4 I RIMEDI AI COMPORTAMENTI INADEMPIENTI DEGL
4.4 Gli interventi dalla Corte di Cassazione
L’avvio alla risoluzione del dibattito sulla nullità e l’annullabilità del contratto nel caso in cui l’intermediario non avesse comunicato al suo cliente la situazione conflittuale in cui versava si è avuto con la già nota sentenza della Corte di Cassazione 29 settembre 2005 n. 19024, concernente l’acquisto e la vendita di valuta estera, da parte della banca in conflitto di interessi, in assenza di consenso scritto da parte del cliente (situazione in cui, per la legge di allora, l’intermediario si sarebbe dovuto astenere dall’operare).
La Corte, in questa situazione, non reputava che la violazione degli obblighi informativi di cui all’art. 6 l. 1/91 potesse comportare la nullità del contratto, a meno che questa sanzione non fosse espressamente prevista dalla legge. Questo perché innanzitutto gli obblighi presenti nell’articolo riguardavano l’ambito antecedente alla stipula del contratto, ossia quello in cui si compivano le valutazioni sulla convenienza (per cui
nell’operazione, e il cliente no abbia preventivamente acconsentito per iscritto all’effettuazione dell’operazione.
22 DE IULIIS C. M., Nullità «relativa» del contratto-quadro e conflitto d’interessi (Nota a
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non rispettarli non dava luogo a mancanza del consenso), ma soprattutto perché la legittimità o meno della condotta nel corso delle trattative o nella fase attuativa non può mai fungere da postulato alla nullità, disciplina che invece si applica in caso di violazione delle norme imperative che attengono alla struttura o al contenuto del contratto, in altre parole che attengono a elementi caratterizzanti la fattispecie negoziale.
La forma scritta richiesta nella lettera g) dell’art. 623, dunque, non
poteva in alcun modo essere affiancata alla forma scritta richiesta alla lett. c) per i contratti destinati a regolare i rapporti tra le parti, perché la violazione di quest’ultima comportava la nullità del contratto quadro e di tutte quelle operazioni poste in essere per dirimere le singole operazioni, mentre la prima poteva al massimo condurre all’annullamento.
Da queste considerazioni, dopo due anni la Corte di Cassazione, riunita in Sezioni Unite, attraverso le sentenze n. 26724 e n. 26725 del 19 dicembre 2007 ha ritenuto opportuno fornire alcune precisazioni sulla materia.
Proseguendo l’analisi dell’art. 6 l. 1/91 (contente principi che sono stati sostanzialmente riproposti dalle norme che l’hanno sostituita, prima il d. lgs 23 luglio 1996, n. 415 e poi il d lgs 24 febbraio 1998, n. 58) i giudici hanno sottolineato la distinzione tra i doveri d’informazione che attengono la fase prenegoziale e quelli che invece sussistono anche dopo la stipula del contratto, ossia gli obblighi legati alla corretta esecuzione del contratto; a differenza di quanto precedentemente osservato, la Corte ha ricompreso nella seconda categoria il dovere di comunicare al cliente le informazioni utili per acquisire consapevolezza delle operazioni in atto, nonché il dovere di informare dell’esistenza di un conflitto di interessi come condizioni per poter eseguire l’operazione, poiché sono obblighi a cui l’intermediario deve sottostare durante tutta la fase esecutiva del
23 Lett. c) l. 1/91: [gli intermediari] devono stabilire i rapporti con il cliente stipulando un
contratto scritto nel quale siano indicati la natura dei servizi forniti, le modalità di svolgimento dei servizi stessi e l’entità e i criteri di calcolo della loro remunerazione, nonché le altre condizioni particolari convenute con il cliente; copia del contratto deve essere consegnata contestualmente al cliente.
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contratto, ogni volta in cui la situazione si presenta, e non soltanto al momento delle trattative.
Fatta questa premessa, la sentenza n. 26724 è tornata a discutere dell’imperatività delle norme e del loro rapporto con le norme di comportamento affermando che quanto citato nell’articolo 6 non può che avere carattere imperativo poiché in esso sono presenti disposizioni non solo per la tutela del singolo, ma anche per l’integrità dei mercati finanziari (come ora è stato esplicitato dall’art. 21 TUF). Tuttavia, dal momento che il rimedio della nullità non è preso in considerazione dal legislatore e che anche se si volesse ricondurre questi obblighi alla fase prenegoziale, certo essi da soli non basterebbero a far mancare il consenso al punto da dichiarare il contratto nullo (ma tuttalpiù annullabile), questa affermazione non può bastare per dimostrare che la violazione degli obblighi comportamentali provochi la nullità del contratto.
Inoltre, convenendo che le norme di comportamento siano cosa ben distinta dalle norme di validità del contratto, seppure la violazione delle prima possa avere gravi conseguenze sui contratti e comportare la responsabilità (contrattuale o precontrattuale), la violazione di questi principi non può provocare la nullità del contratto perché «troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisito di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite»24.
A conclusione delle motivazioni, la Corte ha precisato che nello specifico settore del diritto dei mercati finanziari non sono presenti norme che potrebbero far supporre diversamente, nemmeno a seguito del recepimento, da parte del legislatore, della Direttiva MiFID che, è importante sottolineare, elimina l’obbligo di astensione all’operare in conflitto per l’intermediario, lasciando tuttavia l’obbligo di dare
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comunicazione se le misure adottate non risultano sufficienti ad evitare il danno al cliente.
Queste considerazioni hanno portato i giudici a sentenziare che «la violazione dei doveri dell’intermediario riguardanti (…) la fase successiva alla stipulazione del contratto di intermediazione può assumere i connotati di un vero e proprio inadempimento (o non esatto adempimento) contrattuale: giacché quei doveri, pur essendo di fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti, ne consegue che l’eventuale loro violazione, oltre che a generare eventuali obblighi risarcitori in forza dei principi generali sull’adempimento contrattuale, può, ove ricorrano gli estremi di gravità postulati dall’art. 1455 c.c., condurre anche alla risoluzione del contratto d’intermediazione finanziaria in corso. (…) In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può però determinare la nullità del contratto d'intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell'art. 1418, comma 1, c.c.»25.
Detto con altre parole, ossia quelle del Tribunale di Lodi 12 gennaio 2007, questa dottrina «non condivide l’estensione dell’area della nullità al di fuori delle ipotesi in cui tale sanzione è espressamente prevista dal legislatore, [ed inoltre] non ritiene lecito il ricorso indiscriminato alla sanzione della nullità, che costituisce il più severo rimedio civilistico, nei casi di violazione di norme comportamentali generali (di diligenza, correttezza, trasparenza, indipendenza, equità,..) che, in quanto prive di specificità, non risultano idonee ad individuare precise regole di comportamento cui uniformare la condotta dell’agente.»