni politico-legislative, egli propone

di ritirare in ballo la solidarietà come “principio primo” dello stato, sostituendolo al mero interesse economico.

Uno dei risultati della sua analisi è evidenziare come quando nella

società viene meno l’attenzione al benessere del prossimo, si inizia a incrinare la “salute” della democrazia.

Questo è un esempio delle acute conclusioni che si possono trarre

dalle conseguenze scaturenti dall’interpretazione spengleriana della civiltà occidentale come faustiana. Come abbiamo potuto notare, è

fondamentale affrontare la crisi della nostra civiltà anche in questi termini,

se non si vuole lasciare inconsiderato un aspetto assolutamente

determinante della problematica, per la solita mancanza di sensibilità, che

ha come conseguenza una mera riduzione del problema in termini

economici.

Un ulteriore vantaggio di questo metodo analitico è che esso ci offre

soluzioni efficaci rispolverando vecchi concetti, come ad esempio

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solidarietà e fratellanza, che sono sempre una buona base di partenza nei

periodi di crisi, rivoluzione francese docet. Su queste basi, secondo chi

scrive, sarà più facile per gli economisti trovare nuovi modelli economici

che risolvano il rimanente lato materiale della questione.

Finita questa digressione, eccoci arrivati alla fine del primo gruppo

di autori che volevamo trattare: quelli che nel Faust hanno visto solo un

libro con dei filosofemi. Ci siamo soffermati in maniera abbastanza ampia

su questi autori, in quanto, come già detto nel capitolo precedente, sono i

pensatori che hanno utilizzato l’approccio all’opera più affine alle idee di chi scrive.

Arrivati a questo punto, sembra comunque interessante osservare

anche alcuni filosofi che hanno visto nel Faust una vera e propria opera

filosofica. Questo verrà fatto sia per capire come questi hanno giustificato

la loro visione del dramma teatrale goethiano, sia, dopo aver esaurito la

nostra analisi, per poter paragonare i due differenti approcci, e vedere

quali spunti di riflessione possono offrire allo studioso contemporaneo.

Ora che abbiamo il nostro obbiettivo, non ci resta che metterci in

cammino per andare alla scoperta di alcuni dei pensatori che nel Faust

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Capitolo 4. Chi nel Faust ha visto una vera e propria opera

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