Capitolo 3. Chi nell’opera ha visto solo filosofemi
3.2. L’interpretazione di Spengler e Bloch
Oswald Spengler è l’autore del famoso libro Il tramonto
dell’Occidente103, di cui il primo volume uscì l’anno della fine della Grande
guerra, a Vienna. Vediamo subito come D’Angelo parla, nel suo articolo
Tre letture filosofiche del Faust di Goethe, dell’opera sopracitata:
[Splengler] individua nel personaggio Faust uno dei simboli in cui riassume la contrapposizione tra le grandi civiltà della storia. Spengler distingue infatti tra un’anima apollinea, un’anima
faustiana e un’anima magica. La prima è quella che ha dato vita
alla civiltà greco-romana, la terza è quella caratteristica della civiltà araba, mentre faustiana è per Spengler la civiltà occidentale moderna104.
Si può osservare come il filosofo tedesco, in un discorso che
intende ripercorrere e analizzare la morfologia della storia mondiale,
individua le suddette tre anime che hanno contraddistinto le tre civiltà di
maggiore importanza storica.
Per farci intendere la differenza tra l’anima apollinea e quella
faustiana, vengono presentati al lettore una serie di esempi attinti da
svariati campi delle discipline umane, tra le quali: la fisica, l’arte, la
103
Cfr. O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente, tr. it. di Julius Evola, Longanesi, Milano 1981.
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scultura e la metafisica. Aspetto che non guasta mai, il passo che andiamo
a riportare è, a detta di chi scrive, di una rara incisività:
Chiamerò ormai apollinea l’anima della civiltà antica, che scelse come tipo ideale dell’esteso i singoli corpi sensibili e presenti. Dopo Nietzsche, una tale espressione è comprensibile a ognuno. A essa oppongo l’anima faustiana, il cui simbolo primordiale è lo spazio pure e illimitato e il cui “corpo” è la civiltà occidentale, nata insieme allo stile romanico del decimo secolo nelle pianure nordiche fra l’Elba e il Tago. È apollinea la statua dell’uomo nudo, faustiana l’arte della fuga: sono apollinei la meccanica statica, i culti concreti degli dei olimpici, il regime politico delle singole città greche nella loro isolatezza, il destino di Edipo e il simbolo fallico; sono faustiani la dinamica di Galilei, il dogma cattolico-protestante, le grandi dinastie del periodo barocco con la loro politica di gabinetto, il destino di Lear e l’ideale della Madonna dalla Beatrice di Dante fino all’epilogo del secondo Faust. È apollinea la pittura ove singoli corpi sono definiti da linee, è faustiana quella che crea spazi attraverso un gioco di ombre e di luci: così distinguendosi gli affreschi di Polignoto dai quadri ad olio di Rembrandt. È apollinea l’esistenza del Greco che chiama soma il suo Io, al quale manca l’idea di uno sviluppo epperò di una storia vera, interna o esterna: è faustiana l’esistenza vissuta con una profonda consapevolezza presso ad un Io che osserva sé stesso, la cultura decisamente personale propria delle memorie, alle riflessioni, alle considerazioni sul passato e sull’avvenire, alla coscienza morale105.
Vediamo invece come spenda molte meno parole sul terzo
componente della sua tripartizione, l’anima magica:
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E più lontano, mediatrice fra le due civiltà in reinterpretazione e trasmissione di forme prese dall’antico, appare l’anima
magica della civiltà araba, destatasi ai tempi di Augusto nel
paesaggio compreso fra il Tigri e il Nilo, fra il mar Nero e l’Arabia meridionale, con la sua algebra, la sua astrologia e la sua alchimia, coi suoi mosaici e i suoi arabeschi, i suoi califfati e le sue moschee, coi sacramenti e coi libri sacri della religione persiana, ebraica, cristiana, della bassa antichità e manichea106.
Da questi due passi si possono trarre delle interessanti conclusioni
sulle idee spengleriane. Per prima cosa capiamo subito come mai l’anima
magica occupa molto meno spazio nei ragionamenti del libro: essa ha solo
una funzione mediatrice tra le altre due anime. Sono loro il vero motore
della storia occidentale.
È evidente dal modo in cui le due vengono descritte, che tutta la
storia moderna si sviluppa grazie a una continua dialettica tra questi due
“spiriti”. Per inciso, non è un caso che la terza sia collocata, nelle sue manifestazioni, geograficamente ai confini del mondo occidentale (il
confine a ovest è l’Arabia meridionale), territorio di cui si vuole raccontare il declino. Detto ciò, conviene concentrarsi nel confronto tra le prime due.
In ultima analisi è uno il fattore discriminante tra le due: lo spazio.
Ma non lo spazio fisico, bensì quello spirituale. L’anima faustiana è contraddistinta da una profonda consapevolezza del proprio spazio
interiore. Vi è una propensione a coltivare la propria spiritualità. Questo
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atteggiamento è completamente assente nelle civiltà pervase dall’anima apollinea107.
Tale presa di coscienza si ripercuote anche sull’architettura da essa prodotta. Le costruzioni che nascono sotto l’influsso dell’anima faustiana esprimono la sua esperienza della profondità. Sempre usando le parole di
Spengler:
Per via di questo sentimento del mondo l’anima faustiana doveva venire fin dai primordi a soluzioni architettoniche di strutture il cui peso è raccolto nella volta spaziale di grandiose cattedrali che ascende dal portale fino alla grandezza del coro. In ciò si espresse la sua esperienza della profondità. A differenza dello spazio di
espressione magica caveiforme qui si aggiunge l’impulso
ascendente dell’insieme verso il lontano108.
Oltre che nell’architettura, questa cura del proprio Io, si riflette anche su un altro atteggiamento dell’uomo faustiano: essendo consapevoli della propria interiorità, non si ha più bisogno del
riconoscimento degli altri per poter definire il proprio Io, quindi vi è una
tendenza, sempre più accentuata, alla vita solitaria a discapito della
pubblica.
107
Per approfondire il rapporto anima/corpo nella civiltà greca (civiltà apollinea per eccellenza), Cfr. M. Vegetti, “Anima e corpo”, in Introduzione alle culture antiche. Vol. 2. Il sapere degli antichi, Bollati Boringhieri, Torino 1992, pp. 201-228.
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Per spiegare meglio questo discorso ci avvaliamo della descrizione
di Florence Dupont della mentalità di un cittadino di una civiltà apollinea,
nello specifico, un romano dell’età repubblicana:
Il concetto di cittadinanza sottende nel Romano a una struttura psicologica che non considera l’uomo giudice di sé stesso. Ne consegue che l’uomo romano non è capace di riconoscersi da solo, ma ha bisogno dello sguardo degli altri. Roma ignora l’interiorità psicologica e l’esame di coscienza; l’uomo romano non è che esteriorità, e non possiede altro specchio che i suoi simili per vedersi nell’onore… o nell’indegnità. (…) L’uomo romano cerca negli altri il senso della sua esistenza e la valutazione di sé109.
Dopo aver letto questo primo approccio, confrontiamolo con un
discorso tenuto da Faust nella scena Fuori porta. Prima di riportare i versi,
contestualizziamo la situazione. In un giorno festivo, Faust e il suo
aiutante Wagner camminano lungo un viale affollato. Molti popolani si
fermano a congratularsi con il medico, ringraziandolo dei servigi che lui e il
padre hanno reso loro in passato. Ogni ringraziamento è accompagnato
da una manifestazione di rispetto e stima. Quando Wagner chiede a Faust
cosa prova nel sentire queste lodi, ecco cosa gli viene risposto:
Faust: Ancora pochi passi, su fino a quella roccia. Qui ci riposeremo della nostra passeggiata.
109
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Qui mi sedevo spesso, solo nei miei pensieri, a tormentarmi pregando e digiunando. Ricco in speranze, saldo nella mia fede, piangendo, sospirando, torcendomi le mani pensavo di strappare al signore del cielo la fine della peste. Adesso il plauso di questa folla mi risuona scherno. Se tu potessi leggermi nell’animo Quanto poco il padre e il figlio Furono degni di questa fama! (…)
Ecco la medicina: i pazienti morivano, e nessuno chiedeva chi guarisse. Insomma, noi con pozioni infernali funestammo questi monti e queste valli assai più della peste. Io stesso quel veleno l’ho dato a migliaia di persone.
Loro si consumavano e io debbo sentire Gli sfrontati assassini che vengono lodati. 110
Da questo confronto risulta esplicita la differenza di mentalità tra le
due epoche. Nella prima citazione emerge l’importanza che i romani davano al parere altrui per definire la propria personalità, mentre nella
seconda, si nota come il giudizio del prossimo sia ormai ininfluente a
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questo scopo. Non basta più essere rispettati a livello sociale per sentirsi
bene con sé stessi, c’è bisogno anche della convinzione interiore di stare vivendo bene.
Ma per Faust cosa significa vivere bene? A cosa ha sostituito la
considerazione che gli antichi avevano per il giudizio popolare? Un verso,
da lui pronunciato, è illuminante a tal riguardo. “L’azione è tutto, la gloria è niente”111
.
È il rovescio della medaglia che mette in luce i problemi di questo
nuovo metodo di giudizio di sé stessi. Come è vero che non è sufficiente il
rispetto sociale per farci sentire bene, è vero pure che non basta il biasimo
altrui per farci sentire nel torto. Si può compiere qualsiasi tipo di
ragionamento o azione, a patto che si riesca a motivarla a sé stessi.
Questa nuova prospettiva ha delle implicazioni importanti in vari
ambiti, dalla vita politica, alla letteratura a svariati altri. Una prima
implicazione viene messa in evidenza da D’Angelo: non vi sono più limiti, né mentali né fisici, da rispettare ad ogni costo. Vediamo come questo si
ripercuota sulla concezione dello spazio geografico:
Insomma, la civiltà occidentale moderna è faustiana perché è inquieta, in perenne ricerca di progresso, di espansione, di dominio sulla natura. Il suo campo d’azione è virtualmente infinito, laddove l’anima apollinea cerca sempre il contorno che racchiude, determina, pone un confine. Faustiana è allora quella civiltà che non riconosce termine al proprio sviluppo, che porta inciso fin dal
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suo sorgere l’imperativo di andare più in là. Non per nulla è la civiltà delle esplorazioni geografiche (e poi spaziali), dello sviluppo senza limiti, dello sfruttamento intensivo della terra112.
Questo particolare atteggiamento viene stigmatizzato dagli
esponenti del pensiero ecologico. Essi pensano che sia questo
comportamento una delle principali cause della crisi ambientale che
stiamo vivendo e su cui loro provano a sensibilizzarci, criticando il
moderno sistema industriale. In effetti, il progetto che Faust intraprende
nel quinto atto del secondo libro, asciugare il mare, non è proprio per
niente un bell’esempio di rispetto per l’ambiente!113
.
Noi vorremmo far notare anche un’altra conseguenza che deriva dal sistema di pensiero della civiltà faustiana: il cambiamento radicale
della concezione del male. Si perde la definizione negativa del malvagio.
Se prima il male era visto soprattutto come un’assenza di bene, ora assume una sua consistenza ontologica114. Non c’è più un ente superiore che impone i precetti da rispettare nella vita, adesso ogni soggetto si può
autoregolare, decidendo anche di non seguire una condotta di vita
finalizzata a perseguire il bene.
112 P. D’Angelo, Tre letture filosofiche del Faust, cit., p. 98. 113
Cfr. per esempio D. Guastino, Per una filosofia ecologica, in D. Guastino, R. della Seta, Dizionario del pensiero ecologico, Carocci, Roma 2007.
114
Per una ricapitolazione delle diverse concezioni del male nella storia del pensiero, si guardi: A. Fabris, Il peccato originale come problema filosofico, Morcelliana, Brescia 2014.
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Volendo esagerare, qui si possono intravedere già i primi
avvertimenti di quella morte di Dio che Nietzsche farà annunciare al
mondo dal suo Zarathustra115.
Tale “vuoto di potere” fa sì che aumenti sempre più la tendenza all’egoismo. Questo atteggiamento, portato ai termini estremi, può condurre ad un totale disinteresse verso il bene del prossimo. Oseremmo
aggiungere che, così facendo, si inizia un’operazione di relativizzazione del bene e del male che ha come risultato la perdita di assolutezza di
questi due concetti.
In altri termini, non esistono più il bene e il male in senso assoluto,
esistono solo in relazione al giudizio che ne dà il soggetto che li compie.
Come Platone ci insegna nel suo famoso dialogo Repubblica116, l’idea del bene è l’idea più importante tra tutte ed è il pilastro su cui si può basare il sistema di valore di tutte le idee. Vien da sé che se questa idea non è più
assoluta, tutto l’edificio crolla, e noi, poveri umani, ci ritroviamo con un
Iperuranio svuotato di contenuto.
Paradossalmente Goethe, studioso e sostenitore della filosofia
platonica, ha creato un personaggio antiplatonico!
Arrivati alla fine della nostra analisi sull’interpretazione che Spengler ci ha dato della figura di Faust, ci sembra necessario fare un
breve riepilogo dei punti che sono stati messi in luce dal nostro lavoro
115
Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Mondadori, Milano 2010.
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perché, come tra poco avremo modo di scoprire, ci torneranno utili nel
proseguo del testo.
Spengler dichiara che l’anima della civiltà occidentale è Faustiana. Egli usa questo nome in quanto asserisce che lo spirito di quest’ultima è perfettamente impersonato dal personaggio letterario creato dalla penna
di Goethe. Tuttavia, lui non considera tutte le peculiarità del dottore in
relazione alla civiltà occidentale.
Tra le caratteristiche di questa figura, quelle che si riflettono nella
società sono: in primis, la consapevolezza del proprio spazio interiore (non
a caso nella la civiltà faustiana ha potuto nascere e crescere la
psicoanalisi) con tutte le conseguenze che abbiamo descritto sopra; in
secondo luogo abbiamo l’intenzione, sempre presente sia in Faust che nella civiltà occidentale, di oltrepassare ogni qualsiasi tipo di limite
imposto, sia dalla natura che dall’uomo. Anche di questa seconda caratteristica abbiamo evidenziato le implicazioni che ne sono scaturite e
di cui, purtroppo, ancora oggi paghiamo lo scotto.
Già dal titolo del libro, sembra più evidente che Spengler pensasse
che ormai la civiltà occidentale fosse arrivata al capolinea. Egli asserisce
che essa è già entrata in una fase di decadenza dalla quale difficilmente
potrà uscire.
Facendosi portavoce di questa convinzione pessimista, Spengler si
va a inserire in una lunga tradizione di pensatori di cui Francis Fukuyama
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saggio La fine della storia e l'ultimo uomo117, ha provato a mettere categoricamente la parola fine alla storia.
È a questo punto che entra in scena il secondo protagonista di
questa sezione: Ernst Bloch. Anche lui, come il primo si concentra su una
particolar caratteristica di Faust: il suo continuo spingersi oltre ogni
limite118.
La monumentale opera in cui Bloch inserisce le sue considerazioni
su Faust è Il principio di speranza119. Questo testo, che supera
ampiamente le mille pagine, tratta, utilizzando gli strumenti della critica di
stampo marxista e quelli della psicoanalisi, molti aspetti della produzione
storica dell’umanità. Così facendo, mette in evidenza come tutti, chi più chi meno, siano stati mossi da un principio di speranza il quale viene
considerato proprio come un aspetto reale dello sviluppo concreto
dell’essere.
Leggendo quest’opera saltiamo dalle “Undici tesi di Marx su Feuerbach” al Ku Klux Klan a varie teorie psicanaliste, fino ad arrivare ad una delle sezioni del terzo volume in cui incontriamo proprio il nostro
dottore tedesco, essa titola: Figure-guida dell’oltrepassamento del limite;
Faust e la scommessa sull’attimo adempiuto.
La prima cosa che notiamo è il titolo che viene assegnato a Faust:
figura dell’oltrepassamento del limite. Un’altra cosa ci salta subito
117
Cfr. F. Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo, BUR, Milano 2003.
118
È per questa somiglianza che abbiamo deciso di inserire Spengler e Bloch nella stessa sezione, come vedremo meglio più avanti.
119
Cfr. E. Bloch, Il principio di speranza. Scritto negli USA fra il 1938 e il 1947 riveduto nel 1953 e nel 1959, Garzanti, Milano 1994.
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all’occhio, il plurale del sostantivo figura: già da questo capiamo che il Faust è inserito in una categoria di cui non è l’unico membro. Per prima cosa cerchiamo di inquadrare in che classe, e in compagnia di chi, Bloch
inserisce Faust. Partiamo da un passo tratto dal Principio di speranza:
C’è però la paura di non esserci. In essa, il tarlo che anche quel che ti succede non vada bene. Ciò si può esprimere come arrivismo, ma anche come forza che si fa posto. Con un salto si innalza dall’uniformità, che non è neanche facile da conservare. Comincia tutto un altro colore, non disperso, colorato del proprio desiderio, e sboccia. Cose del genere sono state dette già dell’alberello che voleva foglie diverse. Non gli andò bene. Le foglie non erano mai quelle giuste. Si tratterebbe del verdeggiare giusto, finalmente.
In ciò rientra la forza di portarsi all’aperto. Ciò non è così semplice nella vita, ma sulla paziente pagina gli uomini, quali oggetti di racconto, sono più facilmente impazienti
(…) L’alberello che voleva foglie diverse è frequente tra gli uomini, ma solo pochi reggono in vita con tale insoddisfazione. Cose del genere appaiono, per lo più, più che inventate, proiettate su una luce in una luce multicolore. Però in modo da uscire assai facilmente, in ardito oltrepassamento, dal libro al lettore, e sempre senza conclusione addomesticata. Hanno qui il loro posto coloro che cercano di godersi la vita, di viverla fino in fondo; che cercano nel senso del semplice sedurre ma soprattutto della sortita, del nonostante, contro il perché dell’abituale, che condiziona solo perché abituale. Figure di tale specie viaggiano, restano fedeli all’inquietudine finché non si trova quel che potrebbe acquietarla.
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E poiché proprio questo non c’è, tali uomini indomiti non tornano indietro120.
Da questo passo si può dedurre in che categoria Bloch inserisce
Faust: egli è una delle figure letterarie, nelle cui pazienti pagine gli uomini
si possono sbizzarrire sognando avventure straordinarie, che vivono una
vita tesa sempre a superare dei determinati limiti. Le sponde che tali
soggetti cercano continuamente di valicare sono i canoni di vita imposti
dalla società borghese capitalista121.
Continuando nella lettura del testo di Bloch scopriamo che i
“compagni di classe” che il filosofo tedesco assegna a Faust sono: Don Giovanni122 e Don Chisciotte.
Andiamo direttamente alle sue considerazioni sul primo:
L’impulso all’ora e al qui non è mai limitato al proprio luogo interiore. Lì viene solo sentito per primo e anche risolto, ma solo in modo che proprio ogni esteriorità venga davvero raccolta e organizzata in tale prossimità. Ciò unifica le figure dell’irrequietezza non appena esse si fanno e ottengono spazio intorno a sé. Nel cammino verso il pieno esse sperimentano il mondo, scompigliando le donne e tutte le altre cose, alla ricerca di ciò che plachi il loro anelito. Nella maniera più visibile fa questo la figura maestra dell’irrequietezza, che ora appare all’altezza e al
120
E. Bloch, Il principio di speranza, cit., pp. 1160-1161.
121 Questi ideali sono riassumibili nell’insegnamento che spinge a condurre una vita
all’insegna dell’arricchimento personale, rispettando la propria famiglia, e non infrangendo mai i canoni sociali vigenti.
122
Impossibile non notare gli echi kierkegaardiani di questa associazione. Si veda supra sezione 3.1.
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centro di tutte le altre: il dottor Faust, ovvero l’incondizionatezza al tempo stesso intensiva ed estensiva. Egli è l’oltrepassatore del limite per eccellenza, però, quando lo ha oltrepassato, sempre arricchito di esperienza e infine salvato nel suo tendere. Così egli rappresenta il supremo esempio dell’uomo utopico, il suo nome resta il migliore e il più istruttivo123.
Si nota come Faust venga posto come figura per eccellenza
dell’oltrepassamento del limite. Tra i tre, viene scelto proprio lui per una particolare caratteristica assente negli altri personaggi. Egli è l’unico che cambia il suo Io interiore a seguito di ogni esperienza vissuta. In questo
personaggio non è riscontrabile la perfetta coerenza di comportamenti e di
“situazioni”, che invece contraddistinguono il comportamento dei due personaggi spagnoli124.
Si nota inoltre che non solo le situazioni in cui si trova Faust
differiscono molto l’una dall’altra, esse seguono anche un preciso